Le Idee

Unione dei Comuni, Di Renzo: in montagna si sopravvive unendo servizi e idee

"Unirsi per sopravvivere, avere il coraggio di uscire dall'isolamento per condividere con gli altri Comuni quasi tutto, questa non è scelta semplice ma una strada obbligata e, anche in questo modo, riducendo e tagliando tutto, riusciamo a malapena a dare ai cittadini solo i servizi essenziali". Tiziana Di Renzo, vice sindaco di Lama dei Peligni, promotrice  dell'Unione dei Comuni della vallata dell'Aventino, é una amministratrice animata da  entusiasmo e passione, ma ammette: "sono troppe le persone anziane che rimangono nei piccoli paesi, mentre i giovani vanno via in cerca di migliori occasioni di vita e di lavoro, ma ora lasciamo il paese anche le famiglie che hanno bimbi piccoli che preferiscono andare altrove dove ci sono più servizi".

Malgrado questo scenario così negativo, lei però non dispera. Cosa le da forza a resistere?

"Sono stata eletta dai cittadini e amministro un piccolo comune montano Lama dei Peligni, ma la mia esperienza è simile a centinaia di altri amministratori sparsi in Italia che vivono in aree appenniniche. La crisi ha travolto le aree interne, i Comuni se vogliono dare ancora dei servizi ai loro cittadini devono unirsi. Le esperienze fatte in altre Regioni del Nord, penso alla Lombardia, alla Toscana, che noi spesso seguiamo sia per le iniziative sul lavoro che sulla sanità, hanno fatto scelte razionali e i frutti si vedono. Anche noi abbiamo fatto questo passo ma le difficoltà sono tante, anche a poter offrire servizi di base".

Quali sono quelli che riuscite ad offrire?

"In primo luogo la scuola, perché rappresenta il futuro, senza di essa non rimarrebbe più nessuno, poi i servizi socio assistenziali, i vigili urbani associati, il servizio urbanistica e l'economato. A livello sanitario siamo riusciti ad ottenere il potenziamento del distretto sanitario, e l'arrivo di una ambulanza per il servizio di 118. Non molto ma sono le cose essenziali"

I Comuni che si sono uniti sono sette, riuscite a cooperare?

"Dobbiamo per forza, lo Stato garantisce poco, così siamo costretti a rivolgerci alla Regione e all'Unione europea dove possiamo partecipare a dei bandi. Il problema maggiore sono gli anziani e i giovani, cerchiamo di dare un aiuto ai primi e trovare una via d'uscita per i ragazzi".


Le risorse da dive arrivano?

"Sembra quasi incredibile, ma siamo fermi a tanti anni fa, ad esempio, c'è chi sfrutta il bosco, chi un poco di turismo, chi qualche attività estrattiva e minuscole realtà artigiane e imprenditoriali. Insomma poche cose mentre le uscite sono tante"

Avranno un futuro le aree montane?

"La crisi delle aree montane è evidente, ma bisogna ragionare come territori e sempre meno come singoli Comuni. Come minuscoli Municipi non riusciremo mai ad uscire dalla crisi. Il prossimo passaggio deve essere la fusione a cui si dovrà arrivare gradualmente, ma quello sarà il futuro". 

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Non solo parole in gioco

C’è una parola in giapponese Komorebi per cui non esiste una traduzione in italiano. E’ una di quelle parole che si devono avvertire con il cuore e con l’esperienza. Non si comprenderebbero altrimenti! Komorebi è la luce soffusa, leggera e sottile del sole che filtrando fra gli alberi e lungo i sentieri dà serenità, bellezza, pace, armonia. In una sola parola, tanti significati ed emozioni.
Ce ne vorrebbe un’altra specifica per riuscire a catturare le varie sensazioni del lettore di fronte ad un libro che ci “ prende”, quella voglia di sottolineare espressioni quasi ci appartenessero o che creano in noi déjà vu o ricordi di eventi che si è vissuto. Un’ unica parola capace di suggerire immediatamente la voglia di far piegoline per lasciare tracce da ricontattare non appena si finiscono i capitoli, quella sorta di effetto “Barnum” per cui ci si immedesima in un profilo psicologico generico, quell’aggrapparsi al dubbio e all’intuizione per conoscere il finale che l’autore ha pensato. Un’unica parola per racchiudere quella sensazione del tempo e dello spazio fermo mentre tuttavia scorre, perché si è assorti, perché si è presenti ma nello stesso tempo assenti, immersi nei propri pensieri, nelle proprie domande, nelle parole di altri.
Ci vorrebbe un’altra parola infine per cogliere tutte le sfumature di emozioni che intervengono quando si condivide una propria solitaria lettura con altri.
Dall’8 maggio con cadenza mensile presso la Biblioteca Comunale di San Valentino si tengono gruppi lettura. Il primo testo scelto e’ stato Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse, classico e moderno allo stesso tempo.
La storia si snoda nel medioevo leggendario del cattolicesimo monastico ma potremmo trovare le anime e gli interrogativi che lo percorrono in ogni epoca, in ogni spazio. Nella storia di forte amicizia fra il dotto e mistico Narciso e l’artista geniale e vagabondo Boccadoro vi è l’eterna lotta fra eros e logos, fra arte e religiosità alla ricerca di armonia e integrazione.
Due frasi estrapolerò dal libro per sottolineare la bellezza di questo romanzo insieme simbolico e picaresco:

