Primo Piano

Porti, in arrivo 45 milioni di euro di investimenti col piano triennale

Un Programma triennale di opere pubbliche (2020-22) da quasi 45 milioni di euro per il sistema portuale abruzzese ed in particolare per i porti di Pescara ed Ortona. Lo hanno presentato il presidente della Giunta regionale, Marco Marsilio, ed il presidente dell'Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Centrale, Rodolfo Giampieri, nel corso di una conferenza stampa. Nel dettaglio, per la prima annualità, sono previste risorse pari a 7 milioni 462mila euro mentre per la seconda annualità sono stati previsti fondi pari a 36 milioni 450mila euro. Ancora da definire la terza annualità che, al momento, presenta un budget di 450 mila euro. 

"Si tratta di un Piano che l'Autorità ha appena approvato - ha esordito il presidente Marsilio - e che segna un deciso cambio di passo nel rapporto tra l'Autorità di Sistema e la Regione". 

All'incontro hanno preso parte anche il sottosegretario alla Presidenza con delega alle Infrastrutture, Umberto D'Annuntiis, il presidente del Consiglio regionale, Lorenzo Sospiri, i sindaci di Pescara ed Ortona, Carlo Masci e Leo Castiglione, il segretario generale dell'ASP Mare Adriatico Centrale, Matteo Paroli, il consigliere regionale, Guerino Testa, l'assessore ai Trasporti del Comune di Pescara, Luigi Albore Mascia, ed il Direttore Marittimo di Pescara, Donato De Carolis.     

"Nella programmazione triennale precedente - ha ricordato Marsilio - i porti di Pescara e Ortona,  si erano visti riconoscere un finanziamento di 5 milioni 600 mila euro per l'annualità 2019, 500 mila euro per il 2020 mentre per il 2021 1 milione e mezzo di euro per complessivi 7 milioni 500 mila euro. Una somma pari alla prima annualità di questa nuova programmazione. Briciole - ha detto Marsilio - anche rispetto a quel 10% di entrate rispetto al totale che i porti abruzzesi riescono a produrre a vantaggio dell'Autorità portuale". Nella programmazione 2020-2022, invece, l'Autorità portuale, raccogliendo anche le sollecitazioni provenienti da Regione Abruzzo e dai Comuni di Pescara e Ortona, ha deciso di investire in misura nettamente maggiore sul sistema portuale abruzzese destinandogli, nella seconda annualità 2021, ben 36 milioni 450 mila euro, dei quali 35 milioni a beneficio del completamento degli interventi relativi al porto di Pescara ed 1 milione di euro per la manutenzione della scogliera di protezione del molo nord del porto di Ortona. "Si tratta di risorse ad oggi non coperte - ha rivelato Marsilio - ma è importante presentarsi al cospetto del Ministero delle Infrastrutture con questo documento di programmazione affichè ratifichi ed accolga al più presto il programma triennale di opere pubbliche presentato dall'Autorità portuale e le finanzi completamente. La Regione farà la sua parte per quello che le compete -ha concluso - in termini di atti propedeutici all'ottenimento di queste risorse"

"Ringrazio il presidente della Giunta regionale Marsilio per aver ripreso per i capelli la programmazione delle opere pubbliche dell'Autorita' del Sistema Portuale del mare Adriatico centrale, ottenendo l'inserimento, nell'Agenda di lavoro, delle opere sui porti di Ortona e Pescara. Ora il nostro compito, come Regione, sara' far diventare quelle opere prioritarie in seno alla stessa Agenda e far si' che i soldi promessi arrivino a destinazione e su questo sorveglieremo, vigileremo come farebbe un marinaio al faro". Lo ha detto il presidente del Consiglio regionale d'Abruzzo, Lorenzo Sospiri, intervenuto alla conferenza stampa indetta dal presidente della Giunta, Marco Marsilio, con l'Autorita' Portuale per ufficializzare l'inserimento degli interventi sui porti abruzzesi nel Triennale dell'Autorita' di bacino. "Sostanzialmente - ha puntualizzato Sospiri - per Pescara parliamo di circa 2 milioni di euro per il 2020, somme reali e disponibili che verranno assegnate alla Regione per operare concretamente, e 35 milioni nel 2021 per le opere strutturali, ma in quest'ultimo caso si parla di somme virtuali, ancora da trovare, e su questo dovremo attivare la nostra sorveglianza, soprattutto considerando che nel triennale, su 52 interventi complessivi previsti dall'Autorita', comunque 38 sono destinati ad Ancona, Pesaro e San Benedetto del Tronto e, appunto, 5 su Pescara e 6 su Ortona e questi sono numeri che vanno considerati e pesati in modo opportuno

