L’Osservatorio

Istat: in ripresa l’inflazione a marzo, prezzi +0,9% annuo

Secondo le stime preliminari dell'Istat, a marzo, l'inflazione aumenta dello 0,4% su base mensile e dello 0,9% su base annua (da +0,5% di febbraio).

Questa ripresa - spiega l'istituto - si deve a diverse componenti. La più rilevante è l’inversione di tendenza fatta registrare dai prezzi dei Beni alimentari, trainata dal rialzo degli Alimentari lavorati (+2,5%, da +1,3% di febbraio) e favorita dall’ampia riduzione della flessione degli Alimentari non lavorati (-0,4% da -3,2%). A contribuire all’accelerazione dell’inflazione sono anche i prezzi dei Tabacchi (+2,2% da +0,3%) e dei Servizi relativi ai trasporti (+2,5% da +1,9%).

Inoltre, aggiunge l'Istat, rallenta l'andamento dei prezzi dei Beni energetici (+3,0% da +3,7%), soprattutto non regolamentati (+1,1% da +2,1%). Pertanto sia l’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi sia quella al netto dei soli Beni energetici salgono rispetto al mese precedente e si attestano rispettivamente a +0,9% (da +0,6%) e a +0,7% (da +0,2%). Rispetto a febbraio l’aumento dell’indice generale è dovuto principalmente al rialzo dei prezzi degli Alimentari lavorati (+1,3%) e dei Tabacchi (+1,8%), cui si aggiunge quello dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+1,7%).

Su base annua la crescita dei prezzi dei beni accelera (+1,0%, da +0,3% di febbraio) come pure quella dei servizi, sebbene in misura più contenuta (+0,9% da +0,8%). Come conseguenza, il differenziale inflazionistico tra servizi e beni torna negativo risultando pari a -0,1 punti percentuali (da +0,5). L’inflazione acquisita per il 2018 è pari a +0,7% per l’indice generale e +0,4% per la componente di fondo.

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Eurostat, giovani poco disposti a spostarsi per cercare lavoro

Giovani e disoccupati, ma poco disposti a cercare lavoro lontano da casa. Questa la fotografia della maggioranza degli under 34 italiani scattata da Eurostat attraverso un'indagine «ad hoc», condotta partendo da dati del 2016, sull'attitudine alla mobilità dei giovani europei.

La scarsa propensione ad allontanarsi dai luoghi in cui si è cresciuti in realtà non è un fenomeno solo italiano, poichè in media solo un giovane europeo su due (il 50%), pur di trovare lavoro, è pronto a spostarsi all'interno del suo Paese (21%), in un altro stato membro dell'Ue (12%) o in un Paese extra-Ue (17%).

In Italia, a fronte di una disoccupazione giovanile che ha raggiunto livelli di guardia, è la maggior parte (il 60%) di chi ha tra i 20 e i 34 anni che, secondo Eurostat, risulta non essere disposta ad allontanarsi da casa o comunque dalla località di residenza.

A livello europeo si registra una situazione simile in Polonia e migliore solo a quelle riscontrate a Malta (73%), in Olanda (69%), a Cipro (68%), in Romania (63%) e in Danimarca (62%). Tra il 40% di giovani italiani disposto a partire, il 20% è invece pronto a traslocare ma sempre l'Italia, il 13% sceglierebbe un Paese extra-Ue e il 7% vorrebbe restare dentro i confini dell'Unione. Ad ogni modo, prendendo in considerazione l'intera popolazione europea under-34, Eurostat osserva che solo l'un per cento di chi già lavora lo fa in un altro Paese dell'Unione, mentre l'8% si è spostato all'interno dei confini nazionali. In generale, rileva ancora Eurostat, la propensione alla modalità è risultata più alta tra i giovani disoccupati con un livello di educazione scolastica maggiore: all'interno di questo gruppo il 23% è pronto a traslocare all'interno del suo Paese pur di lavorare e il 16% è pronto a spostarsi in un altro Paese dell'Unione.All'inizio del mese Eurostat aveva certificato che nella zona euro, a dicembre 2017, la disoccupazione generale era su livelli stabili all'8,7%, mentre quella giovanile era calata al 17,9%.

