Primo Piano

Quasi 6 imprese su 10 sono indietro sul digitale

Quasi 6 imprese su 10 sono ancora in una fase di avvio dell'esperienza digitale mentre pochissime sono quelle che pensano già in un'ottica 4.0. E questo proprio mentre il Governo aggiunge sul piatto della manovra altri 140 milioni per sostenere la misura.
    Sono alcuni dei dati emersi nel corso dell'assemblea di Unioncamere che si è tenuta a Treviso, esaminando la situazione degli oltre 70mila imprenditori che hanno usufruito dei servizi dei Pid (Punti impresa digitale), creati dalle Camere di commercio per affiancare le imprese nel processo di digitalizzazione. Nel prossimo triennio, ha reso noto il Presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli, le Camere di commercio investiranno cento milioni di euro per assistere la trasformazione digitale delle Pmi, impegnate nella transizione all'economia 4.0.

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Fisco, gli italiani a novembre versano 55 miliardi di euro

Tra le ritenute dei dipendenti, degli autonomi e dei collaboratori, gli acconti Iva/Ires/Irpef/Irap e le addizionali comunali/regionali Irpef, questo mese gli italiani sono a chiamati a versare all'erario 55 miliardi di euro. Insomma, novembre si conferma il mese delle tasse. L'Ufficio studi della Cgia ricorda che, ad esempio, nel 2018 il gettito tributario complessivo aveva superato i 500 miliardi di euro. Questa imponente massa monetaria e' affluita nelle casse pubbliche rispettando precise scadenze fiscali che, da sempre, si concentrano prevalentemente tra giugno/luglio e tra novembre/dicembre. Il 2018, comunque, e' stato un anno particolare: la scadenza del 30 giugno e' "caduta" di sabato e, conseguentemente, ha provocato uno slittamento in avanti dei versamenti estivi.

Tornando ai numeri della ricerca, l'imposta piu' onerosa che le imprese e i lavoratori autonomi verseranno questo mese sara' l'Iva, che comportera' un incasso per l'erario di 15 miliardi di euro. Segue l'acconto Ires in capo alle societa' di capitali (Spa, Srl, Societa' cooperative, etc.): queste ultime anticiperanno al fisco 13,3 miliardi di euro. I collaboratori e i lavoratori dipendenti, attraverso i rispettivi datori di lavoro, "daranno" al fisco le ritenute per un importo pari a 11,9 miliardi di euro. L'acconto Irpef, invece, costera' alle aziende e ai percettori di redditi diversi (fitti, plusvalenze, lavoro occasionale, etc.) 6,2 miliardi di euro, mentre l'Irap implichera' un prelievo di 6,1 miliardi. L'addizionale regionale Irpef garantira' ai Governatori 1 miliardo, mentre le ritenute dei lavoratori autonomi peseranno sulle tasche di questi ultimi per 950 milioni di euro. Le addizionali comunali Irpef, infine, permetteranno ai Sindaci di incassare 413 milioni di euro e dalle ritenute dei bonifici delle detrazioni Irpef l'erario incamerera' 190 milioni di euro. L'Ufficio studi, infine, tiene a precisare che in questa analisi non sono stati conteggiati i contributi previdenziali che dovranno essere versati entro il prossimo 16 novembre. Essendo sabato, questo pagamento slitta a lunedi' 18 novembre.

