Le Idee

Gli effetti negativi della crisi: la societa’ italiana sempre piu’ classista, i ricchi sempre piu’ ricchi ed i poveri sempre piu’ poveri.

 

 

Gli effetti negativi della crisi: la societa’ italiana sempre piu’ classista, i ricchi sempre piu’ ricchi ed i poveri sempre piu’ poveri.


Gli effetti negativi della crisi: la societa’ italiana sempre piu’ classista, i ricchi sempre piu’ ricchi ed i poveri sempre piu’ poveri. Nei giorni decisivi per la formazione del nuovo governo Conte, con il confronto politico e programmatico tra M5S, PD e LeU, l’EUROSTAT cioè l’agenzia statistica dell’Unione Europea ha provveduto a rendere noto alcuni dati significativi circa le conseguenze per la nostra società della crisi economica iniziata nel 2007 e ben lungi dall’essere considerata superata se è vero che attualmente tutti gli indicatori statitici ed economici ci dicono che siamo in piena fase di recessione produttiva e stagnazione economica. La conclusione della ricerca di Eurostat è data dalla polarizzazione della società italiana con i ricchi sempre più tali ed i poveri sempre più poveri e con una grande diseguaglianza sociale che è la vera emergenza del nostro Paese, di cui, però, non c’è assolutamente traccia nel programma del nuovo governo “giallo-rosso”. Del resto sono in aumento i casi in cui neanche più lo stipendio mette al riparo i lavoratori e le loro famiglie dai problemi economici. I dati sono impietosi. Un lavoratore su 8 guadagna così poco da essere a rischio povertà, con una percentuale, a questo riguardo, che è passata dal 9,1% del 2009 all’11% del 2018. E’ la popolazione lavoratrice giovanile a guadagnare sempre meno: è a rischio povertà il 13% dei lavoratori tra i 20 e i 29 anni (tale percentuale nel 2017 era del 12,4%) e tale condizione ci pone nella sgradevole condizione che peggio di noi, come paese, stanno soltanto la Romania e la Spagna. Ed inoltre c’è da considerare a rischio povertà una parte enorme della popolazione italiana e cioè 16,4 milioni, il 27,3%, che ha un reddito inferiore al 60% del livello medio nazionale, mentre sono 1,8 milioni le famiglie in povertà assoluta per un totale di cinque milioni di individui, l’8,4% della popolazione.

 

E c’era chi aveva detto che era stata “abolita la povertà”….

A questo quadro problematico e drammatico fa riscontro, sempre secondo le cifre fornite da Eurostat, che il 10% della popolazione più ricca possiede un quarto del reddito totale nazionale, cioè della ricchezza, quindi il 25% con un sensibile aumento rispetto al 23,8% di dieci anni fa.

Proprio in questi giorni il nuovo governo sta elaborando il documento di programmazione economica e finanziaria da presentare all’Unione Europea per evitare l’aumento letale dell’iva, reperire le risorse per alleggerire il fisco nei confronti dei lavoratori e dei pensionati e per delineare un serio programma di investimenti pubblici in infrastrutture, una nuova politica industriale ed interventi sociali per i soggetti deboli. Ed è grande la discussione su come e dove reperire le risorse per delineare un credibile programma di interventi fatto non solo di tagli ma anche di corposi investimenti in grado di avviare la “ripartenza”del ciclo produttivo. Personalmente penso che buona parte di questo mezzi finanziari debbano pervenire da quel 10% della popolazione che possiede un quarto della ricchezza nazionale e che ha visto sensibilmente aumentare il proprio tenore di vita.

Con quale mezzo? Io credo con una seria imposta patrimoniale, così come qualche tempo fa ha chiesto il segretario nazionale della CGIL Maurizio Landini. Anche se nel recente incontro con il governo mi pare che questa idea sia stata lasciata un po' cadere anche dal sindacato. E del resto il neo ministro dell’Economia Gualtieri, nei giorni scorsi, andando a Bruxelles ha tenuto subito a rassicurare i burocrati dell’UE e cioè che la patrimoniale non è assolutamente tra i programmi del nuovo governo.

Di Nicola Primavera

 

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Torna l’oro, i mercati fanno festa

Torna l’oro, i mercati fanno festa
Tutto rischia di crollare ma l’oro no, in queste ore tra dazi e tagli di petrolio, si discute con la sua impennata verso l’alto se non sia il bene rifugio per eccellenza. Così mentre ladri preveggenti, rubavano in Inghilterra la tazza della toilette, ricoperta d’oro a 18 carati, eccezionale manufatto che faceva parte di una mostra dedicata a Maurizio Cattelan artista concettuale italiano, il prezioso metallo ha avuto una tale crescita di valore che ha fatto gioire tutti i possessori di lingotti.
“L’oro si è finalmente risvegliato dal torpore, ritrovando attrattiva come bene rifugio. Le quotazioni, in rialzo di oltre un punto percentuale, sfiorano 1.320 dollari l’oncia, il massimo da due mesi”, osserva con soddisfazione il giornale economico Il Sole 24Ore, che ricorda come a
innescare gli acquisti, che erano cominciati la scorsa settimana sia stata la decisione del presidente Trump di allargare i dazi anche al vicino Mexico. Nel timore di un effetto domino sui commerci vittime di nuovi dazi sull’economia mondiale, ecco che il buon intramontabile oro viene rivalutato come un amico fedele che non tradirà mai la fiducia dei suoi proprietari. I listini azionari vanno al ribasso l’oro sale, risplende anche sui titoli di Stato americani, calcolano gli economisti, arrivati al minimo storico. La buona notizia per i possessori di oro, inoltre, riguarda il dollaro da “nemico del lingotto” è diventato un suo amico, tanto che nel testa a testa l’oro ha toccato i 1300 dollari l’oncia portandosi più in alto del biglietto verde. Un segnale positivo colto da tutti, dagli speculatori, dai risparmiatori, dagli investitori che ora più che acquistare titoli di Stato e immobili - malgrado i prezzi in discesa di mutui e case - dedicano risorse e attenzione ai lingotti. Sulle ragioni c’è da riflettere, e forse non sono solo questioni economiche, perché quelle appaiono almeno razionali dal loro punto di vista. Dall’inizio 2019 gli altri “asset”
ossia beni che possono essere monetarizzati, sono in ribasso generale del 3%, mentre l’oro è rientrato a pieno titolo tra gli ETF gli “exchange-traded fund” ossia fondi d'investimento, ed è un tripudio sui siti specializzati dove si annuncia che l’oro sarà una panacea per tutti: per chi ha intenzioni speculative, perché è di una flessibilità straordinaria, come qualsiasi altro investimento, il prezzo dell’oro aumenta o diminuisce, “offrendo agli investitori l’opportunità di assumere una posizione speculativa sulle fluttuazioni future dei prezzi”; oppure l’oro è un tonico per chi vuole dormire tranquillo: “l’oro può rappresentare un’efficace protezione dall’inflazione”. Poi c’è l’aspetto atavico dell’oro, nelle sue trasfigurazioni religiose, popolari, messianiche, rituali, quello per cui è associato a un dio o al demonio, perché è “portatile”, è “divisibile”, Il suo peso determina facilmente il valore dell'oggetto; è indistruttibile; è facilmente riconoscibile ed accettabile in forma di pagamento. In tempi poi in cui tutti parlano e straparlano, l’oro non ha bisogno di dare nessuna spiegazione, quindi vince senza nemmeno sprecare fiato. “Sia in tempi di crisi che in tempi di prosperità l'oro resiste”, dice chi ha investito in oro, ed è la sua potenza, come dire: le mode passano ma lui no.
L'oro, fanno presente i siti che ne propongono l’acquisto, è tra i beni economici mondiali maggiormente "liquidi". Può essere prontamente venduto 24 ore su 24 in uno o più mercati in tutto il mondo. C’è, infine, chi curiosamente ha fatto un calcolo interessante, a proposito della sua stabilità. “Per esempio, un abito da uomo nel XVI secolo in Inghilterra al tempo di Re Enrico VIII costava l'equivalente di un'oncia d'oro, prezzo che si può pagare anche adesso per un abito moderno”. Insomma anche tra 500 anni magari su Marte, chi si porterà rientro l’oro potrà scambiarlo con una moderna tuta da astronauta. Non è magnifico?