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Osservatorio sul precariato, aumentano le assunzioni nel settore privato

Sono stati pubblicati i dati dell’Osservatorio sul precariato di gennaio 2018. Le assunzioni riferite al settore privato sono risultate 655mila, in aumento del 22,1% rispetto a gennaio 2017. Tutte le tipologie contrattuali sono in crescita: tempo indeterminato +11,9%, apprendistato +29,6%, tempo determinato +18,3%, stagionali +18,5%, in somministrazione +26,8% e intermittenti (c.d. a chiamata) +83,6%. Risultano in forte aumento anche le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato (51mila), +78,3% rispetto a gennaio 2017. In contrazione, invece, i rapporti di apprendistato confermati alla conclusione del periodo formativo (-21,1%).

Le cessazioni nel complesso sono state 454mila, in aumento rispetto all’anno precedente (+15,9%). A crescere sono le cessazioni di tutte le tipologie di rapporti, soprattutto tempo determinato e somministrazione. Fanno eccezione i rapporti a tempo indeterminato (-6,6%). L’incremento delle assunzioni a tempo indeterminato e delle trasformazioni dei rapporti a termine è presumibilmente riconducibile ai nuovi sgravi introdotti dalla legge di bilancio 2018 per le assunzioni di under 35 al primo contratto a tempo indeterminato.

Nel settore privato si registra un saldo, tra assunzioni e cessazioni, pari a +201mila, superiore a quello di gennaio 2017 (+144mila). Dopo sette mesi torna a essere positiva la variazione netta dei contratti a tempo indeterminato: +70mila. Su base annua, il saldo consente di misurare la variazione tendenziale delle posizioni di lavoro. Il saldo annualizzato (vale a dire la differenza tra assunzioni e cessazioni negli ultimi 12 mesi) a gennaio 2018 risulta positivo e pari a +522mila, in crescita rispetto a quello registrato lo scorso mese (+465mila). Questo saldo, pur nettamente migliorato, rimane ancora negativo per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato (-108mila). Continua invece il rafforzamento per apprendistato (+63mila) e somministrato (+59mila) e rimane positivo, anche se in leggera decelerazione, l’andamento dei contratti a tempo determinato (+381mila) e per l’intermittente (+120mila).

L’articolo 54-bis decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50 ha disciplinato le nuove prestazioni di lavoro occasionale: Contratto di Prestazione Occasionale (CPO) e Libretto Famiglia (LF). Per quanto riguarda i Contratti di Prestazione Occasionale, nell’ultimo trimestre il numero dei lavoratori impiegati si è attestato tra 15mila e 20mila, con un importo mensile lordo medio pari a circa 300 euro. I lavoratori impiegati, a gennaio 2018, con i titoli del Libretto Famigliasono stati più di 3mila, con un importo mensile lordo medio attorno a 200 euro.

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In Abruzzo il 16 per cento degli autobus è senza revisione

Il 16,18% degli autobus per trasporto persone destinati a servizio di noleggio con conducente immatricolati in Abruzzo non risulta in regola con la revisione.
E' quanto emerge dall'analisi, su dati ufficiali del Ministero dei Trasporti, svolta da Facile.it, portale italiano per la comparazione di tariffe RC auto e altri servizi. Si tratta di 111 mezzi, su un totale di 686, presenti nell'Archivio Nazionale dei Veicoli gestito dalla Motorizzazione. Rientrano nella categoria veicoli utilizzati per gite scolastiche o tour turistici. A livello nazionale la percentuale di questi mezzi non in regola è 18,62% (5.482 su 29.434), dato vicino al 19,50% delle auto private. In base ai calcoli di Facile.it la provincia con la percentuale più alta di questo tipo di bus non revisionati è L'Aquila (29,30%), seguono Chieti (13,69%), Pescara (13,16%) e Teramo (9,77%). Facile.it precisa che tra i veicoli non in regola potrebbero esserci anche quelli non più in uso, ma è impossibile conoscerne il numero preciso.