La Cgia ricorda che in Italia la pressione fiscale sulle imprese e' al 59,1 per cento. In UE solo i francesi sono piu' tartassati di noi Sebbene sia una comparazione che va analizzata con molta prudenza, secondo gli ultimi dati presentati nelle settimane scorse dalla Banca Mondiale (Doing Business), solo la Francia (60,7) presenta un carico fiscale sulle imprese (in percentuale sui profitti commerciali) superiore al dato Italia (59,1). Se la media dell'Area Euro e' pari al 42,8 per cento (16,3 punti in meno che da noi), la Germania registra il 48,8 per cento e la Spagna il 47 per cento. Per ciascun paese esaminato, questa elaborazione fa riferimento ad una media impresa (societa' a responsabilita' limitata) con circa 60 addetti e alle imposte pagate nell'anno 2018, al secondo anno di vita dell'impresa (ovvero nata nel 2017). L'incidenza del totale delle imposte sui profitti commerciali registrata dall'Italia nel 2018 (59,1 per cento) e' abbastanza in linea con il dato del 2015 (62 per cento). Nei due anni intermedi (biennio 2016 e 2017) si e' verificata un'incidenza sensibilmente inferiore (rispettivamente del 48 e del 53,1), riconducibile all'effetto dell'introduzione di alcune misure temporanee che hanno alleggerito il costo del lavoro, in particolar modo dei neoassunti con un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Oltre ad avere la pressione fiscale sulle imprese tra le piu' elevate d'Europa, siamo il Paese, assieme al Portogallo, dove pagare le tasse e' piu' difficile. Sempre dai dati presentati recentemente dalla Banca Mondiale (Doing Business), in Italia sono necessari 30 giorni all'anno (pari a 238 ore) per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute; per completare tutte le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all'Amministrazione finanziaria; per effettuare il pagamento on line o presso le autorita' preposte. In Francia, l'unico Paese UE con un carico fiscale sulle imprese superiore al nostro, per espletare le incombenze burocratiche derivanti dal pagamento delle tasse sono necessari solo 17 giorni, mentre la media dell'Area dell'Euro e' di 18 giorni. Anche in questa comparazione, i dati sono della Banca Mondiale, che per ciascun Paese prende in esame una media impresa (societa' a responsabilita' limitata), al secondo anno di vita e con circa 60 addetti. L'anno di riferimento e' il 2018. 

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Agroalimentare, il Mezzogiorno cresce

Il settore agroalimentare del Mezzogiorno ha le carte in regola per rafforzare il suo ruolo strategico e rappresentare un fattore di traino economico per quest'area, puntando a un alto posizionamento in termini di qualità e al forte legame col territorio. È quanto emerge dal Rapporto sulla Competitività dell'Agroalimentare nel Mezzogiorno, realizzato dall'Ismea, in collaborazione con Fiere di Parma e Federalimentare. Lo studio evidenzia come i recenti mutamenti dello scenario globale abbiano sostenuto una crescita senza precedenti delle esportazioni del Made in Italy alimentare, grazie a una ritrovata coerenza del modello di specializzazione agroalimentare italiano con le tendenze della domanda mondiale, che ha spinto l'export agroalimentare del Sud a toccare la cifra di 7 miliardi di euro nel 2018. Nel Mezzogiorno, nonostante il consistente e duraturo impatto della crisi economica iniziata nel 2008, il permanere di un tessuto imprenditoriale caratterizzato da imprese medio-piccole e, più in generale, la conferma di alcuni storici limiti allo sviluppo economico, il settore agroalimentare è cresciuto, nell'ultimo triennio, in termini di valore aggiunto - che supera i 19 miliardi di euro -, di numero di imprese - 344 mila imprese agricole e 34 mila imprese dell'industria alimentare - e di occupati, che si attestano a circa 668 mila unità, pari al 10% del totale occupati al Sud. Anche il confronto con il Centro-Nord mette in evidenza come, nello stesso periodo, il fatturato dell'industria alimentare sia cresciuto più al Sud (+5,4%) che nel resto del Paese (+4,4%).

 La specifica composizione settoriale, l'elevata incidenza delle medie imprese - che si sono rivelate quelle più dinamiche e in grado di adattarsi ai mutati scenari - oltre che il determinante contributo delle imprese di più recente costituzione, hanno consentito all'agroalimentare del Mezzogiorno di ottenere performance di tutto rispetto e, in taluni casi, superiori a quelle dei corrispondenti settori del Centro-Nord. Performance positive hanno riguardato soprattutto alcune filiere come caffè, cioccolato e confetteria (+14%), prodotti da forno (+18%), olio (+21%); in generale, un rinnovamento generazionale e la presenza di imprese più giovani hanno determinato maggiore dinamicità e capacità di rispondere alle esigenze del mercato. Tra gli elementi più critici, soprattutto pensando alla necessità di agganciare il treno dell'innovazione, preoccupano i bassi livelli di immobilizzazioni nelle imprese del Mezzogiorno e il fatto che esse siano sostanzialmente tecniche con poca attenzione a quelle immateriali.