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La ministra Teresa Bellanova e le raccoglitrici d’uva delle campagne di Ortona.

La ministra Teresa Bellanova e le raccoglitrici d’uva delle campagne
di Ortona.


Sono cronaca di questi primi giorni del nuovo governo Movimento 5 stelle, partito democratico,
Liberi ed Uguali le polemiche suscitate,al momento del giuramento del nuovo esecutivo,
dall’abbigliamento della ministra all’Agricoltura Teresa Bellanova ed anche dal suo titolo di studio
nonché dalla sua militanza sindacale nella Cgil. La neo ministra ha ricordato il suo lavoro giovanile
come bracciante agricola ed in una bella ed ampia intervista al quotidiano La Repubblica di
domenica 8 settembre ha aggiunto di ricordare vivamente “la fatica delle alzate all’alba a 14 anni
per andare a lavorare l’uva per l’esportazione” nelle campagne di Bari e di voler dedicare la propria
attività ministeriale alle “amiche braccianti che non hanno una vita”. E proprio da questa dura
esperienza lavorativa è nata in lei la coscienza sindacale che l’ha portata ad essere dirigente
sindacale della Cgil fino all’impegno politico e parlamentare nel partito democratico ed ora quale
componente del governo del Paese.
A me ha colpito molto il riferimento al lavoro come raccoglitrice dell’uva di esportazione perché è
una realtà lavorativa oggi sconosciuta nel campo agricolo in Abruzzo, ma fino a non moltissimo
tempo fa, abbastanza diffusa anche dalle nostre parti, in particolare nelle campagne dell’ortonese, a
Villa Caldari, dove si coltivava l’uva regina per esportazione, soprattutto in Germania; attività che
vedeva concentrarsi in quelle campagne qualche migliaia di donne, provenienti da tutte le province
dell’abruzzo, per un paio di mesi, in condizioni molto dure di sfruttamento. Si iniziava a lavorare
all’alba e si terminava all’imbrunire, con una paga misera, ed in condizioni alloggiative difficili.
Era una attività molto intensa che, in quel periodo, monopolizzava il traffico ferroviario per le
spedizioni della stazione FS di Ortona con il lavoro di carico delle cassette d’uva e delle lastre di
ghiaccio nei convogli ferroviari, molte decine in un giorno, ad opera di carovane di facchini
costituiti in gran parte da giovani studenti, capitanati da un responsabile più anziano che con modi
spicci e duri organizzava il lavoro di carico con ritmi pesantissimi; il che provocava un grande turn
over di giovani addetti proprio per il pesante carico di lavoro giornaliero.
All’inizio della mia attività sindacale nel 1979 a Lanciano ho avuto modo di conoscere una
sindacalista della Cgil che proprio nella sindacalizzazione delle raccoglitrici dell’uva dell’ortonese
aveva svolto un ruolo fondamentale. Era originaria di Montorio al Vomano, si chiamava Finavera
Vera e nel periodo della raccolta delle uve veniva inviata nelle campagne ortonesi a fare attività di
tutela e proselitismo. Io ne ho un ricordo molto vivo perché era una compagna molto energica,
decisa, preparata ed intelligente, con una grande carica umana e molte volte mi ha raccontato le
grandi difficoltà di fare sindacato letteralmente nel mezzo delle campagne, per contattare le
raccoglitrici d’uva singolarmente e sfidare la reazione dei proprietari terrieri. Erano delle autentiche
lezioni di pratica sindacale. Trasferitasi da Teramo a Chieti aveva conosciuto e sposato Nicola
Stella, dirigente sindacale della Cgil di Lanciano, consigliere comunale comunista, protagonista
della rivolta nel 1968 delle tabacchine dell’ATI di Lanciano, segretario della Camera del Lavoro di
Lanciano quando ho iniziato a fare sindacato nella Cgil. Due fortissime personalità animate da una
speciale passione sindacale e politica (ambedue militavano nel PCI).
Oggi il panorama della agricoltura ortonese è profondamente cambiato con una produzione
vitinicola d’eccellenza, con un sistema di cantine sociali all’avanguardia, che consorziandosi
sfidano la concorrenza ed aggrediscono, con successo, i mercati esteri. Anche se nel campo agricolo
la tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori,anche da noi, è questione sempre aperta.
Certamente oggi la vicenda delle raccoglitrici d’uva di ortona appartiene ad un passato, tanto manco
lontano, ma che è bene conoscere proprio per dare al mondo agricolo tutte le opportunità di
sviluppo nel rispetto della dignità di quanti vi lavorano.
Ma sono certo che Teresa Bellanova, con la sua attività come Ministro della Agricoltura darà un
fondamentale contributo in questa direzione.