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Istat: 1 famiglia su 3 non si fida di quella dell’acqua di rubinetto

Nel 2017, una famiglia su 10 (il 10,1%) lamenta irregolarità nel servizio di erogazione dell'acqua nella propria abitazione e circa una su 3 (il 29,1%) dichiara di non fidarsi a bere l'acqua di rubinetto. In occasione della Giornata mondiale dell'acqua, istituita dall'Onu e celebrata ogni anno il 22 marzo, l'Istat fornisce un quadro di sintesi delle principali statistiche sulle risorse idriche. Nel 2016, la spesa media mensile delle famiglie per l'acquisto di acqua minerale è pari a 10,75 euro e registra un incremento per il secondo anno consecutivo (+4,7% rispetto al 2015). Parallelamente la spesa media mensile per la fornitura di acqua connessa all'abitazione è di poco superiore, pari a 13,59 euro, l'1,5% in più rispetto al 2015. Nel 2017, a causa della "crisi idrica", nei quattro principali bacini idrografici italiani (Po, Adige, Arno e Tevere) le portate medie annue hanno registrato una riduzione media complessiva del 39,6% rispetto alla media del trentennio 1981-2010. L'andamento dello Standardized Precipitation Index (SPI) per i quattro principali bacini idrografici, segnala che i mesi di maggiore deficit pluviometrico nel 2017 si sono concentrati nella seconda metà dell'anno, con uno stato sempre "estremamente secco". L'unica eccezione è rilevata nel mese di dicembre nel bacino del Tevere, che risulta "molto secco". Nel 2015, il volume di acqua complessivamente prelevato per uso potabile sul territorio italiano ammonta a 9,49 miliardi di metri cubi. Il 76,3% di questo volume, pari a poco più di sette miliardi di metri cubi, è stato misurato attraverso idonei strumenti, mentre il restante 23,7% è stato stimato dai gestori delle fonti. Tra i 28 Paesi dell'Unione europea l'Italia ha il maggiore prelievo annuo di acqua per uso potabile pro capite: 156 metri cubi per abitante. In 342 comuni, in cui risiedono circa 1,4 milioni di abitanti (2,4% della popolazione totale), è totalmente assente il servizio di depurazione delle acque reflue urbane. Nel 2016, risultano balneabili oltre due terzi (67,9%) dei chilometri di costa monitorati ai fini della qualità delle acque di balneazione; il restante 32,1%, come negli anni precedenti, è soggetto a divieto permanente di balneazione. Il 94% delle acque di balneazione vanta una qualità eccellente nel 2016, in significativo miglioramento rispetto al 2013 (85,8%). La quota più elevata si registra in Friuli-Venezia Giulia e in Puglia (99,6% contro, rispettivamente, 91,1% e 85,4% del 2013), la più bassa in Abruzzo (76,3%, 53,2% nel 2013). 

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Mercato immobiliare residenziale nel 2017 in ripresa

