L’Osservatorio

Un milione di cinghiali in giro per l’Italia

Sarebbero un milione i cinghiali in tutta Italia, secondo quanto afferma la Coldiretti a seguito delle numerose segnalazioni di branchi di cinghiali ricevute sulla Cassia a Roma e nel quartiere San Paolo di Bari. Raddoppiati negli ultimi dieci anni "distuggono i raccolti, sterminano animali allevati, causano incidenti per danni stimati in centinaia di milioni di euro nell'ultimo decennio, senza contare i casi in cui ci sono state purtroppo anche vittime" conclude nella nota la Coldiretti, che sottolinea come non sia più una questione solo di risarcimenti ma un "un fatto di sicurezza delle persone che va affrontato con la dovuta decisione"

 

immagine di repertorio

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L’Italia ha uno dei più bassi tassi di occupazione dei giovani laureati

Un paese sostanzialmente fermo, dove l'accesso all'istruzione continua a essere facilitato per chi ha genitori laureati, in cui i Neet sono il doppio che altrove, in cui l'università non si è aggiornata negli anni della crisi fornendo sbocchi lavorativi e in cui i professori sono anziani e poco pagati. E' la fotografia scattata dall'Ocse con la ricerca annuale 'Education at a glance', un evento organizzato con l'associazione TreeLLLe ed ospitato dalla Luiss. L'Italia ha uno dei più bassi tassi di occupazione dei giovani laureati. Il numero di italiani che studia all'estero per laurearsi è aumentato del 36% in soli 3 anni; nel frattempo il numero di studenti stranieri iscritti all'università in Italia è aumentato solo del 12%. Tra le anomalie, contrariamente agli altri Paesi, il tasso di occupazione dei giovani laureati in Italia è molto inferiore a quello dei laureati intorno ai 60 anni. Inoltre le competenze trasmesse dall'università non sembrano ricercate dalle imprese

I giovani Neet (che non studiano, non lavorano e non cercano impiego) corrispondono al 30% dei 20-24enni, contro il 16% della media Ocse, ma con variazioni regionali fortissime che vanno dal 12 al 38% per la classe di età tra i 15 e i 29 anni. La quota Neet tra le donne aumenta molti tra i 25 e i 29 anni.

Gli insegnanti italiani continuano a essere tra i più anziani nel panorama internazionale (il 58% ha più di 50 anni). I loro stipendi sono inferiori alla media Ocse. Infine l'Italia è uno dei Paesi che prevede il più alto compenso retributivo per i dirigenti scolastici rispetto agli insegnanti.

Dalla ricerca emerge che solo il 24% dei bimbi 0-3 anni frequenta asili nido, contro il 35% della media Ocse. I bambini hanno maggiori probabilità di frequentare i servizi per la prima infanzia se provengono da un ambiente socioeconomico avvantaggiato e quando le loro madri hanno conseguito un titolo di livello terziario. Solo il 19% degli adulti con genitori senza istruzione secondaria superiore ha superato il livello di istruzione dei genitori.

Se la partecipazione delle giovani donne laureate al mercato del lavoro è elevata, quasi come quella degli uomini, le giovani donne senza un laurea hanno tassi si inattività molto più elevati rispetto agli uomini. Inoltre emerge che le retribuzioni medie delle donne sono inferiori a quelle degli uomini e il divario aumenta per le donne laureate. Una percentuale maggiore di donne ha conseguito la laurea rispetto agli uomini.

Gli adulti nati all'estero hanno in media un livello di istruzione inferiore agli adulti nati in Italia. In Italia, tra le persone con un titolo di studio inferiore al grado secondario superiore, quelle nate all'estero hanno una maggiore probabilità di trovare un lavoro rispetto agli autoctoni. Come in molti altri Paesi Ocse, gli adulti laureati nati all'estero hanno però molte meno probabilità di trovare un lavoro rispetto agli autoctoni o agli adulti nati all'estero arrivati entro i 15 anni. + più probabile che chi è nato all'estero guadagni meno degli autoctoni, indipendentemente dal livello d'istruzione. In Italia si stabiliscono soprattutto immigrati scarsamente qualificati che competono con gli italiani senza titolo di studio sul mercato del lavoro. Contrariamente agli altri paesi, gli immigrati laureati in Italia occupano lavori meno qualificati.