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Agrifood, filiera da 538 miliardi

Vale fra 370 e 430 milioni di euro, il 5% di quello globale e il 18% di quello europeo, il mercato italiano dell'agricoltura 4.0 nel 2018, di cui oltre 300 soluzioni, gia' sul mercato, sono impiegate dal 55% delle aziende agricole intervistate. Ed e' anche in rapida crescita: +270%. Sono solo alcuni dei risultati di una ricerca dell'Osservatorio Smart Agrifood della School of Management del Politecnico di Milano e del laboratorio RISE dell'Universita' degli Studi di Brescia, presentata oggi a Roma nel corso del convegno "Agricoltura digitale 4.0: sicurezza, sostenibilita' e casi virtuosi", organizzato da Confagricoltura in collaborazione con Agrofarma e Assofertilizzanti. Il digitale, secondo l'Osservatorio, innova anche tracciabilita' e qualita' alimentare: con 133 soluzioni gia' disponibili, il 38% delle aziende ha migliorato l'efficacia del processo, il 32% l'efficienza.

Le startup nel mondo arrivano a 500 e sono attive soprattutto in ambito eCommerce (65%) e Agricoltura 4.0 (24%). L'Italia e' il Paese europeo con il maggior numero di startup ma con il finanziamento medio piu' basso. Il mercato globale dell'agricoltura 4.0 vale 7 miliardi di dollari (il doppio rispetto allo scorso anno), di cui il 30% generato in Europa. La crescita e' ancora piu' rapida in Italia, dove il mercato ha un valore compreso tra i 370 e i 430 milioni di euro (+270%), che per circa l'80% e' generato da offerte innovative di attori gia' affermati nel settore (ad esempio i fornitori di macchine e attrezzature agricole) e per circa il 20% da soluzioni di attori emergenti (soprattutto startup), che propongono sistemi digitali innovativi e servizi di consulenza tecnologica.

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Consorzi abruzzesi di bonifica, se ne parla in Consiglio regionale

La settimana politica dell’Emiciclo si apre domani, martedì 4 novembre, con la seduta del Consiglio regionale dell’Abruzzo, prevista alle ore 11 presso l’Aula “Sandro Spagnoli” del Palazzo dell’Emiciclo all’Aquila. Giovedì 7 novembre, alle 10, si riunisce la Commissione di Vigilanza per l’esame delle “raccomandazioni contenute nella nota prot. N. 152/SEGR PE a firma dell’Assessore Emanuele Imprudente e del Direttore del Dipartimento Agricoltura Elena Sico”. In merito saranno ascoltati l’assessore Emanuele Imprudente, il direttore Dipartimento agricoltura, Elena Sico, e i vertici dei consorzi abruzzesi di bonifica. Sulla sospensione delle attività del Co.Re.Com i commissari si confronteranno con Ottaviano Gentile e Michela Ridolfi, componenti del Comitato, con Lorenzo Sospiri, presidente del Consiglio regionale dell'Abruzzo, con Giovanni Giardino, dirigente Servizio amministrativo di supporto Autorità Indipendenti. Infine, l’ultimo argomento all’ordine del giorno della Vigilanza interessa la discarica di Valle Cena gestita dal Consorzio CIVETA e prevede l’audizione di Nicola Campitelli, assessore, Pierpaolo Pescara, direttore Dipartimento Territorio-Ambiente, Franco Gerardini, dirigente Servizio Gestione Rifiuti, Valerio De Vincentiis, commissario straordinario Civeta. Il calendario delle attività politiche della settimana si chiude con la riunione straordinaria della Prima Commissione Bilancio prevista per giovedì 7 novembre alle ore 15. I commissari esamineranno la risoluzione del consigliere Di Benedetto sul bando “Fare Centro – Il rientro delle attività nei centri storici”, con gli interventi dell’assessore Guido Quintino Liris, del direttore generale della Regione Abruzzo, Barbara Morgante, dei rappresentanti di Confartigianato L’Aquila, del Presidente Ordine Dottori Commercialisti, del Presidente Consulenti Lavoro, del Direttore del CNA L’Aquila, della Confcommercio L’Aquila, del Presidente Associazione Commercianti centro storico. L’incontro si chiude con l’esame dei seguenti progetti di legge: dei consiglieri D’Incecco e Sospiri su “Integrazione alla Legge Regionale 11 febbraio 1999, n.6”; dei consiglieri Bocchino, Marcovecchio, Angelosante, Di Matteo e Sospiri su “Norme a tutela dei coniugi separati o divorziati, in condizione di disagio, in particolare con figli minori”

