Le Idee

Meritocrazia Italia: progettualità e sicurezza alla base del varo della fase due

 Meritocrazia Italia: progettualità e sicurezza alla base del varo della fase due

"La curva del contagio del Coronavirus sta iniziando fortunatamente a calare ed è doveroso iniziare a pensare alla "fase 2". Secondo le prime anticipazioni, vi sarà una ripresa limitata solo ad alcune attività produttive classificate a basso rischio, per le quali rimarranno tuttavia le regole sul distanziamento e continuerà ad essere incentivato lo smart working. La responsabilità del Governo in questo momento è elevatissima: l'entusiasmo dettato dal crescente abbassamento dei ricoveri e dei decessi non deve vanificare i sacrifici, in termini di vite umane e di paralisi delle attività produttive, sin qui compiuti. Il rischio di contagio è tutt'ora presente ed occorre prendere a modello le esperienze internazionali di "exit strategy", con una idea di contenimento che sia di lungo periodo. Innanzitutto occorrerebbe la costituzione di una catena di comando centralizzata ed autorevole, che tenga nel giusto conto il rango delle norme emesse, contemperando le esigenze emergenziali con i principi costituzionali". Lo affermano i referenti di Meritocrazia Italia.

"Al fine di evitare una fase 2 dai tempi indefiniti, con la possibile insorgenza di nuovi focolai, occorre finalmente colmare l'attuale carenza di dispositivi diagnostici. Prendendo a modello alcune esperienze internazionali virtuose, occorre tendere ad uno screening totale: ogni cittadino dovrà essere sottoposto a test in tempi ragionevoli. C’è da chiedersi anche in ordine ai costi ed alle energie spese in fase di emergenza se possono essere mitigati con uno screening della popolazione che può salvaguardare il lavoro e la salute dei cittadini italiani. Nelle more, bisognerebbe adottare strumenti di controllo digitale che attraverso i big data consentano il monitoraggio dei flussi di persone nel rispetto dei principi democratici.  Servirebbe infine un protocollo unico per l’intera nazione, con regole precise sul distanziamento tra i cittadini e sulle protezioni da adottare per i lavoratori, analizzando le esigenze delle varie tipologie di aziende pubbliche e private. Solo sulla base di questi imprescindibili presupposti si potranno contestualmente programmare le attività necessarie alla ripresa economica; innanzitutto quelle di supporto al settore sanitario, farmaceutico e agroalimentare, quelle ad altissima automazione per passare infine alla individuazione degli altri settori da sbloccare. Se la sicurezza non è al centro dell’obiettivo governativo tutto il resto diventa inutile. Nessun intervento, comunque, potrebbe mai essere efficace sul lungo periodo senza una strategia concordata con gli altri paesi europei. Diversamente, soprattutto a causa dei diversi tempi di diffusione del virus nella zona UE, il rischio di contagio di ritorno sarebbe inevitabile. In un momento come questo, una UE con una voce sola sarebbe auspicabile non solo per condividere le strategie, ma anche per rafforzarne il ruolo stesso a livello internazionale.  Ai fini di contenere definitivamente il contagio e favorire una ripresa comune, sarebbe opportuno che l’intera Unione Europea adottasse misure valevoli per tutti gli Stati membri. Meritocrazia Italia chiede che nel programmare la fase due il Governo tenga presente la pericolosità del contagio del virus affinché si eviti uno nuovo stop che possa decretare la fine di molte realtà lavorative anche di tipo artigianale. La scelta dovrà essere assunta in modo graduale attraverso l’adozione di procedure di sicurezza che possano durare nel tempo per migliorare la qualità del lavoro. Non deve essere persa l’occasione di salvaguardare in modo stabile la sicurezza sul lavoro, l’ambiente con la drastica riduzione delle immissioni in atmosfera o dei versamenti di prodotti industriali nei fiumi e nei mari, la ripresa economica, la valorizzazione del disagio sociale al fine di apportare idonee misure di sostegno, la gestione degli spazi pubblici, la riduzione sensibile della macchina burocratica ed infine la riduzione stabile della pressione fiscale".

 

Leggi Tutto »

Una Via Crucis d’artista a San Valentino in Abruzzo Citeriore

Una Via Crucis d'artista a San Valentino in Abruzzo Citeriore

Il ceramista di Castelli, prof. Rinaldo Pardi, e le sue mattonelle a carattere religioso.

 

Questa Pasqua, segnata dall'emergenza per l'epidemia del Coronavirus è sicuramente diversa da tutte le altre che abbiamo vissute, dominata da un silenzio surreale ed ha come sfondo città quasi vuote, negozi chiusi e strade semideserte. I riti della Settimana Santa si stanno svolgendo in modo silenzioso; con l'aiuto della tecnologia molte processioni del Venerdì Santo in Abruzzo si svolgeranno in streaming. Manifestazioni molto sentite dalla popolazione abruzzese che si svolgevano ininterrottamente da molti secoli.

Lo studioso di abruzzesistica Alessandro Morelli propone una breve riscostruzione biografica dell'autore e una descrizione delle ceramiche poco approfondite finora.

“A San Valentino in Abruzzo Citeriore, in provincia di Pescara, nel bellissimo Duomo con i campanili gemelli, dedicato ai S.S. Valentino e Damiano è presente la Via Crucis in maiolica del ceramista Rinaldo Pardi, nato a Castelli nel 1898, partecipò a numerosi concorsi per l'arte ceramica in Italia, lavorò a Civitavecchia, Grottammare, Busto Arsizio. Egli fu insegnante e titolare di una manifattura ceramica negli anni '40 con grande ammirazione da parte del pubblico per le sue doti artistiche. Un esponente di grande importanza della tradizione ceramica abruzzese, con soggetti che potevano variare dai paesaggi, momenti della vita quotidiana fino alle scene bibliche. Morì a Castelli nel 1945.

Conservate presso il Duomo le stazioni in maiolica sono costituite da 14 pezzi di dimensione cm 45.0x30.0 (ciascuna), ornano le pareti entro cornici in legno con firma (sigla) dell'autore in basso a destra R.P.

Altre bellissime maioliche di bravissimi artigiani sono presenti nel Pescarese a Penne e Manoppello ad esempio.