« Non è il nostro compito quello d'avvicinarci, così come non s'avvicinano fra loro il sole e la luna, o il mare e la terra. Noi due, caro amico, siamo il sole e la luna, siamo il mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci l'uno nell'altro, ma di conoscerci l'un l'altro e d'imparare a vedere e a rispettare nell'altro ciò ch'egli è: il nostro opposto e il nostro complemento. »

« Ma come vuoi morire un giorno, Narciso, se non hai una madre? »

In un gruppo lettura non si fa critica letteraria, la si può anche fare ma non è quello il fine principale. Si legge da soli e poi si condividono davanti ad un the caldo o un caffè – sono ben accetti anche dolcetti </p data-src= Leggi Tutto »

Giugno 2017: Gent. Sig. Trump

Donald Trump, eletto 45° presidente degli USA con due chiarissimi e potenti slogan “Make America great again”, “America first”, oggi, all’inizio del mese di giugno 2017, a cento anni dalla partecipazione degli USA alla prima guerra mondiale, annuncia l’uscita degli USA dai Trattati di Parigi.

Nel 2015 si tenne a Parigi una conferenza sul clima. Allora tutti i paesi partecipanti adottarono il primo accordo universale, giuridicamente rilevante, sul clima del pianeta. I governi presenti concordarono di prendere provvedimenti per limitare l’aumento medio della temperatura, e ridurre i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici. Secondo John Kerry è una vergogna per gli USA essere usciti unilateralmente dagli accordi di Parigi sul clima che sono di fatto estremamente flessibili, e permettono ad ogni paese di fare i suoi piani, liberamente e senza alcuna limitazione della sovranità. A giustificazione dell’uscita dai trattati di Parigi, il presidente Trump dichiara: “Sono stato eletto dai cittadini di Pittsburgh, non da quelli di Parigi”.

La citazione di questa città della Pennsylvania mi permette di dare un taglio personale a queste riflessioni. Un secolo fa, mio nonno Silvestro Medoro insieme con i suoi compaesani provenienti da Assergi, un paesino alle falde del Gran Sasso, ed anche insieme a tanti irlandesi, in una mistura etnica molto americana, estrasse il carbone dalle miniere della Pennsylvania che fornivano la necessaria energia alle acciaierie di Pittsburgh. Il tempo è passato, sono passate due guerre mondiali, la guerra del Vietnam e l’attacco delle Due Torri.

Gent. Sig. Trump, non si è accorto di quanto tempo è passato dai tempi delle miniere di carbone, e di quante trasformazioni ci sono state a Pittsburgh? Oggi a Pittsburgh gli altiforni non ci stanno più, questa città è diventata la capitale della tecnologia medica più avanzata, a emissioni zero. La città ha votato Hillary per l’80%, e il sindaco di questa città, Bill Peduto ha dichiarato: “Come sindaco di Pittsburgh posso assicurare che seguiremo le linee guida dell’accordo di Parigi per il nostro popolo, la nostra economia e il nostro futuro.” Come lui, la città di New York, tanti sindaci, lo stato della California, numerose aziende e famosi manager.

Sig. Trump, lei, insieme a tutti quelli che lo hanno portato alla Casa Bianca, sta facendo la figura dell’ignorante ottuso, ciecamente legato a ristretti interessi di bottega, a tradizioni antiche, chiuso e impenetrabile a ogni fatto o idea che non stia già da più di 50 anni sotto il suo bel pagliaio biondo/rosso.