Il mercato immobiliare residenziale nel 2017 ha continuato nel suo percorso di ripresa (+4,9% sul 2016) registrando il quarto anno consecutivo di crescita, e dall'analisi dei primi tre mesi del 2018 arrivano ulteriori segnali positivi, con l'aumento della domanda per le nuove abitazioni del +3,5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Se le province di Milano e Roma sono quelle che hanno registrato il numero più alto di compravendite, in base alla popolazione maggiorenne la situazione cambia notevolmente, trovando sul podio Milano e Aosta. Per quanto riguarda le nuove abitazioni, i prezzi medi (2.600 euro mq) restano sostanzialmente stabili e nelle grandi città gli acquirenti, orientati sui trilocali, fanno più attenzione alla gestione degli spazi comuni e alle proposte di servizi innovativi presenti nel condominio. Milano è la città con l'offerta più alta di abitazioni nuove sul totale di quelli in vendita (25%), seguita da Roma (15%). Questi i dati elaborati dal Centro Studi di Abitare Co., società attiva nell'ambito dell'intermediazione immobiliare, sia sulle compravendite fornite dall'Osservatorio del mercato immobiliare dell'Agenzia delle Entrate, sia su dati interni dell'azienda. Nel 2017, rispetto all'anno precedente, le compravendite nel settore residenziale sono aumentate del +4,9%, raggiungendo 542.480 unità. A livello nazionale, le province capoluogo di regione che hanno registrato il maggior numero di compravendite sono Milano (56.310), Roma (45.446), Torino (28.692), Napoli (18.183) e Bari (13.768). Dal 2016 al 2017, a crescere maggiormente sono le province di Cagliari (+9%), Napoli (+8,7%), Bari (+8,3%) e Milano (+6,4%), mentre il calo maggiore è stato registrato a L'Aquila (-5,4%) e in misura minore a Perugia (-1,4%) e Bologna (-0,8%).

Se si confrontano i dati con la popolazione residente (oltre i 18 anni), la situazione cambia nettamente: al primo posto si conferma la provincia di Milano con 209 transazioni ogni 10mila abitanti, seguita da Aosta (157), Torino (149), Venezia (147) e Bologna (142). Al contrario, le meno dinamiche risultano Potenza (62), Catanzaro (71) e Napoli (73). L'analisi di Abitare Co. ha preso in considerazione anche il mercato delle nuove abitazioni nelle città metropolitane. La più dinamica è ancora una volta Milano, in cui le nuove residenze coprono il 25% dell'offerta totale presente sul mercato residenziale. Nel territorio romano, pur con un valore inferiore, il nuovo rappresenta comunque il 15% mentre a Bologna è del 13%. Torino è tra le città che in questo momento stanno dando i maggiori segnali di vivacità (10%), mentre a Firenze (4,3%), Genova (3,5%), Palermo (3,2%) e Napoli (3%), l'offerta del nuovo risulta ancora molto carente rispetto allo stock esistente. E sul fronte dei prezzi? Nel 2017, rispetto all'anno precedente, i prezzi delle nuove abitazioni sono sostanzialmente stabili (+0,5%), attestandosi in media a euro 2.600 a mq. Nelle principali città metropolitane, a Roma i prezzi medi sono pari a euro 3.900 a mq (+0,7% sul 2016), a Milano euro 3.850 a mq (+1,2%), a Firenze euro 3.600 a mq (+0,6%), a Bologna euro 3.350 a mq (+0,5%), a Genova euro 3.300 a mq (+0,9%), a Napoli euro 2.900 a mq (+0,3%), a Torino euro 2.800 a mq (+1,5%) e a Palermo euro 2.750 a mq (+0,4%). Cosa cercano gli acquirenti: nella scelta dell'abitazione si indirizzano prevalentemente sui trilocali, anche se nell'ultimo periodo si segnala il maggior interesse per i quadrilocali. Per un appartamento di 80 mq, sono disposti a investire in media circa 210mila euro, con punte massime a Roma (circa euro 310mila). Nelle grandi città come Milano e Roma, conclude l'analisi, oltre all'abitazione in sé si fa più attenzione ai servizi innovativi che vanno dalla fase di vendita, come il pacchetto ''chiavi in mano'' che prevede anche la disponibilità di un Interior design dedicato, sino alla gestione degli spazi comuni. 

