L’Osservatorio

Gli italiani preferiscono l’acqua minerale

Gli italiani non si fidano nel bere acqua di rubinetto e preferiscono spendere 12 euro al mese per la minerale. Secondo l'Istat, la percentuale delle famiglie che preferisce le bottiglie di acqua minerale (causando indirettamente maggiore inquinamento di plastica) e' si' diminuita passando dal 40,1% del 2002 al 29,0% del 2018, per un numero complessivo di famiglie pari a 7 milioni 500 mila, ma resta comunque elevata. E notevoli sono le differenze territoriali: si passa dal 17,8% del Nord-est al 52,0% delle Isole, con la percentuale piu' elevata in Sicilia (53,3%), seguita da Sardegna (48,5%) e Calabria (45,2%). E' l'Umbria in testa per il consumo di acqua minerale. Se, secondo l'Istat, sono il 63% le famiglie in cui almeno un componente beve quotidianamente oltre un litro di acqua minerale la percentuale piu' elevata si registra nelle Isole (69,0%), quella piu' bassa al Sud (55,8%). Tra le regioni e' l'Umbria a guidare la graduatoria (71,0%), per il Trentino-Alto Adige si registra il valore piu' basso (43,7%). Nel 2017, considerando tutte le famiglie italiane, la spesa media mensile calcolata per il consumo di acqua minerale e' pari a 11,94 euro, in aumento dell'11,1% rispetto al 2016.

Le famiglie che nel 2017 hanno dichiarato di acquistare acqua minerale nei 14 giorni di compilazione del Diario spese sono il 69,8% del complesso delle famiglie italiane, con una spesa pari a 7,88 euro. Frequenze di acquisto superiori alla media si riscontrano in alcune regioni del Mezzogiorno. La quota di famiglie che effettuano la spesa supera il 75% nelle regioni: Sicilia (78,8%), Campania (78,0%), Abruzzo (76,9%) e Sardegna (76,3%). I valori piu' bassi si riscontrano in Trentino-Alto Adige (35,5%) e in Valle d'Aosta (50,2%). Le famiglie che hanno dichiarato di effettuare questa spesa rappresentano il 78,3% del totale. In particolare, tali valori sono superiori al 90% in cinque regioni, localizzate nel Sud e nel Centro: Abruzzo (94,8%), Basilicata (94,1%), Puglia (91,3%), Molise (90,6%) e Umbria (90,1%). Le percentuali piu' basse si registrano nel Lazio (60,1%) e in Lombardia (62,0%). Rispetto al 2014, si osserva nel complesso una crescita delle spese familiari per acqua minerale (+20,6%) maggiore rispetto a quelle per la fornitura di acqua alle abitazioni (+11,8%).

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Bioeconomia, in Italia vale 330 miliardi di euro

"La bioeconomia in Italia nel 2017, secondo le nostre stime aggiornate, arriva a coprire circa 330 miliardi di euro di produzione. Piu' o meno il 10 per cento della produzione nazionale, per oltre due milioni di occupati. E' un dato interessante. Un sistema di settori che ha assunto nel tempo un ruolo crescente nell'economia italiana: nel 2008 questo insieme di settori pesava 8,8 per cento". Cosi', Stefania Trenti, della direzione Studi e ricerche intesa San Paolo descrive uno dei settori in crescita dell'economia italiana. E lo fa da Bari in occasione della presentazione del quinto rapporto intitolato 'La bioeconomia in Europa' realizzato dalla direzione studi e ricerche di Intesa San Paolo. La bioeconomia e' "l'insieme delle attivita' umane che utilizzano materie prime naturali di origine biologica rinnovabile - spiega Trenti - partiamo dal mondo dell'agricoltura, della silvicultura, della pesca. E poi le risorse marine e a scendere la produzione del cibo, il mondo dell'alimentazione e tutta una serie di altri settori che utilizzano queste risorse"