Le stazioni in maiolica a S. Valentino in A.C. :

 

  • Gesù Cristo condannato a morte (I)

  • Gesù Cristo è caricato della croce (II)

  • Gesù Cristo cade la prima volta (III)

  • Gesù Cristo incontra la Madonna e le pie donne (IV)

  • Gesù Cristo aiutato dal cireneo a portare la croce (V)

  • Gesù Cristo è asciugato dalla Veronica (VI)

  • Gesù Cristo cade la seconda volta ( VII)

  • Gesù Cristo consola le donne di Gerusalemme (VIII)

  • Gesù Cristo cade la terza volta (IX)

  • Gesù Cristo è spogliato delle vesti (X)

  • Gesù Cristo inchiodato alla croce (XI)

  • Gesù Cristo muore in croce (XII)

  • Gesù è deposto dalla Croce e consegnato alla Madre (XIII)

  • Gesù Cristo deposto nel sepolcro (XIV) 

  • TUTTE LE FOTO DAL LINK: https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2837570123032473&id=202280223228156

Leggi Tutto »

La guerra al Covid-19 e quella vissuta dai nostri padri e nonni

I bollettini di guerra

Nelle case dei nostri nonni non mancava mai una carta geografica delle zone di operazioni appesa al muro con delle bandierine montate su uno spillo che venivano spostate secondo i bollettini di guerra editi ogni giorno e che venivano ascoltati alla radio con grande apprensione. Tranne dove venivamo aiutati dai tedeschi c’era sempre un movimento di ritirata in Albania come in Nord-Africa fino allo sbarco degli alleati in Sicilia. Anche noi abbiamo i nostri bollettini; sono quelli della Protezione Civile che ci fanno vedere come avanza il Cov-19 e ci danno il conto dei morti e feriti (i contagiati e i deceduti a causa della polmonite interstiziale). Quando le cose si misero male per l’esercito italiano le famiglie erano costrette in casa dal coprifuoco. Anche noi da quando le cose si sono messe male abbiamo il nostro coprifuoco ancora più duro perché è integrale e vige giorno e notte.

Gli inizi della guerra

Quando il 10 giugno 1940 ci fu la dichiarazione di guerra mio nonno Ettore che era di Francavilla al Mare ma viveva a Roma dall’età di tre anni si precipitò come tanti altri a riempire la cantina di generi alimentari. Allo stesso modo abbiamo fatto noi all’inizio delle restrizioni del movimento, assaltando quasi negozi e supermercati. Quando il 18 giugno 1940 ci fu l’armistizio con la Francia tutti pensavano che la guerra lampo fosse finita. Ci fu una grande euforia, le persone si riversarono nelle strade e nei locali da ballo; per evitare che i viveri accumulati andassero a male (allora nessuno aveva frigoriferi e surgelatori) si organizzarono pranzi e cene con amici e parenti che finivano in mangiate pantagrueliche. Sappiamo bene come poi andò a finire. Sarà bene pertanto, quando le restrizioni verranno mitigate, agire con molta prudenza, non credere che il nemico sia stato sconfitto in modo definitivo e comportarsi di conseguenza.

 

L’entrata in guerra nel 1940

Nel giugno 1940 Mussolini decise di entrare in guerra; la guerra odierna non siamo stati noi a dichiararla ma qui iniziano le similitudini.  L’esercito italiano era assolutamente impreparato: le artiglierie erano quelle austriache preda di guerra del 15-18, le forze corazzate inadeguate e l’aviazione dotata di aeroplani che non potevano reggere il confronto con quelli nemici. Questo stato di cose Mussolini lo sapeva benissimo ma ad una politica guerrafondaia non corrispondeva una adeguata preparazione. Nonostante queste condizioni, il Governo Fascista giocò la carta del confronto militare convinto che sarebbe stato breve ed in pratica già vinto dall’alleato tedesco. La pace di Versailles aveva creato condizioni favorenti un nuovo conflitto e questo Mussolini lo sapeva benissimo ma non si era preparato a sufficienza. Che una grave pandemia virale avrebbe potuto colpire il mondo in modo simile a quanto accadde con l’epidemia di Spagnola i micro biologi lo segnalavano da molto tempo. Negli ultimi venti anni però c’è stata una corsa a tagliare letti, a chiudere ospedali e a bloccare le nuove assunzioni di medici ed infermieri. Per completare questo improvvido comportamento ci hanno pensato gli ultimi due governi ad utilizzare risorse economiche per la pensione a quota cento e al reddito di cittadinanza invece di assumere medici e infermieri, riaprire ospedali, aumentare il numero di letti di rianimazione e renderci autonomi per quanto riguarda la produzione di respiratori automatici e di mezzi di protezione individuale

 

L’andamento della guerra

Mussolini ordinò a Graziani che comandava le forze in nord africa di passare all’offensiva senza che quelle armate avessero i mezzi per sostenere una battaglia contro forze motorizzate e corazzate.  Evidentemente si sopra valutava e si sentiva sicuro. In modo non dissimile il nostro governo ha all’inizio di gennaio pensato, visto le notizie provenienti dalla Cina, che la cosa non ci riguardasse, ed in seguito, almeno nella fase iniziale riteneva che ogni preparativo fosse stato fatto, e che comunque il problema non era serio. Al riguardo ci sono state infatti numerose le dichiarazioni di membri del governo e di esponenti politici che tendevano a rassicurare la popolazione e questo fallace sentimento di sicurezza è stato probabilmente fonte di un ampliamento dei casi di contagio. Quando la percezione del pericolo è stata chiara, i medici e gli infermieri, veri eroi come quelli che scrissero durante la prima guerra mondiale sui muri di una casa diroccata “tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati “sono andati alla battaglia contro il Covid 19 senza le necessarie protezioni e ci sono stati almeno una sessantina di caduti e un gran numero di feriti (contagiati).  Quando si verificò la rotta di Caporetto il comandante in capo dell’Esercito Italiano generale Cadorna dette la colpa ai soldati accusandoli di vigliaccheria. Quando durante questa epidemia le cose sono andate aggravandosi, qualcuno ha pensato bene di dare la colpa ai medici di Codogno tanto da far allertare la Procura della Repubblica competente per territorio. Nel momento dell’estremo pericolo sulle trincee del Piave accorsero i ragazzi del 99 e tanti volontari di tutte le età. Con lo stesso coraggio, con la stessa generosità, con lo stesso sprezzo del pericolo tantissimi medici e infermieri sono accorsi per portare aiuto dove ce ne era più bisogno

 

Il tradimento degli alleati

La prima guerra mondiale fu vinta con il contributo non trascurabile degli italiani che pagarono il prezzo di 650 mila morti e un milione di feriti e mutilati. Al momento delle trattative di pace gli alleati disattesero le condizioni stabilite nel patto di Londra; favorirono con il loro comportamento il sorgere del mito della vittoria mutilata ed il nascere del Fascismo .Ora di fronte alla grave crisi economica che si è determinata non per nostra responsabilità ma per un evento esterno alcune nazioni del nord Europa sostenute dalla Germania, ci voltano le spalle e ci dicono che sono fatti nostri e se proprio vogliamo un aiuto economico si apprestano a porci condizioni capestro. Si può a ragione temere che questo comportamento amplifichi a dismisura i sovranismi e metta a grande rischio la sopravvivenza stessa delle istituzioni europee.

