L’Osservatorio

Istat: lavoratori irregolari in lieve calo nel 2016 a 3,7 milioni

Nel 2016, le unità di lavoro irregolari sono 3 milioni 701 mila, in prevalenza dipendenti (2 milioni 632 mila), in lieve diminuzione rispetto al 2015 (rispettivamente -23 mila e -19 mila unità). Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza delle unità di lavoro non regolari sul totale, è pari al 15,6% (-0,3 punti percentuali rispetto allìanno precedente). Lo rileva l'Istat, segnalando che l'incidenza del lavoro irregolare è particolarmente rilevante nel settore dei Servizi alle persone (47,2% nel 2016, in calo di 0,4 punti percentuali rispetto al 2015), ma risulta significativo anche nei comparti dell'Agricoltura (18,6%), delle Costruzioni (16,6%) e del Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (16,2%). 

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Struttura e profili del settore non profit

Ad un anno dalla pubblicazione dei dati del primo Censimento permanente delle istituzioni non profit vengono diffuse stime aggiornate al 2016 sulla consistenza e le principali caratteristiche strutturali del settore non profit1 . Nel 2016, le istituzioni non profit attive in Italia sono 343.432 e complessivamente impiegano, alla data del 31 dicembre 2016, 812.706 dipendenti2 . Rispetto al 2015, le istituzioni crescono del 2,1%, i dipendenti del 3,1%; si tratta quindi di un settore che continua ad espandersi nel tempo con tassi di crescita medio annui in linea con il profilo delineato dai censimenti tradizionali.

Aumenta l’incidenza delle istituzioni non profit rispetto al complesso delle imprese dell’industria e dei servizi: dal 5,8% del 2001 al 7,8% del 2016 per le istituzioni e dal 4,8% del 2001 al 6,9% del 2016 per gli addetti3 . Nel biennio 2015-2016, le istituzioni crescono di più al Nord-ovest (+3,3%), al Sud (+3,1%) e nelle Isole (+2,4%) mentre i dipendenti soprattutto nelle regioni meridionali (+5,8%) e al Nord-est (+4,4%). Considerando il numero di istituzioni, gli incrementi percentuali maggiori si osservano in Basilicata (+8,8%), Molise (+8,7%) e Calabria (+5,6%); aumenti più contenuti si rilevano in Abruzzo (+0,2%), Provincia autonoma di Bolzano (+0,5%) ed EmiliaRomagna (+0,7%) mentre le variazioni sono di segno negativo in Umbria (-0,5%) e nelle Marche (-0,4%). Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, le regioni maggiormente interessate dalla crescita degli occupati sono Basilicata (+9,5%), Campania (+7,9%) ed Emilia-Romagna (+5,0%).

La distribuzione territoriale vede oltre il 50% delle istituzioni attive nelle regioni del Nord contro il 26,7% dell'Italia meridionale e insulare. Il numero di istituzioni non profit ogni 10mila abitanti è un indicatore che misura più chiaramente la presenza territoriale: se al Centro-Nord tale tale rapporto assume valori prossimi se non superiori a 60 (in particolare al Nord-est, dove raggiunge il livello di 68,2), nelle Isole e al Sud è pari rispettivamente a 48,1 e 42,2. Infine, i dipendenti sono ancora più concentrati delle istituzioni dal punto di vista territoriale, con oltre il 57% impiegato al Nord.