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Svimez, Abruzzo, Puglia e Sardegna le regioni col piu’ alto tasso di crescita nel 2018

 

Le previsioni macroeconomiche della Svimez stimano il Pil italiano a +0,9% nel 2018, + 0,2% nel 2019 e +0,6% nel 2020. In particolare, il Centro-Nord sarebbe al +0,9% nel 2018, al +0,3% nel 2019, al +0,7% nel 2020. Mentre al Sud nel 2018 l'aumento sarebbe del +0,6%, calerebbe a -0,2% nel 2019 e risalirebbe leggermente a +0,2% nel 2020. E' quanto si legge nel rapporto Svimez sull'economia e la società del Mezzogiorno. Come si vede, si sottolinea, la crescita è "molto modesta anche nelle aree più sviluppate del Paese"

Il Pil del 2018 al Sud è cresciuto di +0,6%, rispetto a +1% del 2017. Ristagnano soprattutto i consumi (+0,2%), ancora al di sotto di -9 punti percentuali nei confronti del 2018, rispetto al Centro-Nord, dove crescono del +0,7%, recuperando e superando i livelli pre crisi. Debole il contributo dei consumi privati delle famiglie con quelli alimentari che calano del -0,5%, in conseguenza alla caduta dei redditi e dell'occupazione. Ma soprattutto la spesa per consumi finali della PA ha segnato -0,6% nel 2018. Gli investimenti restano la componente più dinamica della domanda interna (+3,1% nel 2018 nel Mezzogiorno, a fronte di +3,5% del Centro-Nord). In particolare, crescono gli investimenti in costruzioni (+5,3%), mentre si sono fermati quelli in macchinari e attrezzature (+0,1% contro +4,8% del Centro-Nord). Alla ripresa degli investimenti privati fa da contraltare il crollo degli investimenti pubblici: nel 2018, stima la Svimez, la spesa in conto capitale è scesa al Sud da 10,4 a 10,3 miliardi, nello stesso periodo al Centro-Nord è salita da 22,2 a 24,3 miliardi. Intanto va male l'agricoltura, va bene il terziario, mentre l'industria stenta: il valore aggiunto dell'agricoltura è calato nel 2018 al Sud di -2,7%, nel Centro-Nord è aumentato di +3,3%. Il valore aggiunto dell'industria in senso stretto è aumentato di +1,4% nel 2018 al Sud, in calo rispetto al 2017 (+2,7%). Nel Centro Nord è cresciuto di +1,9%. Il valore aggiunto del terziario al Sud nel 2018 è aumentato di +0,5%, meno che al Centro-Nord (+0,7%). 

Nel 2018 Abruzzo, Puglia e Sardegna sono state le regioni che hanno registrato il più alto tasso di crescita, rispettivamente +1,7%, +1,3% e +1,2%. Nel Molise e in Basilicata il Pil è cresciuto del +1%. In Sicilia ha segnato +0,5%. Campania a crescita zero nel 2018. Calabria unica regione meridionale che ha visto una flessione del Pil di -0,3%.