I maggiori divari regionali si riscontrano tra i 20-29enni: i tassi di scolarizzazione sono inferiori del 10% rispetto alla media nazionale in Basilicata, nella Provincia autonoma di Bolzano e nella Valle d'Aosta e raggiungono il 25% in altre cinque regioni del Paese (Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Provincia autonoma di Trento e Toscana). Il tasso di occupazione è più nel Sud Italia e nelle Isole.

 

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Al sud il 18.5 per cento dei giovani abbandonano studio e formazione

Il Mezzogiorno è l'area nella quale i giovani tra 18 e 24 anni con al piu' la licenza media abbandonano sia lo studio che la formazione professionalizzante. Se, infatti, in media in Italia questi giovani sono poco meno del 14%, al Sud raggiungono il 18,5%, mentre al Nord si fermano all'11,3% e al Centro al 10,7%. E sono piu' i maschi che le femmine a interrompere gli studi: i ragazzi meridionali sono ben il 21,5%, le ragazze del Sud il 15,2%. Si tratta di elaborazioni SVIMEZ su dati ISTAT presentati oggi a Roma nel corso del seminario su "Il sistema educativo nell'Italia dei dualismi. Una discussione a partire dal "Education&Training Monitor 2017", organizzato dalla SVIMEZ e dalla Rappresentanza della Commissione europea in Italia. Al seminario, coordinato da Luca Bianchi, Direttore della SVIMEZ, sono intervenuti Daria Ciriaci, della Rappresentanza della Commissione europea in Italia, Francesco Avvisati dell'OCSE e Gaetano Vecchione, dell'universita' federiciana di Napoli. Al successivo dibattito hanno preso parte Adriano Giannola, Presidente della SVIMEZ, Francesco Sinopoli, Segretario della FLC-CGIL e Roberto Torrini, della Banca d'Italia, gia' Direttore ANVUR. 

 Dalle analisi e dal confronto sono emerse le profonde differenze territoriali, e soprattutto, come in alcune provincie, in particolare meridionali, quasi un giovani ogni quattro abbandoni la scuola o la formazione professionale. Cio' comporta un troppo basso livello di competenze al Sud, che rende ancor piu' difficile l'accesso al mercato del lavoro.

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Istat, aumenta la spesa in ricerca e sviluppo

Nel 2016, la spesa per ricerca e sviluppo intra-muros dell'insieme dei settori istituzionali, quali imprese, istituzioni pubbliche, istituzioni private non profit e universita', e' stata di quasi 23,2 miliardi di euro, in aumento, rispetto all'anno precedente, del 4,6% a prezzi correnti e incide in percentuale sul Pil dell'1,38%, registrando un lieve incremento di 0,04 punti percentuali. Lo ha reso noto l'Istat, che oggi ha diffuso il rapporto "Ricerca e sviluppo in Italia", dal quale e' emerso che il settore privato (imprese e istituzioni non profit) ha speso per la R&S intra-muros circa 14,7 miliardi di euro, di cui la quasi totalita' (14,1 miliardi) e' stata sostenuta dalle imprese.

Le universita' hanno speso circa 5,6 miliardi di euro, mentre le istituzioni pubbliche 2,9 miliardi. Rispetto al 2015 e' aumentata sensibilmente la spesa delle imprese (+9,3%) mentre e' rimasta stabile quella delle istituzioni pubbliche. E' diminuita, invece, lievemente nelle universita' (-1,0%) e maggiormente nelle istituzioni private non profit (-18,6%).