Mi dispiace tanto, per quarant’anni ho insegnato la lingua inglese nei licei italiani, avendo l’America come punto di riferimento principale della mia cultura nel senso più ampio del termine: lingua, letteratura, musica, spettacolo, mode. Lei vuole fare l’America grande? Faccia attenzione, se ne è capace. Cito solo un giornale americano, tralasciando quelli europei che non rientrano nella sua cultura. Business Week ritrae un’America che si specchia da sola mentre sta per essere sommersa dall’acqua. Troppo difficile per lei il mito di Narciso, forse qualche volenterosa insegnante di letteratura inglese glielo ha raccontato a suo tempo, ma lei lo ha dimenticato, anzi seppellito sotto una sontuosa eredità paterna e affari non sempre ben chiari, fonti di macroscopici conflitti d’interesse nell’esercizio delle sue odierne funzioni.

Città come New York, Washington, Montreal e Parigi si tingono di verde, non sono antiamericane, sono anti Trump. E dunque, per tanti motivi personali parteciperò con il cuore o personalmente, ove possibile, a tutte le manifestazioni contro questa sua vergognosa decisione. Non contro l’America, ma sicuramente contro Trump.

 

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D’Angelo: fotografo la vita, da Sebrenica ad Aleppo quante ingiustizie contro l’umanità

"Ogni luogo può avere il suo fascino, anche i luoghi considerati brutti possono avere una dimensione estetica, la differenza non è dove ti trovi, ma chi hai davanti, le persone, i loro volti, le loro storie, le loro voci e i silenzi  danno luce e speranza alla vita e al pianeta che abitiamo". Luciano D'Angelo, fotografo tra i più rappresentativi in Italia, un lunga carriera di reportage per il Turing club, Airone, per l'editore Conde Nast, collaboratore di National Geographic, ha lavorato per Einaudi, per Eni, Quantas, e numerose compagnie di Stato. Nel suo ruolo di fotografo si è spinto in territori di frontiera sulle orme dei Berberi, e poi in Turchia, Siria, Marocco, Etiopia, Algeria, Libia, Kudistan. "Ci sono posti dove le persone le puoi capire con un solo sguardo, quando gli occhi si incrociano c'è tutta l'umanità, la storia, i desideri, le sconfitte, la saggezza del silenzio e la forza dell'anima".

Cosa colpisce un grande fotografo come lei?

"Il mistero dell'incontro umano. I luoghi emanano storia, cultura, bellezza o decadenza. L'uomo invece è incontro, e le mie foto gravitano in questa forza magnetica della esperienza umana. Cogliere la dignità, l'etica, l'eroismo nelle piccole cose che svelano grandi gesti"

Può farci qualche esempio?

"I bimbi e le donne della Etiopia che devono fare chilometri per rifornirsi di un poco di acqua. Lo sguardo di un uomo berbero che solo con l'intensità degli occhi, del loro linguaggio mi ha fatto cogliere la fierezza, la dignità e l'eroismo di essere liberi, di aver lottato per la libertà. Da questo incontro, ad esempio, è nata una mostra: "Amazigh" che in berbero significa uomo libero. Gli incontri se sono veri ti cambiano, ti arricchiscono profondamente, io ho avuto molto".

Quali posti ha sentito più intensi?

"Alcune zone della Turchia dove sono stato dieci volte, nel Kurdistan, in punti dove il Tigri e l'Eufrate si incontrano. Una visione indimenticabile. La città di Aleppo in Siria che ho visitato tante volte, stretto amicizia con persone straordinarie, molte delle quali hanno studiato in Italia. Aleppo era una città da sogno, e oggi mi addolora profondamente vederla rasa al suolo. E, ancora, Sebrenica, dove ho conosciuto le donne che subirono violenze indicibili, sono stato loro ospite. In ogni cosa c'è il mistero della vita, della sua fragilità, della lotta, dell'ignoto, della grandezza dell'uomo, della sua forza e del suo dolore. Come fotografo per me questo è il bello, saper cogliere questa luce umana che da calore, colore, significato all'esistenza".

Cos'è la fotografia per lei?

"La foto è un viaggio verso la vita, verso la compressione dell'altro. Spesso da noi ci lamentiamo delle banalità del quotidiano mentre non sappiamo nulla dell'eroismo silenzioso di tante persone. Noi apriamo il rubinetto ed esce acqua, milioni di persone invece devono lottare duramente per averne un po' per dissetarsi. La foto è testimonianza della sfida e dei sacrifici umani".

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Violenza alle donne. Il Centro Ananke: da noi tanti casi famigliari, ma in molte si ribellano

Violenza alle donne. Il Centro Ananke: da noi tanti casi famigliari, ma in molte si ribellano


Un fenomeno sommerso, violenze che durano anni, taciute e che spesso sfociano in drammi familiari. Doriana Gagliardone, del direttivo di Ananke il centro anti violenza donne, è una veterana nel difficile cammino di incontro, e "ricostruzione del sè" di quante hanno subito maltrattamenti e poi sono riuscite ad uscire dal tunnel e rifarsi una vita, senza mariti o partner violenti.