La distribuzione delle istituzioni non profit per periodo di costituzione è piuttosto simile a quella delle imprese, con il 2005 come “anno mediano”. Nel dettaglio, il 7,3% delle istituzioni non profit è nato nel biennio 2015-2016, una su quattro fra il 2010 e il 2014 e oltre il 30% fra il 2000 e il 2009, il 6,9% è stato infine creato prima degli anni ottanta

L’età media delle istituzioni non profit varia in relazione alla localizzazione territoriale e, come atteso, alla dimensione occupazionale. Infatti, le istituzioni nate prima del 2000 sono presenti soprattutto nel Nord-est (43,5%) e nel Nord-ovest (39,6%) mentre al Sud prevalgono quelle costituite a partire dal 2010 (41,6%). Rispetto alle risorse umane impiegate, circa due terzi delle istituzioni senza dipendenti è stata costituita a partire dall’anno 2000 mentre le unità con almeno dieci dipendenti sono nate in anni precedenti nel 62,7% dei casi

Nel biennio 2015-2016 le istituzioni non profit aumentano pressoché in tutte le forme giuridiche ma sono le fondazioni a crescere di più (+16,4%) mentre le cooperative sociali mostrano un lieve calo (-3,3%). L’associazione è la forma giuridica che raccoglie la quota maggiore di istituzioni (85,1%), seguono quelle con altra forma giuridica4 (8,2%), le cooperative sociali (4,5%) e le fondazioni (2,2%). I dipendenti aumentano in misura maggiore nelle fondazioni (+10,3%) e nelle cooperative sociali (+3,0%). La distribuzione dei dipendenti per forma giuridica resta piuttosto concentrata, con il 52,7% impiegato dalle cooperative sociali rispetto al 19,1% e al 12,1% di associazioni e fondazioni. La media dei dipendenti, pari a 27,5 tra le cooperative sociali, scende a 0,5 tra le associazioni.

Rispetto al 2015, le istituzioni in crescita sono quelle impegnate nelle attività della religione (+14,4%), delle relazioni sindacali (+5,8%) e dell’ambiente (+6,2%); al contrario, risultano in calo i settori della cooperazione e solidarietà internazionale (-6,5%), della filantropia e promozione del volontariato (-4,7%) e dello sviluppo economico e coesione sociale (-3,3%) (Prospetto 5). Nonostante tali variazioni, la distribuzione per attività economica permane sostanzialmente stabile, con il settore della cultura, sport e ricreazione che raccoglie quasi due terzi delle unità, seguito da quelli dell’assistenza sociale e protezione civile (9,3%), delle relazioni sindacali (6,4%), della religione (4,8%), dell’istruzione e ricerca (3,9%) e della sanità (3,5%). Nel biennio 2015-2016, i dipendenti crescono in misura relativamente maggiore nel settore della religione (+28,2%) ma anche in quello della cultura, sport e ricreazione (+9,1%) mentre diminuiscono nell’ambito delle altre attività (-16,8%), della filantropia e promozione del volontariato (-9,0%) e della cooperazione e solidarietà internazionale (-6,4%). Sebbene meno concentrati delle istituzioni, oltre la metà dei lavoratori dipendenti ricade nell’ambito dell’assistenza sociale (36,4%) e della sanità (22,6%); seguono quelli impiegati nei settori dell’istruzione e ricerca (15,1%) e dello sviluppo economico e coesione sociale (11,9%).

Il ricorso al personale dipendente è maggiore in alcuni settori d’attività. Se l’85,5% delle istituzioni non profit opera senza personale dipendente, nei settori dell’istruzione e ricerca e dello sviluppo economico e coesione sociale le quote si attestano rispettivamente al 41,2% e al 25,8%. In questi settori circa un’istituzione su quattro impiega almeno dieci lavoratori

Sotto il profilo socio-demografico, l’occupazione dipendente nel settore non profit presenta alcune specificità rispetto a quanto si osserva nelle imprese dell’industria e dei servizi