Ma il divario territoriale colpisce significativamente anche i servizi pubblici, a partire dalla sanità e dalla scuola. Al Sud sono scarsi i servizi a cittadini e imprese. La spesa pro capite delle amministrazioni pubbliche è pari nel 2017 a 11.309 nel Mezzogiorno e a 14.168 nel Centro-Nord. Un divario, prosegue Svimez, che è cresciuto negli anni Duemila. Lo svantaggio meridionale è molto marcato per la spesa relativa a formazione e ricerca e sviluppo e cultura. Continua poi l'emigrazione ospedaliera verso le regioni del Centro-Nord: circa il 10% dei ricoverati per interventi chirurgici acuti si sposta dal Sud verso altre regioni. Grave infine il ritardo nei servizi per l'infanzia. La spesa in istruzione in Italia si riduce con una flessione del 15% a livello nazionale, di cui il 19% nel Mezzogiorno e il 13% nel Centro-Nord. Le differenze Nord/Sud riguardano soprattutto l'offerta di scuole per l'infanzia e la formazione universitaria. Nel Mezzogiorno solo poco più di 3 diplomati e 4 laureati su 10 sono occupati da uno a tre anni dopo aver conseguito il titolo. Prosegue l'abbandono scolastico, nel 2018 gli early leavers meridionali erano il 18,8% a fronte dell'11,7% delle regioni del Centro-Nord. Per di più al Sud il 56% delle scuole ha bisogno di manutenzione urgente.

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Le anticipazioni del rapporto Svimez, il Sud riparte se si torna ad investire

Il "Rapporto Svimez 2019 sull'economia e la società del Mezzogiorno", che si presenta domani nella nuova aula dei gruppi parlamentari della Camera, dovrebbe ribadire lo scenario annunciato nel corso dell'estate. Stando a quanto anticipato dal quotidiano "Il Mattino" nell'articolo a firma di Nando Santonastaso, il Sud avrà una ripresa forse nel 2020 «ma meno dello 0,4% che le "anticipazioni" estive avevano preventivato».

Secondo quanto riportato dal quotidiano, «A complicare lo scenario contribuirà la lenta dinamica occupazionale, ancora lontana dai ritmi che servirebbero per pareggiare almeno la situazione ante-crisi: lo 0,3% di occupati in più previsto da Svimez è sì in linea con la media nazionale ma resta pur sempre inferiore alle previsioni del Centronord (peraltro anch'esse non esaltanti) e soprattutto risulta condizionato dalla incertezza sulla reale ricaduta del Reddito di cittadinanza». Sarà dirimente l'impatto della manovra, perché come sostiene il presidente della Svimez Adriano Giannola, «tutte le manovre degli ultimi anni non hanno ridotto il divario, anche quando nel 2016 il Mezzogiorno ha rivisto la luce dopo un lunghissimo tunnel, iniziato nel 2008».

Il tutto concentrando le risorse per il Sud «e spenderle senza se e senza ma» si legge ancora nel pezzo.

 

 

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Nel mondo cresce il pescato certificato sostenibile e tocca il 15 per cento

Nel mondo il pescato sostenibile certificato Msc (Marine Stewardship Council) raggiunge il massimo storico di 11,8 milioni di tonnellate che e' il 15% del totale pescato globale, per un valore di 10 miliardi di dollari l'anno. Lo annuncia l'organizzazione internazionale non profit responsabile del piu' importante programma globale di certificazione di sostenibilita' ittica, nel Rapporto annuale relativo all'anno fiscale 2018-2019 "Lavorare insieme per oceani pieni di vita". L'Italia, come evidenzia il Rapporto Msc, si muove a due velocita': nonostante ci sia solo una cooperativa di pesca certificata (la Op Bivalvia Veneto Societa' Cooperativa) il mercato ittico fa passi da gigante. Il nostro paese si colloca al quinto posto per fatturato e al settimo posto per volume di prodotti certificati Msc in commercio. Le risorse ittiche rappresentano una fonte alimentare e di reddito fondamentale per oltre 800 milioni di persone nel mondo ma gli oceani versano oggi in una condizione sempre piu' problematica, anche a causa della pesca eccessiva che interessa il 93% delle risorse ittiche mondiali. Per invertire questa tendenza, Msc sottolinea di lavorare quotidianamente con i diversi interlocutori (pescatori, governi, aziende e Ong) per promuovere azioni concrete e mantenere gli oceani pieni di vita oggi, domani e per le generazioni future. Grazie ad un aumento del 34% delle catture di pesce certificate Msc negli ultimi cinque anni, le vendite globali di prodotti ittici sostenibili con marchio blu MSC hanno raggiunto per la prima volta un milione di tonnellate all'anno. 