Di Nicola Primavera

 

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Alcune riflessioni sul governo giallo rosso

Alcune riflessioni sul governo giallo rosso

Prima di esprimere qualche giudizio sulla composizione del governo giallo rosso è il caso di ripercorrere la storia dell’ultima crisi di governo. Il 7 agosto, dopo un colloquio con Conte che si era dimostrato molto disponibile, Salvini decise di aprire la crisi .Perchè lo ha fatto lo ha dichiarato lui stesso, voleva i pieni poteri, ciò è vincere le elezioni e governare da solo. Ma ha sbagliato i calcoli pensando che questo desiderio lo avesse l’intero PD, e quando Renzi si è opposto, le altre correnti del partito hanno dovuto seguirlo. La ragione ufficiale era quella di sbarrare la strada al fascismo di Salvini. Quando è a corto di idee la sinistra ha sempre un fascismo da sconfiggere mandando in prima linea le bandiere dell’A.N.P.I.(ma i reduci delle guerre puniche perché si nascondono?). La difesa delle poltrone di tanti senatori e deputati era una logica conseguenza; tornare al potere dopo un solo anno di purgatorio non è poi così male! Quanto ai 5 stelle non possono certo dire di voler bloccare il fascismo leghista dal momento che ci hanno tranquillamente governato per 14 mesi. Però conservare poltrone e potere è una bella cosa, anzi ottima. Essendoci in Parlamento una maggioranza il presidente Mattarella non poteva fare altro che rispettare la vigente Costituzione

Come spiegare questo connubio?

La gran massa del pubblico è restata sorpresa nell’apprendere l’alleanza di due forze politiche che sino a tempi recentissimi si erano pesantemente insultate promettendo che non si sarebbero mai disposte a collaborare. E’ pur vero che nazioni come ad esempio la Germania e la Francia che si sono ripetutamente affrontate in guerre che sono costate milioni di morti hanno poi trovato il modo di fare la pace e collaborare. Motivazioni in questo caso molto più nobili di quelle che hanno portato alla nascita del governo giallo rosso. Alcuni osservatori ritengono che tra il PD e i 5 stelle ci siano motivi di contatto che avrebbero dovuto spingerli a realizzare una collaborazione sin dall’inizio della legislatura. In realtà Lega e Movimento sono stati entrambi all’opposizione nella precedente legislatura con posizioni piuttosto simili su alcuni argomenti che potremmo racchiudere sotto la definizione di populismo. Era bizzarro pensare che il principale vincitore ed il principale sconfitto si mettessero immediatamente a collaborare. La situazione odierna è invece molto mutata; il PD sperimenta una discreta ripresa e i cinque stelle un forte ridimensionamento. Questi ultimi hanno attenuato alcune posizioni anti europee come dimostra il comune sostegno elettorale alla elezione della nuova Presidente della Commissione Europea. E’ quindi comprensibile che ci possa essere una certa convergenza di programmi; come questa collaborazione si svilupperà è tutto da vedersi. Dalla azione di governo dipenderà il bottino di consensi che i due principali partiti di governo potranno ottenere. I primi sondaggi li premiano entrambi e penalizzano, in modo per ora non grave, la Lega. In seguito sarà interessante constatare se questa coalizione premierà entrambi i partiti, uno solo dei due o nessuno dei due. I primi test interessanti a cui il Centro Destra (sarebbe meglio dire la Destra) si presenterà unito saranno le elezioni regionali. Logica vorrebbe che anche PD e 5 stelle collaborassero; la cosa però si presenta più difficile per i 5 stelle perché alleanze organiche anche a livello periferico vorrebbero significare una rinuncia a quella orgogliosa pretesa di essere diversi da tutti e di perseguire sempre una egemonia autonoma. Si cambia però così in fretta!

Quale opposizione a questo governo?

La forza della opposizione dipenderà dai risultati del governo. Se questi fossero deludenti l’opposizione non potrebbe che aumentare il suo potenziale. Ma quale opposizione? Berlusconi, ammesso che voglia davvero fare l’opposizione cosa di cui è lecito dubitare, è in calo accelerato di consensi e Forza Italia è un partito talmente disegnato sul suo proprietario Presidente da non essere in grado di sopravvivere senza la guida del Cavaliere. Fratelli d’Italia non può aspirare alla leadership della Destra Italiana. Quanto alla Lega la situazione si fa delicata e questo per il tipo di politica più che per il destino del capitano. Se infatti Salvini fosse eliminato per via giudiziaria potrebbe essere sostituito da Giorgetti che si presenta anche meglio. Il problema non sta nella guida ma nella politica del partito. Le posizioni sovraniste hanno fruttato un bel gruzzolo di consensi ma ora molti si rendono conto della sterilità di questa strategia. La Gran Bretagna che possiede una moneta forte, che è una potenza militare nucleare, che ha una stretta relazione con molte delle sue ex colonie ha grandi difficolta ad uscire dall’Europa; per l’Italia questa soluzione è impraticabile. Tentare di cambiare in senso sovranista il panorama politico europeo è un obiettivo irraggiungibile e scegliere una collaborazione con i paesi di Visegrad è stato un evidente errore strategico. Ritengo che gli elettori matureranno gradualmente la convinzione che questa scelta politica ci isola e ci danneggia. Questa considerazione mi fa prevedere che i consensi della Lega tenderanno più facilmente a ridursi che non a crescere. Con le forze politiche posizionate agli estremi si apre al centro un grande spazio che, o sarà occupato dai 5 stelle se essi saranno capaci di una mutazione genetica, o vedrà il sorgere di una nuova forza politica la cui nascita sarebbe favorita da un sistema elettorale proporzionale.

 

Che giudizio sulla composizione del governo giallo-rosso?

In un recente articolo sulla Stampa ,Sorgi definiva con una certa riprovazione questo governo come un governo di matrice democristiana elencando in successione Mattarella, Renzi, Conte, Franceschini e diversi altri. Sorgi vede nella Democrazia Cristiana qualcosa di negativo. Dimentica che a questo Partito si deve la libertà, l’Indipendenza, e lo sviluppo economico dell’Italia. Al programma del fronte popolare (partito comunista italiano, partito socialista italiano) che prevedeva la dittatura del proletariato, l’economia collettivista e l’adesione al patto di Varsavia la Democrazia Cristiana antepose la democrazia parlamentare, l’economia di mercato e l’adesione alla Nato. Che questa ricetta sia quella giusta è dimostrato dal fatto che non la contesta più neanche D’Alema. Magari fosse questo un governo democristiano!