"Lo studio di Ismea descrive il sistema agroalimentare meridionale come una realtà in forte espansione - ha detto Elda Ghiretti, Cibus and Food Global Coordinator, Fiere di Parma - Un dato confermato anche dall'aumento della partecipazione delle aziende del Sud a Cibus, passata negli ultimi 5 anni dal 17% al 36%. Cibus è la fiera alimentare di riferimento all'estero e vede la partecipazione di migliaia di buyer internazionali. La cresciuta partecipazione delle imprese meridionali a Cibus ha contribuito - ha riferito Ghiretti - all'aumento dell'export dei prodotti agroalimentari del Meridione che nel 2018 aveva toccato la quota di 7 miliardi e 110 milioni di euro, con un aumento del 6,1% nel quadriennio 2015/2018. Un dinamismo sostenuto anche dalla creazione di nuove forme di aggregazione private, come consorzi e associazioni, che consentono anche ad imprese di medie dimensioni di interloquire con importatori e distributori esteri". 

"L'agroalimentare nel Mezzogiorno riveste un ruolo sempre più rilevante, con primati in molti settori e una buona tenuta economica, segnali positivi che vanno letti con attenzione - ha dichiarato Fabio Del Bravo; occorre rafforzare adeguatamente la fase agricola e la sua integrazione con la parte a valle della filiera, favorire gli investimenti - soprattutto in innovazione - e prendere atto dei limiti, per esempio strutturali, individuando percorsi che già nel breve possano portare benefici: una maglia produttiva di dimensioni piccole è certamente un problema su molti fronti, ma lo è molto di più per le produzioni standardizzate che fronteggiano concorrenza di prezzo, piuttosto che per i prodotti differenziati del made in Italy. Incentivare forme di aggregazione e l'orientamento a produzioni tipiche che in quest'area hanno ancora molte potenzialità inespresse, può rivelarsi una leva strategica importante e può avviare un percorso di successo realmente attuabile".

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Unioncamere, nate 14 mila imprese tra luglio e settembre

Si chiude con un saldo attivo di 13.848 unità in più, rispetto alla fine di giugno, il bilancio fra le imprese nate (66.823) e quelle che hanno cessato l'attività (52.975) nel terzo trimestre dell'anno. Il segno 'più' continua dunque a caratterizzare l'andamento demografico della grande famiglia delle imprese italiane (6.101.222 unità alla fine di settembre), pur in presenza di segnali di difficoltà sia sui mercati internazionali sia su quelli domestici, in particolare per le piccole e piccolissime imprese. E' quanto emerge, in sintesi, dai dati diffusi da Unioncamere-InfoCamere sulla natalità e mortalità delle imprese italiane nel terzo trimestre 2019. Il 91% dell'intero saldo è infatti dovuto alle imprese costituite in forma di società di capitali (cresciute nel trimestre al ritmo dell'0,7%). Nel complesso, il tasso di crescita del trimestre (+0,23%, tra i più contenuti dell'ultimo decennio con riferimento al periodo giugno-settembre) è frutto di una natalità (1,1%) e una mortalità (0,87%) sostanzialmente in linea con l'anno passato. Il fenomeno più rilevante del trimestre è il ritorno in campo positivo, dopo ben sette anni in rosso, del bilancio delle imprese artigiane. A fronte di un calo modesto delle cessazioni di impresa rispetto allo stesso periodo del 2018 (16.208 contro 16.584, pari -376 unità), nel trimestre estivo del 2019 è risultato in deciso aumento (+2mila unità rispetto all'anno passato) il numero di quanti hanno deciso di intraprendere una attività artigiana (17.583). 

Nonostante il segnale di ripresa registrato, la crisi per il comparto non è tuttavia ancora alle spalle: ad oggi, infatti, non si è infatti ancora ricostituito lo stock delle imprese artigiane esistenti a settembre del 2011 (quasi 1,5 milioni di imprese), rispetto a cui mancano tuttora all'appello oltre 165mila unità, corrispondenti ad una riduzione percentuale complessiva superiore all'11% nel periodo, oltre un punto percentuale in media all'anno. In tutte le regioni, il trimestre si è chiuso con il segno positivo: dal Lazio (2.279 imprese in più), alla Valle d'Aosta (38). E' il Sud che ha fatto registrare il saldo in valore assoluto migliore tra le quattro aree geografiche, pari a 5mila unità. Con una percentuale di cessazioni (32,8%) di poco inferiore a quello delle iscrizioni (33,6%), il suo contributo al saldo complessivo è stato pari al 36,4%: un valore superiore di ben 3 punti percentuali a quello dello stock delle imprese meridionali e inferiore solo di 3 punti (39,5%) al valore del saldo delle due circoscrizioni settentrionali nel loro insieme. Il Nord-Ovest e il Nord-Est hanno invece complessivamente determinato il 44,6% delle nuove iscrizioni (44,5% il peso percentuale dello stock) e il 45,9% delle cessazioni, limitando il loro apporto al saldo complessivo al di sotto del 40%: cioè un contributo di 5 punti percentuali inferiore al peso che le imprese collocate nel territorio delle due circoscrizioni hanno sul totale delle imprese italiane. Ad eccezione del Centro, tutte le circoscrizioni hanno fatto però registrare un tasso di crescita superiore a quello misurato nel corrispondente trimestre dello scorso anno.