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Quasi 6 imprese su 10 sono indietro sul digitale

Quasi 6 imprese su 10 sono ancora in una fase di avvio dell'esperienza digitale mentre pochissime sono quelle che pensano già in un'ottica 4.0. E questo proprio mentre il Governo aggiunge sul piatto della manovra altri 140 milioni per sostenere la misura.
    Sono alcuni dei dati emersi nel corso dell'assemblea di Unioncamere che si è tenuta a Treviso, esaminando la situazione degli oltre 70mila imprenditori che hanno usufruito dei servizi dei Pid (Punti impresa digitale), creati dalle Camere di commercio per affiancare le imprese nel processo di digitalizzazione. Nel prossimo triennio, ha reso noto il Presidente di Unioncamere, Carlo Sangalli, le Camere di commercio investiranno cento milioni di euro per assistere la trasformazione digitale delle Pmi, impegnate nella transizione all'economia 4.0.

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Fisco, gli italiani a novembre versano 55 miliardi di euro

Tra le ritenute dei dipendenti, degli autonomi e dei collaboratori, gli acconti Iva/Ires/Irpef/Irap e le addizionali comunali/regionali Irpef, questo mese gli italiani sono a chiamati a versare all'erario 55 miliardi di euro. Insomma, novembre si conferma il mese delle tasse. L'Ufficio studi della Cgia ricorda che, ad esempio, nel 2018 il gettito tributario complessivo aveva superato i 500 miliardi di euro. Questa imponente massa monetaria e' affluita nelle casse pubbliche rispettando precise scadenze fiscali che, da sempre, si concentrano prevalentemente tra giugno/luglio e tra novembre/dicembre. Il 2018, comunque, e' stato un anno particolare: la scadenza del 30 giugno e' "caduta" di sabato e, conseguentemente, ha provocato uno slittamento in avanti dei versamenti estivi.

Tornando ai numeri della ricerca, l'imposta piu' onerosa che le imprese e i lavoratori autonomi verseranno questo mese sara' l'Iva, che comportera' un incasso per l'erario di 15 miliardi di euro. Segue l'acconto Ires in capo alle societa' di capitali (Spa, Srl, Societa' cooperative, etc.): queste ultime anticiperanno al fisco 13,3 miliardi di euro. I collaboratori e i lavoratori dipendenti, attraverso i rispettivi datori di lavoro, "daranno" al fisco le ritenute per un importo pari a 11,9 miliardi di euro. L'acconto Irpef, invece, costera' alle aziende e ai percettori di redditi diversi (fitti, plusvalenze, lavoro occasionale, etc.) 6,2 miliardi di euro, mentre l'Irap implichera' un prelievo di 6,1 miliardi. L'addizionale regionale Irpef garantira' ai Governatori 1 miliardo, mentre le ritenute dei lavoratori autonomi peseranno sulle tasche di questi ultimi per 950 milioni di euro. Le addizionali comunali Irpef, infine, permetteranno ai Sindaci di incassare 413 milioni di euro e dalle ritenute dei bonifici delle detrazioni Irpef l'erario incamerera' 190 milioni di euro. L'Ufficio studi, infine, tiene a precisare che in questa analisi non sono stati conteggiati i contributi previdenziali che dovranno essere versati entro il prossimo 16 novembre. Essendo sabato, questo pagamento slitta a lunedi' 18 novembre.