Entrando più in profondità nella composizione possiamo dire che qualche miglioramento c’è stato rispetto alla precedente compagine. Alcuni dei ministri 5 stelle più criticati sono stati rimossi e la compagine del PD mostra in alcuni ministeri persone di più larga esperienza rispetto alla delegazione leghista. Vorrei ora soffermarmi su due ministeri, quello della Salute e quello degli Esteri. Alla Salute è andato Speranza che come esperienza di governo è pari a zero e come competenza per i problemi della Sanità è addirittura sotto zero. Perché le cose vadano ben ci vuole davvero speranza. Questa è stata un’occasione persa; questo ministero doveva restare ai 5 stelle che avevano un tecnico di grande valore come Sileri. Per gli Esteri è arrivata ,cosa poco diplomatica, una critica ufficiale dalla Cina. Sul web stanno massacrando il povero Di Maio. Credo che sia il più giovane ministro degli esteri dall’unità d’Italia. Batte per qualche anno Galeazzo Ciano che andò ad occupare palazzo Chigi (allora sede del ministero degli Esteri) avendo Mussolini rimosso un bravissimo Ministro come Grandi per far posto al genero. Quella nomina fu causa di grandi sciagure per l’Italia poiché l’alleanza con la Germania Nazista fu fortemente voluta da Galeazzo, salvo poi a pentirsene amaramente. Di Maio, che sarà sostenuto ed aiutato dalla ottima struttura del ministero, non rischia di fare danni così gravi. Al massimo non farà più il ministro; a Ciano è andata molto peggio.

di Achille Lucio Gaspari

 

 

 

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La morte del cardinale Achille Silvestrini

La morte del cardinale Achille Silvestrini

E’ recentemente tornato alla casa del Padre Sua Eminenza il cardinale Achille Silvestrini. Tutti coloro che lo hanno conosciuto ne hanno apprezzato la grande umanità, oserei dire la santità. Segretario del cardinale Tardini allora segretario di stato e fondatore di Villa Nazareth, promosso cardinale, è stato un preziosissimo collaboratore per molti dei segretari di stato che si sono succeduti. Formatosi alle idee del Concilio Vaticano II si è sempre contraddistinto per una grande apertura alle più importanti innovazioni della Chiesa. Ha posto grande attenzione ai rapporti con le chiese sud americane ed orientali ed in qualità di Ministro degli Esteri del Vaticano ha favorito un contatto ed una apertura verso i regimi della sinistra autoritaria alla scopo di guadagnare spazi di libertà alla professione di fede dei cristiani.

Alla morte di san Giovanni Paolo II coagulò un consistente gruppo di cardinali progressisti; qualcuno pensa che ostacolò l’elezione di Benedetto XVI ed in effetti si istaurò tra di loro una certa freddezza. Silvestrini era succeduto a Tardini nella presidenza di Villa Nazareth, una istituzione che ospitava ed assisteva giovani studenti particolarmente capaci ma dotati di pochi mezzi economici .Non era semplicemente un collegio ma uno strumento per promuovere la cultura e lo studio nell’ottica di una valorizzazione dei valori umani e cristiani. Non a caso Giuseppe Conte è stato uno studente di Villa Nazareth come lo è stato un mio allievo ora primario chirurgo in Inghilterra. Di tutti il cardinale si preoccupava seguendo con assiduità ed affetto i progressi di carriera.

L’ultima domenica prima di Natale celebrava nella cappella Paolina una commovente messa per la comunità di Villa Nazareth. Al termine della cerimonia veniva aperta la Cappella Sistina e in quel luogo straordinario si scambiavano gli auguri con Sua Eminenza. Tante volte ho partecipato con grande emozione a questa bellissima cerimonia. Durante il pontificato di Benedetto XVI la cerimonia fu spostata in un altare secondario di San Pietro. Dopo qualche tempo alla comunità di Villa Nazareth fu concessa una udienza nella Sala Nervi in vaticano che si concluse con un abbraccio di riappacificazione tra il Papa e il Cardinale; dopo di che le messa pre natalizia ritornò ad essere celebrata nei luoghi consueti.

Il cardinale mi ha gratificato di una sincera ed affettuosa amicizia prodiga di preziosi consigli. E’ stato ospite d’onore in un congresso internazionale sugli aspetti scientifici ed etici della cura del cancro organizzato per il Giubileo del 2000, e nel congresso della Società Italiana di Chirurgia celebrato a Roma nel 2004. Ha portato in questi Congressi un rilevante contributo di etica e di rispetto fraterno per il sofferente.

Naturalmente la sua scomparsa mi ha dolorosamente colpito così come è stato per le tantissime persone che lo conoscevano ed amavano. Achille Silvestrini insegnava che la vita è un passaggio e che alla fine ci ritroveremo tutti ,pertanto bisogna bandire la tristezza e il senso di abbandono; per questa ragione voglio terminare questo ricordo con una nota simpatica.

Erano miei ospiti per una cena frugale il Cardinale e mio padre. Silvestrini mi consegnò un pacchetto che conteneva il Breviario di politica scritto dal Cardinal Mazzarino. "Questo è per lei professore -disse consegnandomi il regalo- e lei caro onorevole non se ne abbia a male perché questo abruzzese, il Mazzarino era nativo di Pescina, di politica ne sapeva molto, ma molto più di lei".

di Achille Lucio Gaspari

 

 

 

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Grillo e i ministri tecnici

Grillo e i ministri tecnici

In un recentissimo scritto sul suo blog Grillo consiglia Conte a scegliere per il suo governo ministri tecnici,almeno per la parte di competenza del Movimento. Come interpretare questa affermazione? C'è un aspetto propagandistico:mostrare al publico che questo nuovo governo non si fa per salvare le poltrone. Può esserci anche una larvata critica a quanto fatto dai ministri 5stelle.
Remo GASPARI affermava che i tecnici erano i peggiori ministri. Questo perché perseguendo l’aspetto culturale tralasciavano quello politico,ovvero la responsabilità di una decisione assunta nel quadro generale delle politiche di governo.Il politico doveva essere però ben preparato per valutare i consigli che riceveva dai suoi tecnici di riferimento.Quelli però erano altri tempi. Non si era nominati ministri se non dopo una lunga carriera che prevedeva di essere stato sindaco,presidente di provincia o di regione, parlamentare con buona esperienza di lavoro nelle commissioni e a lungo sottosegretario.
Oggi le affermazioni di Grillo hanno una loro validità. Spero che Conte nella trattativa per attribuire ai vari partiti della coalizione i ministeri tenga conto anche delle pedine a disposizione.Per fare un esempio il Movimento possiede un tecnico di ampio valore per i problemi della sanità. Piepaolo SILERI è un docente universitario,e lo stesso Conte è una riprova che spesso gli accademici hanno una marcia in più. Sileri è un professionista esperto che conosce le realtà assistenziali dell’Italia, degli Stati Uniti e del Regno Unito. Come presidente della Commissione sanità del Senato ha acquisito esperienza facendo molto bene. Perché cercare per strada un buon tecnico quando lo si ha a casa?
-- 
di Lucio Achille Gaspari