Guardando alla geografia dell'Italia artigiana, nel trimestre da poco concluso tutte le macro-aree del Paese hanno fatto registrare un miglioramento dello stock rispetto ai dodici mesi precedenti incremento, in una forchetta compresa tra le 199 imprese del Centro e le 460 del Nord-Ovest. Tra le regioni, solo in quattro presentano saldi negativi: Toscana (-133), Marche (-63), Umbria (-30) e Abruzzo (-10). La disaggregazione dei dati per settori di attività economica evidenzia la conferma della leadership da parte del settore degli Alberghi e ristoranti. Per il secondo trimestre consecutivo il comparto primeggia tra le attività economiche con un saldo attivo di +3.569 unità per un tasso di crescita dello 0,78%. Seguono le Costruzioni (+2.522 unità, pari a +0,30% rispetto a fine giugno) e le Attività professionali e imprenditoriali (+1.955 il saldo, +0,91% la crescita). All'interno del vasto settore dei Servizi alle imprese, spiccano i saldi delle Attività immobiliari (+1.389 imprese, lo 0,48% nel trimestre) e del Noleggio e agenzie di viaggio (+1.592 imprese, pari ad una crescita dello 0,78%). 

Tra i grandi settori, si confermano i profondi processi di trasformazione dei settori tradizionali (Commercio, Attività manifatturiere e Agricoltura) che fanno registrare variazioni percentuali dello stock molto modeste (Agricoltura 0,01% e Attività manifatturiere 0%) o addirittura negative (Commercio -0,01%). Quanto all'universo delle imprese artigiane, esso è dominato da tre settori: si tratta, nell'ordine, del settore delle 'Costruzioni' (488.448 realtà al 30 settembre 2019), del settore 'Attività manifatturiere' (295.515) e da quello degli 'Altri servizi' (187.263). Con 971.266 unità, alla fine del trimestre da poco concluso, determinano il 74,7% dello stock complessivo delle imprese artigiane e spiegano peraltro il 65,5% del saldo trimestrale, nonostante il contributo negativo delle ''Attività manifatturiere'' (con -632 unità, determinando una variazione negativa dello stock dello 0,21%).

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Italia in ritardo sul digitale, e’ solo 23ma nell’Ue

Gli italiani - rispetto ai loro concittadini europei - sono ancora troppo poco digitali. Il nostro Paese nel 2019 si piazza solo al 23mo posto dell'I-Com broadband index, ossia l'indice elaborato dall'Istituto per la competitivita' (I-Com) che misura lo sviluppo della banda ultra larga nei mercati nazionali ed europei indicando in generale lo sviluppo digitale dei Paesi. Pur essendoci le infrastrutture per lo sviluppo della rete internet veloce, l'Italia arretra di una posizione rispetto al 2017.

In testa alla classifica, invece, si conferma il Nord Europa con la Svezia sul podio piu' alto, seguita dalla Danimarca e dal Lussemburgo. Il risultato italiano si deve soprattutto alla debolezza della domanda digitale che cresce ma non a sufficienza. Il divario negativo e' accentuato nell'e-commerce, usato da appena il 36% della popolazione (18,4 punti percentuali in meno rispetto alla media europea), e nella sottoscrizione di abbonamenti con una velocita' di connessione superiore a 100 Megabit per secondo (Mbps), che rappresentano poco meno del 15% del totale e neanche la meta' della media europea. Per quanto riguarda l'offerta - sostanzialmente il livello di sviluppo delle infrastrutture - l'Italia invece fa meglio e si piazza al 15mo posto in Europa, grazie soprattutto alla ormai quasi totale copertura raggiunta nelle aree rurali e nella rete Next generation access (Nga). La migliore performance in questo senso e' quella della Sicilia, regione in cui e' piu' sviluppata la banda ultralarga, con una copertura delle unita' immobiliari che sfiora il 90%. Dall'analisi dei dati forniti dai principali operatori (aggiornati al 30 giugno 2019), spiega I-Com, l'isola si conferma per il secondo anno in testa alla classifica nazionale, seguita da Puglia e Lazio. Al di sopra della media nazionale si piazzano anche Toscana, Lombardia, Calabria ed Emilia Romagna, mentre restano fanalino di coda Valle d'Aosta (45,5%) e Trentino Alto Adige (58,8%). "Stiamo scrivendo in questi giorni la strategia per la digitalizzazione della Pubblica amministrazione e del Paese", ha annunciato la ministra per l'Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, Paola Pisano, sottolineando l'intenzione di lavorare "per farcela". Un obiettivo che quindi si puo' raggiungere ma che secondo Pisano ha bisogno "di stabilita' e di tempo. E anche della collaborazione degli operatori delle telecomunicazioni". A collaborare sullo sviluppo digitale arrivano nel frattempo le Camere di Commercio che per il prossimo triennio mettono a disposizione 100 milioni di euro per la transizione verso il digitale delle imprese del nostro Paese.