Nella bioeconomia rientrano anche "il mondo del legno e della carta, a cui e' dedicato il focus di - abbiamo tutta la filiera del tessile - prosegue Trenti - l'abbigliamento, la concia, le calzature, abbiamo poi il mondo molto innovativo e interessante della biochimica e della bio farmaceutica". Dal report emerge che a livello europeo a farla da padrone e' la bioeconomia della Germania, seguita da Francia e Italia. "Una cosa originale della nostra definizione, ci discostiamo un po' dalla definizione standard del livello europeo perche' noi abbiamo incluso nella bioeconomia tutta la fase di raccolta e trattamento dei rifiuti a valle e il ciclo idrico perche' siamo convinti che senza queste componenti, nel nostro Paese oggettivamente sarebbe difficile sviluppare tutto il potenziale perche' stiamo parlando di sfruttare al meglio delle risorse di scarto e sovrapporre la produzione di bioplastiche, di bio componenti in biochimica a quella per l'alimentazione", evidenzia Trenti convinta che il "futuro bisogna crearlo, soprattutto nella biochimica: il futuro la chimica e' verde, ma bisogna creare le condizioni affinche' si sviluppi pienamente". "Uno dei settori che nell'ultimo decennio e' cresciuto maggiormente e' la fase di raccolta e trattamento dei rifiuti e anche li', nonostante l'italia sia una eccellenza a livello europeo, un potenziale di miglioramento c'e'", conclude Trenti.

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Oltre 6 milioni di italiani in aree ad elevato e medio rischio di alluvioni

In Italia, oltre 6 milioni di abitanti risiedono in aree ad elevato e medio rischio di alluvioni mentre la popolazione a rischio frane, se si considerano le due classi a maggiore pericolosita' (elevata e molto elevata), e' pari a oltre 1,2 milioni di abitanti. Lo indica l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nell'edizione 2018 dell'Annuario dei dati ambientali presentato oggi a Roma. Dalla banca dati relativa al dissesto idrogeologico emerge che nel 2017 ci sono state 172 frane importanti che hanno causato in totale 5 vittime, 31 feriti e danni prevalentemente alla rete stradale, eventi distribuiti in particolare nelle regioni Abruzzo, Campania, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Lombardia e Marche. Quanto ai terremoti, nel 2017 quattro eventi hanno raggiunto e superato magnitudo 5, tutti avvenuti il 18 gennaio, con epicentri in provincia de L'Aquila. Quelli di magnitudo pari o superiore a 4 sono stati 16, di cui 13 nel Centro Italia.

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Lavoro, solo 1 disoccupato su 5 va al centro per l’impiego

I disoccupati italiani che nel quarto trimestre del 2018 si sono rivolti a un centro pubblico nella speranza di trovare impiego sono stati appena il 20,8% del totale (585.000 persone) con un calo di 4,5 punti rispetto allo stesso periodo del 2017. E' il dato piu' basso dall'inizio delle nuove serie storiche (2004) dell'Istat sul tema. E' cresciuta ancora invece la percentuale di coloro che si rivolgono per cercare lavoro a parenti e amici (85%). I centri per l'impiego saranno lo snodo per il reinserimento dei beneficiari del reddito di cittadinanza nel mercato del lavoro. 

In pratica su 2,8 milioni di disoccupati registrati nel quarto trimestre del 2018 sono 585.000 hanno varcato la porta di un ufficio per l'impiego pubblico (il 20,8%) mentre 2,38 milioni hanno tentato la carta degli amici e conoscenti (l'85% del totale, in crescita sull'83,3% di un anno prima e sul 75,8 del quarto trimestre 2004). Quindi guardando alla totalita' dei canali per la ricerca di lavoro quasi tutti spargono la voce tra i propri conoscenti mentre solo uno su cinque spera nell'aiuto pubblico. E' crollata la percentuale di coloro che guardano le offerte di lavoro sui giornali (dal 31,5% del quarto trimestre del 2017 al 26,1% del quarto trimestre del 2018 ma era il 56% nel 2004) mentre sale al 59% quella di coloro che cercano lavoro anche attraverso gli annunci su internet (era al 56,9% nel quarto trimestre 2017 ma appena il 20,4% nel quarto trimestre 2004). Circa due su tre disoccupati inviano curriculum (il 66,7%, era il 49,1% nel 2004). Le agenzie private per il lavoro perdono smalto (solo l'11,2% vi si e' rivolto nell'ultimo trimestre del 2018 rispetto al 14,8% di un anno prima) mentre solo il 2,3% ha affrontato prove per un concorso (era il 2,4% l'anno prima). Lo scarso utilizzo del canale pubblico per la ricerca dell'impiego probabilmente e' collegato anche al risultato che i diversi canali hanno avuto nel tempo per la ricerca di lavoro. Secondo la rilevazione sulle forze di lavoro dell'Istat riferita al 2017 il canale di ricerca piu' proficuo per trovare l'occupazione attuale delle persone intervistate e' stato il contatto con amici e parenti (40,7%, ma e' il 50,3% per le persone che hanno al massimo la licenza media). Il ricorso ai centri per l'impiego e' stato ritenuto utile invece solo dal 2,4% degli intervistati (1,8% nelle regioni del Nord, 2,8% nel Mezzogiorno).