La spesa del settore privato (imprese e istituzioni non profit) ha costituito la principale componente della spesa totale (63,3%) ed e' cresciuta rispetto al 2015 (+1,9 punti percentuali). In particolare, il settore delle imprese ha contribuito per il 60,8% alla spesa complessiva (+2,6 punti percentuali rispetto all'anno precedente), mentre il 24,2% della spesa e' stato sostenuto dalle universita' e il 12,6% dalle istituzioni pubbliche. Con riferimento alle fonti di finanziamento, nel 2016 la spesa in R&S e' stata finanziata prevalentemente dal settore privato (imprese e istituzioni non profit), che contribuisce per il 54,1% (pari ad un valore di 12,5 miliardi), seguito dal settore delle istituzioni pubbliche con il 35,2% della spesa (circa 8,2 miliardi) e i finanziatori stranieri (imprese, istituzioni pubbliche o universita' estere), che hanno partecipato al 9,8% della spesa (circa 2,3 miliardi). Rispetto al 2015, nel complesso e' aumentata la componente di finanziamento delle imprese nazionali e degli investitori stranieri (+3,5 punti percentuali), mentre e' diminuito il peso delle altre fonti di finanziamento. 

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Coldiretti, conserve fai da te per 10 mln italiani

Sono oltre 10 milioni gli italiani che quest'anno si dedicheranno alla preparazione di conserve fatte in casa per garantirsi un'alimentazione piu' genuina, ridurre gli sprechi e risparmiare. E' quanto emerge da una indagine Coldiretti/Ixe' presentata al Mercato di Campagna Amica al Circo Massimo. La preparazione delle conserve secondo una tradizione del passato - spiega la Coldiretti - sembrava destinata a perdersi ed e' invece tornata di grande attualita' di fronte ai ripetuti scandali alimentari e all'esigenza di garantire la qualita' e la naturalita' dell'alimentazione. Il risultato e' "il ritorno di comportamenti virtuosi che si esprimono anche nei riti settembrini della preparazione delle conserve fai da te, con intere giornate trascorse per recuperare il prodotto, pulirlo, lavorarlo, cucinarlo e metterlo in vaso. Una maggiore attenzione rispetto al passato viene riservata alla scelta delle materie prime che spesso vengono acquistate direttamente dai produttori agricoli in azienda, nelle botteghe o nei mercati degli agricoltori a chilometro zero". La preparazione piu' radicata nella tradizione degli italiani resta quella della trasformazione del pomodoro che prevede semplici, ma importanti operazioni come la selezione e il lavaggio accurato dei pomodori, l'asciugatura, la cottura in acqua bollente per favorire il distacco della buccia dalla polpa e infine la spremitura, l'imbottigliamento e la sterilizzazione delle bottiglie. Non meno diffusi sono i sott'oli con ortaggi di stagione come zucchine e melanzane precedentemente lavati e scottati in acqua, aceto o vino, fatti asciugare, messi in vaso con diversi aromi e sterilizzati. Immancabili poi tra le conserve fatte in casa le marmellate: una volta scelta, la frutta va lavata, tagliata e lasciata a macerare con succo di limone e zucchero per una notte intera prima di essere cotta a fuoco medio per una trentina di minuti in modo da farla addensare prima di metterla in vasetto e sterilizzare lo stesso. 

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Calano le vendite al dettaglio ma cresce il commercio on line