 

Che tipo di pace ci aspetta?

La prima guerra mondiale terminò con una grande vittoria, la seconda invece con una resa senza condizioni. Come andrà questa volta? Nel conflitto del 15-18 venne cambiato il comandante supremo e al posto di Cadorna subentrò Diaz famoso anche per il bollettino della vittoria da lui firmato. Oggi alcuni ritengono che sia opportuno sostituire Conti con Draghi ma mi sento di escludere che questo possa accadere. Poiché non ci sarà una resa incondizionata non ci saranno neanche processi sommari perché alla fine questa guerra la vinceremo. Solo allora tutti i nodi verranno al pettine, forse con una Commissione Parlamentare di Inchiesta come si fece per l’episodio di Caporetto. Ora non è il momento di pensare a questo. Ora è il momento che tutti si assumano le proprie responsabilità e lo facciano con convinzione e con ottimismo. Questo tsunami non sarà una cosa passeggera, lascerà nei nostri cuori un sentimento forte. Sia singolarmente che a livello di famiglia e di sociatà dovremo rivalutare i nostri comportamenti, scartare quelli erronei, implementare quelli corretti e forse alla fine ci troveremo in un mondo migliore.

Leggi Tutto »

Dalla Fimmg, al pronto soccorso, fino al personale in corsia, ecco le voci critiche di chi è in prima linea: troppi malati gravi in attesa e ospedali in ginocchio

Dalla Fimmg, al pronto soccorso, fino al personale in corsia, ecco le voci critiche di chi è in prima linea: troppi malati gravi in attesa e ospedali in ginocchio
 
Nel mirino i modelli organizzativi messi in atto. Così crescono i morti tra medici e pazienti. Il caso Bergamo in una lettera dei medici ospedalieri: epidemia fuori controllo