Tra i dipendenti delle istituzioni non profit la quota di donne è molto superiore a quella di maschi (71,9% contro 28,1%) mentre nelle imprese prevale la componente maschile (59,4%). La distribuzione per classe di età è piuttosto allineata tra settore non profit e profit, con oltre il 57,3% dei dipendenti compreso nella classe 30-49 anni (56,9% tra le imprese), il 31,6% in quella 50 anni e più (27,3% nelle imprese) e l’11,1% sotto i 30 anni (15,6% nelle imprese). I dipendenti delle istituzioni non profit presentano livelli d’istruzione superiori rispetto a quelli impiegati dalle imprese: i laureati sono il 31,0% (14,4% nelle imprese) mentre i lavoratori con al più un attestato di scuola secondaria di primo grado (licenza media) sono circa il 25% (34% nelle imprese). Rispetto al paese di nascita non si notano differenze significative, i lavoratori nati in Italia sono superiori all’85% in entrambi i casi. I lavoratori dipendenti per i quali le istituzioni non profit hanno beneficiato di sgravi contributivi sono 40.436 nel 2016 (5,0% del totale). Nel 70,8% dei casi si tratta di fasce socialmente deboli rispetto all’ingresso nel mercato del lavoro (come detenuti, disabili e donne svantaggiate) mentre le imprese hanno usufruito di agevolazioni fiscali principalmente per l’impiego di giovani (65,4%). L’occupazione dipendente nel settore non profit si differenzia da quella delle imprese anche in relazione all’inquadramento professionale, alla tipologia contrattuale e al regime orario (Prospetto 8). I dipendenti delle istituzioni non profit sono prevalentemente inquadrati con la qualifica di impiegati (54,5%) e lavorano con un regime orario a tempo parziale (51,8%) mentre quelli delle imprese sono assunti principalmente con la qualifica professionale di operaio (54,2%) e con un contratto di lavoro a tempo pieno (71,9%). Inoltre, la quota di lavoratori a tempo determinato è lievemente superiore nel settore non profit rispetto a quella osservata tra le imprese (15,5% contro 12,3%).

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Parità di genere, l’Italia migliora

L'Italia migliora in tema di pari opportunità anche se la sua posizione è inferiore alla media europea, e si colloca appena al 14/o posto fra i 28 paesi membri. Le donne italiane sono ancora molto discriminate in casa, nella parità salariale, nell'occupazione. Lo dice l'Eige (European Institute for Gender Equality) che oggi - in una conferenza organizzata con il Dipartimento per le Pari Opportunità - ha presentato il 3/o rapporto sull'indice di uguaglianza di genere 2017 (periodo 2005-2015) che assegna all'Italia un punteggio di 62,1 (su un massimo di 100 che indica la totale parità) contro un 66,2 di media europea (+4%). Il rapporto (che dal prossimo anno diventerà annuale) lancia anche un allarme con la prima stima sul costo sociale che il nostro paese si trova ad affrontare come conseguenza della violenza maschile sulle donne: 26 miliardi di euro l'anno, praticamente una manovra finanziaria. In generale, il nostro paese è quello che ha fatto registrare i maggiori progressi tra gli stati membri, passando in dieci anni dal 26/o al 14/o posto. "Il rapporto - ha commentato Alessandra Ponari, capo del Dipartimento per le pari opportunità - è uno strumento utile per le decisioni politiche, per individuare le priorità su cui bisogna intervenire, e permette di aumentare la consapevolezza sulla parità uomo-donna. Bene i miglioramenti ma dobbiamo proseguire e migliorare ancora". 

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In Italia il 2018 è l’anno più caldo dal 1800

