L’Osservatorio

Cresce la raccolta del vetro nel Mezzogiorno

A pochi mesi dal lancio del Piano straordinario d'incentivazione Sud per la raccolta differenziata del vetro nelle regioni del Mezzogiorno d'Italia, si registrano gia' dei risultati interessanti. Il progetto - per il quale sono stati stanziati complessivamente fino a 3 milioni - coinvolge le regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia e s'inserisce in un articolato programma di attivita' per lo sviluppo della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggi in vetro rivolto specificamente alle regioni del Mezzogiorno, che a fine 2016 risultavano in ritardo rispetto al resto del Paese ma dove i margini di crescita della raccolta sono molto ampi. Analizzando i dati dei primi tre mesi di raccolta nel 2017, l'incremento maggiore in termini percentuali spetta alla regione Sicilia, dove si e' totalizzato un +62% rispetto ai corrispondenti mesi del 2016. Se il trend rilevato a Marzo fosse confermato alla fine dell'anno, l'entita' dell'incentivo straordinario sarebbe pari a 781.836 euro. Inoltre, poiche' le quantita' di vetro raccolte in maniera differenziata danno il vantaggio di costi cessanti della discarica l'incremento del 62% corrisponderebbe a un beneficio economico totale per la regione equivalente a 2.687.284 euro (in quanto i costi cessanti, nel caso della Sicilia, ammontano a 1.905.447 euro). Altre tre regioni sono attualmente in zona bonus: La Calabria, la Basilicata ed il Molise. La Calabria ha incrementato la raccolta del 16,9% che, se confermato, porterebbe alla regione un beneficio economico totale di 731.373 euro.

La Basilicata ha aumentato del 17,9%, con possibile beneficio a fine anno di 253.388 euro e il Molise, con un incremento del 21,8% otterrebbe 108.440 euro. "L'obiettivo del Piano e' di raccogliere 3 kg per abitante in piu' all'anno, cioe' ogni cittadino dovrebbe conferire in piu' una bottiglia al mese: un'impresa fattibile, come dimostrato dalle quattro regioni che stanno correndo in zona premio grazie al lavoro sul territorio degli amministratori e all'impegno dei cittadini. Stiamo ora facendo il tifo per Abruzzo, Campania e Puglia", spiega Franco Grisan, presidente di CoReVe (Consorzio Recupero Vetro). CoReVe, per fornire supporto alle regioni, ha gia' avviato campagne di sensibilizzazione Tv, incontri formativi e informativi con gli amministratori e gli operatori del settore e attivita' di comunicazione dedicate alla raccolta "mono-materiale" del vetro. Inoltre fornisce alle amministrazioni locali il know-how per una corretta raccolta differenziata ed in alcuni casi interviene con forme di cofinanziamento per l'acquisto di contenitori. "Sappiamo che c'e' desiderio da parte dei cittadini meridionali di fare la raccolta differenziata. Spesso pero' i risultati non arrivano, specialmente per i piccoli Comuni, per problemi di logistica dopo la raccolta, se si pensa che nel Sud si aggregano, mediamente, solo 6 Comuni mentre al Nord sono 44. Inoltre, la nostra esperienza insegna di optare dovunque per la raccolta monomateriale e di organizzare una raccolta specifica ed efficiente per bar e ristoranti", conclude Grisan.

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Turismo, Federalberghi denuncia: il sommerso è sopra i livelli di guardia

Il sommerso nel turismo ha "superato il livello di guardia" La denuncia viene dal presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, che oggi ha commentato i risultati di un monitoraggio della federazione con l'ausilio della società Incipit Consulting e che viene presentato oggi a Rapallo in occasione della 67esima Assemblea Generale Ordinaria di Federalberghi.Bocca sottolinea che "il fenomeno danneggia tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza e che entrambe le categorie sono esasperate dal dilagare della concorrenza sleale che inquina il mercato".Ad aprile 2017, erano disponibili su Airbnb 214.483 alloggi italiani, con una crescita esponenziale che non accenna a fermarsi (42.804 alloggi in più nel corso del 2016, pari ad un incremento del 25,6%).