“Cominciamo a dire che c'è una grave mancanza di dispositivi di protezione individuale per i medici di famiglia, ed io di eroi morti non ne voglio più. Sono 30 i decessi di camici bianchi registrati. Più della metà di questi erano medici di famiglia. Già partiamo male, quindi…”. Lunga, rigorosa con più di una nota di sfiducia verso la carenza di sistemi di protezione per i medici e “i modelli” organizzativi delle Regioni, delle Asl e ospedali che seguendo ciascuno un protocollo si è arrivati ad una situazione di una difficoltà enorme. Il tutto sembra tenersi in piedi grazie grazie al senso di dovere e sacrificio del personale sanitario, mentre i cosiddetti modelli organizzativi non hanno tenuto conto delle troppe emergenze, come nel caso di pazienti che vedono nei medici di famiglia l’unico punto di riferimento, oppure del personale sanitario più esposto, come gli operatori delle squadre del 118. Da questo scenario di pesanti difficoltà arrivano le prese di posizione del segretario generale della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg), Silvestro Scotti, e di Mario Balzanelli, presidente nazionale della Società Italiana Sistema 118. Entrambi per versanti diversi arrivano ad analisi che coincidono nel mettere in discussione i modelli organizzativi finora messi in campo per tutelare e prendere in carico i malati. Qualcosa non funziona tanto che a pagarne le conseguenze oltre ai malati è il personale sanitario.
A raccogliere le forti preoccupazioni così come le possibile soluzione è il
Quotidiano Sanità. Il presidente della Fimmg, Silvestro Scotti entra subito in argomento e osserva sconsolato: “Io vado a casa del paziente, ma non posso fare terapia né tamponi", dice il segretario dei medici di famiglia. Stesso discorso per il presidente della Società italiana sistema 118, Balzanelli: "Intervenire con il ricovero e l’inizio delle cure quando il paziente è già caduto in una condizione di grave insufficienza respiratoria acuta è assolutamente inappropriato". Parole che cadono in uno scenario che di giorno in giorno si fa più difficile: in Italia nelle ultime 24 ore c’erano oltre 69.000 i casi totali di Covid-19 e più di 6.800 i morti. Di questi decessi, il 61,2% si concentra nella sola regione Lombardia, la regione più colpita dall'epidemia, con quasi 31mila persone contagiate (di cui 54mila ancora positive), 9.700 pazienti affetti ricoverati in ospedale, dei quali 1.194 in terapia intensiva, che da soli costituiscono il 43% del totale dei ricoveri Covid-19 in Italia. Tutto questo in un contesto dove Governo e Regioni hanno deciso chiusure, blocchi, per imprese e famiglie, fino agli
incrementi di posti letto per le terapie intensive ed i reparti di penumologia ed infettivologia. Uno scenario, tuttavia, che cambia quotidianamente in una altalena di sforzi, di dati, di numero di morti che crescono, di guariti e di nuovi contagi. In prima linea ad affrontare questo inferno ci sono i medici e tra questi i più esposti quelli di famiglia e gli ospedalieri. Le parole di Scotti e Balzanelli, raccolte da Giovanni Rodriguez, sono una analisi chiara di ciò che non sta andando bene. Il dito è puntato contro i modelli organizzativi che riguardano un po’ tutta l’Italia dove ogni Regione è in affanno, dove le criticità diventano sempre più evidenti. Per Scotti, ad esempio, quanto accade in Lombardia "è anche dovuto anche al modello lombardo di medicina del territorio. A differenza del Veneto, dove questo è molto strutturato in distretti, territorio e servizi di prevenzione, in Lombardia si è puntato da tempo su un modello diverso che era stato strutturato sulla cronicità con le cooperative lombarde della medicina generale, che oggi non reggono rispetto ad un territorio che richiede servizi per acuti e modelli organizzativi utili nella prevenzione e nel contenimento e non hanno gli strumenti per convertirsi ed essere di supporto in questa situazione ai medici di medicina generale”.
“C'è un completo scollamento”,
osserva il segretario della Fimmg, “tra struttura territoriale e Aziende, e quindi il sistema si concentra negli ospedali con tutti i problemi che stanno venendo fuori". Poi c’e il grave irrisolto problema legato alla “tempistica della diagnosi”. Una questione che diventa drammatica per chi in isolamento avverte i sintomi della malattia che potrebbero evolvere in modo esponenziale. "L’identificazione rapida legata al tampone, e non a criteri epidemiologici, rallenta la diagnosi", fa presente Scotti. Ma quello che è più rilevante, osserva l’esponente della Fimmg, è la carenza di linee guida che consentano ai medici di famiglia di poter intervenire con protocolli terapeutici condivisi.
"Io vado a casa del paziente, ma non posso fare terapia né tamponi. Il tutto”, sottolinea Scotti, “in assenza di dispositivi di protezione individuale adeguati a proteggermi. Spiegatemi a questo punto cosa vado a fare nelle case, a parte per assistere alla morte dei miei pazienti o per azioni palliative e per infettarmi?". C’è il problema dei tempi - che ormai appaiono ingestibili - della presa in carico dei pazienti in isolamento a quando la malattia progredisce. A spiegare come il modello del ritardare la presa in carico del paziente e concentrare tutti i malati in ospedale si stia rivelando un danno è Mario Balzanelli, presidente nazionale della Società Italiana Sistema 118 (Sis 118): "La linea strategica sanitaria nazionale indica l’ospedalizzazione alla comparsa di affanno (dispnea) e questo per evitare l’ospedalizzazione di un numero troppo alto di pazienti con sintomatologia più lieve. Ma per questi ultimi, che restano a casa in isolamento e che nella maggior parte dei casi vengono trattati quasi esclusivamente con paracetamolo, c’è il rischio crescente di un progressivo peggioramento della funzionalità polmonare con la rincorsa successiva al ricovero quando magari diventa troppo tardi o comunque con condizioni cliniche molto gravi".
"Quando compare la dispnea, infatti, il danno, strutturale e funzionale, del polmone è assai avanzato”, fa presente Balzanelli, “Subito dopo la comparsa di dispnea, come verificato sistematicamente nella nostra esperienza quotidiana, l’insufficienza respiratoria acuta tende a precipitare in tempi rapidissimi, imponendo non solo ossigenoterapia ad alti flussi ma, molto spesso, troppo spesso, il ricovero nelle unità operative di terapia intensiva, con intubazione del paziente, coma farmacologico, e ventilazione meccanica invasiva e con netto peggioramento della prognosi. Intervenire con il ricovero e l’inizio delle cure quando il paziente sia già caduto in una condizione di grave insufficienza respiratoria acuta è, a nostro parere, assolutamente inappropriato, e configura, sul piano clinico, un vero e proprio errore di programmazione e di gestione dell’epidemia". A fare da eco
al presidente nazionale della Società Italiana Sistema 118,
contro un modello di gestione di presa in carico dei pazienti incentrato solo sui ricoveri sono stati anche i medici dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Parliamo di una struttura all'avanguardia con 48 posti di terapia intensiva, al centro della battaglia contro il virus nel bergamasco. In una lettera pubblicata sul New England Journal of Medicine Catalyst Innovations in Care Delivery, scrivono i medici: "A Bergamo l'epidemia è fuori controllo. Il nostro ospedale è altamente contaminato e siamo già oltre il punto del collasso: 300 letti su 900 sono occupati da malati di Covid-19. Più del 70% dei posti in terapia intensiva sono riservati ai malati gravi di Covid-19 che abbiano una ragionevole speranza di sopravvivere".
"Stiamo imparando che gli ospedali possono essere i principali veicoli di trasmissione del Covid-19”, proseguono i 13 medici del Papa Giovanni XXIII nella lettera denuncia, “poiché si riempiono in maniera sempre più veloce di malati infetti che contagiano i pazienti non infetti. Lo stesso sistema sanitario regionale contribuisce alla diffusione del contagio, poiché le ambulanze e il personale sanitario diventano rapidamente dei vettori. I sanitari sono portatori asintomatici della malattia o ammalati senza alcuna sorveglianza. Alcuni rischiano di morire, compresi i più giovani, aumentando ulteriormente le difficoltà e lo stress di quelli in prima linea". Ma a questo punto, tra modelli di intervento, messi in discussione, dubbi e allarmi di focolai in ogni zona d’Italia, cosa propongono i medici, per cercare di bloccare contagi, malati e decessi? Una proposta è legata alla rapidità degli interventi e sulla dotazione tecnologica.
“Cure a domicilio e cliniche mobili per evitare spostamenti non necessari e allentare la pressione sugli ospedali”, scrivono i medici del Papa Giovanni XXIII, “Bisogna creare un sistema di sorveglianza capillare che garantisca l'adeguato isolamento dei pazienti facendo affidamento sugli strumenti della telemedicina. Un tale approccio limiterebbe l'ospedalizzazione a un gruppo mirato di malati gravi, diminuendo il contagio, proteggendo i pazienti e il personale sanitario e minimizzando il consumo di equipaggiamenti di protezione".
“Negli ospedali”, concludono, “si deve dare priorità alla protezione del personale medico. Non si possono fare compromessi sui protocolli. Le misure per prevenire il contagio devono essere implementate in maniera consistente". Dalla città di Bergamo che rimane la più colpita per numero di contagi, di decessi, non sono solo i medici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII a parlare di ciò che non va. A scendere in campo è il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, durante una videochiamata con il sindaco di Bari e il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, ha lanciato un drammatico allarme: "Oggi qui non siamo in grado di portare tutti in ospedale e quindi succede che molte persone muoiono a casa, molte più di quante vengano contabilizzate ogni giorno per il virus. Ho fatto una ricerca mettendo insieme il dato del mio Comune e di altri 12 con i dati dell’anagrafe sui morti e il rapporto è di quattro a uno: per ogni persona che risulta deceduta con diagnosi di Coronavirus ce ne sono altre tre per le quali questo non è accertato ma che muoiono di polmonite".
Cambi di rotta però non se ne intravedono. Ad oggi, anche seguendo gli annunci giornalieri della Protezione Civile, rivela QuiSanità, “sull'acquisto di respiratori e sull'ampliamento delle dotazioni di posti letto di terapia intensiva, sembra che l'approccio all'epidemia continui a concentrarsi sulla presa in carico ospedaliera che dovrebbe essere l'ultima ratio per diversi motivi: attesa di un aggravamento del quadro clinico dei pazienti, mancanza di adeguati dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario e possibile insorgere di focolai ospedalieri.
Il contenimento della curva epidemica dovuto al lockdown nazionale sembra al momento funzionare. Ma un approccio unicamente ospedaliero potrebbe risultare ancora più pericoloso al Sud, dove molte regioni non possono di certo contare su quelle dotazioni strutturali che caratterizzano Lombardia, Veneto o Emilia Romagna”.  Infine, qualcosa emerge oltre alle terapie intensive, negli ospedali, infatti, si attua dice possibile una sorta di protocollo terapeutico sperimentale con l’utilizzazione di diversi prodotti off label già usati in Cina e ormai in molte altri Paesi toccati dall’epidemia.
Ma sul territorio non c’è nulla di tutto questo. Le uniche indicazioni diramate fino ad oggi per l’assistenza domiciliare ai pazienti Covid sono quelle dell’Istituto superiore sanità, che però si limitano nel dare “Indicazioni ad interim per l’effettuazione dell’isolamento e dell’assistenza sanitaria domiciliare nell’attuale contesto Covid-19”, quindi sull'osservazione dei sintomi per i pazienti in isolamento e sull'attivazione del sistema di emergenza quando la situazione clinica degenera e si rende necessario il ricovero ospedaliero. Infine il capitolo, di speranza di cura farmacologica, per Covid 19, finirà non c’è nulla, ma ci si affida a farmaci usati per altre patologie, che sono presenti sul mercato.
Diversi medici di famiglia iniziano a scambiarsi tra loro protocolli di terapia domiciliare che includono la somministrazione di clorochina e idrossiclorochina che, bloccando l'endocitosi cellulare, che potrebbe ridurre l'ingresso del virus. Non a caso sembra che sia ormai quasi introvabile in farmacia il Plaquenil. Il tutto in attesa del prossimo bollettino della Protezione civile, del picco da superare, e se il distanziamento sociale del stare a casa, funzionerà.