Come è nato il centro Ananke?

"Lo sportello anti violenza è stato aperto nel 2005, subito dopo siamo diventati centro anti violenza, ossia una struttura disponibile 24 ore su 24, con delle operatrici, con la capacità di seguire da vicino chi ne fa richiesta. Molte donne si avvicinano in modo riservato e noi garantiamo l'anonimato e riusciamo a dare un sostegno per anni. Ma la donna ha sempre una piena autonomia sulla scelta che intende fare".

Dove e come si attuano le violenze?

"È un fenomeno sommerso che nella maggior parte dei casi riguarda le relazioni intra famigliari e sono il 90% delle storie che arrivano al nostro centro. La violenza si consuma all'interno della casa, il violento e maltrattante aleggia trae mura domestiche, no si tratta della violenza dello straniero, ma quasi sempre è un maltrattamento che arriva dal marito, dal compagno da un ex partner".

Cosa proponete e fate verso chi si rivolge da voi?

"Il centro segue la donna in un percorso di uscita dalla violenza  che può durare anche anni, non è semplice. Le dinamiche sono complesse. Le figure all'interno di un centro anti violenza sono diverse, ma quella centrale è l'operatrice di accoglienza che segue la storia della donna e con lei progetta, fin dove è possibile, un nuovo percorso di vita, le scelte sono fatte insieme alla donna.  Si tratta sempre di questioni delicate e intime, ma poco a poco la donna si apre e ti racconta la sua storia. Il nostro impegno è rafforzare la sua autonomia, la ricostruzione del sé e il riconoscere di avere subito violenza. Poi subentrata la  capacità di uscire fuori da una vicenda sentimentale e famigliare senza di lui".  

Dove nasce la violenza?

"La violenza è spesso frutto della cultura e dei modelli e ruoli dominanti. Non parliamo di semplici conflitti che possiamo considerare normali all'interno di una vita di coppia, ma di violenza esercita con le umiliazioni verbali, psicologiche, e talvolta con la forza. Un tunnel sempre più inaccettabile per molte donne che riescono a ribellarsi".

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Il Masterplan delle aree portuali

 

Il Masterplan delle aree portuali

Il Masterplan delle aree portuali di seguito illustrato costituisce un indirizzo di pianificazione di un contesto infrastrutturale e urbano di valore strategico per il futuro della città:

  • intanto per il ruolo economico e sociale che queste aree rivestono nel vasto sistema urbano di cui sono un riferimento, inserito nel territorio più ampio del medio adriatico;

  • per il "genius loci" identitario di luogo di incontro e di conflitto tra gli elementi naturali e quelli artificiali presenti e per la qualità infrastrutturale e dell'architettura anelate e necessarie che da sempre raccontano questo particolare territorio della costa adriatica;

  • soprattutto per lo sviluppo della cultura della sostenibilità e dell'innovazione possibile nel campo della mobilità e delle energie rinnovabili, nella direzione di una concreta "smart city".

Il Masterplan delle aree portuali contestualizza i programmi infrastrutturali previsti, e in parte finanziati, dalle istituzioni regionali e locali per l'ambito portuale della città di Pescara considerando anche la formidabile opportunità della rigenerazione delle aree dismesse dell'ex Mercato Ortifrutticolo denominato "Cofa".

Le infrastrutture progettate e finanziate dalla Regione in quest'area strategica per il futuro della città riguardano essenzialmente la realizzazione dei nuovi moli del porto canale di Pescara deviati e prolungati fino al superamento della famigerata "diga foranea" ed il collegamento, a cura dell'ANAS, dello stesso porto con l'asse attrezzato che attualmente scende fino a Piazza della Marina.

La realizzazione dei nuovi moli prevede la costruzione di una Piazza sulla riva sinistra del fiume, all'altezza della "Madonnina", in corrispondenza dello "slargo" esistente in quella zona del porto canale. Al di sotto della suddetta Piazza, il piano prevede la costruzione una vasca di laminazione del troppo pieno della centrale di sollevamento delle acque reflue del collettore rivierasco. La vasca, di circa 20.000 metri cubi di capienza, impedirà lo sversamento diretto nel fiume e poi nel mare dei reflui fognari del collettore nei giorni di pioggia e costituirà un elemento utile al concreto disinquinamento del mare. Il piano inoltre prevede la verifica della fattibilità di una seconda vasca di laminazione, di circa 50.000 metri cubi, in funzione di un pur parziale contenimento dell'innalzamento delle acque del fiume in caso di piena, attraverso la semplice copertura della porzione di canale esistente che verrà abbandonato in seguito alla realizzazione dei nuovi moli, in luogo del suo riempimento.