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Report Cittadinanzattiva, solo 1 bimbo su 5 in asilo nido

Trova posto in un asilo nido poco piu' di un bimbo su cinque, ma la copertura e' assai variegata fra le diverse Regioni: si va dal 34,3% dell'Umbria al 6,7% della Campania (solo tre bimbi su 50) e ben sei regioni sono sotto la media nazionale (21,7%). Questi i dati dell'Osservatorio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva, realizzato nell'ambito del progetto "Consapevolmente consumatore, ugualmente cittadino", finanziato dal Ministero dello Sviluppo economico. Dal rapporto emerge che sono 11.017 i nidi in Italia, di cui 6.767 privati e 4.250 pubblici; i posti disponibili sono 320.296, distribuiti fra 153.316 privati e 166.980 pubblici. Notevoli le differenze regionali: piu' forte la prevalenza di posti nei nidi pubblici in Basilicata, Emilia Romagna, Molise, Piemonte, Sicilia, Toscana, trentino Alto Adige; nei nidi privati invece in Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Puglia, Sardegna, Veneto; equilibrata nelle altre regioni.

La percentuale di copertura a livello nazionale - si legge nel Rapporto - e' pari al 21,7% della potenziale utenza (bambini residenti sotto i 3 anni di eta'), ma con notevoli differenze tra le singole regioni: in negativo si distingue la Campania, con una copertura pari appena al 6,7%, in positivo l'Umbria con il 34,3%; sotto la media nazionale sei regioni: Campania (6,7%), Calabria (8,8%), Sicilia (9,3%), Puglia (13,6%), Basilicata (14,2%), Abruzzo (19,9%). Dunque tutte le regioni meridionali sono ben al di sotto della media di copertura, fa eccezione la Sardegna che raggiunge il 26,1%. Tra il 2004 e il 2012 le risorse messe a disposizione dai Comuni per gli asili nido sono cresciute del 47%, passando da 1,1 a 1,6 miliardi di euro; tra 2012 e 2014 si e' registrata una contrazione della spesa, nel triennio 2014-2016 una stabilizzazione, con una spesa complessiva per i servizi per l'infanzia nel 2016 di circa 1 miliardo e 475 milioni di euro. La quota a carico degli utenti sul totale della spesa e' passata dal 17% del 2004 al 20% del 2013, mentre dal 2015 si attesta al 19,4%. La quota percentuale a carico delle famiglie e' piu' elevata della media in dieci regioni, in vetta il Veneto dove le famiglie contribuiscono del 26,2% rispetto alla spesa complessiva, all'estremo opposto la Sicilia le cui famiglie contribuiscono per una quota pari al 6,3%. "Ci troviamo in un contesto in cui l'incompatibilita' tra l'occupazione lavorativa e le esigenze di cura della prole, rappresenta un motivo di dimissioni e risoluzioni consensuali delle lavoratrici madri per il 36% dei casi su un totale di 35.963 provvedimenti (dati Ispettorato del lavoro). La fotografia che emerge dal nostro dossier evidenzia che, sul fronte dell'offerta del servizio di asili nido comunali, ancora tanti passi devono essere fatti per contribuire concretamente a ridurre le diseguaglianze e accelerare il perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile del nostro paese", spiega Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva

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Niko Romito re degli chef secondo la guida del Gambero Rosso