Leggi Tutto »

Abruzzo. Appello di due medici: formiamo una task force di medici e infermieri “riservisti”. Aiutiamo chi ha urgente bisogno

Abruzzo. Appello di due medici: formiamo una task force di medici e infermieri “riservisti”. Aiutiamo chi ha urgente bisogno

I promotori Palumbo e Tenaglia: necessari nuovi reparti di terapia intensiva e sub intensiva. Siamo a disposizione del presidente della Regione.

Sono pronti a dare un prezioso aiuto, determinati a unirsi a quanti tra medici e infermieri sono in prima linea nella lotta contro il coronavirus. A lanciarsi con determinazione nel progetto/appello chiamato “i riservisti”, sono due esponenti di lungo corso della medicina abruzzese, il dottor Walter Palumbo e il professor Raffaele Tenaglia che scrivono al presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio che in questi giorni ha lanciato un allarme sulla necessità di più medici per dare sostegno in corsia a chi da giorni si sottopone a turni lunghi e massacranti.
“Egregio Presidente
siamo un gruppo di operatori sanitari tra medici e infermieri”, spiegano Palumbo e Tenaglia, “e di operatori socio-sanitari, per lo più pensionati abituati a vivere in Ospedale, in sala Operatoria e in Rianimazione., che hanno deciso di organizzare fra di loro una task force volta a condividere un percorso comune per dare una mano a coloro che in questo momento di emergenza sanitaria sono in prima linea negli ospedali della nostra Regione.
Abbiamo deciso di chiamarci “I riservisti” perché nel passato in periodo di guerra, e questa lotta contro il Coronavirus è una guerra, il Paese per aumentare la sua forza combattiva richiamava in servizio coloro i quali avevano lasciato il servizio militare attivo”. Nel merito Walter Palumbo e Raffaele Tenaglia, chiariscono come intendono raccogliere, unire e gestire il gruppo di supporto tra chi ha già aderito e a quanti risponderanno all’iniziativa. Un progetto di coinvolgimento che per ora unico in Italia.
“Abbiamo voglia, anticipando anche le richieste dei Presidenti delle Regioni Lombardia e Puglia in particolare, di far trovare pronto questo ‘gruppo di supporto’. Come?”, spiegano i due medici, “Facendo e selezionando chi può fare cosa, con la guida determinante di rianimatori che potrebbero avere sostituti e soprattutto, aprendo nuovi spazi (un reparto di almeno 50 posti di Intensiva, Sub-intensiva e di Medicina Generale) avrebbero quei giusti rapporti professionali per farlo. Non spetta a noi indicare dove, ma cominciare a fare delle prove di preparazione, sarebbe opportuno e potrebbe dimostrarsi determinante per affrontare questa terribile fase.
Le chiediamo quindi di utilizzare queste competenze e di far presto a trovare le soluzioni logistiche per l’aumento di posti letto, specialmente quelli per la terapia intensiva, per non doverci trovare impreparati a un aumento spropositato di richieste di ricovero come purtroppo sta avvenendo nelle Regioni del nord Italia.
Crediamo che la cosa migliore che possiamo aspettarci noi che viviamo in Abruzzo e Molise, è saper che si sta allestendo un nuovo reparto di 100-150 posti letto di Terapia Intensiva, Sub-intensiva e di ricovero cautelare.
Ci permettiamo”, continua la lettera dei due medici, “di suggerire che ci sono strutture sanitarie, per lo più Ospedali riconvertiti per altre esigenze assistenziali pronti per questa esigenza, in pochi giorni, dove potremmo cominciare subito una fase di simulazione.
Fra questi gli Ospedali di Atessa, Casoli, Gissi, Guardiagrele, Pescina e Tagliacozzo che, unitamente agli Ospedali di Atri, Penne e Popoli potrebbero essere destinati al ricovero di pazienti non affetti da Coronavirus lasciando agli ospedali di Avezzano, Chieti, Giulianova, Lanciano, L’Aquila, Pescara, Penne, Sant’Omero, Sulmona, Teramo e Vasto la cura dei pazienti affetti da Coronavirus.
Ascolti al riguardo anche gli appelli dei Sindaci che le hanno fatto già richieste, specie il Sindaco di Guardiagrele e quello di Atessa”. Infine la richiesta di un incontro urgente,
“In attesa di ricevere Sue notizie”, concludono Walter Palumbo e Raffaele Tenaglia, “e, magari di incontrarla per condividere il nostro progetto, La salutiamo caldamente”.