Risulta inoltre di sicuro interesse, ciò che è largamente prevedibile si realizzi a ridosso del molo nord del porto canale, una volta costruiti i nuovi moli. E' prevedibile infatti che nel giro di pochi anni si sviluppi, in modo completamente spontaneo e autonomo, un accrescimento sabbioso, così corposo da prolungare la spiaggia fino alla diga foranea. Il risultato sarà la creazione di un'area naturale speciale, per la sua condizione urbana, utile sia alla balneazione che alla tutela di habitat naturali di flora e fauna della costa.

Il presente Masterplan configura l'assetto definitivo delle banchine e delle barriere a mare del nuovo porto previste dal nuovo prg del porto recentemente approvato, con una leggera correzione del braccio di levante, qui configurato in modo da impedire ai venti proventi da est (il Levante, lo Scirocco, ecc.) di penetrare all'interno del bacino portuale rendendo insicuri i rientri e gli stessi attracchi.

Sul molo di levante esistente e a ridosso del muro di separazione del porto turistico con quello commerciale, invece, allo scopo di produrre energia rinnovabile e pulita, sono previsti impianti di minieolico sia di tipo verticale che di minipale. Saranno studiati per essere realizzati anche innovativi impianti capaci creare energia rinnovabile dallo sfruttamento dei flussi e dei movimenti ondosi in corrispondenza delle barriere artificiali dei moli e delle dighe foranee a mare.

Per aiutare la locale capitaneria di porto al controllo portuale e doganale, il piano prevede la realizzazione di una struttura in pilastri, travi e pareti di legno e vetro posta al di sopra del muro di separazione del porto turistico, nella sua parte iniziale.

Il resto del progetto sviluppa l'idea di un "hub" della mobilità sostenibile da realizzare nelle aree dell'ex Cofa. L'insieme delle proposte qui contenute configurano l'idea di Pescara città innovativa e intelligente.

 

 

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Fahrenheit 451

Fahrenheit 451

«Le idee non sono di nessuno» disse.

Disegnò in aria con l'indice una serie di cerchi continui, e concluse: «Volano lì in giro, come gli angeli.» da " Dell'amore e d'altri demoni"

di Gabriel Garcia Marquez

  • Tommaso, sotto le note improvvisate di un Jazz di strada, mi dice che lui non scriverà più. Ha appena finito di leggere La macchia umana di Philip Roth[1]e nulla gli sembra sia più da comporre. In realtà lo dice ogni volta che un libro, … puntualmente tatuato di caffè e tediato da mille piegoline, gli urla muto la sua anima. …Si, scriverà ancora-penso io senza dirglielo -…anche quelli che considera pezzi brutti e metriche sterili … Tutti possiamo creare bellezza. Ce ne dimentichiamo per un po’[2]ma poi l’esigenza di dire e di fare, rompe ogni proprio pregiudizio o esitazione. Poi comunque anche Philip Roth cercò di uscire dall’ impasse del suo capolavoro e ne scrisse molti altri… Zuckerman scatenato, Everyman etc etc.

    I libri, Tommaso, un pò li nasconde, un pò li passa perché altri ne conservino qualche stralcio. Ne è quasi ingordo e dopo averli letti, uno strano vezzo: scrive Fahrenheit 451 [3]sull'occhiello. Questo Montag l’avrebbe salvato!!! * Ha troppi pacchetti d'immagine da digerire e cosi mi racconta che per esempio delle città che visita, ricorda solamente alcune scritte pubblicitarie, quasi fosse Rotella[4].Di Boston ad esempio, la seguente: sei davvero te stesso quando non ti vede nessuno. Lo slogan apparteneva ad una nota marca cosmetica ma Tommaso, con la sua mania di mescolare fantasia e realtà, pensava fosse un suggerimento da salvare dal Big Brother che George Orwell aveva piazzato li a controllare la città già dal 1984[5]. La realtà non è come sembra…puntualmente sentenzia e subito si immedesima in Neo l'Eletto", in grado di decodificare i vari Matrix.[6]Concluderà la guerra contro le macchine e contro la burocrazia che ha preso il sopravvento in ogni attività dell'uomo.Combatterà contro il cinismo spietato dei potenti che uccide chi tenta di ribellarsi e i pochi che ancora riescono a sognare come in Brazil E poi immagina scegliere la vita "di fuori" per non cadere nella bruttura di chi vive dentro il mondo sicuro di Code 46.[7] Tommaso dice che si può imparare tanto dagli errori anche solo da quelli immaginati nei suoi amati libri e film. A volte però la realtà supera decisamente la fantasia!!! 