Le strutture di natura analoga (appartamenti in affitto e bed and breakfast) censite dall'Istat sono 103.459.Si può pertanto certificare ufficialmente l'esistenza di almeno 110.000 alloggi che sfuggono ad ogni controllo, con l'avvertenza che le strutture mancanti all'appello sono probabilmente il doppio, in quanto gli alloggi presenti sul noto portale erano 52 a dicembre 2008, anno in cui l'Istat censiva 84.189 strutture. Tra le città italiane maggiormente interessate dal fenomeno troviamo Roma con 25.743 alloggi, Milano con 14.523, Firenze con 6.992 e Venezia con 5.973. Per quanto riguarda le regioni, la pole position spetta alla Toscana, con 34.595 alloggi, seguita dal Lazio con 32.663, dalla Lombardia, con 25.148 e dalla Sicilia con 23.020.

"In questi giorni - ricorda il presidente di Federalberghi - il Parlamento sta esaminando un decreto legge che assegna ai portali il compito di prelevare alla fonte la cosiddetta cedolare secca, pari al 21% del prezzo pagato dai clienti degli appartamenti in affitto. Anche se la definizione di un'aliquota agevolata non ci esalta - prosegue - apprezziamo il fatto che sia stato individuato un percorso per garantire il prelievo delle imposte. E' bene tuttavia chiarire che si tratta di una soluzione positiva ma non sufficiente, che dovrà essere integrata con altre misure di tutela, ad esempio in materia di igiene e sicurezza, di pubblicità ingannevole e, ancora, in termini di trasparenza: è necessario prevedere la comunicazione delle generalità degli alloggiati alla pubblica sicurezza. Ultimo ma non da ultimo, va considerata l'imposta di soggiorno".

 

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Agli italiani piacciono i cibi bio e a km zero

No agli Ogm, spazio agli alimenti biologici e a km zero. Sono le scelte degli italiani che puntano ad un'alimentazione più sostenibile come dimostra la terza edizione dell'Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile realizzato da LifeGate in collaborazione con l'istituto di ricerca Eumetra Monterosa. In particolare, il 36% della popolazione adulta dichiara di aver sentito parlare e di sapere il significato del concetto di alimentazione sostenibile. Andando a scomporre il dato dal punto di vista anagrafico, la conoscenza è alta nella popolazione tra 18 e 44 anni d'età, con il picco (51%) in corrispondenza del cluster 25-34, mentre degrada con l'avanzare dell'età sino al 20% negli over 65. A quest'informazione sono congruenti il livello d'istruzione, con diplomati e laureati più informati in materia, nonché l'aspetto della professione, dove eccellono dirigenti, liberi professionisti, imprenditori, impiegati e docenti: categorie nelle quali la conoscenza dichiarata va dal 50 al 61%.

Inoltre, il 33% degli italiani maggiorenni concorda nel ritenere il food un settore merceologico di grande rilevanza ai fini della sostenibilità e il 28% dichiara di seguire sempre pratiche sostenibili a tavola. L'attenzione con cui oggi l'opinione pubblica segue tutto ciò che riguarda la sostenibilità e la salubrità degli alimenti ha riflessi diretti sugli orientamenti e sui comportamenti di acquisto. Il 37% della popolazione adulta, ad esempio, afferma di non volere Ogm nel carrello della spesa e l'83% è d'accordo sul dare un sostegno incondizionato all'agricoltura biologica. L'Osservatorio, infatti, dimostra come il consenso accordato ai cibi bio è guidato dai giovani adulti (18-24) con il 97%, ma anche gli altri cluster mostrano percentuali da plebiscito. A favore del bio si schierano soprattutto i laureati (91%), i lavoratori in proprio, impiegati, insegnanti e docenti (tra il 90 e il 93%). Anche le abitudini alimentari hanno un peso, con i vegetariani in prima linea (96%) seguiti da chi sta cercando di limitare i consumi di carne (87%), mentre gli onnivori stazionano all'81%.