Leggi Tutto »

Ecco Meritocrazia Italia: valorizzazione del merito e dell’equità sociale

 Ecco Meritocrazia Italia: valorizzazione del merito e dell'equità sociale

Sono Micaela De Cicco, Coordinatore Regionale per l’Abruzzo di Meritocrazia Italia, Movimento socio culturale senza fini di lucro, nato all’incirca un anno fa con l’intento di realizzare un progetto aggregativo, fondato sulla valorizzazione del merito e dell'equità sociale, al fine di favorire la riscoperta di valori fondamentali e condurre l’Italia verso una gestione della Cosa Pubblica più vicina al cittadino.

Il Movimento conta circa 2500 iscritti, dislocati sul territorio di ogni Regione, ed in ognuna di esse è istituito un coordinamento regionale.

Il Movimento al suo interno è organizzato in Dipartimenti settoriali, gli associati all’interno dei Dipartimenti si confrontano quotidianamente su temi di interesse sociale, culturale, politico ed ambientale, nell’ambito di uno spazio concreto di dialogo costruttivo e propositivo, realizzando un vero e proprio laboratorio di idee e di progetti, proponendo soluzioni o semplicemente segnalando iniziative ed esperienze virtuose da condividere.

Al contempo, Il Movimento ha elaborato una vasta gamma di lavori quali pubblicazioni , proposte, interviste, tutte a beneficio dell’intera collettività con spirito propositivo a favore di tutti e mai contro nessuno. Questi lavori sono visionabili sulla piattaforma online www.meritocrazia.eu, sulla pagina Facebook Nazionale del Movimento “L’Italia che merita” nonché sulla pagina Regionale dell’Abruzzo; in quest’ultima sono presenti anche e soprattutto i lavori e le iniziative a carattere regionale.

L’auspicio è quello di poter fungere da raccordo tra le istanze dei cittadini, alle quali si vuole dar voce, e le istituzioni, divenendo un punto di riferimento per tutti coloro i quali abbiamo voglia di esprimersi.

Nell’attesa di un Vostro contatto per un’eventuale approfondimento, per il quale mi pongo sin d’ora a disposizione, l’occasione mi è gradita per porgere i miei migliori saluti.

Il Coordinatore della Regione Abruzzo- Micaela De Cicco

 

 

Leggi Tutto »

Il Governo trovi maggiori misure di supporto per l’economia

 

"Mentre la politica ritrova unità di fronte alle dichiarazioni della Presidente della BCE, le nuove misure emergenziali dell’esecutivo dividono e sorprendono per la tiepida ed esitante risposta ad una situazione di difficoltà che va consolidando i pregiudizi al sistema economico tutto ed a ciascuna delle sue componenti. Una indispensabile reazione alla gravissima contingenza avrebbe meritato misure coraggiose, decise, ecumeniche e con uno sguardo puntato al futuro". Lo affermano in una nota i responsabili di Meritocrazia Italia. 

 

"Molti i temi privi di risposta, ben 21 casse dimenticate, nessun provvedimento sui disoccupati, sui senza tetto ne’ contro i rischi di speculazioni finanziarie in danno delle aziende italiane e, nell’ottica solidaristica globale, nessuna misura che gravi maggiormente quanti traggono oggettivo provento dal momento. Anche le iniziative di differimento degli appuntamenti fiscali, oltre a destare dubbi applicativi, non soddisfano l’impellente necessità di agevolare un sistema imprenditoriale nuovo per ruoli, ambiti e dinamiche operative, che rappresenti un principio di soluzione e non un lenitivo di momento. Del tutto insufficiente l’ossigenazione prevista per i lavoratori autonomi e per i professionisti, vittime prive di approdo, i cui stabili e non ovviati costi, in una condizione di tutela del reddito già precaria anteriormente all’emergenza sanitaria, non possono certo dirsi supportati da un modesto sussidio una tantum. Per loro dovrebbero prevedersi con assoluta urgenza misure adeguate di sostegno, da finanziare con energia e in maniera diffusa. La specifica politica di contenimento del virus adottata dallo Stato italiano avrebbe inoltre richiesto, per sperare di essere definitivamente efficace, pagando il sacrificio, la sospensione radicale delle facoltà di libera circolazione delle persone connesse al trattato di Schengen; almeno sino a concertazione di una linea unitaria da parte dei Paesi UE. Per la sventurata circostanza di anticipata diffusione del virus sul suo territorio, l’Italia si ritrova ad essere capofila in Europa nelle decisioni relative alle strategie di contenimento ed alla emanazione delle misure emergenziali. Le soluzioni che lo Stato Italiano propone e proporrà, atteso il necessitato compito di apripista del nostro Paese, potrebbero rappresentare oltre ad un serio ed efficace approccio al problema, alimento di un ruolo da protagonista dello stesso nella contribuzione a risolvere le incipienti difficoltà di tutto il contesto internazionale. Meritocrazia Italia chiede, quindi, un’immediata ulteriore attivazione per soddisfare le necessità degli insoddisfatti e consentire una reazione corale ed esemplare. Si è consapevoli delle difficoltà ma si è anche convinti per sperimentare normative senza vincolo di bilancio che potrebbero nel prossimo futuro rilanciare stabilmente il nostro paese, iniziando anche dallo sblocco dei pagamenti dei pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti dei privati".

 

Leggi Tutto »

L’identità industriale dell’Italia e dell’Abruzzo.

L’identita’ industriale dell’Italia e dell’Abruzzo.

In questi giorni vengono fuori indicazioni e dati molto pesanti sulla situazione economica e produttiva del nostro Paese. L’Istat ha segnalato un brusco calo della produzione industriale a dicembre del 4,3% che ha contribuito a far chiudere l’anno 2019 a meno 1,3%, con una domanda internazionale debole e con serie difficoltà per le nostre esportazioni. A ciò bisogna aggiungere che il prodotto interno lordo, nel quarto trimestre del 2019, è sceso dello 0,3%rispetto al trimestre precedente. Si tratta del dato peggiore dall’inizio del 2013. A ciò bisogna aggiungere i dati drammatici dell’occupazione che fino a qualche tempo fa erano stati incoraggianti (anche se caratterizzati dall’esplosione dei contratti a temine o part-time che hanno raggiunto la soglia dei 3 milioni e 123 mila unità) e che invece nel solo mese di dicembre hanno visto bruciare circa 75 mila posti di lavoro, con un tasso di disoccupazione che resta al 9,8%. E questi elementi, ovviamente, non tengono conto della straordinaria e drammatica situazione economica e sociale conseguente all’esplosione del coronavirus nel nostro Paese con il rischio concreto di una pesante recessione e blocco della economia.