La Guida "Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso" pone al vertice della classifica  lo chef Niko Romito con 96 punti del ristorante Reale a Castel di Sangro (Aq). Sul podio illustri inseguitori a 95 punti: Massimo Bottura con Osteria Francescana a Modena e Heinz Beck della Pergola a Roma. A seguire, massimo riconoscimento (Tre Forchette) per Le Calandre a Rubano (Padova), Piazza Duomo ad Alba (Cuneo), Uliassi a Senigallia (Ancona), Don Alfonso 1890 a Massa Lubrense (Napoli), Enoteca Pinchiorri a Firenze, Antonino Cannavacciuolo con Villa Crespi di Orta San Giulio a Novara, Cracco a Milano, Duomo a Ragusa, Madonnina del Pescatore a Senigallia (Ancona), Il Pagliaccio a Roma, Quattro Passi a Massa Lubrense (Napoli), Seta del Mandarin Oriental Milano, St. Hubertus dell'hotel Rosa Alpina a San Cassiano (Bolzano), Torre del Saracino a Vico Equense (Napoli), La Trota a Rivodutri (Rieti), Da Vittorio a Brusaporto (Bergamo), Enrico Bartolini Mudec Restaurant a Milano, Berton a Milano, D'O a Cornaredo (Milano), Pascucci al Porticciolo a Fiumicino (Roma), Dal Pescatore a Canneto sull'Oglio a Mantova, Casa Vissani a Baschi (Terni), Agli Amici dal 1887 a Udine, Da Caino a Montemerano (Grosseto), Taverna Estia a Brusciano (Napoli), Idylio by Apreda del The Pantheon Iconic Rome Hotel a Roma, Laite a Sappada (Udine), Lido 84 a Gardone Riviera (Brescia), Lorenzo Forte dei Marmi (Lucca), La Madia a Licata (Agrigento), Miramonti l'Altro a Concesio (Brescia) e La Peca a Lonigo (Vicenza)

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Il manager Roberto Fagnano morto per infarto

Il capo del Dipartimento Salute della Regione Abruzzo, Roberto Fagnano, 56 anni, originario di Campobasso, e' morto stamani a causa di un infarto. Il manager si era sentito male nella sua casa nel capoluogo teramano. Le sue condizioni era apparse subito gravissime. E' stata la moglie a chiamare i soccorsi: gli operatori del 118 lo hanno trasferito in pochi minuti nel reparto di Cardiologia dell'ospedale Mazzini di Teramo, dove pero' ogni tentativo o manovra rianimatoria sono stati vani. Il manager non aveva particolari problemi di salute, ieri sera aveva avuto una cena di lavoro all'Aquila e poi era ripartito per Teramo intorno alle 22, prima della chiusura del traforo del Gran Sasso per manutenzione. Fagnano era stato nominato nei mesi scorsi a capo del Dipartimento Salute dal nuovo governo regionale di centrodestra, nonostante al vertice della Asl provinciale di Teramof osse stato nominato dalla precedente maggioranza di centrosinistra guidata da Luciano D'Alfonso. Nel ruolo apicale regionale e' stato voluto dal presidente, Marco Marsilio, e dall'assessore regionale alla Salute, Nicoletta Veri' che ha raggiunto Teramo insieme all'assessore regionale Piero Fioretti, che hanno poi tenuto una conferenza stampa per ufficializzare il decesso, insieme al direttore generale facente funzioni, Maurizio Di Giosia, a quello sanitario, Maria Mattucci, al sindaco di Teramo, Gianguido D'Alberto, e al direttore del Dipartimento di cardiologia, Cosimo Napoletano. In mattinata ha raggiunto l'ospedale Mazzini di Teramo anche il presidente della Giunta regionale, Marco Marsilio.

I messaggi di cordoglio

"A nome mio e dell'intera Giunta regionale esprimo il cordoglio per l'improvvisa scomparsa del dottor Roberto Fagnano. In questi pochi mesi di lavoro comune ho avuto modo di apprezzarne, oltre alle qualita' umane, la professionalita' e l'esperienza in un settore cosi' delicato e complesso come quello della sanita'. Ai familiari le piu' sentite condoglianze da parte della Regione Abruzzo". Queste le parole del presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio

"La scomparsa prematura di Roberto Fagnano rappresenta una grave perdita umana e professionale per la nostra regione. Esprimo il mio personale cordoglio ai familiari". Così commenta il consigliere regionale e capogruppo Lega, Pietro Quaresimale, la notizia della morte del Direttore del Dipartimento della Salute di Regione Abruzzo. "Fagnano è stato un uomo di grande rigore e cortesia, fedelmente legato all'Istituzione che serviva, conscio di gestire un settore con le maggiori ricadute sociali".