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Questione urbana e questione ambientale

Questione urbana e questione ambientale

 

  1. “Io so che il cielo è morto, e che la terra, un tempo traboccante della bellezza della vita umana, è diventata quasi un formicaio”

(da “Iperione”, 1797 di Fiedrich Honderline)

Le metropoli infinite

 

Secondo il dossier dell'Onu "World Urbanization Prospects 2018", la popolazione mondiale ammonta oggi a circa 7,7 miliardi di persone; le proiezioni del rapporto mostrano che nel 2050 la popolazione toccherà i 9,7 miliardi. Sempre entro il 2050 i due terzi della popolazione mondiale vivranno in aree urbane, una parte consistente dei quali in mega-città con più di 20 milioni di abitanti destinate a crescere e concentrate nei paesi in rapido sviluppo dell'Asia, dell'Africa e del Sud America. Un quarto di questa stessa popolazione urbana vivrà nei tuguri delle bidonville e nelle periferie degradate delle stesse megalopoli. In Europa l´80% della popolazione abita oggi in città e aree urbane, in Gran Bretagna il 90%, in Italia il 60%.

A fronte di questa situazione drammatica dovremmo avere città e territori vivibili, dove la gente possa incontrarsi, lavorare, muoversi liberamente, vivere bene.

Le città e i territori nei quali viviamo invece sono in gran parte, secondo il “modello” metropolitano vincente, aree urbanizzate indistinte e senza qualità che divorano, nella loro espansione incontrollata e continua, suolo, energia, risorse. Sempre meno adeguate alla vita, le aree urbane e le città paradossalmente rappresentano non la soluzione più razionale, ma la fonte principale dei problemi insediativi e relazionali della nostra epoca.

Per il nostro futuro sono la Sfida – che – comprende – tutte – le – sfide: politiche, sociali, culturali, energetiche, ambientali, demografiche, etniche.

 

 

Desertificazione e inondazioni: gli effetti dei cambiamenti climatici in atto

 

Nel contesto delineato non è possibile ignorare che un quarto delle terre del pianeta, abitate da più di un miliardo di persone, siano oggi minacciate da estesi e pesanti processi di desertificazione.

Per quanto riguarda l'Italia, secondo un rapporto del WWF del 2017, "...oggi circa un quinto del territorio nazionale viene ritenuto a rischio desertificazione: quasi il 21% del territorio del quale almeno il 41% si trova nelle regioni dell’Italia meridionale, come Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia, ma sono coinvolte anche aree in altre regioni come l’Emilia-Romagna, le Marche, l’Umbria e l’Abruzzo". Contemporaneamente, gli effetti dei cambiamenti climatici riservano fenomeni stravolgenti alle aree urbane costiere e ai loro porti derivanti dall'innalzamento dei mari.

Secondo uno studio dell'ENEA "...nel 2100 il Mediterraneo si innalzerà di oltre un metro, Venezia e Napoli saranno a rischio... il mare si mangerà pezzi d'Italia tra i più pregiati, quelli lungo le coste." Il rapporto prevede, tra l'altro, che il mare inonderà buona parte dell'area urbana adriatica con al centro Pescara.

Di fronte a questa deriva che riguarda l'intero pianeta, esito dei potenti conflitti ambientali tra l'uomo e la natura, è necessaria la piena consapevolezza da parte dei governi, delle istituzioni internazionali e dei cittadini, dei rischi che l'intero ecosistema della terra e i sistemi insediativi umani stanno oggi correndo, in modo da agire per imprimere una controtendenza efficace ed evitare la catastrofe che ci sta davanti. Ma, come è noto, a fronte della profonda consapevolezza del mondo scientifico, manca del tutto un'azione dei governi conseguente e efficace a causa della resistenza e dell'egoismo degli Stati più influenti del mondo, come Stati Uniti e Cina.

Reti di Città

 

  1. «Città infinita» significa dunque «catastrofe» della città nel senso più sobrio e disincantato: nel senso che la «città» si è irreversibilmente trasformata in «area vasta», dai confini imprevedibili.

  2. Manca una cultura del governo di area vasta. ... Le istituzioni locali e regionali fotografano nel loro assetto una fase storica trapassata.

  3. Non abbiamo bisogno di nuovi «centri» ma di creare una «rete» che combini decisione a partecipazione, concertazione a progettualità." (M. Cacciari)

 

Nel nostro paese la deriva ambientale in atto impone di fermare il consumo di suolo e avviare una forte e decisa politica di sviluppo sostenibile, ad esempio attraverso il rimboschimento di vaste aree abbandonate e la decisa naturalizzazione delle aree urbane, (senza ricorrere a "boschi verticali" o ad analoghe soluzioni con cui mascherare nuove cementificazioni) de-impermeabilizzando le città e riportando al loro interno vegetazione, biodiversità e bellezza. Impone, inoltre, di fermare l'espansione delle aree urbane facendole crescere al proprio interno e di puntare alla rete delle città come alternativa alla metropoli infinita, con l'obiettivo di sviluppare nei territori un sistema di relazioni tra le città che la costituiscono, rafforzandone l'identità, nel quadro di una politica di coesione e di intese inter-istituzionali.

Riqualificare e rinaturalizzare le periferie urbane, recuperare alla vita i centri dell'Appennino, tutelare le campagne e gli ambiti naturali, rendendole di fatto i-ne-di-fi-ca-bi-li, possono essere le invarianti di uno sviluppo sostenibile e resiliente delle reti di città. È quello che sta avvenendo attraverso leggi urbanistiche mirate al risparmio di suolo in molti paesi europei: Germania, Inghilterra Francia, Spagna, Olanda.

«Il modello di sviluppo urbano dei prossimi anni deve essere policentrico. Non ci sono alternative. Soltanto le città che sceglieranno la via del policentrismo e delle reti potranno vincere la sfida del Big Bang urbano». (Richard Burdett, London School of Economics).