    [1] Philip Roth scrittore americano contemporaneo, ha vinto il Premio Pulitzer nel 1997 per Pastorale americana.[2] ispirato a “Sanremo beauty” di Massimo Gramellini, vicedirettore della Stampa: Che la bellezza non è solo uno zigomo, un capitello,un tramonto. La bellezza è la creatività in qualsiasi forma si esprima. Il disegno di un bambino è bello anche quando è brutto, perché nel farlo il bambino ha usato energia creatrice. Crescendo ci si vergogna di creare: si preferisce distruggere, deridere, insultare. Così si finisce per credere che la creatività sia un dono riservato a pochi eletti: gli artisti.

    [3] Fahrenheit 451 è la temperatura a cui la carta si accende per combustione spontanea e dà il titolo all'omonimo libro di Ray Bradbury. Vi si descrive una società in cui leggere o possedere libri è considerato un reato,per contrastare il quale è stato istituito un apposito corpo di vigili del fuoco impegnato a bruciare ogni tipo di volume. Montag è il pompiere protagonista che infrangendo il divieto di leggere i libri, si muoverà per salvarli.[4]. Famosi i décollages di Mimmo Rotella con la tecnica dello strappo manuale.[5] Il racconto 1984 di George Orwell illustra l'ingranaggio di un governo totalitario. Al vertice del potere politico c'è il Grande Fratello, onnisciente e infallibile,che nessuno ha visto di persona. Questo libro ha ispirato anche Brazil un film del 1985 diretto da Terry Gilliam.[6]Matrix è un film di fantascienza del 1999 scritto e diretto da Lana e Andy Wachowski, dove un mondo che sembra reale è solo un paravento per nascondere la realtà vera.[7] Codice 46 è un film britannico del 2003 di M. Winterbottom dove si descrive una società divisa tra coloro che vivono "dentro", nelle città ad alta densità, mentre i poveri sottoproletari vivono "al di fuori". L'accesso alla città è fortemente limitato e regolamentato.

 

 

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La processione dei Misteri di Lanciano

 

La processione dei Misteri di Lanciano

La Settimana Santa di Lanciano risale almeno al XVII secolo. All’epoca, l’Arciconfraternita Morte e Orazione (nata nel 1608, ma attiva sin dal secolo precedente con il titolo di Confraternita della Buona Morte) organizzava già la sacra rappresentazione del martirio di Cristo (Le Confraternite della Settimana Santa). Alla fine del Settecento, invece, prende forma l’odierna processione dei Misteri, che prevede la sfilata degli strumenti della Passione: l’Angelo dell’Angoscia, con calice e lancia; gli strumenti della cattura nell’Orto degli Ulivi; la colonna della flagellazione con i flagelli insanguinati; il gallo; la mano di Malco; la colonna con la corona di spine; lo straccio di porpora ed il catino di Pilato; il Volto Santo; la colonna con clamide, dadi, mantello e chiodi; la scritta della Croce con lancia, spugna e scala.

La processione si svolge il Venerdì Santo nella suggestiva cornice della città vecchia: oltre ai Misteri, affidati ai bambini, alla cerimonia partecipano anche la scultura lignea del Cristo Morto (XVIII secolo) e le statue delle tre Marie vestite a lutto: la Madonna Addolorata, Maria di Magdala e Maria di Cleofa. I basamenti su cui sono appoggiati i Misteri e le altre statue processionali (che i siciliani chiamano vare e gli spagnoli pasos), a Lanciano e in Abruzzo sono detti talami: è famosa l’omonima processione che si svolge ad Orsogna, sempre in provincia di Chieti, il Martedì di Pasqua (La Settimana Santa in Abruzzo).