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Istat, cresce la produzione industriale a marzo

A marzo 2017 l'indice destagionalizzato della produzione industriale registra un incremento dello 0,4% rispetto al mese precedente. Corretto per gli effetti di calendario, a marzo l'indice è aumentato in termini tendenziali del 2,8% (i giorni lavorativi sono stati 23 contro i 22 di marzo 2016). Lo rende noto l'Istat in un comunicato. Nella media del trimestre gennaio-marzo 2017 la produzione industriale è diminuita dello 0,3% rispetto al trimestre precedente. Nella media dei primi tre mesi dell'anno la produzione è aumentata dell'1,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

L'indice destagionalizzato mensile presenta variazioni congiunturali positive nel comparto dei beni strumentali (+2,4%), dei beni di consumo (+2,3%) e, in misura più lieve, dei beni intermedi (+0,4%); segna invece una variazione negativa l'energia (-5,2%). In termini tendenziali gli indici corretti per gli effetti di calendario registrano, a marzo 2017, aumenti nei raggruppamenti dei beni intermedi (+3,9%), dei beni di consumo (+3,7%) e dei beni strumentali (+3,4%); presenta invece una variazione negativa il comparto dell'energia (-2,4%). Per quanto riguarda i settori di attività economica, a marzo 2017 i comparti che registrano la maggiore crescita tendenziale sono quelli della fabbricazione di mezzi di trasporto e della produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (entrambi +9,5%) seguiti dalla fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati e della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo esclusi macchine e impianti (entrambi +7,3%). Le uniche diminuzioni si registrano nei settori della fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (-4,1%) e dell'industria del legno, della carta e stampa (-1,9%).

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Crolla il consumo di pane e pasta

Pane e pasta non fanno piu' la parte del leone sulla tavola degli italiani, mentre a 'volare' e' a sorpresa il riso. Se l'acquisto di riso nel 2016 e' infatti aumentato del 3%, crollano invece quelli di pasta dell'1,3% e di pane del 3%, raggiungendo il minimo storico dall'Unita' d'Italia. A scattare la fotografia delle nuove abitudini alimentari e' la Coldiretti, con un'analisi sulla base dei dati Ismea/Nielsen relativi al 2016, in occasione della campagna 'Abbiamo riso per una cosa seria' con FOCSIV, che in 1000 piazze e mercati vede 4000 volontari offrire pacchi di riso 100% italiano per una donazione con l'obiettivo di difendere chi lavora la terra. I consumi di pane degli italiani, sottolinea Coldiretti, si sono praticamente dimezzati negli ultimi 10 anni ed hanno raggiunto il minimo storico con appena 85 grammi a testa al giorno per persona rispetto a 1,1 chili che ogni cittadino portava quotidianamente in tavola ai tempi dell'Unita' d'Italia nel 1861. Con il taglio dei consumi, si e' verificata una svolta anche nelle abitudini a tavola e sale l'interesse per il pane biologico e quello a chilometri zero, ma sono nati anche nuovi prodotti senza glutine o a base di cereali alternati. Una tendenza che riguarda anche la pasta secca dove in controtendenza al calo generale del 2016 si registra un incremento per quella garantita al 100% con grano italiano e per quella integrale, con un vero e proprio boom per il senza glutine. A pesare nell'andamento di mercato, sottolineaColdiretti, "sono anche le percezioni errate degli effetti sulla bilancia. Pane e pasta sono ricchi di carboidrati complessi, dovrebbero costituire circa il 60% delle calorie quotidiane e non fanno ingrassare se ovviamente si evitano gli eccessi. La ricerca di prodotti senza glutine, invece, e' spesso il risultato della convinzioni sbagliate che aiutino a mantenere la linea". L'Italia si conferma tuttavia leader nel consumo di pasta con 24 chili a testa davanti a Tunisia (16 kg), Venezuela (12 kg), Grecia (11,2 kg), Svizzera (9,2), Usa e Argentina (8,8 kg). Un primato detenuto anche nella produzione, con 3,2 milioni di tonnellate all'anno davanti a Usa, Turchia, Brasile e Russia e che consente di realizzare un fiorente flusso di esportazioni che nel 2016 hanno superato i 2,013 miliardi di chili, in aumento del 3%. Nuovo protagonista e' invece il riso: l'Italia e' il primo produttore europeo di riso per una produzione di 1,58 miliardi di chili, che "sarebbe piu' che sufficiente per coprire i consumi interni", rileva Coldiretti. 