Diritti e uguaglianza urbana

La negazione dei diritti di cittadinanza é l’espressione più evidente della crisi dell'abitare contemporaneo. L’effettività di tali diritti è infatti ostacolata dal modo di essere fisico della città, che di fatto nega non solo quei diritti che possiamo considerare primari (diritto di riunione, di manifestazione del pensiero, di circolazione, diritto alla salute, al lavoro, ecc.) ma anche quelli che attengono alla dimensione sociale e civile dell’abitare: l’agire la socialità e la condivisione, le pari opportunità tra i generi, la non discriminazione, il diritto alla bellezza, alla cultura, all'amore, alla libertà sessuale, ecc.

È necessario dunque un nuovo statuto urbano che riconsideri radicalmente il rapporto tra la forma della città e il pieno godimento dei diritti di cittadinanza. Uno statuto che codifichi in principi generali i diritti e le responsabilità dei cittadini nelle relazioni materiali e civili con la città e il territorio: abitare, lavorare, divertirsi, comunicare, ecc. Uno statuto che costituisca un nuovo mandato collettivo alla pianificazione del territorio corrispondente agli interessi generali dei cittadini.

 

Crisi ambientale della città e crisi della politica

La crisi della politica coincide non casualmente con la crisi ambientale della città nella sua dimensione metropolitana e infinita. Ciononostante la “politica”, e qui ci si riferisce in particolare a quella della sinistra, non riesce a esprimere un punto di vista chiaro e avanzato sulla questione urbana connessa a quella ambientale. Una sorta di indifferenza “grave e incomprensibile - afferma Edoardo Salzano – anche perché la città è il luogo della possibile speranza.”

Se la politica non assumerà la questione urbana tra le sue priorità, una questione che tocca nel vivo la vita di ognuno, si precluderà “una delle poche possibilità di rappresentare una reale alternativa” al mondo attuale, con il rischio di favorire, invece di contrastare, le cause che alimentano la sua crisi. Assumere la questione urbana come rilevante tema politico equivale infatti a darsi l’obiettivo della ricostruzione del senso collettivo della città e, concretamente, dei luoghi civili e comunitari che producono tale senso, promuovendo con esso un nuovo radicamento sociale e culturale.

Non resta altrimenti che la barbarie: ovvero la paura, l’insicurezza e l'odio su cui la nuova destra omofoba e razzista sta vittoriosamente costruendo quel nuovo senso comunitario e di appartenenza territoriale che è sotto gli occhi di tutti.

Le città, le metropoli infinite, le periferie informi, la natura devastata, espressioni e rappresentazioni del liberismo imperante, sono in definitiva le nuove frontiere della politica e cioè il nuovo e più importante terreno di azione dell'umanità per immaginare e realizzare un nuovo mondo nel quale vivere.

Un mondo già ricompreso in quello attuale, con la sua bellezza rimossa e in grave pericolo di sopravvivenza. Un mondo in attesa di essere ri-svelato e re-interpretato nella contemporaneità.

di Tommaso Di Biase

 

 

 

 

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Nino Pace: la politica per passione. In Abruzzo, come socialista, sfidò il duopolio Dc-Pci. Un ricordo.

 

Nino Pace: la politica per passione. In Abruzzo, come socialista, sfidò il duopolio Dc-Pci.

Un ricordo.

 

Nell’Abruzzo della prima repubblica e nella sua classe dirigente, nata dopo il giugno del 1970 con le prime elezioni regionali, certamente una collocazione di primo piano spetta a Nino Pace, un uomo politico a tutto tondo, con una grande popolarità ed un vasto consenso elettorale che per oltre un quarto di secolo ha svolto un ruolo importantissimo nelle scelte politiche regionali e di cui nei giorni scorsi è stato annoverato il ventennio della prematura scomparsa. Nino Pace è deceduto, infatti, il 16 agosto 1999 dopo lunga malattia. Fu così interrotto, purtroppo, un impegno politico ed amministrativo che avrebbe potuto dare alla sua Ortona,alla provincia di Chieti, ma soprattutto all’Abruzzo, un grande slancio in termini di nuove opportunità di sviluppo.

 

Era un amministratore concreto e preparato, grandissimo lavoratore, davvero instancabile, con una grande disponibilità al confronto con gli altri, una notevole passione e visione politica. Queste qualità gli facevano avere anche il rispetto degli avversari; cosa non facile, in un periodo di grandi passioni e tensioni politiche soprattutto a sinistra tra socialisti e comunisti.

 

E’ stato presidente del Consiglio Regionale, Vice Presidente della Giunta Regionale con le presidenze della Nenna D’Antonio e di Emilio Mattucci, Assessore Regionale al Lavoro, ai Trasporti, al Commercio, Industria ed Artigianato settori nei quali ha lasciato una grande eredità di provvedimenti legislativi ed iniziative concrete che produssero un loro grande sviluppo.

 

Ma è soprattutto come Assessore Regionale al Lavoro (una delega che lui volle fortemente istituire) che Nino Pace caratterizzò il suo impegno negli anni ottanta, essendo concretamente e fattivamente presente in tutte le più grandi crisi industriali della nostra regione: dai problemi della Val Pescara: la Farad, la Cir, la Iac, la Fusac alla Monti, all’Italtel e poi alla vicenda della Publasta di Ortona il cui mancato salvataggio gli procurò qualche amarezza. Partecipava alle assemblee aperte di fabbrica insieme a cgil cisl uil. Lui, assessore regionale socialista che osava sfidare sul versante dei rapporti con gli operai lo stesso PCI, ottenendo consensi e risultati. E’ un periodo che come sindacalista socialista della cgil ricordo come un momento davvero straordinario ed unico. Sempre in quel periodo collochiamo la Conferenza Regionale sull’Occupazione e sulle Partecipazioni Statali con la presenza di Gianni De Michelis.

 

Anche nei momenti successivi, il suo legame con il mondo del lavoro non è mai venuto meno. Da Presidente del Consiglio Regionale, appena eletto, venne in visita alle sedi regionali di CGIL CISL UIL.