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Fondo Centrale di Garanzia per il credito a Pmi e professionisti

E' in vigore da oggi la riforma del Fondo Centrale di Garanzia, lo strumento del ministero dello Sviluppo economico che garantisce il credito a pmi e professionisti. Nella nuova versione, avviata da un decreto del 2017, attivato con un provvedimento del 2018, si prevede tra l'altro un ampliamento delle platea dei beneficiari ed una percentuale garantita maggiore per le aziende a rischio. L'intervento e' concesso, fino ad un massimo dell'80% del finanziamento, su tutti i tipi di operazioni sia a breve sia a medio-lungo termine, tanto per liquidita' che per investimenti. Il Fondo garantisce a ciascuna impresa o professionista un importo massimo di 2,5 milioni di euro, un plafond che puo' essere utilizzato attraverso una o piu' operazioni, fino a concorrenza del tetto stabilito, senza un limite al numero di operazioni effettuabili. LO scorso anno il Fondo ha erogato 19,3 miliardi di finanziamenti a piu' di 129 mila imprese.

La riforma del Fondo Centrale di Garanzia, operativa da oggi, potrebbe 'liberare' circa 7 miliardi di euro prestiti in piu' ogni anno per le imprese. A stimare gli effetti della riforma e' l'Ufficio Credito Confesercenti.

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Coldiretti: Rischio dazi Regno Unito su Grana e Parmigiano

Dazi di 24,9 euro al quintale sono pronti a scattare il 29 marzo per le importazioni di tutti i tipi di formaggi grattugiati che colpiscono in particolare le esportazioni di Grana Padano e Parmigiano Reggiano in busta e barattolo. Lo rende noto la Coldiretti in riferimento alla pubblicazione da parte del governo britannico del nuovo regime tariffario all'importazione in caso di mancato accordo entro il 29 marzo. Se non si raggiunge prima l'intesa con l'Unione europea, scatta dunque una misura che - sottolinea la Coldiretti - rischia di frenare un segmento particolarmente dinamico delle esportazioni di Grana Padano e Parmigiano Reggiano in Gran Bretagna dove le spedizioni hanno raggiunto il valore di 85 milioni di euro nel 2018. Tra i settori ai quali Londra intende garantire tutele particolari in caso di Brexit figurano infatti, oltre alle auto, i prodotti agricoli come - precisa la Coldiretti - carne di manzo, agnello, maiale, pollame e lattiero caseari per sostenere allevatori e agricoltori locali. 

A beneficiare delle nuove misure che resterebbero in vigore per 12 mesi sarebbero - continua la Coldiretti - solo i Paesi non membri dell'Ue la cui quota di esportazioni verso il Regno Unito non soggetta a tariffe aumenterebbe infatti dall'attuale 56 al 92%, mentre per i beni in arrivo dall'Unione europea, che attualmente sono tutti esenti da dazi, con il nuovo regime entrerebbero liberamente in Gran Bretagna solo nell'82% dei prodotti. Senza accordo - continua la Coldiretti - un problema riguarda anche la tutela giuridica dei marchi con le esportazioni italiane di prodotti a indicazioni geografica e di qualità (Dop/Igp) come il Grana e il Parmigiano Reggiano, che incidono per circa il 30% sul totale dell'export agroalimentare made in Italy, e che senza protezione europea rischiano di subire la concorrenza sleale dei prodotti di imitazione da Paesi extracomunitari. 