La Cgia ricorda che in Italia la pressione fiscale sulle imprese e' al 59,1 per cento. In UE solo i francesi sono piu' tartassati di noi Sebbene sia una comparazione che va analizzata con molta prudenza, secondo gli ultimi dati presentati nelle settimane scorse dalla Banca Mondiale (Doing Business), solo la Francia (60,7) presenta un carico fiscale sulle imprese (in percentuale sui profitti commerciali) superiore al dato Italia (59,1). Se la media dell'Area Euro e' pari al 42,8 per cento (16,3 punti in meno che da noi), la Germania registra il 48,8 per cento e la Spagna il 47 per cento. Per ciascun paese esaminato, questa elaborazione fa riferimento ad una media impresa (societa' a responsabilita' limitata) con circa 60 addetti e alle imposte pagate nell'anno 2018, al secondo anno di vita dell'impresa (ovvero nata nel 2017). L'incidenza del totale delle imposte sui profitti commerciali registrata dall'Italia nel 2018 (59,1 per cento) e' abbastanza in linea con il dato del 2015 (62 per cento). Nei due anni intermedi (biennio 2016 e 2017) si e' verificata un'incidenza sensibilmente inferiore (rispettivamente del 48 e del 53,1), riconducibile all'effetto dell'introduzione di alcune misure temporanee che hanno alleggerito il costo del lavoro, in particolar modo dei neoassunti con un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Oltre ad avere la pressione fiscale sulle imprese tra le piu' elevate d'Europa, siamo il Paese, assieme al Portogallo, dove pagare le tasse e' piu' difficile. Sempre dai dati presentati recentemente dalla Banca Mondiale (Doing Business), in Italia sono necessari 30 giorni all'anno (pari a 238 ore) per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute; per completare tutte le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all'Amministrazione finanziaria; per effettuare il pagamento on line o presso le autorita' preposte. In Francia, l'unico Paese UE con un carico fiscale sulle imprese superiore al nostro, per espletare le incombenze burocratiche derivanti dal pagamento delle tasse sono necessari solo 17 giorni, mentre la media dell'Area dell'Euro e' di 18 giorni. Anche in questa comparazione, i dati sono della Banca Mondiale, che per ciascun Paese prende in esame una media impresa (societa' a responsabilita' limitata), al secondo anno di vita e con circa 60 addetti. L'anno di riferimento e' il 2018. 

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Agroalimentare, il Mezzogiorno cresce

Il settore agroalimentare del Mezzogiorno ha le carte in regola per rafforzare il suo ruolo strategico e rappresentare un fattore di traino economico per quest'area, puntando a un alto posizionamento in termini di qualità e al forte legame col territorio. È quanto emerge dal Rapporto sulla Competitività dell'Agroalimentare nel Mezzogiorno, realizzato dall'Ismea, in collaborazione con Fiere di Parma e Federalimentare. Lo studio evidenzia come i recenti mutamenti dello scenario globale abbiano sostenuto una crescita senza precedenti delle esportazioni del Made in Italy alimentare, grazie a una ritrovata coerenza del modello di specializzazione agroalimentare italiano con le tendenze della domanda mondiale, che ha spinto l'export agroalimentare del Sud a toccare la cifra di 7 miliardi di euro nel 2018. Nel Mezzogiorno, nonostante il consistente e duraturo impatto della crisi economica iniziata nel 2008, il permanere di un tessuto imprenditoriale caratterizzato da imprese medio-piccole e, più in generale, la conferma di alcuni storici limiti allo sviluppo economico, il settore agroalimentare è cresciuto, nell'ultimo triennio, in termini di valore aggiunto - che supera i 19 miliardi di euro -, di numero di imprese - 344 mila imprese agricole e 34 mila imprese dell'industria alimentare - e di occupati, che si attestano a circa 668 mila unità, pari al 10% del totale occupati al Sud. Anche il confronto con il Centro-Nord mette in evidenza come, nello stesso periodo, il fatturato dell'industria alimentare sia cresciuto più al Sud (+5,4%) che nel resto del Paese (+4,4%).