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Istat, segnali ancora positivi sul Pil

L'indicatore anticipatore sull'andamento dell'economia italiana messo a punto dall'Istat nel mese di aprile "rimane positivo ma evidenzia una decelerazione". Secondo quanto si legge nella nota mensile dell'Istituto di statistica, "i segnali di dinamicita' provenienti dal lato dell'offerta e dal commercio estero stentano a rafforzarsi. L'occupazione e' in una fase di stabilizzazione mentre i prezzi registrano un nuovo aumento"

A febbraio, ricorda l'Istat, il settore manifatturiero ha registrato variazioni positive dell'indice di produzione e di fatturato dopo la caduta segnata a gennaio. Nella media del trimestre dicembre-febbraio la produzione industriale e' aumentata dello 0,7% rispetto al trimestre precedente, trainata dall'andamento positivo dell'energia e dei beni intermedi (+2,7% e +1,3% rispettivamente). Il fatturato dell'industria, misurato a prezzi correnti, nel trimestre dicembre-febbraio e' aumentato (+2,6%) con una intensita' simile sui mercati nazionali ed esteri (+2,5% e +2,9%). Tutti i raggruppamenti hanno registrato variazioni positive ad eccezione dei beni di consumo (-0,2%). Nello stesso periodo si rileva una forte crescita per la componente estera degli ordinativi (+6,1%) e un aumento piu' contenuto di quella interna (+3,5%). Prosegue il miglioramento degli scambi con l'estero. Nel trimestre dicembre-febbraio sono aumentate sia le esportazioni (+3,7%) sia le importazioni (+5,6%) sostenute dalla vivacita' dell'interscambio con i paesi extra-Ue (+4,9% le esportazioni). Le esportazioni nel mese di febbraio sono diminuite dopo quattro mesi di continua espansione. A marzo e' proseguita la crescita dei flussi commerciali con i paesi extra Ue, con un incremento piu' marcato per le esportazioni (+6,5%) rispetto alle importazioni (+0,5%). I beni strumentali hanno mostrato un aumento significativo (+15,1%), caratterizzato dalla vendita di mezzi di navigazione marittima. Il settore delle costruzioni mostra ancora difficolta' nell'avvio della fase di ripresa. A febbraio la produzione nelle costruzioni ha segnato un aumento del 4,6% rispetto al mese precedente in recupero dopo la flessione di gennaio (-4,0%). Nella media del trimestre dicembre-febbraio la produzione e' migliorata rispetto ai tre mesi precedenti (+1,0%).

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Istat, in Italia le prime tre cause di morte legate al cuore

Per la prima volta viene presentata dall'Istat per gli anni 2003-2014 la serie storica completa dei dati di mortalita' per causa, che consente una lettura approfondita della dinamica del fenomeno nel lungo periodo. Nel 2014 , i decessi in Italia sono stati 598.670, con un tasso standardizzato di mortalita' di 85,3 individui per 10mila residenti. Dal 2003 al 2014 il tasso di mortalita' si e' ridotto del 23%, a fronte di un aumento del 1,7% dei decessi (+9.773) dovuto all'invecchiamento della popolazione . Sia nel 2003 che nel 2014 le prime tre cause di morte in Italia sono le malattie ischemiche del cuore, le malattie cerebrovascolari e le altre malattie del cuore (rappresentative del 29,5% di tutti i decessi), anche se i tassi di mortalita' per queste cause si sono ridotti in 11 anni di oltre il 35%. Nel 2014 al quarto posto nella graduatoria delle principali cause di morte figurano i tumori della trachea, dei bronchi e dei polmoni (33.386 decessi). Demenza e Alzheimer risultano in crescita; con i 26.600 decessi rappresentano la sesta causa di morte nel 2014.