Il regime tariffario più vantaggioso previsto per alcuni prodotti di questi Paesi, sottolinea ancora la Coldiretti, rischia peraltro di avere effetti negativi sull'export di prodotti made in Italy, che nell'agroalimentare hanno raggiunto il record storico di 3,4 miliardi di euro nel 2018, con un incremento del 2% rispetto all'anno precedente. Dopo il vino, che complessivamente fattura sul mercato inglese quasi 827 milioni di euro, spinto dal boom del Prosecco Dop con 348 milioni di euro, al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti in Gran Bretagna c'è - conclude la Coldiretti - l'ortofrutta fresca e trasformata come i derivati del pomodoro con 234 milioni, ma rilevante è anche il ruolo della pasta, dei formaggi e dell'olio d'oliva

 

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I vini più venduti nei supermercati, buone performance del Montepulciano d’Abruzzo

Nella Grande distribuzione si sono venduti nel 2018 più di 619 milioni di litri di vino italiano per un valore di 1 miliardo e 902 milioni di euro. Tra i vini più venduti ai primi posti della classifica nazionale si trovano Lambrusco e Chianti, con buone performance di Montepulciano d’Abruzzo, Muller Thurgau, Gutturnio e Primitivo. Nella speciale classifica dei vini “emergenti”, cioè a maggior tasso di crescita, va sottolineato l’exploit del Lugana, un bianco doc prodotto soprattutto nelle provincie di Brescia e Verona, che conquista il primo posto con un aumento a volume del 22,1% nel 2018 (e a valore del 24,2%). Crescono in modo rilevante Passerina e Ribolla ed entrano tra i top 15 Grignolino, Cerasuolo, Refosco e Aglianico (vedi tabelle allegate). Aumentano le vendite degli spumanti che crescono del 2,1% a volume, mentre i vini Doc e Docg chiudono a - 0,7%, con un prezzo medio di 4,74 euro al litro. I vini Igt perdono il 2,4% ed i vini generici l’8,9% (a volume, bottiglia 0,75).Il dato complessivo del vino confezionato (che comprende il brik, il bag in box e altro) vede una flessione del 4,4% a volume, ma un aumento a valore del 2,9%. Aumentano sensibilmente vini e spumanti biologici, rispettivamente del 18% e dell’11,8%, ma le vendite nei supermercati sono ancora limitate a circa 5 milioni di litri l’anno. Per quanto riguarda i formati, cala ancora il brik col - 5,6%, mentre continua a crescere il bag in box col +10,3% (a volume). Oltre agli effetti della scarsa vendemmia del 2017 che hanno fatto lievitare i prezzi del vino nel canale di vendita della Gdo, IRI ha individuato una concausa nel processo di aumento del valore del vino, in corso da anni, che porta ad un aumento dei prezzi ed ad una diminuzione delle promozioni.

La ricerca completa dell’IRI verrà presentata a Vinitaly lunedì 8 aprile nel corso della tradizionale tavola rotonda organizzata da Veronafiere, con la partecipazione di cantine e catene distributive. “L’analisi dei dati che ogni anno proponiamo attraverso la collaborazione con IRI, rivolta a sondare il mercato del vino nello specifico segmento della grande distribuzione organizzata, è uno degli strumenti di lettura delle tendenze in atto che offriamo agli operatori del settore e ai nostri espositori in particolare”, sottolinea Gianni Bruno, Exhibition Manager Wine&Food di Veronafiere. 

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Torna FareTurismo con opportunità di lavoro per i giovani