 La specifica composizione settoriale, l'elevata incidenza delle medie imprese - che si sono rivelate quelle più dinamiche e in grado di adattarsi ai mutati scenari - oltre che il determinante contributo delle imprese di più recente costituzione, hanno consentito all'agroalimentare del Mezzogiorno di ottenere performance di tutto rispetto e, in taluni casi, superiori a quelle dei corrispondenti settori del Centro-Nord. Performance positive hanno riguardato soprattutto alcune filiere come caffè, cioccolato e confetteria (+14%), prodotti da forno (+18%), olio (+21%); in generale, un rinnovamento generazionale e la presenza di imprese più giovani hanno determinato maggiore dinamicità e capacità di rispondere alle esigenze del mercato. Tra gli elementi più critici, soprattutto pensando alla necessità di agganciare il treno dell'innovazione, preoccupano i bassi livelli di immobilizzazioni nelle imprese del Mezzogiorno e il fatto che esse siano sostanzialmente tecniche con poca attenzione a quelle immateriali.

"Lo studio di Ismea descrive il sistema agroalimentare meridionale come una realtà in forte espansione - ha detto Elda Ghiretti, Cibus and Food Global Coordinator, Fiere di Parma - Un dato confermato anche dall'aumento della partecipazione delle aziende del Sud a Cibus, passata negli ultimi 5 anni dal 17% al 36%. Cibus è la fiera alimentare di riferimento all'estero e vede la partecipazione di migliaia di buyer internazionali. La cresciuta partecipazione delle imprese meridionali a Cibus ha contribuito - ha riferito Ghiretti - all'aumento dell'export dei prodotti agroalimentari del Meridione che nel 2018 aveva toccato la quota di 7 miliardi e 110 milioni di euro, con un aumento del 6,1% nel quadriennio 2015/2018. Un dinamismo sostenuto anche dalla creazione di nuove forme di aggregazione private, come consorzi e associazioni, che consentono anche ad imprese di medie dimensioni di interloquire con importatori e distributori esteri". 

"L'agroalimentare nel Mezzogiorno riveste un ruolo sempre più rilevante, con primati in molti settori e una buona tenuta economica, segnali positivi che vanno letti con attenzione - ha dichiarato Fabio Del Bravo; occorre rafforzare adeguatamente la fase agricola e la sua integrazione con la parte a valle della filiera, favorire gli investimenti - soprattutto in innovazione - e prendere atto dei limiti, per esempio strutturali, individuando percorsi che già nel breve possano portare benefici: una maglia produttiva di dimensioni piccole è certamente un problema su molti fronti, ma lo è molto di più per le produzioni standardizzate che fronteggiano concorrenza di prezzo, piuttosto che per i prodotti differenziati del made in Italy. Incentivare forme di aggregazione e l'orientamento a produzioni tipiche che in quest'area hanno ancora molte potenzialità inespresse, può rivelarsi una leva strategica importante e può avviare un percorso di successo realmente attuabile".

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Unioncamere, nate 14 mila imprese tra luglio e settembre

Si chiude con un saldo attivo di 13.848 unità in più, rispetto alla fine di giugno, il bilancio fra le imprese nate (66.823) e quelle che hanno cessato l'attività (52.975) nel terzo trimestre dell'anno. Il segno 'più' continua dunque a caratterizzare l'andamento demografico della grande famiglia delle imprese italiane (6.101.222 unità alla fine di settembre), pur in presenza di segnali di difficoltà sia sui mercati internazionali sia su quelli domestici, in particolare per le piccole e piccolissime imprese. E' quanto emerge, in sintesi, dai dati diffusi da Unioncamere-InfoCamere sulla natalità e mortalità delle imprese italiane nel terzo trimestre 2019. Il 91% dell'intero saldo è infatti dovuto alle imprese costituite in forma di società di capitali (cresciute nel trimestre al ritmo dell'0,7%). Nel complesso, il tasso di crescita del trimestre (+0,23%, tra i più contenuti dell'ultimo decennio con riferimento al periodo giugno-settembre) è frutto di una natalità (1,1%) e una mortalità (0,87%) sostanzialmente in linea con l'anno passato. Il fenomeno più rilevante del trimestre è il ritorno in campo positivo, dopo ben sette anni in rosso, del bilancio delle imprese artigiane. A fronte di un calo modesto delle cessazioni di impresa rispetto allo stesso periodo del 2018 (16.208 contro 16.584, pari -376 unità), nel trimestre estivo del 2019 è risultato in deciso aumento (+2mila unità rispetto all'anno passato) il numero di quanti hanno deciso di intraprendere una attività artigiana (17.583). 