Nuova frenata per le vendite al dettaglio a luglio nel commercio tradizionale mentre volano gli acquisti on line: nel mese in genere dedicato ai saldi l'Istat segnala un calo tendenziale delle vendite in valore dello 0,6% (-1,8% in volume) nel complesso ma con andamenti molto diversi per le vendite nella grande distribuzione (-0,1%), nei piccoli negozi (-1,5%) e on line (+13,6%). La tendenza di crescita dello shopping on line è ormai in atto da molto tempo con un +15,3% segnato nel secondo trimestre 2018 sullo stesso periodo dell'anno scorso, ma potrebbe rafforzarsi con la stretta sulle liberalizzazioni e la possibile chiusura obbligatoria la domenica. I consumatori, infatti, sottolineano come questa stretta potrebbe dare un ulteriore vantaggio alle piattaforme di vendite on line, aperte appunto h24 e 7 giorni la settimana, a scapito del commercio tradizionale. Il dato è negativo anche su base congiunturale con un calo dello 0,1% rispetto a giugno (-0,2% in volume). Su base annua le vendite al dettaglio dei beni alimentari sono in aumento in valore dello 0,2% (-2,1% in volume), crescita - afferma l'Istat - "dovuta esclusivamente all'aumento dei prezzi". Nonostante la crescita a due cifre del commercio on line e le numerose chiusure di negozi l'Italia rimane tra i Paesi con il commercio di vicinato più diffuso e con le più basse percentuali di acquisto on line. Secondo gli ultimi dati Eurostat riferiti al 2017 le persone che hanno comprato beni o servizi on line per uso privato negli ultimi tre mesi sono stati il 21% in Italia a fronte del 48% medio in Ue. In Francia la media di chi ha acquistato negli ultimi tre mesi via web è al 54%, in Germania al 66% mentre nel Regno Unito è al 78%. "Il 2018 è un anno da dimenticare" afferma la Confesercenti, sottolineando che le liberalizzazioni sono state inefficaci nel rilancio della domanda. La Confcommercio afferma che i dati di luglio sono un "campanello d'allarme" per i mesi successivi data anche la decelerazione della crescita economica mentre i consumatori chiedono al Governo politiche per la redistribuzione per rilanciare i consumi e di non fare passi indietro sulla liberalizzazione delle aperture perché sarebbe solo un vantaggio per il commercio on line. Anzi,chiedono di liberalizzare anche i saldi eliminando quelli di fine stagione e lasciando libertà al negoziante di scontare la merce quando lo ritiene opportuno "così come avviene nell'e-commerce".

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La popolazione italiana residente supera i 60 milioni

La popolazione residente in Italia è pari a 60 milioni 484 mila unità. L'età media è di 45,2 anni, riflesso di una struttura per età in cui solo il 13,4% della popolazione ha meno di 15 anni, il 64,1% tra i 15 e i 64 anni e il 22,6% ha 65 anni e più. E' quanto rileva l'Istat nel report sulla popolazione residente. La popolazione di 80 anni e più raggiunge il 7,0%, quella di 100 anni e più supera le 15 mila e 500 unità. Sono più di mille gli individui che hanno superato i 105 anni e 20 i supercentenari (110 anni e più). Dal confronto dei dati del Censimento della Popolazione del 1991 con quelli del 1° gennaio 2018 si nota il forte aumento della popolazione anziana (65 anni e più) in termini sia assoluti (da 8,7 milioni a 13,6 milioni) sia percentuali rispetto al totale di popolazione (dal 15,3% a 22,6%). In particolare, secondo l'Istat, raddoppia la popolazione di 80 anni e oltre (da 1 milione 955 mila a 4 milioni 207 mila) che rappresenta ormai il 7,0% della popolazione totale residente. Nello stesso periodo, diminuisce di quasi un milione di unità la popolazione con meno di 15 anni (da 15,9% a 13,4% del totale della popolazione) e di oltre 300 mila unità quella di 15-64 anni (da 68,8% a 64,1%). L'età media, che alla data del Censimento 1991 era al di sotto dei 40 anni, nel 2018 supera i 45 anni.

Il processo di invecchiamento, sottolinea il rapporto, investe tutte le regioni d'Italia anche se con intensità differenti. Al Centro-Nord l'età media raggiunge quasi i 46 anni, nel Mezzogiorno è di 44 anni. Sono tendenzialmente in aumento anche le persone che hanno 100 anni e più: nel complesso ammontano a 15.647 al 1° gennaio 2018, i maschi sono poco oltre i 2 mila e 500, ovvero meno del 17,0%. La differenza tra i sessi, in termini di maggiore aspettativa di vita delle donne rispetto agli uomini, è ancora più evidente considerando le fasce di età estrema della popolazione: gli individui con almeno 105 anni sono 1.091, di cui 951 femmine, ovvero l'87,2%. Le persone super-centenarie (110 anni e oltre) sono venti, quattro maschi e sedici femmine. A livello territoriale la popolazione di 105 anni e più risiede principalmente al Nord del Paese: 562 individui (di cui 501 donne) sono residenti al Nord, pari al 2,03 per 100.000 del totale dei residenti del Nord, 189 (di cui 167 donne) risiedono al Centro e 340 (di cui 283 donne) si trovano nel Mezzogiorno (Prospetto 2). La regione con la più alta percentuale di individui di 105 anni e più è la Liguria (3,58 per 100.000) nota per essere la regione più anziana dell'Unione europea. La donna più longeva vivente in Italia al 1° gennaio 2018 (deceduta il 6 luglio dello stesso anno) era residente in Toscana, ma nativa della Sardegna, e nel mese di maggio aveva compiuto 116 anni. Alla data del decesso era la decana d'Italia e d'Europa e la seconda persona vivente più longeva verificata al mondo. Ad oggi la donna vivente più longeva d'Italia ha superato i 115 anni e risiede in Puglia; l'uomo vivente più longevo ha quasi 110 anni e risiede nella provincia di Trento.

