Le Idee

L’identità industriale dell’Italia e dell’Abruzzo.

L’identita’ industriale dell’Italia e dell’Abruzzo.

In questi giorni vengono fuori indicazioni e dati molto pesanti sulla situazione economica e produttiva del nostro Paese. L’Istat ha segnalato un brusco calo della produzione industriale a dicembre del 4,3% che ha contribuito a far chiudere l’anno 2019 a meno 1,3%, con una domanda internazionale debole e con serie difficoltà per le nostre esportazioni. A ciò bisogna aggiungere che il prodotto interno lordo, nel quarto trimestre del 2019, è sceso dello 0,3%rispetto al trimestre precedente. Si tratta del dato peggiore dall’inizio del 2013. A ciò bisogna aggiungere i dati drammatici dell’occupazione che fino a qualche tempo fa erano stati incoraggianti (anche se caratterizzati dall’esplosione dei contratti a temine o part-time che hanno raggiunto la soglia dei 3 milioni e 123 mila unità) e che invece nel solo mese di dicembre hanno visto bruciare circa 75 mila posti di lavoro, con un tasso di disoccupazione che resta al 9,8%. E questi elementi, ovviamente, non tengono conto della straordinaria e drammatica situazione economica e sociale conseguente all’esplosione del coronavirus nel nostro Paese con il rischio concreto di una pesante recessione e blocco della economia.

Ebbene in questa condizione viene da domandarsi:ha un futuro l’industria del nostro Paese? La risposta non può che essere affermativa in considerazione di ciò che ha rappresentato il sistema industriale nella recente storia economica e sociale del nostro Paese ed anche della nostra regione.

Questa mia personale convinzione viene rafforzata dalla lettura del bel libro di Giuseppe Lupo LE FABBRICHE CHE COSTRUIRONO L’ITALIA uscito in questi giorni a cura del quotidiano IL SOLE 24 ORE. Il libro propone un viaggio nell’immaginario industriale italiano, attraverso alcuni dei luoghi simboli della manifattura del nostro paese: Settimo Torinese, Genova, Aree, Rescaldina, Sesto San Giovanni, Bagnoli, Pozzuoli, Torviscosa, Porto Marghera, Ivrea, Terni, Valdagno.

L’autore, un profondo conoscitore della letteratura industriale, ha compiuto un viaggio reale in questi siti produttivi, calandosi in queste realtà, parlando con imprenditori ed operai trovando spesso realtà industriali e fabbriche in abbandono, alcune inserite in un contesto museale e gestite da fondazioni che conservano archivi, biblioteche,progetti industriali ed anche situazioni di imprese che continuano vivere, produrre e che producono fatturati ed utili significativi. Particolarmente toccanti e coinvolgenti sul filo della memoria sindacale le pagine dedicate alle realtà di Sesto San Giovanni, Arese, Bagnoli, Porto Marghera e Terni.

Il lavoro di Lupo rappresenta non tanto una operazione nostalgica, un recupero dell’orgoglio industriale italiano, come afferma Stefano Salis nella introduzione, offuscato da anni ed anni di ostilità verso la cultura industriale (che ha fatto breccia anche all’interno del sindacato!) ma indica anche una prospettiva per il futuro produttivo del nostro Paese. L’industria che nel dopoguerra è stata alla base del boom economico e sociale dell’Italia, con il passaggio dall’economia rurale a quella industriale, che ha consentito a milioni di operai di diventare “cittadini più consapevoli”anche nell’epoca dell’industria 4.0 e della dematerializzazione del lavoro può rappresentare ancora una risorsa per far uscire l’Italia da uno dei momenti più difficili.

Ma nel lavoro di Giuseppe Lupo c’è a mio avviso una grave dimenticanza rappresentata dalla assenza di ogni riferimento alla realtà industriale abruzzese. Recentemente durante la presentazione di un altro bel libro di Luigi Piccioni Sindacato, Ambiente e Sviluppo – La Cgil Abruzzo, i parchi e le origin della riserva Monte Genzana-Alto Gizio 1979-1996 a cura di Ediesse- lo storico Costantino Felice ha parlato di “rivoluzione industriale abruzzese”, di “modello di sviluppo virtuoso, niente affatto meridionale”di “caso unico in Italia ed in Europa” e di “nessuna cattedrale nel deserto” caratteristica quest’ultima di tante iniziative industriali, negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, nelle regioni del nostro meridione.

L’Abruzzo industriale annovera siti come il polo chimico di Bussi che ha quasi centoventi anni di storia, uno dei primi siti di chimica di base di Europa, che ha subito pesanti ristrutturazioni e riconversioni produttive, che da dieci anni fa i conti con la questione della bonifica delle aree che attende interventi risolutivi, ma che ha sempre un futuro industriale se è vero che la nuova proprietà dello stabilimento che fa capo al presidente Donato Todisco ha l’obiettivo di creare a Bussi il più grande impianto europeo per prodotti in grado di depurare e potabilizzare l’acqua.

E la stessa area industriale della Val Pescara e di Chieti Scalo, in modo particolare, offre molti spunti di vicende produttive che andrebbero rinverdite: dalla ex Farad, alla Richard Ginori, alla Iac, alla Generaltex, alla Indusnova, solo per fare alcuni esempi di una zona industriale che occupava, nei tempi d’oro, oltre cinquemila persone. E’ in questo contesto che assume particolare importanza la battaglia culturale che sta portando avanti il Centro Studi Spezioli di Chieti tramite il suo attivo presidente Ugo Iezzi per non disperdere la memoria storica della Cartiera di Chieti, la Celdit, la vita sociale del suo quartiere il Villaggio Celdit e la istituzione di un museo storico.

E poi ci sono le storie industriali ed occupazionali dell’ATI, l’azienda tabacchi di Lanciano, della Monti di Città Sant’Angelo, dell’ex Italtel dell’Aquila, solo per fare alcuni esempi.

Ma nel presente ci sono presenze industriali rilevanti come la Pilkington e la Magneti Marelli in quel di Vasto, la L.Foundry ad Avezzano e poi la Sevel in Val di Sangro la più grande realtà dell’industria metalmeccanica non solo d’Italia, ma d’Europa che ha trasformato radicalmente un territorio, che prima del 1979 veniva definito”Valle della Morte” in un modello di sviluppo virtuoso.

La questione, a mio avviso, è che anche da noi, in Abruzzo, negli ultimi anni parlare di industria ha quasi rappresentato un disvalore, un elemento negativo. E questo anche nel sindacato. Dimenticando il grande contributo che il processo di industrializzazione ha dato alla crescita economica, sociale e di nuovi diritti della nostra regione. Ecco perché recentemente ho proposto la creazione di una fondazione per rinsaldare la memoria sociale dell’Abruzzo: una operazione culturale e politica che guardando al nostro passato offre una valida visione al futuro dell’Italia e dell’Abruzzo.

 

di Nicola Primavera

 

 

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L’orrore dell’istigazione allo stupro di una ragazzina

Una campagna che istiga allo stupro di una ragazzina di 17 anni. Un orrore che non può e non deve essere sottovalutato. L’immagine rappresenta una ragazzina rappresentata di spalle, il nome Greta scritto in fondo alla schiena e le mani di un uomo che la trattiene per le treccine, pronto allo stupro. È questa l’immagine delinquenziale, vile, violentissima, utilizzata da un’azienda petrolifera canadese, la X-Site Energy Services , per realizzare un adesivo, che, come riporta l’HuffPost Canada, è stato distribuito come materiale promozionale da attaccare sugli elmetti, contro la giovanissima attivista svedese per il clima Greta Thunberg.
Doug Sparrow, direttore generale della società canadese, si è detto consapevole che l’immagine sembra raffigurare lo stupro dell’attivista, ma la sua risposta è agghiacciante: “Non è una bambina, ha 17 anni”; quindi a 17 anni una ragazzina può essere violentata? L’orrore di una risposta che avalla e giustifica la violenza, una risposta che racconta di come la “cultura” dell’odio abbia attecchito in molti luoghi e di come sia ritenuto “normale”, da parte di alcuni, istigare allo stupro. Una “punizione” nei confronti di una ragazzina, di donna che deve tacere e subire “le conseguenze” del suo impegno a tutela dell’ambiente, con alcuni “uomini” che si vanteranno dell’adesivo ignobile e violento che fa “bella mostra di se” sui loro caschetti. La misoginia si unisce all’odio, alla violenza, alla barbarie di chi ritiene “giusto” minacciare una ragazzina di stupro e vantarsene racconta di quanto sia necessario e urgentissimo l’impegno contro le violenze di genere e i femminicidi; problemi culturali diffusi cui tutte/i siamo chiamate/i a porre un argine per invertire una rotta inaccettabile per ogni Popolo che voglia definirsi civile.
 

di Gilda Panella, coordinatrice provinciale Democratiche provincia dell'Aquila

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Il Coronavirus, gli errori e la colonna infame

Il Coronavirus, gli errori e la colonna infame

Le pestilenze nella letteratura

Le pestilenze sono un fatto così drammatico che ne resta traccia nella letteratura occidentale. Tucidide ci descrive quella scoppiata ad Atene (la forma polmonare) durante la guerra del Peloponneso (421-404 A.C.) svoltasi tra Atene e Sparta per il predominio della Grecia. La peste nera del 1347, anche essa originatasi nel nord della Cina, mieté in Europa venti milioni di vittime. E per sfuggire a questa pandemia Boccaccio immagina che alcuni giovani fiorentini si radunino in una villa fuori città e si raccontino delle novelle per passare il tempo; questa è infatti la trama del Decamerone. La peste bubbonica del 1630 ,che solo a Milano fece centoquarantamila vittime, ha ispirato a Manzoni alcune delle pagine più belle e commoventi dei promessi sposi. A quel tempo risultava evidente che la malattia era contagiosa anche se non se ne conosceva l’agente eziologico (yersinia pestis) perché non si sapeva dell’esistenza dei batteri. Nella fantasia della popolazione atterrita nacque l’idea che il morbo fosse propagato volontariamente da alcuni “untori” . Alcune persone furono sorprese ad ungere i banchi di qualche chiesa ed i muri di alcune case con sostanze ritenute venefiche ( stavano solo lavando questi siti con sostanze anche allora dimostratesi innocue) . