Le Idee

La scomparsa del prof. Carlo Umberto Casciani

 

La scomparsa del prof. Carlo Umberto Casciani

Si sono tenute il primo novembre a L’Aquila nella cattedrale di Collemaggio le esequie del prof. Carlo Umberto Casciani con grande concorso di gente. Presenti diversi colleghi ed allievi.
Casciani è stato un ricercatore, un docente ed un organizzatore di grandissimo livello. Nato all’Aquila, laureato giovanissimo in Medicina e Chirurgia, si interessò con grande impegno nel trattamento della insufficienza renale. Mentre si trovava negli Stati Uniti a perfezionarsi nell’utilizzo del rene artificiale conobbe il prof.Paride Stefanini che si era recato in visita presso la stessa istituzione dove lavorava Casciani. Stefanini aveva in mente di iniziare una attività di trapianto di rene presso il suo reparto al Policlinico Umberto Primo di Roma. Invitò pertanto Casciani ad entrare nel suo staff. Qualche tempo dopo, nel 1968 Stefanini realizzò il primo trapianto di rene in Italia. Casciani si distinse per la pubblicazione di numerosi lavori che riguardavano il trattamento della insufficienza renale cronica. Altri lavori di fondamentale importanza erano attinenti al funzionamento del sistema immunitario e al trattamento del rigetto del trapianto. La scuola di Stefanini divenne leader dei trapianti visceralo d’organo giovandosi del contributo prezioso dei professori Casciani e Cortesini. Casciani accanto alle doti di ricercatore scientifico che lo avevano reso uno scienziato noto nell’immunologia dei trapianti,possedeva quelle di manager di grande rilievo. Questa è una qualità che pochi sanno essere una qualità degli abruzzesi. Basti riferirsi a Mattioli presidente della Banca Commerciale Italiana e maestro di Cuccia, e a Marchionne. Casciani collaborò con Stefanini alla creazione delle facoltà mediche di Mogadiscio e dell’Aquila, potremmo anzi dire che ne fu “magna pars”. Creò per il CNR un laboratorio di tipizzazione tessutale molto importante per lo studio della compatibilità degli organi da trapiantare.

Alla fine degli anni settanta una legge dello Stato istituì la Seconda Università di Roma con lo scopo di ridurre l’eccesivo numero di professori della Sapienza . L’obbiettivo non fu raggiunto perché per ogni professore che optava per il trasferimento alla Seconda Università la Sapienza ne creava tre o quattro di nuovi. Casciani fu uno dei primi a trasferirsi perché credeva fortemente a questa iniziativa di creare un Ateneo dotato di un grande campus, sul modello delle università anglosassoni. E si deve riconoscere che sotto la guida del Rettore Enrico Garaci in un periodo abbastanza contenuto questa università nota come Tor Vergata, dal nome del luogo in cui fu edificata, raggiunse gli obiettivi prefissati. Tra questi uno dei più difficili da perseguire fu la realizzazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Casciani prima come Presidente del Comitato Organizzatore e successivamente come primo Preside creò l’organigramma della Facoltà dotandola delle strutture di ricerca e cliniche necessarie per iniziare le attività didattiche tenute da un gruppo di docenti,dei veri pionieri di grande qualità. La Facoltà di Medicina e Chirurgia fu una delle prime in Italia ad essere organizzata in Dipartimenti e Casciani fu il Direttore del Dipartimento di Chirurgia.

Casciani ha prodotto un notevole numero di allievi che si sono distinti nella Chirurgia Generale e nella Chirurgia dei Trapianti il cui esponente più prestigioso è il prof. Giuseppe Tisone responsabile del programma di Trapianti di rene e di fegato.

Senza la preziosa opera del prof. Casciani Roma avrebbe ,come minimo, impiegato più tempo per acquisire la leadership nei trapianti d’organo, e la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Tor Vergata non sarebbe forse mai nata.

Le qualità umane di Carlo Casciani sono altrettanto degne di ammirazione. Cattolico praticante, animato da una grande fede, era verso tutti, colleghi, allievi e pazienti generoso, affabile, semplice, alla mano. Impossibile, se lo si conosceva bene e si superava la sua timidezza, non diventarne un amico devoto.

Io mi auguro che le università dell’Aquila, della Sapienza e soprattutto Tor Vergata sappiano onorarne la memoria.

Una ultima considerazione: si usa dire “la scomparsa“ per una persona deceduta, e ho usato questa locuzione per Carlo Umberto Casciani ma mi rendo conto di aver errato perché Carlo vivrà sempre nei cuori degli amici, degli allievi e dei pazienti che lo ricorderanno con immutato affetto.

di Achille Lucio Gaspari

 

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Bacino sciistico della Maiella: due nodi non sciolti nelle scenario delineato dall’assessore Febbo.

Bacino sciistico della Maiella: due nodi non sciolti nelle scenario delineato dall'assessore Febbo.