Tra i tumori specifici di genere, quelli della prostata sono la decima causa di morte tra gli uomini (7.174 decessi), mentre quelli del seno sono la sesta causa tra le donne (12.201 decessi) e la piu' frequente di natura oncologica. Tra le cause di morte in aumento, la prima e' la setticemia (1,3% del totale dei decessi). Nel 2014 i decessi si sono triplicati rispetto al 2003 soprattutto per effetto della maggiore presenza nella popolazione di anziani multicronici. Per molte delle principali cause, i tassi di mortalita' diminuiscono in tutte le aree geografiche del Paese. Si riducono i differenziali territoriali della mortalita' per malattie cerebrovascolari, altre malattie del cuore, tumori maligni di trachea, bronchi e polmoni e per malattie croniche delle basse vie respiratorie. Permangono, invece, differenze nei livelli di mortalita' tra Nord e Sud per cardiopatie ischemiche, malattie ipertensive e diabete mellito; aumentano per i tumori della prostata. Nel primo anno di vita diminuisce la mortalita' per malformazioni congenite, sofferenza respiratoria del neonato, ipossia e asfissia intrauterina o della nascita; aumenta quella dovuta alle infezioni.

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Cgia, chiusa una impresa sui due entro 5 anni di vita

Piu' di una impresa su due (55,2%), per la Cgia, ha chiuso entro i primi 5 anni di vita. Un dato che mostra la grave difficolta' che stanno vivendo le imprese, specie quelle guidate da neoimprenditori. In caduta libera l'artigianato: -18.400 unita' nell'ultimo anno e -134.500 dall' inizio della crisi. Se nel 2004 il tasso generale di mortalita' era al 45,4% (la percentuale di imprese ancora in vita dopo 5 anni sul totale di quelle nate nell'anno di riferimento, il 1999), 10 anni dopo la soglia e' salita al 55,2%. A soffrire di piu': costruzioni (62,7%), commercio (54,7%) e servizi (52,9%). Piu' contenuta la crisi nell'industria (48,3%). A livello regionale la situazione piu' pesante e' nel Centro-Sud. La maglia nera spetta alla Calabria (58,5% di chiusure dopo 5 anni di vita), poi Lazio (58,1%), Liguria (57,7%) che e' l'unica regione del nord nelle prime posizioni, Sicilia (57,2%), Sardegna (56,4%) e Campania (56%). Le province autonome di Bolzano (45,8%) e di Trento (49,3%), Basilicata (50,1%) e Veneto (51,9%) sono le realta' meno interessate da questo fenomeno

"Troppe tasse, una burocrazia che non allenta la morsa e la cronica mancanza di liquidita' - dichiara il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo - sono i principali ostacoli che hanno costretto molti neoimprenditori a gettare la spugna anzitempo. E' vero che molte persone, specie giovani, tentano la via dell'autoimpresa senza avere alcuna esperienza e/o il know how necessario, tuttavia questa percentuale di chiusura cosi' elevata e' molto preoccupante, anche perche' continua ad aumentare di anno in anno". "La crisi economica abbattutasi nel nostro Paese - aggiunge Renato Mason, segretario Cgia - ha sicuramente accelerato questo trend cosi' negativo. Rispetto a qualche decennio fa, infatti, chi ha avviato un'attivita' economica in questi ultimi anni, spesso ha compiuto un salto nel buio. Con il passare del tempo, molti neoimprenditori hanno sperato di poter far breccia nel mercato e di superare lo scotto iniziale senza particolari problemi. Purtroppo, pero', molti non hanno retto l'urto e sono stati costretti ad abbassare definitivamente la saracinesca". Oltre al tasso di mortalita', per la Cgia sono preoccupanti anche i dati dell' Unioncamere riferiti al numero di imprese attive presenti in Italia. Rispetto al 2015, le imprese artigiane presenti nel 2016 nel nostro Paese sono scese di 18.401 unita', attestandosi a quota 1.331.396. Una "caduta" che ormai si verifica ininterrottamente dal 2009. In questi ultimi 7 anni, infatti, lo stock di imprese artigiane e' diminuito di ben 134.553 unita'. Per contro, le imprese non artigiane sono in aumento dal 2014 e l'anno scorso hanno raggiunto quota 3.814.599 (+ 20.013 rispetto al 2015), allineandosi, di fatto, con il dato che avevamo nel 2009 (3.817.582). 