Il 2018 è l'anno più caldo, almeno in Italia, dal 1800. Si è registrata una temperatura superiore di 1,49 gradi rispetto alla media storica e il 2018 si classifica come l'anno piu' bollente dal 1800, anno in cui sono iniziate le rilevazioni. E' quanto emerge da una analisi dellaColdiretti sulla base dei dati Isac Cnr relativi ai primi nove mesi dell'anno in riferimento all'allarme degli scienziati del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, l'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sul riscaldamento globale. I pericoli dell'Onu riguardano anche la Penisola dove - sottolinea la Coldiretti - si assiste a una decisa tendenza alla tropicalizzazione del clima con il moltiplicarsi di eventi estremi e una tendenza generale al surriscaldamento con la classifica degli anni interi più caldi da oltre due secoli che si concentra nell'ultimo periodo e comprende nell'ordine - precisa la Coldiretti - anche il 2015, il 2014, il 2003, il 2016, il 2007, il 2017, il 2012, il 2001 e poi il 1994. Un fenomeno che - sostiene la Coldiretti - ha cambiato nel tempo la distribuzione delle coltivazioni e le loro caratteristiche con l'ulivo, tipicamente mediterraneo, che in Italia si è spostato a ridosso delle Alpi mentre in Sicilia e in Calabria sono arrivate le piante di banane, avocado e di altri frutti esotici Made in Italy, mai viste prima lungo la Penisola. E il vino italiano con il caldo - continua la Coldiretti - è aumentato di un grado negli ultimi 30 anni, ma si è verificato nel tempo un anticipo della vendemmia anche di un mese rispetto al tradizionale mese di settembre, smentendo quindi il proverbio "ad agosto riempi la cucina e a settembre la cantina", ma anche quanto scritto in molti testi scolastici che andrebbero ora rivisti. Il riscaldamento provoca anche - precisa la Coldiretti - il cambiamento delle condizioni ambientali tradizionali per la stagionatura dei salumi, per l'affinamento dei formaggi o l'invecchiamento dei vini. Una situazione che di fatto - continua la Coldiretti - mette a rischio il patrimonio di prodotti tipici Made in Italy che devono le proprie specifiche caratteristiche essenzialmente o esclusivamente all'ambiente geografico comprensivo dei fattori umani e proprio alla combinazione di fattori naturali e umani.

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Turismo, uno su 4 sceglie l’Italia per l’enogastronomia

Turismo ed enogastronomia rappresenta il binomio vincente per il futuro del settore in Italia. Le eccellenze della gastronomia nostrana rappresentano la prima motivazione di visita nel Bel Paese per 1 turista su 4: nel 2017 si contano oltre 110 milioni di presenze legate al turismo enogastronomico (di questi 43% sono stati italiani e il 57% stranieri), con una spesa che supera i 12 miliardi. I dati di Isnart-Unioncamere, presentati in occasione della conferenza ''Dal Km zero le emozioni del turismo'' all'interno del Villaggio della Coldiretti al Circo Massimo, confermano l'importanza del rapporto tra territorio, turismo e agricoltura per lo sviluppo dell'economia italiana. ''La connessione tra le filiere dell'agricoltura e del turismo - spiega Roberto Di Vincenzo, Presidente Isnart - è una delle basi per lo sviluppo sostenibile del territorio ed elemento distintivo dell'identità italiana. La targa ''Italia'' riesce a dare valore aggiunto alle nostre produzioni e alle realtà locali di origine, aggiungendo al contempo un'impronta emozionale unica ai soggiorni nel Bel Paese''.

La degustazione dei prodotti locali permette al turista di scoprire il territorio, le eccellenze e le tradizioni che rendono unico il nostro Paese. Per questa ragione l'acquisto e il consumo dei prodotti tipici, a Km zero, è sempre più al centro dalle scelte che muovono il turista in Italia: già prima della partenza il 23,8% ricerca informazioni sui ristoranti che offrono piatti caratteristici. La spesa media di questi prodotti si attesta a 13 euro al giorno a persona. Per il consumo di pasti nei ristoranti o nelle pizzerie, ogni turista spende mediamente 25 euro al giorno; mentre la spesa nei bar, caffè e pasticcerie è di 8 euro pro-capite al giorno. Il binomio vincente fra turismo ed enogastronomia emerge anche dal recente sondaggio effettuato su un campione di imprese turistiche ricettive italiane. La ricerca evidenzia come il 25,4% delle aziende turistiche si muovono sempre più verso la creazione di proposte di pregio gastronomico, caratterizzandosi per offerta di prodotti anche molto di nicchia. Il trend è confermato anche a Roma per il 24,8% delle imprese. Nella Capitale l'enogastronomia locale riesce ad attrarre il 27% dei turisti italiani e oltre il 29% di quelli stranieri. I turisti spendono in prodotti tipici circa 11 euro al giorno e per mangiare in ristoranti e pizzerie della Città si calcola una media di 26 euro al giorno a persona.