 

La presentazione dell'ipotesi progettuale di rilancio del Bacino sciistico della Maiella formulata dall'Assessore Febbo, pur positiva nell'intento di passare rapidamente ad una fase operativa, non scioglie tuttavia due nodi dirimenti da tempo sul tappeto e posti all'attenzione della Regione da parte del Comune di Roccamorice: 1. quello relativo alla disponibilità pubblica, effettiva ed attuale, dei terreni di uso civico demaniale su cui dovrà sorgere l'impianto di collegamento tra le due substazioni di Passo Lanciano e Maielletta, il cui mutamento di destinazione d'uso è stato di recente concesso dalla Ragione a favore di un privato, dopo regolare procedimento amministrativo, e, soprattutto, quello del necessario riequilibrio nel paniere degli investimenti pubblici tra il versante di Chieti e quello di Pescara della Maiella, rappresentato dalla montagna di Roccamorice e Caramanico Terme. In altri termini, la Regione non può, ad un tempo, concedere un terreno ad un privato e dichiarare di voler realizzare sul medesimo terreno un intervento pubblico. Può farlo assumendo atti amministrativi conseguenti di sua espressa competenza che, ad ora, non ha posto in essere. Su un piano strategico complessivo, il versante di Roccamorice attende da tempo investimenti sulla S.P. 64 di accesso alla sommità della montagna, la possibilità di giungere all'arroccamento previsto sul proprio territorio con mezzi di natura pubblica ed ecologica, l'infrastrutturazione di un versante della Maiella assolutamente primario per valori di paesaggio e di fruizione turistica (Eremi celestiniani, capanne in pietra a secco, Parete dell'Orso di arrampicata sportiva) che necessita di attenzione anche alla luce dei numeri di visitatori registrati nelle ultime stagioni (si pensi solo agli oltre 15mila ingressi a Santo Spirito a Maiella). Neanche un centesimo dei venti milioni di euro sarà destinato all'accesso pescarese, e non ci si può limitare a prefigurare un impegno futuro nella prossima programmazione europea di risorse per investimenti. Occorreva un riequilibrio fin da ora. Tra l'altro, l'idea di costruire una formula di accesso dal lato pescarese del tutto compatibile, sul piano ambientale, con mezzi pubblici e ecologici in luogo delle vetture private, avrebbe rappresentato una soluzione contemporanea e nuova per la fruizione della montagna invernale. Sul piano dei tempi, per giunta, siamo solo alla fase della progettazione preliminare. Occorrerà dettagliare gli interventi. Auspico, in tal senso, un coinvolgimento nel merito analitico delle proposte progettuali dei Comuni coinvolti e del Parco Nazionale della Maiella.

(di Alessandro D'Ascanio, sindaco di Roccamorice) 

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E’ sempre l’industria la priorita’ per lo sviluppo economico e sociale del nostro paese.

 E’ sempre l’industria la priorita’ per lo sviluppo economico e sociale del nostro paese.
L’accordo Fca-Peugeot e le dichiarazioni del ministro Provenzano.

Nella mia lunga attività sindacale mi sono sempre considerato un sindacalista dell’industria. Infatti

la mia formazione è stata caratterizzata dal rapporto e dalla contrattazione nei grandi gruppi

industriali,soprattutto negli anni ottanta e novanta quando la manifattura italiana era fatta di

eccellenza e di lavoro. Poi è vero che sono giunte le dolorose ristrutturazioni e

l’internazionalizzazione dei processi. E’ vero che molti anni fa un grande dirigente sindacale della

Cgil Gastone Sclavi affermava che “non si potevano avere la piena occupazione ed i cieli puliti” e

quindi anche il sindacato ed i lavoratori hanno dovuto, giustamente, fare i conti, sempre di più, con

la questione ambientale, ma il nostro Paese ha una struttura industriale seconda solo alla Germania.

E quindi, a mio modo di vedere, quando si parla di sviluppo economico del nostro Paese non si può

non partire dalla politica industriale.

Scrivo queste considerazioni,ovviamente, dopo l’annuncio, urbi et orbi, della fusione Fca – Peugeot

che porterà alla creazione di un vero e proprio colosso dell’auto a livello mondiale; un gruppo di 45

miliardi, con 8,7 milioni di auto prodotti. Una sinergica integrazione dettata sia dalla necessità di

essere maggiormente competitivi a livello mondiale per i due gruppi che per essere alla altezza della

sfida del futuro elettrico dell’auto fortemente voluto da Bruxelles e che prevede dal prossimo

gennaio 2020, per i costruttori d’auto, una media di emissione di 95 grammi di anidride carbonica

per chilometro, invece degli attuali 118. Prossimamente si sapranno meglio i dettagli della

operazione, soprattutto sul versante occupazionale, ma sarebbe sbagliato per il sindacato stare sulla

difensiva. Bisogna avere la capacità di entrare nel merito delle scelte aziendali, sapendo che il

livello di contrattazione, in questo caso, diventa necessariamente europeo. In poche parole

l’internazionalizzazione del capitalismo richiede, a mio modo di vedere, un ruolo sovranazionale

della contrattazione e dell’interlocuzione sindacale. E’questa la sfida che il movimento sindacale

confederale italiano deve saper raccogliere e gestire validamente, altrimenti si condannerà ad un

ruolo residuale.