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Istat, gli italiani saranno 53,7 milioni nel 2065

La popolazione in Italia nei prossimi anni, e' destinata a diminuire, soprattutto al sud, mentre continuera' crescere l'eta' media dei residenti. E' quanto certifica l'Istat nel report "Il futuro demografico del Paese". In particolare, la popolazione residente e' prevista in lieve decrescita nel prossimo decennio: da 60,7 milioni al primo gennaio 2016 a 60,4 milioni nel 2025. In una prospettiva di medio termine, invece, la diminuzione della popolazione risulterebbe gia' molto piu' accentuata: da 60,4 milioni a 58,6 milioni tra il 2025 e il 2045. E' nel lungo termine, tuttavia, che le conseguenze della dinamica demografica si fanno piu' importanti. Tra il 2045 e il 2065, infatti, la popolazione diminuirebbe di ulteriori 4,9 milioni, registrando una riduzione medio annua del 4,4 per mille. In questa ipotesi la popolazione totale ammonterebbe a 53,7 milioni nel 2065, con una perdita complessiva di 7 milioni di residenti rispetto a oggi. Lo studio evidenzia poi uno spostamento del peso della popolazione dal Mezzogiorno al Centro-nord del Paese: nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 71% di residenti contro il 66% di oggi; il Mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29% contro il 34% attuale. La fecondita' e' prevista in rialzo ma la prospettiva di un pur parziale - da 1,34 figli per donna nel 2016 a 1,59 entro il 2065 - non bastera' a determinare un numero di nati che risulti, anno dopo anno, sufficiente a compensare l'aumentato numero di defunti. Nel breve termine le nascite dovrebbero diminuire fino a 458mila unita' annue entro il 2025 mentre parallelamente i decessi tendono a salire fino a 671mila. Nella parte centrale delle previsioni le nascite si stabilizzano intorno al valore medio annuo di 459mila, con un lieve picco di risalita nel 2035-2039 intorno alle 463mila unita', periodo dopo il quale ridiscenderebbero fino a 449mila entro il 2045. Nel medesimo periodo i decessi, sotto la spinta del progressivo invecchiamento della popolazione, continuerebbero a crescere da 671 nel 2025 a 768mila nel 2045. Nel lungo termine, infine, le nascite continuerebbero a scendere per poi assestarsi attorno a una media di 422mila annue nel 2055-2065. Per i decessi, invece, continuerebbe a registrarsi una costante crescita fino a un massimo di 852mila unita' nel 2058. Dopo questo anno, via via che andranno a estinguersi le generazioni del baby boom nazionale, il numero di decessi diminuirebbe fino a 821mila entro il 2065. Nella futura dinamica demografica del Paese un contributo determinante sara' quello esercitato dalle migrazioni con l'estero. La quota annua di immigrati dall'estero dovrebbe mantenersi a lungo poco sotto il livello delle 300mila unita', per poi gradualmente scendere fino al livello delle 270mila unita' annue entro il 2065. Secondo questa ipotesi - spiega Istat - si prevede che nell'intervallo temporale fino al 2065 immigrino complessivamente in Italia 14,4 milioni d'individui. In totale sarebbero invece 6,7 milioni gli emigrati dall'Italia nell'intero arco di proiezione. L'eta' media della popolazione passera' dagli attuali 44,7 a oltre50 anni del 2065. A subire maggiormente le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione, dovrebbero essere soprattutto il Sud e le Isole, dove la popolazione passerebbe da un'eta' media iniziale compresa tra i 43 e i 44 anni, quindi piu' bassa di quella registrata nel Centro-nord, a una vicina ai 46 anni entro il 2025 e quindi a una superiore ai 50 entro il 2045 fino ad arrivare a 51,6 anni entro il 2065. Parte del processo di invecchiamento - spiega l'Istituto di statistica - e' spiegato dal transito delle coorti del baby boom (1961-75) tra la tarda eta' attiva (40-64 anni) e l'eta' senile (65 e piu'). Il picco di invecchiamento colpira' l'Italia nel 2045-50, quando si riscontrera' una quota di ultrasessantacinquenni vicina al 34%. La sopravvivenza e' prevista infine in aumento. Entro il 2065 la vita media crescerebbe fino a 86,1 anni e fino a 90,2 anni, rispettivamente per uomini e donne (80,1 e 84,6 anni nel 2015).