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Pil: Istat, prosegue fase discendente

 "L'indicatore anticipatore mantiene un profilo discendente, suggerendo il proseguimento di una fase di crescita economica contenuta". Il giudizio e' contenuto nella Nota mensile dell'Istat sull'andamento dell'economia italiana. "L'attuale fase ciclica dell'economia italiana", scrive l'istituto di statistica, "rimane caratterizzata dal rallentamento della produzione industriale accompagnato tuttavia da un recupero delle esportazioni. Segnali positivi provengono dal mercato del lavoro con una ripresa dell'occupazione e una significativa riduzione della disoccupazione. L'inflazione rallenta, mantenendosi su livelli inferiori a quelli dell'area euro".

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Confermata la frenata dei consumi nel secondo trimestre

Confermata la frenata dei consumi nel secondo trimestre dell'anno in corso, come il nostro indicatore mensile sui consumi (ICC) lasciava presagire già da alcuni mesi. La debolezza della spesa delle famiglie, che influisce negativamente sulla ripresa, sembra determinata, più che da un peggioramento delle condizioni economiche familiari, dall'incertezza sulle prospettive future del sistema Italia, con il conseguente incremento della propensione al risparmio. E' il commento dell'Ufficio Studi di Confcommercio sui dati di Istat di oggi. 

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Casa, il prezzo medio è 1.772 euro al metro quadrato

Il terzo trimestre si chiude con una nuova battuta d'arresto per le case di seconda mano in Italia, con una flessione dell'1,4% nei tre mesi e del 2,5% su base annua. Il trend negativo dei valori porta il prezzo di richiesta a una media di 1.772 euro/m², ai minimi in oltre 7 anni di rivelazioni dell'ufficio studi di idealista. Lo rende noto uno studio di Idealista. Il trend negativo dei valori immobiliari investe tutte le regioni italiane a eccezione di Basilicata (6%%), Molise (3,2%) e Calabria (0,5%). I ribassi percentuali più elevati si registrano in Friuli Venezia Giulia (3,3%), Lazio (-3%) e Valle d'Aosta (2,7%); 14 regioni segnano cali compresi tra il 2,5% dell' Abruzzo e lo 0,5% delle Marche. La Liguria, in flebile calo rispetto a 3 mesi fa, guida la graduatoria dei valori regionali con i suoi 2.548 euro al metro quadro davanti a Valle d'Aosta (2.358 euro/m²) e Trentino Alto Adige (2.351 euro/m²). La regione più economica è ancora un altro trimestre in più la Calabria, con 889 euro al metro quadro, davanti a Molise (1.038 euro/m²) e Sicilia (1.105 euro/m²).

Il trend discendente dei prezzi delle case si conferma in oltre il 60% dei mercati provinciali monitorati nel corso del terzo trimestre dell'anno. Alcune macrozone mostrano ancora una una certa instabilità con le variazioni più marcate a Gorizia (-8,9%) e Agrigento (-8,5%), seguite da Brindisi (-7,1%). Percentuali di ribassi sopra la media del periodo caratterizzano ben 36 mercati da Vercelli (-6,5%) a Latina (-1,5%). All'opposto i rimbalzi maggiori si rilevano nel materano, con un incremento delle richieste da parte dei proprietari del 7,6% (il territorio è entrato nel circuito delle Città Europee della Cultura), davanti a Rimini (3,8%) e Sondrio (3,7%). Sul fronte dei prezzi di vendita Savona (3.386 euro/m²) è la più cara, davanti a Bolzano (3.165 euro/m²) e Firenze (2.651 euro/m²), che scalza dal podio Imperia. Nessun ribaltone nella parte bassa, dove Agrigento (776 euro/m²) e Caltanissetta (739 euro/m²) precedono Biella, fanalino di coda con 638 euro. Complessivamente i prezzi della case sono scesi ancora durante i mesi estivi in 59 delle 104 città monitorate in questo rapporto. Le svalutazioni più forti si registrano a Chieti (-5,6%), Matera (-4,7%) e Frosinone (4,5%). A Roma i prezzi si sono ridotti di un ulteriore 1,3%, mentre a Milano i prezzi segnano un incremento dello 0,8%. Cuneo e Pavia, con un aumento del 5,6%, sono i capoluoghi di provincia dove i proprietari hanno aumentato di più le loro pretese, davanti a Napoli (4,5%). Venezia (4.425 euro/m²) è il capoluogo più caro d'Italia seguita da Firenze (3.601 euro/m²), Milano (3.402 euro/m²), Bolzano (3.400 euro/m²) e Roma (3.111 euro/m²). Nella parte bassa del ranking Caltanissetta è la nuova maglia nera con 706 euro al metro quadro.