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Il 40% degli anziani italiani aiuta economicamente i figli

 Il 40% degli anziani italiani (over 65) aiuta economicamente i figli e gli altri membri della famiglia, contro la media europea del 24%. Lo rileva Ipsos in un sondaggio. Il 77% degli anziani ritiene di sentirsi ancora utile all'interno della vita famigliare: il 35% bada ai nipoti, il 25% aiuta nelle incombenze domestiche. Gli anziani italiani sono anche quelli che mettono da parte più soldi in Europa: il 54% dichiara di riuscire a risparmiare, seguiti dal 47% della Germania, il 44% della Francia e il 41% del Belgio

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Scuola, le date del rientro tra i banchi

 I primi a ritornare a scuola saranno, proprio domani mattina, gli studenti dell'Alto Adige: tra le ore 8 e le 9 la campanella trillera' per i 92.302 iscritti nelle varie scuole e istituti della provincia piu' a nord d'Italia che sara' anche l'ultima a terminare l'anno scolastico, il 14 giugno del prossimo anno. Nel frattempo la provincia autonoma di Bolzano, in attesa del decreto Milleproroghe, ha deciso di prorogare l'entrata in vigore dell'obbligo vaccinale al 31 gennaio 2019, pena esclusione da asili nido e scuole materne. In provincia di Bolzano l'istruzione e' suddivisa per i tre gruppi linguistici (italiano, tedesco e ladino).

Gli studenti altoatesini che domani riprenderanno le lezioni saranno oltre 92mila. Due terzi degli studenti complessivi frequenta le scuole in lingua tedesca (66.575), 22.474 sono quelli iscritti a quelle in lingua italiana e 3.253 a quelle in lingua ladina. Per le scuole di tutti e tre i gruppi linguistici le cifre degli iscritti fanno registrare una crescita rispetto all'anno precedente che si attesta su circa 900 totali. All'inizio di settembre del 2017, infatti, i bambini e ragazzi che frequentavano le scuole in lingua italiana erano 22.072, in 66.180 quelle in lingua tedesca e 3.178 quelle ladine (totale 91.430). I dati relativi alle scuole in lingua italiana sono, 3.615 i bambini iscritti alle scuole dell'infanzia, 6.391 gli alunni che frequenteranno le scuole elementari, 4.093 le scuole medie, 6.344 le superiori e 2.031 gli iscritti alla formazione professionale. Quest'anno si celebrano i 70 anni dalla nascita della scuola ladina paritetica e plurilingue, nella quale l'italiano e il tedesco hanno lo stesso peso. Gli istituti ladini si trovano nei centri della Val Gardena e della Val Badia. La lingua ladina e' insegnata fin dal 1948 anche se inizialmente erano previste poche ore alla settimana. Il trend generale della presenza di studenti nella scuola ladina e' in aumento. L'ultima regione che ritornera' a scuola sara' la Puglia, il 20 settembre. Dopo l'Alto Adige la campanella suonera', il 10 settembre in Abruzzo (le lezioni termineranno l'8 giugno 2019), Basilicata (12/6), Friuli Venezia Giulia (12/6) e Piemonte (8/6), il 12 in Campania (8/6), Lombardia (8/6), Trentino (8/6), Umbria (8/6), Sicilia (11/6), Valle d'Aosta (12/6) e Veneto (8/6), il 13 nel Molise (8/6), il 17 in Calabria (8/6), Emilia Romagna (7/6), Toscana (10/6), Lazio (8/6), Liguria (11/6), Marche (8/6) e Sardegna (8/6) e il 20 in Puglia (12/6)