 

Ma è nelle campagne elettorali che Nino Pace, a mio modo di vedere, dava il meglio di sé. Ricordo i suoi comizi oceanici nella Piazza della Repubblica di Ortona, con la sua oratoria trascinante ed incisiva. Negli appuntamenti elettorali riusciva a tenere in poche settimane anche ottanta, novanta comizi per tutto il territorio di Ortona (suo collegio elettorale), ma anche nei maggiori centri della provincia di Chieti ed anche dell’Abruzzo. Quando si arrivava al venerdì prima del voto giungeva sempre quasi afono e stremato dallo straordinario impegno fisico profuso. Un grande catalizzatore di consensi elettorali, nella sua città Ortona il PSI arrivò al 30%, ma anche nella provincia di Chieti ed in Abruzzo, grazie anche al suo contributo elettorale, i socialisti si posero concretamente come terzo polo rispetto alla DC ed al PCI da protagonisti non subalterni.

 

Entrato nel PSI nel 1976, alla vigilia del Midas di Bettino Craxi, dopo l’esperienza nel PSDI, Nino Pace è stato Segretario Regionale del PSI, amico di Paolo Pillitteri e collocato con la sinistra socialista nel PSI con un grande rapporto personale con Claudio Signorile e Gianni De Michelis.

Nel 1975 divenne sindaco di Ortona guidando la prima giunta di sinistra con il PSIi,il PSDI, il PCI ed il PRI dando inizio ad una stagione amministrativa per la città caratterizzate successivamente dalle giunte Bernabeo e Moro tra le migliori della città adriatica. Grande impegno anche per lo sviluppo del porto di Ortona, con i primi finanziamenti FIO e con la legge regionale ad hoc come “scalo industriale della regione Abruzzo”.

 

Infine mi preme sottolineare il modus operandi politico, davvero unico, di Nino Pace: quand’era assessore regionale arrivava in ufficio alla regione alle 7,30 del mattino. Vi rimaneva fino alle 16,30, senza alcuna pausa pranzo, poi si trasferiva nel suo studio di Ortona dove riceveva una grande quantità di persone, fino alle venti e trenta, ventuno dove andava alle riunioni delle sezioni socialiste del territorio o della Federazione del PSI di Chieti per tornare a casa a notte inoltrata. Ricordo che la grande quantità e complessità della sua attività, a volte, metteva seriamente in crisi anche il suo staff di segreteria. Nino Pace era sempre disponibile con gli altri; ascoltava tutti e personalmente l’ho visto, molte volte, aiutare concretamente chi si trovava in difficoltà.

 

In conclusione, io credo che proprio per il difficile e confuso momento politico che viviamo,nel nostro Paese ed anche nella nostra Regione recuperare, valorizzare ed attualizzare la memoria della lezione politica ed umana di uomini pubblici come Nino Pace può forse indicarci la strada giusta per uscire dalle attuali difficoltà.

 

di Nicola Primavera

(foto di Mario Paolini)

 

 

 

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Salvini non sa fare le addizioni e neanche le strategie

Salvini non sa fare le addizioni e neanche le strategie

Nel mio precedente articolo mi ero domandato se Salvini sapesse fare le addizioni. Da come è andata la votazione in Senato, 161 voti contro di lui, appare evidente che non le sa fare, ma quello che è più grave è che non sa pianificare le strategie. L’alleanza con i 5 stelle gli aveva fruttato un aumento dei consensi mentre indeboliva gli alleati-competitori. Perché interrompere questa esperienza e farlo addirittura nel mese di agosto? Per andare subito alle elezioni ed incassare una maggioranza che lo rendesse autonomo. Ma a volere le elezioni c’erano soltanto due partiti, Lega e Fratelli d’Italia; tutti gli altri erano contro. Come pensava allora di evitare un governo che si sarebbe basato su una diversa maggioranza? Con un accordo non esplicito con Zingaretti che invocava a parole le elezioni. Ma è evidente a tutti che il PD è diviso in correnti e la maggioranza di queste correnti, in particolar modo quella che fa capo a Renzi sarebbe stata contraria e avrebbe finito con il trascinarsi dietro tutto il partito dal momento che i peones non hanno proprio voglia di tornare a casa dopo un solo anno di legislatura. Ben valutate le probabilità di esito favorevole del piano A, doveva preparare un piano B in caso di insuccesso, il che vuol dire lottare dall’opposizione ed essere pronto agli svantaggi della perdita del potere di governo. Invece sembra proprio che sia stato sorpreso da come sono andate le cose e colto del tutto impreparato faccia proposte e dica cose una più strampalata dell’altra. Elenchiamole queste sciocchezze. Voto il taglio dei parlamentari e poi si va subito ad elezioni rimandando il referendum confermativo e l’applicazione della riforma alla nuova legislatura. Che non si può fare glielo può dire anche uno studente di diritto costituzionale. Non ho staccato la spina a Conte. Ma come? Non sei stato tu a presentare la mozione di sfiducia al governo? Dovresti dire queste cose in dialetto stretto delle valli bergamasche in modo da poter dichiarare che non sei stato capito. Ma usando l’italiano tutti ti hanno capito e ormai dopo aver fatto la frittata non cercare di rigirarla. Tenti addirittura, pur di restare al Viminale, di cedere a Conte il posto di commissario che spetta alla Lega, e di offrire a Di Maio il posto di Presidente del Consiglio che non gli hai voluto attribuire quando valevi il 17% dei consensi. E’ una retromarcia che ti fa perdere la faccia e prima o poi anche i consensi perché se si farà questo governo Giallo-Rosso già si parla di patrimoniale, jus soli, apertura dei porti e tagli alla sanità, molti che ti avrebbero votato (ma non i pensionati a cui hai tagliato gli assegni) rifletteranno sul fatto che questo nuovo governo nasce per colpa tua e da loro non arriverà più un voto alla Lega. Salvini si deve ora aspettare una serie di avvisi di garanzia, il più pericoloso dei quali potrebbe arrivargli dal Procuratore di Agrigento visto la strada che ha preso la nuova maggioranza in Senato. Il modo ingenuo e dilettantesco con cui il Capitano si è difeso nell’affare Savoini (non lo conosco bene, non so come mai sia stato invitato a cena a Villa Madama) aveva ingenerato il sospetto che fosse molto meno abile di quanto i più credevano. Lo svolgersi di questa vicenda agostana lo conferma senza alcun dubbio.

Quanto a di Maio si trova temporaneamente in una botte di ferro perché può scegliere tra un nuovo governo che lo vedrebbe comunque in posizione di preminenza ed un ritorno alla collaborazione con un Salvini pentito e abbattuto, che sarebbe facilissimo tenere per la collottola.

di Achille Lucio Gaspari

 

 

 

 

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Salvini conosce la curva di Gauss e sa fare le addizioni?