Nonostante il segnale di ripresa registrato, la crisi per il comparto non è tuttavia ancora alle spalle: ad oggi, infatti, non si è infatti ancora ricostituito lo stock delle imprese artigiane esistenti a settembre del 2011 (quasi 1,5 milioni di imprese), rispetto a cui mancano tuttora all'appello oltre 165mila unità, corrispondenti ad una riduzione percentuale complessiva superiore all'11% nel periodo, oltre un punto percentuale in media all'anno. In tutte le regioni, il trimestre si è chiuso con il segno positivo: dal Lazio (2.279 imprese in più), alla Valle d'Aosta (38). E' il Sud che ha fatto registrare il saldo in valore assoluto migliore tra le quattro aree geografiche, pari a 5mila unità. Con una percentuale di cessazioni (32,8%) di poco inferiore a quello delle iscrizioni (33,6%), il suo contributo al saldo complessivo è stato pari al 36,4%: un valore superiore di ben 3 punti percentuali a quello dello stock delle imprese meridionali e inferiore solo di 3 punti (39,5%) al valore del saldo delle due circoscrizioni settentrionali nel loro insieme. Il Nord-Ovest e il Nord-Est hanno invece complessivamente determinato il 44,6% delle nuove iscrizioni (44,5% il peso percentuale dello stock) e il 45,9% delle cessazioni, limitando il loro apporto al saldo complessivo al di sotto del 40%: cioè un contributo di 5 punti percentuali inferiore al peso che le imprese collocate nel territorio delle due circoscrizioni hanno sul totale delle imprese italiane. Ad eccezione del Centro, tutte le circoscrizioni hanno fatto però registrare un tasso di crescita superiore a quello misurato nel corrispondente trimestre dello scorso anno.

Guardando alla geografia dell'Italia artigiana, nel trimestre da poco concluso tutte le macro-aree del Paese hanno fatto registrare un miglioramento dello stock rispetto ai dodici mesi precedenti incremento, in una forchetta compresa tra le 199 imprese del Centro e le 460 del Nord-Ovest. Tra le regioni, solo in quattro presentano saldi negativi: Toscana (-133), Marche (-63), Umbria (-30) e Abruzzo (-10). La disaggregazione dei dati per settori di attività economica evidenzia la conferma della leadership da parte del settore degli Alberghi e ristoranti. Per il secondo trimestre consecutivo il comparto primeggia tra le attività economiche con un saldo attivo di +3.569 unità per un tasso di crescita dello 0,78%. Seguono le Costruzioni (+2.522 unità, pari a +0,30% rispetto a fine giugno) e le Attività professionali e imprenditoriali (+1.955 il saldo, +0,91% la crescita). All'interno del vasto settore dei Servizi alle imprese, spiccano i saldi delle Attività immobiliari (+1.389 imprese, lo 0,48% nel trimestre) e del Noleggio e agenzie di viaggio (+1.592 imprese, pari ad una crescita dello 0,78%). 

Tra i grandi settori, si confermano i profondi processi di trasformazione dei settori tradizionali (Commercio, Attività manifatturiere e Agricoltura) che fanno registrare variazioni percentuali dello stock molto modeste (Agricoltura 0,01% e Attività manifatturiere 0%) o addirittura negative (Commercio -0,01%). Quanto all'universo delle imprese artigiane, esso è dominato da tre settori: si tratta, nell'ordine, del settore delle 'Costruzioni' (488.448 realtà al 30 settembre 2019), del settore 'Attività manifatturiere' (295.515) e da quello degli 'Altri servizi' (187.263). Con 971.266 unità, alla fine del trimestre da poco concluso, determinano il 74,7% dello stock complessivo delle imprese artigiane e spiegano peraltro il 65,5% del saldo trimestrale, nonostante il contributo negativo delle ''Attività manifatturiere'' (con -632 unità, determinando una variazione negativa dello stock dello 0,21%).

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