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Per il 56% degli italiani la prossima auto nuova sarà probabilmente elettrica

 Per il 56% degli italiani la prossima auto nuova sarà probabilmente elettrica e per il 38% l'Ue dovrebbe imporre zero emissioni per le vetture entro il 2030. Sono alcuni dei risultati di un'indagine svolta dalla Ong Transport & Environment su un campione di 4.500 persone in nove paesi dell'Ue (oltre all'Italia: Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Ungheria, Polonia, Spagna e Svezia). Il sondaggio arriva a pochi giorni dal voto dell'Europarlamento sui limiti di emissione di automobili e furgoni. Gli italiani sono i più accesi sostenitori dell'idea, molto radicale ma in linea con gli obiettivi dell'accordo sul clima di Parigi, di vetture a zero emissioni entro il 2030, ma credono meno di altri europei (55% contro media del 62%) che le case automobilistiche non facciano abbastanza per aumentare l'offerta di veicoli ecologici. Anche se il 62% di coloro che probabilmente non avranno un auto nuova elettrica ha dichiarato che uno dei principali ostacoli è il prezzo. Altre barriere sono la mancanza di punti ricarica (49%) e di informazioni sul nuovo tipo di veicoli (18%). Una percentuale molto alta degli intervistati, il 69%, pensa che il governo nazionale dovrebbe imporre ai costruttori di vendere auto elettriche.

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Coldiretti, allarme maltempo colpisce vigneti dove e’ in pieno svolgimento la vendemmia

"L'allarme maltempo colpisce i vigneti dove e' in pieno svolgimento la vendemmia favorita dal lungo periodo di caldo". E' quanto ha affermato la Coldiretti in relazione all'allarme della protezione civile che riguarda importanti regioni vitivinicole. Un brusco cambiamento dopo un lungo periodo di bel tempo che ha favorito le operazioni di raccolta, aumentato il contenuto in succo degli acini e incrementato i contenuti zuccherini. "La vendemmia quest'anno - ha spiegato la Coldiretti - si prevede con una produzione complessivamente in aumento tra 10% e il 20% con circa 46/47 milioni di ettolitri, rispetto ai 40 milioni dello scorso anno, che garantisce all'Italia il primato mondiale. In questo momento e' in corso la raccolta delle grandi uve rosse autoctone Sangiovese, Montepulciano, Nebbiolo e poi si proseguira' addirittura fino a novembre con le uve di Aglianico e Nerello". Secondo la Coldiretti, con la raccolta di tutte le diverse uve, la produzione tricolore sara' destinata per oltre il 70% dedicata a vini Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata, 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita, e 118 vini a indicazione geografica tipica riconosciuti in Italia e il restante 30% per i vini da tavola. Il tutto in un 2018 che ha registrato il record storico delle esportazioni di vino Made in Italy con un aumento del 5,9% rispetto allo scorso anno quando avevano raggiunto su base annuale i circa 6 miliardi di euro diventando la prima voce dell'export agroalimentare

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