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Il Nord Italia traina la crescita dell’occupazione in Italia

 Il Nord Italia traina la crescita dell'occupazione in Italia anche nel 2017. L'Istat fotografa un Paese diviso in due con il Nord e il Centro che hanno, rispettivamente, il 67 e il 64 per cento degli occupati e il Mezzogiorno che arriva appena al 44 per cento, ben al di sotto del 58,2 della media nazionale. Al Nord la Lombardia, con i suoi 4 milioni e 399mila lavoratori (1/5 del totale italiano), sale sul podio delle regioni in cui il tasso di occupati, in rapporto alla forza lavoro, e' piu' alto (67,3%) dopo il Trentino Alto Adige (490mila lavoratori, pari al 70,2%) e l'Emilia Romagna (1 milione e 973mila occupati, pari al 68,6%). Lo evidenzia la Regione Lombardia in una nota pubblicata su www.lombardiaspeciale.regione.lombardia.it. La situazione occupazionale piu' grave si registra in Sicilia, che si ferma al 40,6 per cento degli occupati, in Calabria con il 40,8 e in Campania con il 42 per cento dei cittadini che hanno un lavoro in rapporto alla popolazione attiva tra i 15 e i 64 anni. A livello provinciale a segnare i migliori risultati sono Bolzano, con un tasso di occupazione del 72,9 per cento, seguita da Milano (69,5%), Piacenza (69,4%), Parma (69,3%) e Lecco a pari livello con Belluno (69,2%). In Lombardia, dopo Milano e Lecco, e' Varese il territorio con i valori piu' elevati (67,6%), seguito da Monza e Brianza (67%). Le altre province oscillano tra il 64,4 di Sondrio e il 66,5 per cento di Cremona.

Nella fotografia scattata dall'Istat emerge, pero', che la percentuale di occupati maggiore in Lombardia riguarda gli uomini, che arrivano al 75,1 per cento, mentre l'occupazione femminile si ferma al 59,3 per cento. Un divario presente in tutte le regioni italiane e con una media nazionale pari al 48,9 per cento, oltre 10 punti piu' bassa rispetto a quella lombarda. Le province in cui c'e' la maggior percentuale di donne che lavorano sono Bologna (66,7%), Bolzano (65,9%) e Milano (63,8%). Maglia nera, invece, a Foggia (23,4%), Crotone (24,3%) e Caltanissetta (24,4%). Secondo i dati Istat il 70 per cento degli occupati lavora nel settore dei servizi e il restante 30 per cento nell'industria, nelle costruzioni e nel settore dell'agricoltura. Percentuali simili si registrano anche in Lombardia con 3 milioni di occupati nel settore dei servizi, 1 milioni e 130mila in quello dell'industria, 262mila in quello delle costruzioni e 59mila nell'agricoltura.

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Coldiretti, crescita del 12,8 per cento del cibo italiano all’estero

E' record storico per il Made in Italy agroalimentare nel mondo con le esportazioni che a gennaio 2018 superano per la prima volta i 2,5 miliardi di euro per effetto di un incremento del 12,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. E' quanto emerge da un'analisi della Coldiretti sui dati Istat relativi al commercio estero nel 2018. Si tratta di un ottimo risultato proprio all'inizio dell'anno del cibo italiano nel mondo che - sottolinea la Coldiretti - conferma le potenzialita' del Made in Italy a tavola per la ripresa economica ed occupazionale del Paese. Quasi i due terzi delle esportazioni agroalimentare - sottolinea la Coldiretti - interessano i Paesi dell'Unione Europea, dove il cibo tricolore cresce del 12,6%, mentre sui rapporti con gli Stati Uniti - sottolinea la Coldiretti - che sono di gran lunga il principale mercato dell'italian food fuori dai confini dall'Unione, pesa il braccio di ferro sui dazi commerciali fra Trump e il resto del mondo. Una situazione resa ancora piu' preoccupante dal fatto che - spiega la Coldiretti - gli USA in valore assoluti sono la terza piazza commerciale piu' importante per il cibo italiano dopo Germania e Francia e prima della Gran Bretagna. Se in Germania a gennaio 2018 sullo stesso periodo del 2017 le esportazioni alimentari sono cresciute del 10,7% superando i 399 milioni di euro, in Francia si e' verificato un balzo del 18,4% mentre in controtendenza rispetto ai progressi a due cifre degli altri paesi europei, in Gran Bretagna i timori legati alla Brexit hanno fermato l'aumento al 4,1%.