Questa fusione Fca-Peugeot è importante anche per la Sevel di Atessa dove la joint italianofrancese,

dagli anni ottanta ad oggi sta funzionando, dando vita ad una grande realtà industriale

sotto gli occhi di tutti e che ha ancora grandi margini di crescita e di ulteriore sviluppo. Ormai la Val

di Sangro “come valle della morte”è solo un triste ricordo degli anni settanta ed in quella realtà

lavoratori e sindacato possono cogliere questa occasione di cambiamento per richiedere valide

garanzie per il futuro dello stabilimento e dell’indotto, soprattutto sollecitando la Regione ed il

governo sul versante delle necessarie infrastrutture per compiere il necessario salto di qualità in

coerenza con il nuovo progetto industriale della Fca.

Quindi anche in Abruzzo bisogna raccogliere la sfida e rilanciare il ruolo contrattuale del sindacato

e dei lavoratori.

Solamente qualche giorno fa in due interviste al Corriere della Sera ed alla Repubblica il Ministro

per il Sud Giuseppe Provenzano affermava che “non esiste Sud senza l’industria. Un’area di venti

milioni di abitanti senza produzione non ha futuro”. Erano anni che un ministro non si esprimeva

così chiaramente sulle politiche industriali necessarie non solo per il Sud ma per l’intero Paese. Una

prima risposta arriverà dal ruolo che il governo avrà proprio nella vicenda Fca-Peugeot. Che non

potrà essere quello del convitato di pietra!

di Nicola Primavera

 

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Riflessioni sulle elezioni umbre e sulle dichiarazioni dei leaders politici

Riflessioni sulle elezioni umbre e sulle dichiarazioni dei leaders politici

La coalizione giallo-rossa si trovava in una situazione difficile. Confrontando i voti riportati dai partiti di centro destra a quelli del PD e dei 5 Stelle ottenuti nelle recenti elezioni europee, il gap ammontava a dieci punti. Difficile rimontare questo svantaggio; era comunque interessante vedere come gli elettori dei rispettivi partiti avrebbero reagito a questa inedita alleanza in sede nazionale e locale. Il risultato è stato eclatante! il distacco si è raddoppiato arrivando a venti punti. L’aumento dell’affluenza alle urne, che di solito gioca a vantaggio delle sinistre per la loro maggiore capacità di mobilitazione dell’elettorato, ha dimostrato che questa volta sono stati i moderati che in altre occasioni si erano trincerati nell’astensionismo, a correre alle urne. Sono stati i 5 stelle il ventre molle dell’alleanza. Il PD ha perso consensi in modo modesto rispetto alle europee ed in modo rovinoso rispetto alle precedenti elezioni regionali. Dopo l’ubriacatura del 41% il PD ha duramente pagato gli errori in serie del rottamatore e la inefficienza dei governi Renzi e Gentiloni. Un anno all’opposizione e questo inedito ritorno al governo non lo hanno per nulla rinfrancato. La condizione peggiore la vivono però i Grillini. Dopo l’eclatante risultato elettorale delle politiche hanno dimezzato i loro consensi durante la loro collaborazione con la Lega, e, almeno in questa prima esperienza di alleanza con il PD hanno ulteriormente dimezzato i loro consensi. Renzi avendo fiutato la sconfitta ha rifiutato di mettere la sua faccia nella foto di Narni; sterile furbizia perché nei prossimi cimenti elettorali non potrà più nascondersi e allora vedremo che contributo darà alla alleanza di sinistra. Non è difficile prevedere che sarà modesto. Tra i vincitori la parte del leone la fa Salvini. L’elettorato sembra avergli perdonato il colpo di sole del Papeete perché quell’errore di valutazione (credeva di poter andare subito al voto) potrebbe trasformarsi in un grande vantaggio. E’ difficile pensare che l’attuale governo riesca a garantire una robusta ripresa economica e un rafforzamento della sicurezza percepita dai cittadini. Stare all’opposizione rende. Basta osservare che dal 1994 chi ha governato ha sempre perso le successive elezioni. Un buon risultato ha riportato la Meloni che ha ormai superato i consensi che Berlusconi riesce ancora ad ottenere. Forza Italia si sta lentamente spegnendo come un moccolo di candela. Non si comprende perché Berlusconi dopo aver creato una formidabile apparato capta voti (non certo un partito democraticamente gestito ma una struttura finalizzata ai suoi interessi privati), dopo aver ricoperto per tre volte la carica di Presidente del Consiglio, si ostini ancora a non ritirarsi a vita privata. Ci saranno ancora motivazioni di interessi economici? Oppure nella sua ingenuità senile si vede Ministro degli Esteri in un prossimo governo Salvini? Del resto potrebbe giustamente pensare che se quel ruolo lo può ricoprire Di Maio…….Zingaretti è in difficoltà ,il suo sorriso stereotipato si è offuscato ma dalle dichiarazioni rilasciate appare evidente che cercherà di tenere il

governo al riparo da ogni difficoltà. Stessa cosa prospetta Di Maio anche se sul piano locale non è più convinto di realizzare una alleanza strutturale con il PD. Giuseppi nella foto di Narni ci ha messo non solo la faccia ma anche il ciuffo ben curato e verniciato e il fazzolettino a tre punte. Ora dice che questa elezione regionale e anche le prossime non conteranno nulla a livello di Governo. In realtà è il più preoccupato di tutti. La legislatura infatti potrebbe anche arrivare a conclusione per due ottime ragioni. La prima è quella di impedire a Salvini di metter bocca nella elezione del prossimo capo dello stato. La seconda e più importante è che molto probabilmente molti degli eletti che fanno parte della attuale alleanza non torneranno in Parlamento, e all’interno dei partiti sconfitti la attuale classe dirigente verrà travolta. Se altre regioni cadranno sotto i colpi di Salvini chi potrebbe essere sostituito è proprio l’attuale capo del Governo. Conte sa bene che nei dieci anni di governo della sinistra sono cambiati ben sei Presidenti del Consiglio (Prodi, D’Alema, Amato, Letta, Renzi , Gentiloni) e proprio D’Alema dovette dimettersi dopo una dura sconfitta alle elezioni regionali.

Per ora non sembra che le quattro gambe che sorreggono questo governo siano in grado di elaborare strategie capaci di ribaltare la situazione. Tutto però è possibile. Se è infatti difficile prevedere il passato, figuriamoci il futuro.

di Achille Lucio Gaspari

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Famiglie e ceto medio, l’ombra del fallimento

Famiglie e ceto medio, l’ombra del fallimento

Consulta e Cei: fermare disagio e povertà

“In Italia si è registrato un incremento delle famiglie fallite per debiti pari al 33%”.
Famiglie sempre più in crisi, “vampirizzate” dal fisco, messe alle corde dalla dalla mancanza di lavoro per i figli, dagli incentivi per l’assistenza dei componenti anziani. Dalla sfiducia verso l’alternanza di governi che alla fine propongono solo una ricetta: quella di far pagare i costi a chi non può sfuggire a nulla delle burocrazia opprimente, e quindi al carico di bollette, fisco e sanzioni. In pochi, - quando bisogna mettere le mani in tasca alle famiglie italiane -, ricordano il recentissimo dato della Consulta Nazionale Antiusura che dovrebbe far impallidire: nei dieci anni della crisi economica in Italia si è registrato un incremento delle famiglie fallite per debiti pari al 33%. Nei calcoli della Consulta: “si tratta di circa due milioni di nuclei finiti in fallimento tecnico per debito”. Negli ultimi otto anni sono state inoltre vendute all'asta 527mila unità immobiliari: "Un fatto che ha portato alla miseria di altrettante famiglie". A cercare di dare un aiuto alle famiglie è la stessa Consulta Nazionale Antiusura, - ente socio assistenziale della Conferenza episcopale italiana -, formato da 32 fondazioni, collegate alle Diocesi e alle Caritas territoriali, che da 24 anni riescono ad offrire, in modo capillare, il loro servizio alle famiglie strozzate dai debiti.
“Lo scivolamento verso l’insolvenza e l’usura di famiglie appartenenti alla classe media e la mancata applicazione dell’articolo 14 (legge contro l’usura) alle persone fisiche, sono le due emergenze indicate al “Vatican News”, da Maurizio Fiasco, Consulente della Consulta nazionale antiusura.
“Ci due problematiche principali. Una è lo scivolamento nell’insolvenza cronicizzata, quindi nel fallimento economico, anche di famiglie fino a pochi anni fa in perfetto equilibrio”, spiega Fiasco, “quindi famiglie non necessariamente poverissime o che hanno contratto rapporti con credito illegale. E questo è un tema generale dell’Italia: c’è stato un aumento del 53% dei casi di famiglie con insolvenze irreversibili. L’altro, sono le  modalità di usura che richiederebbero anche la denuncia penale ma questo passaggio è frenato al fatto che l’art. 14 della Legge antiusura non si applica alle persone fisiche, cioè non si applica a una famiglia che ha ricevuto un prestito di sussistenza oppure si è indebitata”. Le opere di aiuto verso le famiglie della Consulta e Diocesi sono concrete
“Ogni anno”, rivela il consulente della Consulta, “sono circa 8 mila le famiglie che vengono seguite. Sembra una goccia in un mare, ma è una goccia che si vede, una goccia che mostra che è possibile fare qualcosa. E allora non si capisce perché questa responsabilità non venga condivisa su una scala generalizzata. Se è possibile agire, non si può accettare che non si agisca”. Nel contempo i disagi delle famiglie cambiano natura e si fanno più drammatici.
“Un identikit che si è molto diversificato nel corso degli anni. Inizialmente, con l’opera pastorale di padre Massimo Rastrelli (scomparso lo scorso anno ndr) noi scoprimmo il debito come prestito di sussistenza, quindi le famiglie povere. Ma adesso riguarda anche il ceto medio, ne sono coinvolti anche molti pensionati che si sono indebitati e rischiano l’usura o addirittura coprono debiti usurari dei loro congiunti perché nella famiglia non c’è ricambio nell’afflusso di reddito; insomma, per capirsi, la famiglia-tipo che si regge grazie all’apporto del pensionato convivente e che contiene un ultratrentenne senza lavoro è un caso ricorrente, nelle attività delle fondazioni”. Se i governi fanno finta nulla anzi per beffa si proclama la “fine della povertà”, a occuparsi del clima negativo sono anche le associazioni di categoria imprenditoriali come la Confesercenti che vede nelle piccole e medie imprese e nelle famiglie il motore e il nucleo del Paese, cartine al tornasole di produzione e consumi, che illustrano bene lo stato dell’arte della Nazione.
“L’ombra della recessione spaventano famiglie e attività economiche”, scrive la Confesercenti analizzando i dati dello scorso mese, “un quadro di crescente preoccupazione per il futuro e diffuso pessimismo. In particolare tra le imprese, che nel 2019 hanno registrato, in media, i livelli di fiducia più bassi degli ultimi tre anni. Ma l’ondata di incertezza coinvolge anche i consumatori, e se non sarà risolta rischia di avere seri contraccolpi sulla domanda interna, sugli investimenti e sulle assunzioni”. Confesercenti analizza anche i dati Istat che segnalano come la sfiducia sia ormai entrata nelle case degli italiani e nelle imprese. “La maggior parte degli indicatori di fiducia segnano un arretramento: il clima complessivo delle imprese vede un peggioramento di -2,3 punti, per il piccolo commercio la variazione è di -3,1 e perfino il turismo – nonostante la stagione estiva – subisce un calo di circa 3 punti”, osserva l’associazione degli esercenti, “mentre i consumatori registrano una flessione di 1,5 punti. A pesare, in primo luogo, sono le anticipazioni negative sulla crescita dell’economia italiana, rese ancora più preoccupanti dall’instabilità politica e dalle incertezze sulla futura legge di bilancio”. Il clima di pessimismo, in assenza di decisioni chiare e incisive, per la Confesercenti, determinerà per i prossimi mesi un ulteriore caldo dei consumi.
“Il rischio è che l’incertezza si tramuti dunque in una nuova gelata dei consumi, che aggraverebbe ancora la condizione del piccolo commercio, che già vede sparire circa 14 imprese al giorno”, segnala la Confesercenti, “un triste bilancio che potrebbe peggiorare ulteriormente per gli effetti del calo di fiducia. Una crisi strutturale, per cui abbiamo già chiesto di aprire un tavolo: serve un piano di rilancio per evitare che un pezzo importante della nostra economia sparisca per sempre. Non è un problema dei soli commercianti: la tradizionale rete di vendita aiuta a dare identità ad un luogo e rende maggiormente attrattive le aree urbane, per le quali è un settore economicamente significativo, che contribuisce a produrre reddito locale e occupazione”

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Il duello dei due campioni senza valore

Il duello dei due campioni senza valore

Martedì sera a Porta a Porta è andato in onda il duello tra i due Mattei, due leaders molto ammaccati. Renzi dopo il suo exploit alle europee del 2014 ha inanellato una serie impressionante di errori e di sconfitte. Del tutto recentemente ha favorito la nascita del governo giallo-rosso cui si era violentemente opposto all’inizio di questa legislatura. Ha infatti bisogno di tempo per organizzare il suo partitino; una operazione da prima repubblica che potrà sopravvivere solo con una legge proporzionale pura senza sbarramenti. Ha sbagliato i tempi; altro risultato avrebbe avuto se avesse messo in atto questa operazione dopo il successo elettorale alle europee invece di incaponirsi sul referendum costituzionale, facendo una operazione alla Macron. Ma questo Salvini non glielo ha ricordato. Con il suo scostante atteggiamento da “Pierino so tutto “con un profluvio di parole ha esaltato i suoi trascorsi e i suoi risultati da premier. Salvini gli ha giustamente attribuito l’accoglienza di 500.000 clandestini essendo stato il suo governo a stabilire che gli unici porti di approdo erano in Italia. Che saranno mai 500.000 persone per un paese di 60 milioni di abitanti! come dire: qui c’è posto per almeno per qualche altro milione. Ha avuto buon gioco Salvini a dire che ostacolando gli arrivi e quindi anche le partenze si sono ridotti anche i naufragi e non si è aggravata la condizione di insicurezza che vive il paese dal momento che la percentuale di reati commessi dagli immigrati clandestini è elevatissima rispetto al loro numero, se confrontata con i reati commessi dagli italiani. Dove Renzi è riuscito a mettere in difficoltà Salvini è stato sull’affare del Hotel Metropol di Mosca e sui suoi rapporti con Savoini. Nel contrattacco Salvini ha sottolineato di aver portato la Lega dal 4 al 17% e dopo un anno di governo addirittura al 34% mentre Renzi ha subito una sonora sconfitta elettorale perché l’Italia Intera e in particolar modo il Sud, travagliato da una gravissima crisi economica, gli ha voltato completamente le spalle. La risposta di Renzi è un classico delle opinioni della Sinistra. Salvini diffonde nel popolo la paura di cose che non esistono; chi vota la destra è un fascista e un razzista; nella migliore delle ipotesi è uno scemo e un credulone. L’elettore di sinistra è un esempio di specchiata virtù. Un ragionamento del genere è quanto di più antidemocratico ci possa essere perché da questa posizione a quella di dire che per il bene del Paese è giusto che votino solo le persone che loro ritengono per bene il passo non è poi così lungo.