La sacra sfilata lancianese è aperta dalle insegne dell’Arciconfraternita e dalla Pannarola (un vessillo triangolare nero, dalla cui cima si dipanano lunghe corde tenute dai bambini), seguita dagli oggetti della Passione. Due lunghe file di confratelli proteggono la Via Crucis dell’ignoto Cireneo e precedono il feretro del Cristo Morto e le statue delle tre Marie. La figura del Cireneo (un confratello particolarmente devoto, scelto in segreto dal Priore dell’Arciconfraternita) impersona l’immagine del Cristo sofferente con la Croce. Egli percorre le strade della città scalzo, in segno di penitenza, incappucciato e ammantato dal sacco nero. Una struggente cerimonia che è accompagnata dalle musiche sacre dei maestri Ravazzoni, Masciangelo e Bellini e impreziosita da alcuni dettagli barocchi (come le lanterne che illuminano il passo lento del Cireneo).

di Daniele Di Bartolomeo


 

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Il Ricordo e la Memoria. 6 Aprile 2009

Il Ricordo e la Memoria
6 Aprile 2009


Rinascere è esperienza assai poco poco comune, a noi aquilani e agli abitanti del cretere sismico è stata data questa straordinaria opportunità;
un'opportunità conquistata con determinazione e forza, sì per i vivi ma anche in memoria di coloro che quella notte feroce ha portato via.



6 aprile 2009

Sono appena rincasata, è tardissimo e tra tre ore devo prendere l'autostrada per un impegno di lavoro che mi porta a Roma.
Ho trascorso le ultime ore in veranda con la mia famiglia e i miei cani; la terra trema e sono preoccupata, lo siamo tutti.
Le telefonate con parenti, amiche e amici si susseguono: " Dove siete? in macchina...In giro...In giardino...Sul pianerottolo... Nel capanno degli attrezzi, sai è di legno...Credo sia il caso di restare fuori casa... Ma gli esperti hanno affermato che non accadrà nulla... Io non mi fido... Resto fuori ... Io vado a riposare, ma vestita e con le scarpe... Non chiudo il portone perchè se c'è una scossa poi non si apre... Un'altra...l'hai sentita?... L'abbiamo sentita... Cosa facciamo..? ... "
E' tardi, è freddo, rincasiamo.

Ore 3 e 32

Il mondo sussulta, ruggisce, si contorce, strappa l'anima, scuote le vite e gli edifici.
Secondi interminabili nei quali speri che la tua casa regga, perchè in quell'inferno ti è subito chiarissimo che non tutti ce la faremo.
Trema, trema la casa, la terra, l'aria e il cuore corre, corre all'impazzata.
La luna, al tramonto, prima bianca diventa rossa. La terra, come fosse acqua, produce onde e le luci della valle sembrano lampare al largo in una notte d'estate.
Non posso scendere le scale, devo restare lucida e aspettare la fine del cataclisma. ...Ma quando finisce...? Quando...? Intanto, aggrappando le mani e la vita ad una porta vetrina di metallo, controllo con movimenti cadenzati, il solaio, il pavimento, i muri e spero che non crollino. ...Ecco, ci siamo,...va scemando... No... Ricomincia ancor più violento, più cattivo...
Resisto, prego e assisto impotente alla distruzione della mia città. Sembra impossibile, un incubo ad occhi aperti, ma so che è realtà; una realtà feroce e disperata.
Dopo infinite decine di secondi il ruggito si placa, allora corro a perdifiato lungo le scale e spero che la mia famiglia stia bene..Sì, ci sono tutti... Siamo vivi!
..E la terra ci scuote ancora e ancora e ancora...

Dopo

Da quella notte, la vita di tutti noi è cambiata, per sempre.
Abbiamo perso persone care, la bella quotidianità di una vita serena in una delle città più belle d'Italia.
Avevamo due possibilità: lottare o arrenderci.
Non c'è stato bisogno di pensarci su; siamo montanari, ostinati e orgogliosi, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo ricominciato tutto da capo.
Tra mille difficoltà, tra abbracci sinceri e sciacalli travestiti da agnelli. Quante persone dobbiamo ringraziare per l'amore e la cura che hanno avuto nei nostri confronti e verso la nostra città ferita, in ginocchio, piegata ma non non domata.

Oggi, il Ricordo e la Memoria

Otto anni di battaglie per non morire e le gru che si moltiplicano e i cantieri... e l'odore del cemento che scaccia prepotente il fetore della distruzione.
Decine di migliaia di persone tornate a casa, la vita che prepotente, lotta, s'impone e vince.
C'è ancora da fare ma tantissimo è stato fatto.
Sono fiera della mia gente, orgogliosa di un popolo di montagna che non si arrende, mai.
Sono aquilana, sono abruzzese.