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Crisi, nei primi 3 mesi del 2017 calo del 16,8% annuale dei fallimenti

Fallimenti delle imprese italiane in continuo calo. Nei primi tre mesi del 2017 sono state infatti 2.998 le aziende italiane che hanno portato i libri in tribunale, il 16,8% in meno rispetto ad un anno fa, il 20,2% rispetto al 2015, il 20,3% rispetto al 2014. Un buon segnale dal mercato che dà continuità alle buone notizie emerse dall’anno appena concluso e che conferma il consolidamento dell’inversione di tendenza positiva dopo gli ultimi anni caratterizzati da un costante aumento dei fallimenti, che aveva toccato il suo picco nel 2014, con un totale di 15.336 casi, 3.760 solo nel primo trimestre dell’anno. E' quanto emerge dall’ultimo aggiornamento dell'Analisi dei fallimenti in Italiarealizzata da Cribis, la società del gruppo Crif specializzata nella business information. Complessivamente, nel primo trimestre dell’anno sono fallite in media 47 imprese al giorno, circa 2 ogni ora. Malgrado il progressivo ripiegamento del fenomeno va però sottolineato come il numero dei fallimenti registrati risulti ancora decisamente più elevato rispetto al 2009, quando i riflessi dell’incipiente Crisi non erano ancora così evidenti. Rispetto a otto anni fa, quando i fallimenti erano 2.200, i fallimenti registrano un + 36,3%.

“Nei primi mesi del 2017 il nostro studio ha evidenziato un forte e costante calo dei fallimenti delle imprese italiane - commenta Marco Preti, Amministratore Delegato di Cribis - dopo anni in cui si sono registrati continui aumenti di casi di fallimenti delle nostre imprese, questa prima parte del 2017 è stata caratterizzata da buone notizie derivanti da un ulteriore calo delle imprese che hanno portato i libri in tribunale. I dati emersi parlano chiaro. Se paragoniamo i dati di fine marzo 2017 con quelli del 2016 emerge infatti una diminuzione del 16,8% del numero dei fallimenti. Percentuale che sale al 20,3% se paragonata a fine 2014”. La distribuzione sul territorio nazionale dei fallimenti è correlata alla densità di imprese attive nelle diverse aree del Paese. La Lombardia, con 641 casi nel corso del 2017 e una incidenza sul totale Italia del 21,4%, si conferma la regione con il maggior numero di fallimenti. Dal 2009 ad oggi si contano 22.883 imprese lombarde fallite. La seconda regione più colpita è stata il Lazio, con 386casi e un’incidenza sul totale Italia del 12,9%,seguita dalla Campania, con 275 casi e relativa incidenza del 9,2%. Nelle prime dieci posizioni della graduatoria si trovano anche il Veneto(con 261 fallimenti), la Toscana (242), l’Emilia Romagna (205), il Piemonte (173), la Sicilia (164), la Puglia (148) e le Marche (84). Entrando maggiormente nel dettaglio, dall’analisi di Cribis emerge che il settore che nel corso del 2017 ha fatto registrare il maggior numero di casi è stato, ancora una volta, quello del commercio, con 1.020 fallimenti. Rispetto all’anno precedente però si registra un calo del 13,7% di imprese che hanno portato i libri in tribunale. Seguono il comparto dell’industria (con 759 casi complessivi), l’edilizia (611) e i servizi (210). Tutti i restanti settori hanno fatto complessivamente registrare 398 casi.

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