Ebbene in questa condizione viene da domandarsi:ha un futuro l’industria del nostro Paese? La risposta non può che essere affermativa in considerazione di ciò che ha rappresentato il sistema industriale nella recente storia economica e sociale del nostro Paese ed anche della nostra regione.

Questa mia personale convinzione viene rafforzata dalla lettura del bel libro di Giuseppe Lupo LE FABBRICHE CHE COSTRUIRONO L’ITALIA uscito in questi giorni a cura del quotidiano IL SOLE 24 ORE. Il libro propone un viaggio nell’immaginario industriale italiano, attraverso alcuni dei luoghi simboli della manifattura del nostro paese: Settimo Torinese, Genova, Aree, Rescaldina, Sesto San Giovanni, Bagnoli, Pozzuoli, Torviscosa, Porto Marghera, Ivrea, Terni, Valdagno.

L’autore, un profondo conoscitore della letteratura industriale, ha compiuto un viaggio reale in questi siti produttivi, calandosi in queste realtà, parlando con imprenditori ed operai trovando spesso realtà industriali e fabbriche in abbandono, alcune inserite in un contesto museale e gestite da fondazioni che conservano archivi, biblioteche,progetti industriali ed anche situazioni di imprese che continuano vivere, produrre e che producono fatturati ed utili significativi. Particolarmente toccanti e coinvolgenti sul filo della memoria sindacale le pagine dedicate alle realtà di Sesto San Giovanni, Arese, Bagnoli, Porto Marghera e Terni.

Il lavoro di Lupo rappresenta non tanto una operazione nostalgica, un recupero dell’orgoglio industriale italiano, come afferma Stefano Salis nella introduzione, offuscato da anni ed anni di ostilità verso la cultura industriale (che ha fatto breccia anche all’interno del sindacato!) ma indica anche una prospettiva per il futuro produttivo del nostro Paese. L’industria che nel dopoguerra è stata alla base del boom economico e sociale dell’Italia, con il passaggio dall’economia rurale a quella industriale, che ha consentito a milioni di operai di diventare “cittadini più consapevoli”anche nell’epoca dell’industria 4.0 e della dematerializzazione del lavoro può rappresentare ancora una risorsa per far uscire l’Italia da uno dei momenti più difficili.

Ma nel lavoro di Giuseppe Lupo c’è a mio avviso una grave dimenticanza rappresentata dalla assenza di ogni riferimento alla realtà industriale abruzzese. Recentemente durante la presentazione di un altro bel libro di Luigi Piccioni Sindacato, Ambiente e Sviluppo – La Cgil Abruzzo, i parchi e le origin della riserva Monte Genzana-Alto Gizio 1979-1996 a cura di Ediesse- lo storico Costantino Felice ha parlato di “rivoluzione industriale abruzzese”, di “modello di sviluppo virtuoso, niente affatto meridionale”di “caso unico in Italia ed in Europa” e di “nessuna cattedrale nel deserto” caratteristica quest’ultima di tante iniziative industriali, negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, nelle regioni del nostro meridione.

L’Abruzzo industriale annovera siti come il polo chimico di Bussi che ha quasi centoventi anni di storia, uno dei primi siti di chimica di base di Europa, che ha subito pesanti ristrutturazioni e riconversioni produttive, che da dieci anni fa i conti con la questione della bonifica delle aree che attende interventi risolutivi, ma che ha sempre un futuro industriale se è vero che la nuova proprietà dello stabilimento che fa capo al presidente Donato Todisco ha l’obiettivo di creare a Bussi il più grande impianto europeo per prodotti in grado di depurare e potabilizzare l’acqua.

E la stessa area industriale della Val Pescara e di Chieti Scalo, in modo particolare, offre molti spunti di vicende produttive che andrebbero rinverdite: dalla ex Farad, alla Richard Ginori, alla Iac, alla Generaltex, alla Indusnova, solo per fare alcuni esempi di una zona industriale che occupava, nei tempi d’oro, oltre cinquemila persone. E’ in questo contesto che assume particolare importanza la battaglia culturale che sta portando avanti il Centro Studi Spezioli di Chieti tramite il suo attivo presidente Ugo Iezzi per non disperdere la memoria storica della Cartiera di Chieti, la Celdit, la vita sociale del suo quartiere il Villaggio Celdit e la istituzione di un museo storico.

E poi ci sono le storie industriali ed occupazionali dell’ATI, l’azienda tabacchi di Lanciano, della Monti di Città Sant’Angelo, dell’ex Italtel dell’Aquila, solo per fare alcuni esempi.

Ma nel presente ci sono presenze industriali rilevanti come la Pilkington e la Magneti Marelli in quel di Vasto, la L.Foundry ad Avezzano e poi la Sevel in Val di Sangro la più grande realtà dell’industria metalmeccanica non solo d’Italia, ma d’Europa che ha trasformato radicalmente un territorio, che prima del 1979 veniva definito”Valle della Morte” in un modello di sviluppo virtuoso.

La questione, a mio avviso, è che anche da noi, in Abruzzo, negli ultimi anni parlare di industria ha quasi rappresentato un disvalore, un elemento negativo. E questo anche nel sindacato. Dimenticando il grande contributo che il processo di industrializzazione ha dato alla crescita economica, sociale e di nuovi diritti della nostra regione. Ecco perché recentemente ho proposto la creazione di una fondazione per rinsaldare la memoria sociale dell’Abruzzo: una operazione culturale e politica che guardando al nostro passato offre una valida visione al futuro dell’Italia e dell’Abruzzo.