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Indice di Appeal Sindacale, la graduatoria delle regioni italiane

Sono tre le regioni a guidare la graduatoria dell'Indice di Appeal Sindacale (IAS) realizzata dall'Istituto Demoskopika sulla base di tre livelli di gradimento, alto, medio e basso. Due gli indicatori individuati: il numero di iscritti alle principali organizzazioni sindacali ogni mille occupati per regione e le persone di 14 anni e piu' per attivita' gratuita per un sindacato ogni mille persone residenti over 13 anni per regione. La Basilicata prima su tutte, con un punteggio complessivo pari a 115,48 si posiziona in cima alla classifica delle realta' regionali "piu' sindacalizzate" guidando l'area del livello alto di appeal. A pesare significativamente il primo posto ottenuto nella "geografia" degli iscritti: ben 717 tesserati per mille occupati. Sul podio, al secondo posto, si colloca la Toscana totalizzando un risultato complessivo pari a 110,35 punti "condizionato" positivamente dal primato quale realta' territoriale piu' virtuosa in relazione ai volontari: 16 persone di 14 anni per mille residenti over 13 anni. A chiudere il medagliere dell'appeal sindacale la Sicilia con 108,4 punti. Nell'area del livello alto altre due realta' regionali, Calabria e Liguria, rispettivamente con 107,77 e 107,14 punti. Nell'area di livello medio trovano spazio dieci regioni: Molise (103,9 punti), Sardegna (102,46 punti), Lazio (101,86 punti), Emilia Romagna (100,75 punti), Puglia (99,42 punti). E, ancora, Abruzzo (99,26 punti), Veneto (98,96 punti), Friuli Venezia Giulia (98,83, punti), Lombardia (97,04 punti) e Marche (95,5 punti). 

Sono tre le regioni a guidare la graduatoria dell'Indice di Appeal Sindacale (IAS) realizzata dall'Istituto Demoskopika sulla base di tre livelli di gradimento, alto, medio e basso. Due gli indicatori individuati: il numero di iscritti alle principali organizzazioni sindacali ogni mille occupati per regione e le persone di 14 anni e piu' per attivita' gratuita per un sindacato ogni mille persone residenti over 13 anni per regione. La Basilicata prima su tutte, con un punteggio complessivo pari a 115,48 si posiziona in cima alla classifica delle realta' regionali "piu' sindacalizzate" guidando l'area del livello alto di appeal. A pesare significativamente il primo posto ottenuto nella "geografia" degli iscritti: ben 717 tesserati per mille occupati. Sul podio, al secondo posto, si colloca la Toscana totalizzando un risultato complessivo pari a 110,35 punti "condizionato" positivamente dal primato quale realta' territoriale piu' virtuosa in relazione ai volontari: 16 persone di 14 anni per mille residenti over 13 anni. A chiudere il medagliere dell'appeal sindacale la Sicilia con 108,4 punti. Nell'area del livello alto altre due realta' regionali, Calabria e Liguria, rispettivamente con 107,77 e 107,14 punti. Nell'area di livello medio trovano spazio dieci regioni: Molise (103,9 punti), Sardegna (102,46 punti), Lazio (101,86 punti), Emilia Romagna (100,75 punti), Puglia (99,42 punti). E, ancora, Abruzzo (99,26 punti), Veneto (98,96 punti), Friuli Venezia Giulia (98,83, punti), Lombardia (97,04 punti) e Marche (95,5 punti). 
Il territorio piu' disincantato dal ruolo delle sigle sindacali e' il Piemonte che ha totalizzato complessivamente solo 88,93 punti, immediatamente preceduto dalla Valle d'Aosta e dalla Campania rispettivamente con 92,05 punti e con 93,63 punti. Nell'area delle maggiori sfiduciate, infine, anche l'Umbria (94,58 punti) e il Trentino Alto Adige (95,11 punti).  

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