Noi spettatori, mentre assistevamo a questo confronto, non potevamo non pensare che Renzi che ha collezionato errori su errori e con quel carattere da “bomba” come lo chiamavano i suoi compagni di scuola ha governato a parole, mettendo nei fatti per molteplici ragioni l’Italia in grave difficoltà. Salvini si è auto eliminato credendo di assumere con la sua sfiducia a Conte i pieni poteri. Si è messo fuori dall’Europa che conta legandosi a Stati di seconda categoria che non gli hanno dato il minimo aiuto concreto, e nella questione Savoini si è difeso come un ragazzino sorpreso a rubare la marmellata. L’uno è stato presidente del consiglio per lungo tempo; l’altro lo è stato di fatto per 14 mesi. Ahi serva Italia di dolore ostello, non donna di province ma bordello

di Achille Lucio Gaspari

 

 

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Economia, la sfida della Generazione Z

Economia, la sfida della Generazione Z
Influenzano il mondo e i consumi

Dall”Io” al “Noi”, così i giovani della generazione “Z”, - i nati dopo il 1996 - dicono addio ai Millenials, e diventano i più influenti al mondo per consumi e orientamenti politici e sociali. Ogni epoca ha avuto i suoi cambiamenti generazionali ma l’accelerazione di oggi è tutta legata ai consumi, alle mode, quindi alla disponibilità economica, alla capacità di influenzare una comunità. La generazione Z spende ed è molto coccolata dai media planetari, ha i suoi idoli, modelli alternativi e si sente più coinvolta nella disputa sociale, a differenza dei predecessori Millenials considerati più individualistici. Nel mezzo tra le due generazioni, invece prosperano, ed è il dato più allarmante per l’Italia, i giovani che hanno deciso che non vale la pena impegnarsi in niente, sono i cosiddetti 'Neet' (Not in education, employment or training).

Siamo primi in Europa per Neet, calcolati in oltre 2 milioni di ragazzi che non studiano, non lavorano e non seguono nessun percorso di formazione professionale. La Sicilia è al primo posto con il 38.6% della popolazione giovanile. A seguire ci sono Calabria e Campania. I dati arrivano dalla ricerca di Unicef Italia: “Il silenzio dei Neet. Giovani in bilico tra rinuncia e desiderio”. Peggio dell’Italia solo Grecia, Bulgaria e Romania. Quindi riepilogando, seguendo questa mappa sociologica, i Millenials sono i giovani (o ex giovani) nati tra il 1981 e il 1996 - hanno assistito all’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001; e vissuto con la crisi e la recessione economica del 2008 - crisi che ha rallentato sfavorendo carriere e ambizioni, inoltre sono stati a cavallo di diverse tecnologie e quindi non proprio nativi digitali, nel senso che non si sono destreggiati tra biberon e lo smartphone di mamma e papà. Sui Millenials quindi già cala il sipario, stretti tra crisi economica, esistenziale e le bollette da pagare, si tratta di una fine un po’ triste e ingloriosa viste le tante aspettative dalle “Autostrade informatiche” a “flessibile” è bello. Il sipario, invece, si spalanca per i ragazzi “Z” anzi “Gen Z” i riflettori della grande distribuzione, della moda, delle case discografiche, di produzione di fiction, della pubblicità e innovazioni della rete con le decine di app a loro dedicate. La “Gen Z” viene descritta come protagonista indiscussa: “il gruppo demografico più influente del pianeta, e che entro il 2020, rappresenterà 2.56 miliardi di individui e conterà il 40% dei consumatori”. Malgrado le iperboli sociologiche e commerciali, la nuova generazione ha pure qualche limite, anche se in tempi di Internet non appare tale, ossia la loro attenzione è al di solo degli “otto secondi”, il tempo necessario per decidere se una cosa piace oppure è da eliminare. Sono bombardati da ogni parte giorno e notte, da informazioni e pubblicità, ed hanno sviluppato un metodo che taglia corto sui tempi. Il loro interesse, invece, si focalizza nelle serie trasmesse su piattaforme streaming, e possono fare scorpacciate di ore di finction tv che vede la loro generazione replicata nei protagonisti delle serie tv. Il loro amico preferito è infatti lo schermo dove in media passano nove ore al giorno, circa la metà facendo più cose assieme in quanto sono multitasking.