Salvini conosce la curva di Gauss e sa fare le addizioni?

 

La curva di Gauss è una funzione probabilistica che in un campo cartesiano assume una forma a campana. Può essere usata per descrivere tutta una serie di fenomeni, anche ad esempio l’andamento nel tempo del consenso elettorale ad un partito politico. In questo caso sull’asse orizzontale è rappresentato il tempo e su quello verticale il numero dei voti conseguiti. La forma di questa curva a campana potrà variare molto ma descrive un fenomeno costante: il consenso cresce, si mantiene ad un certo livello e poi decade inesorabilmente , è solo questione di tempo. Se Salvini conosce questo teorema avrà pensato che prolungare troppo a lungo l’esperienza contrattuale con i 5 stelle lo avrebbe posizionato nella fase discendente della curva. Per questa ragione ha deciso di interrompere questa esperienza di governo e correre al voto. A questo punto però l’alta matematica confligge con la semplice aritmetica. Salvini ha solo il 17% di senatori e deputati; quando si vota nelle Camere i sondaggi valgono zero.

Chi vuole le elezioni e chi le avversa?

Favorevoli alle elezioni anticipate sono solo la Lega e Fratelli d’Italia. Forza Italia lo sarebbe solo nel caso di un accordo pre elettorale con la Lega , magari con la promessa per Berlusconi di un ruolo come Ministro degli Esteri. Poiché questo difficilmente potrebbe accadere i Forzisti sono disponibili a votare qualsiasi cosa possa evitare il cimento elettorale che per loro sarebbe disastroso. I più contrari al voto sono naturalmente i grillini che uscirebbero dimezzati dalle votazioni anche senza il taglio al numero dei parlamentari. Quanto al PD Zingaretti dice di essere favorevole al voto anche sapendo di non poter vincere perché questa volta sarà lui a fare le liste e si toglierebbe dai piedi i senatori e i deputati fatti eleggere da Renzi. Proprio per questa ragione i renziani sono contrari al voto. Se ci fosse più tempo Renzi potrebbe creare un suo partito e far eleggere diversi suoi amici; deve quindi guadagnare tempo con un governo che arrivi al 2021 e se possibile al 2022 per non permettere ad un Salvini vincitore delle elezioni di eleggere un Presidente della Repubblica vicino alla sua parte politica , e questa sarebbe la prima volta per un governo di destra che nei procedenti governi Berlusconi si è dovuto confrontare con Scalfaro, Napolitano e nell’ultimo periodo con Mattarella. Anche Franceschini sembra alieno da elezioni immediate e naturalmente lo sono i piccoli partiti di sinistra.

Come fare per evitare le elezioni?

Il metodo più semplice è quello proposto dai 5 stelle, votare il taglio dei parlamentari; per loro è come decidere invece della fucilazione subito lo strangolamento tra un po’ di tempo. Infatti bisognerà indire un referendum confermativo e poi ridisegnare i collegi elettorali e fare pure una nuova legge elettorale rigorosamente proporzionale. Nel frattempo chi governerebbe il paese? Se si seguisse la strategia Grasso alla votazione per la sfiducia a Conte tutti coloro che sono contrari alle elezioni, tranne i 5 stelle, dovrebbero abbandonare l’aula. In questo modo Conte non sarebbe sfiduciato e potrebbe essere nuovamente incaricato e sostenuto da una diversa maggioranza, oppure verrebbe varato un governo di scopo per formulare la legge di bilancio e sterilizzare l’aumento dell’IVA. Sarebbe un governo degli sconfitti ,quelli che hanno perso le ultime politiche e quelli che hanno perso le ultime europee. Salvini griderebbe al colpo di stato ma anche se la soluzione appare poco elegante e poco rispettosa dei principi democratici dal punto di vista teorico, sarebbe però assolutamente lecita dal punto di vista costituzionale.

Cosa accadrebbe al consenso oggi goduto da Salvini in caso di mancate elezioni anticipate?

Salvini avrebbe contro quasi tutti come la Germania nell’ultima guerra. Gli oppositori sono convinti che sarebbe la sua fine; Renzi che di voti e non di sondaggi ne aveva racimolati il 41% è stato sbalzato via da un referendum perso. Più facilmente la cosa accadrebbe per Salvini dal momento che le prossime elezioni sarebbero un referendum su di lui. I leghisti non ne sono convinti, anzi ritengono che i consensi lieviterebbero, Renzi infatti era al governo e aveva contro anche una parte del suo partito mentre la Lega è compatta e potrebbe lucrare dal fatto di essere l’unica opposizione credibile.

Ad alterare le previsioni ci potrebbero essere provvedimenti (in)prevedibili della magistratura penale?

Si sente dire di possibili avvisi di garanzia per la questione dei rubli e dei 49 milioni di euro scomparsi. I procedimenti sarebbero lunghi e la difesa di Salvini semplice se solo facesse presente che propone una riforma che a molti magistrati non piace, soprattutto a quei membri del CSM che trattavano le nomine nelle Procure con esponenti del PD. Una azione del genere ,giusta o strumentale che fosse ,potrebbe avere sull’elettorato un effetto favorevole a Salvini. Più insidioso un nuovo caso Diciotti perché questa volta l’autorizzazione a procedere potrebbe essere concessa. Bisognerebbe però arrivare velocemente ad una condanna definitiva, altrimenti……

Se non si votasse subito ci sarebbe spazio per un nuovo centro?

Già oggi con uno spostamento marcatamente a destra di alcune forze politiche e a sinistra di altre si è aperto al centro un ampio spazio che per nascere e svilupparsi avrebbe bisogno di una legge proporzionale. Questo spazio non può certamente essere occupata dall’Altra Italia. Non è certo Berlusconi con la sua storia personale a poter ricostruire qualcosa che somigli alla Democrazia Cristiana. Ne si può puntare su Renzi o su personaggi come Rotondi, Cesa, Lupi e l’eterno Casini. Quello che potevano dare lo hanno già dato, ora sono solo alla ricerca di un seggio parlamentare per l’ennesima volta. Poiché Grillo una volta ebbe a paragonare il movimento 5 stelle alla Democrazia Cristiana. Io, parlando con un esponente grillino molto intelligente e preparato lo consigliai di adoperarsi per far evolvere il movimento in questo senso utilizzando l’immagine che Conte era riuscito a costruirsi. La risposta fu che il movimento è costituito da troppe anime per muoversi unitariamente verso questo traguardo. Resta quindi uno spazio a disposizione .

di Achille Lucio Gaspari

 

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