 

di Nicola Primavera

 

 

Leggi Tutto »

L’orrore dell’istigazione allo stupro di una ragazzina

Una campagna che istiga allo stupro di una ragazzina di 17 anni. Un orrore che non può e non deve essere sottovalutato. L’immagine rappresenta una ragazzina rappresentata di spalle, il nome Greta scritto in fondo alla schiena e le mani di un uomo che la trattiene per le treccine, pronto allo stupro. È questa l’immagine delinquenziale, vile, violentissima, utilizzata da un’azienda petrolifera canadese, la X-Site Energy Services , per realizzare un adesivo, che, come riporta l’HuffPost Canada, è stato distribuito come materiale promozionale da attaccare sugli elmetti, contro la giovanissima attivista svedese per il clima Greta Thunberg.
Doug Sparrow, direttore generale della società canadese, si è detto consapevole che l’immagine sembra raffigurare lo stupro dell’attivista, ma la sua risposta è agghiacciante: “Non è una bambina, ha 17 anni”; quindi a 17 anni una ragazzina può essere violentata? L’orrore di una risposta che avalla e giustifica la violenza, una risposta che racconta di come la “cultura” dell’odio abbia attecchito in molti luoghi e di come sia ritenuto “normale”, da parte di alcuni, istigare allo stupro. Una “punizione” nei confronti di una ragazzina, di donna che deve tacere e subire “le conseguenze” del suo impegno a tutela dell’ambiente, con alcuni “uomini” che si vanteranno dell’adesivo ignobile e violento che fa “bella mostra di se” sui loro caschetti. La misoginia si unisce all’odio, alla violenza, alla barbarie di chi ritiene “giusto” minacciare una ragazzina di stupro e vantarsene racconta di quanto sia necessario e urgentissimo l’impegno contro le violenze di genere e i femminicidi; problemi culturali diffusi cui tutte/i siamo chiamate/i a porre un argine per invertire una rotta inaccettabile per ogni Popolo che voglia definirsi civile.
 

di Gilda Panella, coordinatrice provinciale Democratiche provincia dell'Aquila

Leggi Tutto »

Il Coronavirus, gli errori e la colonna infame

Il Coronavirus, gli errori e la colonna infame

Le pestilenze nella letteratura

Le pestilenze sono un fatto così drammatico che ne resta traccia nella letteratura occidentale. Tucidide ci descrive quella scoppiata ad Atene (la forma polmonare) durante la guerra del Peloponneso (421-404 A.C.) svoltasi tra Atene e Sparta per il predominio della Grecia. La peste nera del 1347, anche essa originatasi nel nord della Cina, mieté in Europa venti milioni di vittime. E per sfuggire a questa pandemia Boccaccio immagina che alcuni giovani fiorentini si radunino in una villa fuori città e si raccontino delle novelle per passare il tempo; questa è infatti la trama del Decamerone. La peste bubbonica del 1630 ,che solo a Milano fece centoquarantamila vittime, ha ispirato a Manzoni alcune delle pagine più belle e commoventi dei promessi sposi. A quel tempo risultava evidente che la malattia era contagiosa anche se non se ne conosceva l’agente eziologico (yersinia pestis) perché non si sapeva dell’esistenza dei batteri. Nella fantasia della popolazione atterrita nacque l’idea che il morbo fosse propagato volontariamente da alcuni “untori” . Alcune persone furono sorprese ad ungere i banchi di qualche chiesa ed i muri di alcune case con sostanze ritenute venefiche ( stavano solo lavando questi siti con sostanze anche allora dimostratesi innocue) . Alcuni furono linciati dalla folla, altri condannati dall’autorità al solo scopo di dare qualche vittima in pasto al furore popolare furono legati ad una colonna (la colonna infame di manzoniana memoria) suppliziati ed uccisi. Anche un autore recente, Camus , tratta in un suo romanzo dal titolo “La Peste” pubblicato nel 1947 di una epidemia di peste che colpisce la città di Orano in Algeria.

Il coronavirus e il virus dell’influenza.

Le pandemie da yersinia pestis hanno colpito in tal modo la nostra immaginazione che definiamo con il termine di pestilenza ogni diffusione di malattie contagiose anche se in realtà si trattava di altre malattie come il vaiolo, il dermotifo , il colera e la spagnola. Quest’ultima pandemia causata dal virus influenzale H1N1 infettò in tutto il mondo cinquecento milioni di persone causando cinquanta milioni di morti. La mortalità così elevata fu determinata dalla particolare aggressività del virus, dalle condizioni scadute di salute e di nutrizione delle popolazioni reduci dal primo conflitto mondiale, dalla superinfezione con batteri patogeni e dalla mancanza di antibiotici e di terapie intensive.

All’esordio in Cina di questa infezione da coronavirus ci è stato detto che si trattava niente di più che una comune influenza. E’ stato subito evidente che non poteva ess mai erano state prese misure cosi drastiche per le attuali epidemie di influenza. Facciamo un po’ di conti anche se non possono essere assolutamente precisi. Il virus dell’influenza ha una contagiosità del 10% quindi in Italia durante la stagione invernale colpisce sei milioni di italiani. La mortalità è dello 0,1% ;i morti saranno quindi circa seimila. Per ogni morto supponiamo di avere 4 pazienti in terapia intensiva quindi ventiquattromila pazienti per sette giorni nei centocinquanta giorni in cui dura l’epidemia. Vediamo ora cosa accadrebbe se il coronavirus si diffondesse: la contagiosità è di almeno il 50%, quindi trenta milioni di ammalati. Nel 20% ci sarebbero forme gravi, pertanto seicentomila pazienti. La mortalità del 3% causerebbe novecentomila morti. Poco in confronto alle antiche pestilenze, tantissimo rispetto all’abitudine della nostra società. Le strutture sanitarie andrebbero in tilt, i malati gravi dovrebbero essere abbandonati. Questo spiega perché vengono prese misure così drastiche dal momento che non abbiamo a disposizione ne farmaci antivirali sicuramente efficaci, ne vaccini e per ottenerli ci vorranno almeno diciotto mesi.

Sono stati commessi errori?

E’ legittimo chiedersi come mai l’Italia detiene il non invidiato terzo posto per contagiati dopo Cina e Corea del Sud. Sono stati commessi errori? Il Governo dice di no e che questi dati dipenderebbero dal fatto che noi siamo più bravi degli altri a diagnosticare la malattia e quindi ne troviamo di più. Certo è che la frase di Conte –sono sorpreso – fa il paio con –pieni poteri- che voleva Salvini.Induce nel pubblico un senso di incertezza. Alcuni esperti sostengono che chiudere i voli dalla Cina sia stato un errore. Bisognava lasciarli aperti e mettere in quarantena tutti i passeggeri dal momento che si può essere contagiosi anche mentre si è asintomatici. Controllare le temperature corporee dei passeggeri all’arrivo non consente di individuare i così detti portatori sani, che con in voli chiusi sono arrivati dalla Cina tramite triangolazioni.

Quello che dobbiamo evitare è un clima da colonna infame; ora tutti insieme dobbiamo collaborare per vincere questa battaglia. Se ci sono stati errori c’è tutto il tempo per individuarli. I nodi fatalmente vengono al pettine.

 

Di Achille Lucio Gaspari

 

 

 

Leggi Tutto »