"Apprendiamo con grande dispiacere la notizia dell'improvvisa scomparsa del Capo Dipartimento Salute di Regione Abruzzo, Roberto Fagnano. In questo momento di profondo dolore, rivolgiamo il nostro pensiero e le più sentite condoglianze alla famiglia e a tutti i suoi cari". Lo affermano i Consiglieri regionali in Regione Abruzzo del gruppo del MoVimento 5 Stelle

"Sono rimasto profondamente toccato dall'improvvisa e prematura scomparsa di Roberto Fagnano, ex manager della Asl di Teramo e che attualmente ricopriva il ruolo di Direttore del Dipartimento della Salute - afferma il capogruppo PD Silvio Paolucci -  Ho avuto modo di conoscerlo nel 2014, di poterne avere la collaborazione con la Giunta Regionale nel corso della precedente legislatura e di continuare ad apprezzare le sue doti anche dopo la fine dell'esperienza di governo. Ci eravamo sentiti solo qualche ora fa per confrontarci sulla realtà dei territori, ci sentivamo ogni volta che c'era bisogno di una visione tecnica che fosse completa e competente. Con lui scompare una professionalità importante, che ha dato alla sanità non solo teramana la sua esperienza e la sua passione, senza mai perdere di vista i bisogni della comunità e senza mai tirarsi indietro di fronte al lavoro, anche quello più duro, che abbiamo portato avanti con scelte e provvedimenti sempre condivisi. Alla famiglia e a tutti i suoi cari le mie più sentite condoglianze"

"Oggi è per me un giorno di profondo cordoglio. Con Roberto Fagnano ho trascorso cinque anni condividendo riflessioni, difficoltà e lavoro. Ha guidato la ASL di Teramo nel momento storico più difficile, quello del commissariamento, senza mai perdere di vista il fondamentale aspetto umano che la sanità deve custodire. Roberto Fagnano era un professionista preparato e naturalmente portato, nella sua azione, a privilegiare il rapporto sincero con le persone prima ancora che quello con le Istituzioni. La sua prematura e repentina scomparsa mi addolora perché se n'è andato un amico vero" è quanto dichiara il consigliere regionale Sandro Mariani. 

"Stamattina ho appreso dell'improvvisa morte del dott. Roberto Fagnano. Nei mesi di lavoro in Regione ed a seguito della sua nomina a capo del Dipartimento Salute, ho avuto modo di apprezzare in lui le migliori doti di uomo delle Istituzioni, una disponibilità non comune, un immediato impegno ed una estrema dedizione". E' la nota del consigliere regionale Marianna Scoccia che continua: " Il rammarico di avere perso il Dott. Fagnano è davvero molto, in special modo dal punto di vista umano: ho trovato in lui una grande professionalità ed una signorilità nei modi e nel carattere che sono davvero rari. Per questo la sua prematura scomparsa lascia l'intera comunità Regionale attonita e privata di un fondamentale punto di riferimento. Esprimo alla famiglia i sentimenti del più vivo cordoglio"

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Sole24Ore, Trento Mantova e Bolzano le citta’ piu’ ‘green’

Le citta' piu' 'green' d'Italia sono nell'ordine, Trento, Mantova, Bolzano, Pordenone e Parma, in testa alla classifica di "Ecosistema Urbano 2019", la ricerca di Legambiente, Ambiente Italia e Sole 24 Ore sulle performance ambientali dei capoluoghi di provincia pubblicata sul Sole 24 Ore di oggi. "Un tema particolarmente importante in questo momento storico - sottolineano gli autori - con il governo Conte bis che ha messo il 'Green new deal' tra le proprie priorita' e le nuove generazioni (chi in piazza durante i Fridays for future e chi iscrivendosi a facolta' come Agraria o Ingegneria ambientale) che dimostrano di essere molto sensibili al tema". Mantova, regina un anno fa, cede lo scettro a Trento che sale per la prima volta al vertice della hit grazie al miglioramento nella qualita' dell'aria, nell'utilizzo di trasporti pubblici e nell'attenzione alla mobilita' ciclabile. 