[ In memoria di Nadia e di tutte le vittime del sisma dell'Aquila del 6 aprile 2009 ]

(di Gilda Panella)

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L’Utopia del Simec

L'Utopia del Simec

Se un minatore trova una pepita d’oro non si indebita con la miniera! Questa era la metafora con la quale il prof. Giacinto Auriti cercava di spiegare ai “comuni mortali” il significato del Simbolo Econometrico di Valore Indotto (SIMEC)

Nel 1391 a Napoleone Orsini venne concesso, da Re Ladislao di Durazzo, il permesso di battere moneta. Il conio dei bolognini, piccole monete d'argento con l'effige di San Leone papa e, sul rovescio, la sigla Guar circondata dalla scritta Ladislaus, rappresenta il riconoscimento dello spazio politico che gli Orsini riescono a ritagliarsi in particolare sul territorio di Guardiagrele. Trascorrono 609 anni e qualcuno ci riprova solo che questa volta il permesso di battere moneta non viene concesso dall’alto ma scaturisce dalla “volontà” del popolo in ossequio alla teoria sul valore indotto.

Siamo nell’estate del 2000 e la famosa teoria sul valore indotto della moneta, coniata dal prof. Giacinto Auriti, si materializza in una banconota che ha un valore di cambio (con la lira) alla pari ma ha un potere di acquisto doppio rispetto alla lira. In quel periodo nei negozi di Guardiagrele con 1000 Simec si acquistavano beni per 2000 Lire. Auriti non aveva aumentato il valore della moneta ma aveva raddoppiato il potere di acquisto dei cittadini.

Un’utopia? Certo! Ma questa storia ci riporta a tutte le grandi invenzioni, a tutto quello che appariva non convenzionale ed apparentemente inspiegabile ma soprattutto inutile. Le più grandi invenzioni della storia non sono state mai comprese ma soprattutto sono state derise da tutti coloro che non ne erano gli inventori. Ora quelle utopie sono entrate dentro il nostro quotidiano in maniera indissolubile. Auriti sarebbe stato un folle dunque esattamente come Edison che provò per ben 13 mila volte l’esperimento della prima lampadina. La sua perseveranza era giustificata dal fatto che lui, dal primo esperimento, sapeva che avrebbe funzionato. Anche Auriti sapeva che il SIMEC avrebbe funzionato!

Dietro alla vicenda del Simec si nasconde una storia di incomprensioni di teorie mai comprese e di “anelli” che hanno indebolito la filiera. La teoria del valore indotto è tanto complessa quanto banale e si basa sul valore che per convenzione (cioè per accordo tra privati) i privati stessi attribuiscono ad un titolo. Il Simec non faceva altro che misurare questo valore per poterlo rendere scambiabile. Se il simec aveva un potere di acquisto doppio rispetto alla lira era dovuto al fatto che gli operatori (chi compra e chi vende) accettavano quel tipo di valore come valore di scambio. Il volano economico si creava con la circolazione. Il commerciante che riceveva in pagamento i Simec riusava la moneta per acquistare a sua volta e così via. Famosa è diventata la metafora della dinamo!

Gli anelli deboli della catena si presentavano in due punti: al cambio iniziale ed al cambio finale. Se è valore indotto deve essere valore indotto, non può essere valore derivato. Il cambio effettuato con la lira (oppure oggi con l’euro) rinnega di per se il principio stesso di valore indotto. Se la proprietà della moneta appartiene al popolo non può essere erogata a fronte di uno scambio con moneta emessa sul debito dalla banca centrale. Così come non può essere ricambiata in uscita. Questa pratica ha reso di fatto il Simec dipendente dalla Lira ed ha di fatto annullato la teoria del valore indotto.

La problematica si complica quando chi ha ricevuto in pagamento il Simec si trova a dover acquistare presso chi non ha aderito alla convenzione e quindi necessita di moneta corrente. Questa problematica però attiene ad un fatto che esula dalla teoria del valore indotto che rimane valida e funzionante negli ambiti della sua convenzione. Dunque ipotizzando di voler ripetere l’esperimento sarebbe da ipotizzare la distribuzione del Simec attraverso il meccanismo da cui esso stesso scaturisce e cioè la “convenzione”. Si potrebbe ad esempio partire dalla retribuzione dei dipendenti la quale per la sua interezza verrebbe erogata in moneta corrente e per una parte corrispondente erogata in Simec. Nessun cambio all’origine dunque, solo la possibilità di utilizzare la moneta all’interno delle attività che, sempre per convenzione, riconoscono ad esso un valore di scambio. Nessun cambio neanche alla fine dunque ed in questo modo, la moneta nascerebbe e vivrebbe per circolare.

Meno male che il titolo parla di utopia diversamente qualcuno avrebbe potuto prendermi sul serio ma sapete, è proprio quando non ci si prende troppo sul serio che vengono fuori le vere rivoluzioni.

(di Maurizio Camiscia)

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