Per i ragazzi non c’è molta differenza tra mondo reale e quello virtuale dove si trovano benissimo. Dalla loro parte hanno una marcia in più, sono infatti raccontati come diffidenti verso la classe dirigente, meno inclini a prendere tutto per scontato, più sovversivi dalle generazioni precedenti e, soprattutto, cosa che a loro piace e che allarma le grandi catene commerciali, possono con un tweet mobilitare un boicottaggio o creare un movimento per una causa a cui credono. Questo il punto inusuale e forse anche politico, a differenza dei poveri Millenials, che hanno creduto di essere con l’Io al centro del mondo, i Z sono per il “Noi”. La loro abilità sociologica è essere aperti e inclusivi, naturalmente a chi è in sintonia con le loro idee e quelle della loro comunità. In altri versi sono anche il prodotto della globalizzazione, e c’è chi assicura che: “Pensano al Noi in senso globale, non solo al proprio cerchio di amicizie, e sono sensibili al benessere collettivo”. Più in profondità, per gli analisti dei cambiamenti generazioni, si scopre che la “GenZ” non ha un orientamento sessuale ben definito, e si calcola che solo due su tre ragazzi si considera eterosessuale, in più rigettano che ci sia una divisione netta nei sessi. Sono poi ricercatissimi per i consumi che riescono a indirizzare: influenzano i genitori quasi in tutto, dall’acquisto dell’auto, al cibo, agli elettrodomestici, al vestiario che deve essere comodo ed ecologico. Hanno il pallino di essere imprenditori e puntano su loro stessi pensando di avere idee innovative, che possono concretizzarsi e fare soldi a palate. Nel contempo sono presi dal voler essere “Etici” e lottare per cause come ambiente e libertà personale. Il capitolo più controverso della “GenZ” è il loro rapporto con Internet e social media: un odio amore. Avvertono che più si è connessi e più si rischia di essere soli e disorientati, che la vita non è solo nei like, così diversificano. Se i social fanno sentire ansiosi, cercano di staccarsene, disconnettendosi, in questo controverso mondo dei “GenZ” infatti c’è chi è stufo della negatività che può scatenarsi online, ed è anche più geloso della propria privacy. Quindi stop a Facebook (considerato roba passata e per utenti vecchi). Si schermano su sistemi come "Finsta", finti profili Instagram in cui danno accesso a un numero ristretto di amici e sentono meno pressioni di pubblicare immagini di una vita perfetta. “Una delle piattaforme a cui si rifanno maggiormente i membri della Generazione Z è YouTube. In particolare, osservano con assiduità gli Youtuber, veri e propri maestri di vita e modelli d’apprendimento”, racconta la redazione di PopEconomy la prima multipiattaforma multimediale, ottimizzata per il mobile, che “racconta il mondo dei numeri, dell’economia, del lavoro e del futuro come fosse un luna park”. Forse davvero la vita reale è come la ruota della fortuna dei luna park, quindi allenarsi da piccoli porterà bene da adulti. “La Generazione Z è altruista”, annuncia PopEconomy, “la gran parte vorrebbe fare o fa già volontariato. Lotta per i propri diritti, per quelli degli altri e s’impegna nella difesa dell’ambiente”. A tutti gli altri non resta che incrociare le dita.
 

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I Premi Nobel ed i Premi Flaiano

I Premi Nobel ed i Premi Flaiano

Con quella che sembra essere diventata una straordinaria abitudine, i Premi Flaiano sono felicissimi di apprendere che il vincitore del Premio Nobel per la Narrativa 2019 è Peter Handke, già premiato a Pescara nel 1992 per la sezione Narrativa dei Premi Internazionali Flaiano.
Lo scrittore austriaco vinse il Flaiano con il romanzo “L’Assenza“.
Una scrittura che la giuria definì “visiva”, ottemperando così a quel geniale contributo di Handke al cinema di Wenders.
Sfilano così nel tempo, a Pescara, le eccellenze di cui il Flaiano si è fatto portatore, chiamando in causa annualmente scrittori di indiscussa importanza e protagonisti del mondo culturale mondiale, alcuni dei quali insigniti successivamente del Premio Nobel come Seamus Heaney, Josè Saramago, Derek Walcott, Imre Kertesz, Jean Marie Le Clézio, Wole Soynka, Dario Fo, Alice Munro ed oggi Peter Handke.

di Carla Tiboni,  Presidente Premi Internazionali Flaiano

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Una fondazione per recuperare la memoria delle lotte sociali in Abruzzo