La classifica sull'Ecosistema Urbano, sesta tappa di avvicinamento all'indagine sulla Qualita' della vita 2019 del Sole 24 Ore, impiega 18 parametri divisi in cinque macro categorie: qualita' dell'aria, rete idrica, mobilita', ambiente e rifiuti. Gli indicatori spaziano dal numero di alberi all'offerta del trasporto pubblico, dalla concentrazione di Pm10 nell'aria alla dispersione della rete idrica, fino allo spazio occupato dalle piste ciclabili. Nella prima meta' della classifica si trovano citta' grandi come Bologna (13'), Firenze (24'), Perugia (26') e pure Milano, che pero' perde nove posizioni e occupa il 32esimo posto, oppure Comuni del Sud come Cosenza (14') e Teramo (28'), a confermare la regola che "l'Italia del buon ecosistema urbano e' principalmente l'Italia che fa bene e spende bene le sue risorse, che si evolve e pianifica le trasformazioni future". In coda alla classifica, chiusa da Catania, Siracusa e Vibo Valentia - queste ultime per mancanza di dati aggiornati - si trovano alcuni grandi centri urbani come Napoli (89'), Bari (87'), Torino (88'), Roma (89') e Palermo (100') sui quali pesano fattori come il traffico, i rifiuti, l'acqua. Dall'analisi dei dati emerge "un'Italia dinamica, attenta alle nuove scelte urbanistiche, ai servizi di mobilita', alla progressiva restituzione di vie e piazze ai cittadini, all'impegno contro lo spreco alimentare, alla crescita degli spazi naturali"; ma una lettura d'insieme delle aree urbane restituisce "emergenze, criticita' e troppe performance ambientali scadenti o pessime, a cominciare dall'allarme smog o dal ciclo dei rifiuti". Un'Italia in cui migliora la qualita' dell'aria, nel complesso, e si riducono i consumi d'acqua.

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Green economy, 7.754 imprese abruzzesi pronte a investire

Sono 7.754 le imprese abruzzesi che hanno investito o investiranno entro l’anno in tecnologie green (cioè in prodotti e tecnologie a maggior risparmio energetico e/o minor impatto ambientale). Esse costituiscono il 2,2% del totale italiano e collocano l’Abruzzo al 15° posto nella relativa graduatoria regionale nella quale emergono Lombardia e Veneto che rappresentano rispettivamente il 17,8% e il 10,1% del valore nazionale. E’ quanto risulta dai dati pubblicati nel Rapporto Green Italy 2018 realizzato dalla Fondazione Symbola e Unioncamere ed elaborati dal CRESA. Inoltre, le imprese che hanno effettuato o effettueranno eco investimenti sono in Abruzzo il 5,2% delle imprese registrate totali, meno del 5,7% rilevato in Italia, e ben al di sotto del 7,8% osservato in Trentino Alto Adige che spicca tra tutte le regioni italiane. 

Il valore aggiunto prodotto dai green jobs (cioè le professioni il cui lavoro è finalizzato in modo diretto alla produzione di beni e servizi green o a ridurre l’impatto ambientale dei cicli produttivi) in Abruzzo è pari a 3,1 miliardi di euro, che rappresentano l’1,6% del valore nazionale e anche in questo caso pongono la regione al 15° posto nella graduatoria nazionale.  Il valore aggiunto green abruzzese è il 10,6% del totale, peso inferiore a quello medio italiano (12,8%) che lo colloca insieme alle altre regioni meridionali.

I nuovi contratti stipulati a green jobs per il 2018 in Abruzzo sono 10.093, pari al 2,1% del totale nazionale. Essi costituiscono il 9,8% delle assunzioni totali regionali, quota inferiore al 10,4% rilevato in media in Italia, che pone l’Abruzzo al 9° posto nella graduatoria regionale. “L’Abruzzo fa rilevare una propensione green, intesa come quota della green economy sulla struttura imprenditoriale, sulla produzione di valore aggiunto e sulle assunzioni, inferiore alla media nazionale – afferma il presidente del CRESA Lorenzo Santilli – sebbene siano presenti sul territorio regionale numerose realtà imprenditoriali all’avanguardia operanti in diversi settori di attività economica. Per le imprese sarebbe conveniente aumentare gli investimenti nella green economy perché è stato osservato che ciò consente loro di raggiungere migliori risultati economici grazie all’efficientamento energetico, al miglioramento dei prodotti, all’aumento della produttività, all’acquisizione di nuovi clienti e all’ingresso in nuovi mercati”.

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