Torna FareTurismo, ideato e organizzato dalla Leader srl e giunto alla 21ma edizione (all'attivo 11 a Salerno, 8 a Roma e 1 a Milano con il patrocinio di Expo): una preziosa opportunità per i giovani che progettano il proprio futuro professionale nel mondo del turismo e per gli addetti ai lavori che desiderano aggiornarsi e confrontarsi. Il ricco programma dell'edizione 2019, presso l'Università europea di Roma, da mercoledì 13 a venerdì 15 marzo, prevede: colloqui di orientamento universitario a cura degli psicologi di UEROrienta; incontri domanda-offerta lavoro attraverso colloqui di selezione con i responsabili delle risorse umane di 24 aziende turistiche; orientamento sulla formazione post diploma (corsi Its, lauree triennali e magistrali) e post laurea (master di 1° e 2° livello) con la partecipazione di Its e Università. E ancora: presentazione delle competenze emergenti e delle figure professionali con la partecipazione di manager dell'industria turistica; seminari di aggiornamento a cura delle organizzazioni di categoria e delle associazioni professionali; incontri dei presidenti dei corsi di laurea in Turismo (Sistur) e dei dirigenti scolastici degli Istituti alberghieri (Renaia) e degli Istituti tecnici per il turismo (Renatur). Nel Salone Espositivo, la Regione Lazio, Roma Capitale, l'Ebit-Ente bilaterale industria turistica, le organizzazioni nazionali di categoria, le associazioni professionali, le agenzie per il lavoro e di web recruiting forniranno informazioni sulle opportunità occupazionali e sui percorsi da intraprendere per formarsi e lavorare nel turismo. 

Le tematiche di interesse dei seminari vanno dai consigli su come si scrive e aggiorna un cv alla formazione di perfezionamento negli hotel, dal Revenue Management nel mondo del food&beverage agli approfondimenti sulle professioni di concierge, guida turistica e ristoratore. Nell'edizione del 2018 sono stati 6.000 i visitatori, 34 gli espositori, 1.000 i colloqui di selezione per 200 profili ricercati in Italia e all'estero da 28 aziende turistiche; 15 tra conferenze e seminari di aggiornamento professionale; 3 giorni di colloqui di orientamento al lavoro con i centri per l'impiego, il Servizio Eures, Porta Futuro Lazio; 3 giorni di colloqui psico-attitudinali con l'Università europea di Roma; oltre 50 tra Istituti professionali dei servizi per l'enogastronomia e l'ospitalità alberghiera, Tecnici del turismo e Commerciali con indirizzo turistico con 2.500 studenti e 200 docenti provenienti da 9 regioni (Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Veneto)

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La popolazione residente nei comuni capoluogo di provincia ammonta a quasi 8,5 milioni

 La popolazione residente nei comuni capoluogo di provincia ammonta a quasi 8,5 milioni, mentre sono oltre 30 milioni gli abitanti residenti negli altri comuni delle corone provinciali. E’ uno degli aspetti messi in luce dal dossier realizzato da Anci e Ifel e diffuso in concomitanza con la prima Conferenza annuale dei Sindaci delle Città medie in corso di svolgimento a Parma. Secondo lo studio, invece, nelle città metropolitane la situazione è capovolta: la popolazione è maggiormente concentrata nei comuni capoluogo (9,5 milioni di persone) piuttosto che nei capoluoghi (12,3 milioni gli abitanti nei comuni delle corone).I comuni capoluogo di provincia hanno un’estensione territoriale di quasi 16mila chilometri quadrati; solo il 16% di questo territorio risulta urbanizzato, con forti differenze tra nord, centro e sud Italia. Nei capoluoghi del nord l’urbanizzato raggiunge talvolta anche punte superiori al 60% (Biella, Como, Bergamo, Monza, Brescia, Udine e Padova); l’unico capoluogo del sud ad avere una percentuale altrettanto alta è Pescara con il 77%.

In generale, vive nelle 93 province italiane il 64% della popolazione italiana. L’invecchiamento della popolazione italiana è un fenomeno più evidente nei capoluoghi (di provincia e di città metropolitana) piuttosto che nei comuni esterni. Sono soprattutto i capoluoghi del nord a registrare il più alto tasso di invecchiamento della popolazione (25,1% nei capoluoghi di provincia, 25,2 nei capoluoghi di città metropolitane).I comuni capoluogo di provincia accolgono quasi 1,2 milioni di laureati, pari a quasi il 20% dei laureati italiani. In misura percentuale nei comuni capoluogo di provincia ha un titolo universitario il 15,1% della popolazione da sei anni in su. Le città capoluogo - sia di provincia che di città metropolitane - accolgono la stragrande maggioranza dei corsi di laurea. Infine quasi la metà dei corsi di laurea è presente nei capoluoghi di provincia, equamente distribuiti tra nord, centro e sud del Paese.

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