Realizzare, in modo permanente, un MUSEO CELDIT nel quartiere che prende il nome dalla
cartiera che per oltre settant’anni è stata una importante realtà produttiva della zona industriale di
Via Piaggio a Chieti Scalo. E’ questa la proposta che Ugo Iezzi, giornalista ed ex sindacalista ha
formulato nei giorni scorsi al momento della presentazione della ristampa del suo bel libro “IL
VILLAGGIO DELLA FABBRICA DI PAPA’”: dal villaggio al museo. L’intento è quello di
recuperare la memoria storica della fabbrica, ma anche della vita associativa, di costume e culturale
della realtà urbana che gravitava intorno alla “fabbrica di papà.” Un mondo che oggi non c’è più,
ma che ha ancora dei valori da trasmettere. soprattutto alle giovani generazioni del nostro territorio.
Bisogna considerare che l’area industriale di Chieti Scalo fino a non moltissimo tempo fa poteva
annoverare realtà industriali significative: la Farad, la Thales, l’Indusnova, la Richard Ginori, la Iac,
l’Agip, la Generaltex ecc. Ogni pomeriggio, circa alle diciassette, non meno di cinquemila operai
invadevano via piaggio per tornare a casa al cambio turno di fabbrica. Oggi questo movimento non
c’è quasi più. Un inesorabile processo di deindustrializzazione ha causato lo smantellamento di una
intera realtà industriale nella Vallata del Pescara che le istituzioni ed anche il sindacato non sono
riusciti ad evitare. A mia memoria è da circa un quarto di secolo che in questa area non si realizza
una nuova importante iniziativa industriale in grado di ridarle nuovo slancio.
C’è anche da considerare che questa è stata un’area in cui si sono sviluppate importanti lotte
sindacali, penso alla Farad, alla Iac, alla Richard Ginori, ad esempio, che hanno visto impegnati i
lavoratori e le organizzazioni sindacali CGIL, CISL,UIL in grandi lotte e manifestazioni che hanno
contribuito a formare anche molti dirigenti sindacali degli anni settanta ed ottanta.
Ed anche di questi importanti momenti, a mio avviso, va cercato di recuperare la memoria storica,
mediante i racconti ed i ricordi di tanti lavoratori esponenti dei Consigli di Fabbrica e di molti
dirigenti sindacali.
E’ questo un progetto che deve avere un respiro regionale ed investire importanti vertenze
occupazionali che si sono svolte nella nostra regione a partire dagli anni settanta in poi. Penso, solo
per fare alcuni esempi, alle vertenze ex Italtel dell’Aquila, alla Monti di Città Sant’Angelo, alla
stessa Montecatini di Bussi sul Tirino.
Purtroppo devo dire che di tutto questo patrimonio sociale, sindacale e politico c’è ben poco. Le
stesse organizzazioni sindacali CGIL CISL UIL,a livello territoriale e regionale, conservano
pochissimi documenti e testimonianze riguardo alle lotte per l’occupazione svoltesi in Abruzzo.
Anche se, ad esempio, la CGIL di Chieti nel celebrare il suo centenario ha riannodato le fila della
vertenza dell’ATI, l’azienda tabacchi, con la lotta delle tabacchine che nel 1968 bloccarono la città
di Lanciano per evitare la chiusura dello stabilimento che poi a metà degli anni ottanta, purtroppo, è
avvenuta.
Quindi la proposta di realizzare un museo permanente di ciò che è stato ed ha rappresentato la
Celdit è sicuramente da sostenere e va realizzato. Ma a mio avviso, è proprio necessario dare vita ad
una vera e propria FONDAZIONE per recuperare, in maniera continuativa e paziente, la memoria
storica delle lotte sociali sviluppatesi nella nostra regione. Ciò non deve assolutamente essere vista
come una inutile operazione nostalgica, ma come un patrimonio ideale che le nuove generazioni
(soprattutto di sindacalisti!) debbono impegnarsi a sviluppare nella nuova realtà sociale e produttiva
del nostro Abruzzo.
di Nicola Primavera

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Greta e San Francesco

Greta e San Francesco

 

Sul Fatto Quotidiano del sabato passato ,il noto e stimato giornalista Massimo Fini ha pubblicato un articolo dall’interessante titolo”San Francesco era meglio di Greta”. La tesi sostenuta è che San Francesco con 5 secoli di anticipo capì che il commercio e l’industria esercitati dal padre ci avrebbe portato, come dice Greta, alle drammatiche condizioni attuali. Se fosse prevalsa la scelta del Santo :povertà, parsimonia, contatto con la natura ,oggi vivremmo in un nuovo Eden. Purtroppo solo lui era in grado di parlare con i lupi che ,almeno quelli del Parco Nazionale d’Abruzzo , aspettano da tanto tempo qualcuno con cui fare un bel discorso. Bisognerebbe, sostiene Fini, tornare a forme di autoproduzione ed autoconsumo tornando tutti a coltivare la terra e vivendo della propria produzione orto frutticola. Chi la terra non la possiede, diciamo noi, potrà farsi un orticello sul terrazzo di casa ,e per chi ha una casa senza terrazzi niente paura; si può sempre trasformare il salotto in una bella serra!. Gli illuministi ,dice Fini, pensavano di essere illuminati dalla ragione ma quando giudicavano il Medio Evo un epoca buia sbagliavano di grosso perché l’epoca buia è quella scaturita dalla rivoluzione industriale . Il Medio Evo ,potremmo dire, è stato un periodo storico di grande laicismo in cui l’invadenza della Chiesa era confinata dentro le mura delle sagrestie. E cosa di meglio che essere servi della gleba e poter fare sempre lo stesso lavoro protetti dal feudatario. La condizione era così appagante che veniva tramandata da padre in figlio. Con la rivoluzione industriale gli operai non erano giustamente più contenti della loro condizione e inviavano i figli all’esercizio del commercio e delle professioni; talvolta addirittura alla vita politica e alla partecipazione allo status della classe dirigente .La produzione alimentare veramente biologica non poteva eccedere certi limiti e la sovra popolazione determinava carestie e fame. Niente paura però, in modo del tutto naturale una bella pestilenza riduceva la popolazione ad un numero adeguato alle condizioni. Non esisteva allora “la idolatria della scienza” sono parole di Fini, e quindi non c’era Fleming con la Penicillina e Jenner con i vaccini, che come tutti ormai sanno fanno male, a perturbare il corso naturale delle cose. Ma molto meglio di Greta questa attuale situazione Fini l’aveva ben compresa trentacinque anni fa e l’aveva illustrata nel suo libro La ragione aveva Torto? Dove dice che bisogna tornare ad essere tutti più poveri; una Decrescita Felice preconizzata cinque lustri fa. A questo punto un dubbio sorge spontaneo. Che abbiano sbagliato tutto i leaders cinque stelle quando si affacciarono festanti al balcone di Palazzo Chigi comunicando felici” abbiamo sconfitto la povertà”? Secondo il pensiero di San Francesco-Greta -Fini avrebbero dovuto cercare di sconfiggere la ricchezza ,ma se continuano con questo passo probabilmente ci riusciranno.

di Achille Lucio Gaspari

 

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