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Consumi, Coldiretti: record di spesa per frutta e verdura 

Mai così tanta frutta e verdura sulle tavole degli italiani da inizio secolo per un quantitativo pari a circa 8,5 milioni di tonnellate nel 2017, con un aumento dei consumi, superiore del 4% all'anno precedente. L'andamento positivo dei consumi è spinto soprattutto alle preferenze alimentari dei giovani, che fanno sempre più attenzione al benessere a tavola. Il risultato è che la frutta e verdura è la principale voce di spesa degli italiani per un importo di 102,33 euro a famiglia, pari a circa 1/4 del totale (23%). "Una netta inversione di tendenza rispetto al passato con un andamento positivo favorito anche da nuove modalità di consumo sospinte anche dalla disponibilità di tecnologie casalinghe low cost per preparare centrifugati e snack per grandi e piccini". E' quanto emerge dallo studio di Coldiretti sulla rivoluzione dei consumi degli italiani a tavola nel 2017 diffuso in occasione della Festa di primavera nei mercati di Campagna Amica "dove finalmente sono arrivate le primizie sabato 17 marzo 2018 in tutta la Penisola". "Anche se in ritardo per colpa del maltempo - sottolinea la Coldiretti - sui banchi dei mercati ci sono infatti le prime fragole, asparagi, zucchine, agretti oltre a insalate e carciofi Made in Italy. Tutti protagonisti della primavera salvati nelle campagne italiane dal gelo che ha distrutto gli ortaggi in campo e provocato perdite consistenti nelle piante da frutto e ulivi con danni che potrebbero raggiungere i 300 milioni di euro su decine di migliaia di imprese agricole".

Secondo lo studio del Crea - riferisce la Coldiretti -, il 64% dei consumatori ritiene che la freschezza sia l'elemento principale nell'acquisto delle verdure, seguito dalla stagionalità (51,4%) e dal prezzo conveniente (31,7%). In particolare - precisa la Coldiretti - l'aspetto e il profumo sono i fattori che indicano maggiormente al consumatore la freschezza dei prodotti ortofrutticoli ma grande rilievo viene dato anche al luogo di acquisto come il mercato o direttamente dal produttore. Anche perchè - continua la Coldiretti - la verdura comperata direttamente dal contadino puo' arrivare a durare fino ad una settimana in più non dovendo affrontare lunghe distanze per il trasporto prima di arrivare nel punto di vendita. La ricerca di sicurezza e genuinità nel piatto porta l'88% degli italiani a bocciare la frutta straniera e a ritenere importante scegliere nel carrello frutta e verdura Made in Italy secondo l'indagine Coldiretti/Ixè, visto che l'Italia è al vertice della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,5%), quota inferiore di 3,2 volte alla media dell'Unione Europea (1,7%) e ben 12 volte a quella dei Paesi extracomunitari (5,6%). Sotto accusa le importazioni incontrollate dall'estero favorite dagli accordi commerciali agevolati stipulati dall'Unione Europea come il caso delle condizioni favorevoli che sono state concesse al Marocco per pomodoro da mensa, arance, clementine, fragole, cetrioli e zucchine o all'Egitto per fragole, uva da tavola, finocchi e carciofi. Accordi - conclude la Coldiretti - fortemente contestati perché nei paesi di origine è spesso permesso l'uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono vietati in Europa, ma anche perché le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale per il basso costo della manodopera. 

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Cgia: tariffe in rialzo per treni, acqua, poste

Nel 2017 le tariffe pubbliche sono tornate a crescere, invertendo la tendenza che si era registrata nei due anni precedenti. Ad eccezione dei servizi telefonici (-0,8%), tutte le altre 9 voci analizzate dall'Ufficio studi della Cgia sono aumentate: i trasporti ferroviari addirittura del 7,3%, l'acqua del 5,3%; i servizi postali del 4,5%, l'energia elettrica del 3,8%, il gas del 2%, i pedaggi dell'1%, i taxi dello 0,6%, i rifiuti dello 0,5% e i trasporti urbani dello 0,2%. L'inflazione, invece, è salita dell'1,2%. "Aumenti, comunque - rileva la Cgia - che non hanno nulla a che vedere con l'escalation verificatasi negli ultimi 10 anni: se il costo della vita tra il 2007 e il 2017 è cresciuto di quasi il 15%, l'acqua ha segnato un +90%, i biglietti ferroviari un +46,4%, i servizi postali un +45,4%, rifiuti e pedaggi/parcheggi entrambi del 40%. Nel decennio preso in esame solo i servizi telefonici hanno subito una contrazione di prezzo (-9,9%)". "Il rincaro delle materie prime avvenuto nell'ultimo anno, in particolar modo dei prodotti petroliferi - segnala il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo - ha riacceso i prezzi di una buona parte delle principali tariffe pubbliche. Non va nemmeno dimenticato che il blocco delle tasse locali imposto dal Governo in questi ultimi anni ha spinto molti enti locali a far cassa con le proprie multiutility, attraverso il ritocco all'insù delle tariffe amministrate. Come dimostrano i dati, l'effetto combinato di queste due operazioni ha avuto un impatto economico molto negativo sui bilanci di famiglie e imprese".

Per quanto concerne la tariffa dell'acqua, la Cgia precisa però che "è vero che gli aumenti che si sono registrati in Italia negli ultimi anni sono stati molto importanti, tuttavia va ricordato che il prezzo medio al metro cubo a Roma, pari a 1,63 dollari, è nettamente inferiore a tutte le tariffe medie applicate nelle principali capitali europee". "Come annunciato dall'Authority per l'energia elettrica e il gas verso la fine del 2017 - ricorda poi il segretario della Cgia Renato Mason - a partire dall'1 gennaio di quest'anno le bollette di luce e gas sono aumentate rispettivamente del 5,3 e del 5%, provocando un aumento dei costi per una famiglia tipo di 59 euro all'anno. Altresì, va segnalato che la tanto agognata liberalizzazione del mercato vincolato sia dell'energia elettrica sia del gas è slittata di un anno. Prevista inizialmente per il prossimo 1 luglio, scatterà, invece, sempre lo stesso giorno, ma del 2019". Se compara il peso delle nostre tariffe con quello degli altri Paesi europei, il risultato che emerge presenta luci ed ombre. Per quanto riguarda il prezzo dell'energia elettrica per una famiglia con un consumo domestico medio annuo compreso tra 2.500 e 5.000 Kwh, ad esempio, il nostro Paese si piazza al sesto posto con un risparmio rispetto al dato medio dell'Area euro del 2,5%. Per il gas, invece, le cose vanno meno bene. Il costo medio che grava una famiglia italiana con un consumo domestico compreso tra 20 e 200 GJ (Giga Joule - unità di misura dell'energia) è il terzo tra i 19 paesi che utilizzano la moneta unica. Rispetto alla media dell'Area euro paghiamo l'8,1%. Viceversa, spostarsi con i mezzi pubblici in Italia è conveniente, almeno in termini di prezzo. Nel confronto con le principali città europee, il costo del biglietto di bus, tram e metropolitana di sola andata per una tratta di circa 10 chilometri (o almeno 10 fermate) è il più basso in assoluto. La media misurata a Milano e Roma è di 1,6 dollari. Niente a che vedere con il prezzo praticato, ad esempio, a Stoccolma (4,2 dollari), a Londra (4 dollari) e a Dublino (3,2 dollari). Biglietti tra i meno cari d'Europa anche quando viaggiamo in treno. Il biglietto di sola andata in seconda classe per una tratta di almeno 200 chilometri applicata a partire dalle stazioni di Milano e di Roma è mediamente di 27,8 dollari. Solo la media di Barcellona e Madrid è leggermente inferiore alla nostra (27,2 dollari), mentre a Londra il costo è di 74 dollari, la media di Berlino, Francoforte e Monaco è di 58,2 dollari, a Parigi è di 43,8 dollari e a Stoccolma di 41,8 dollari. 

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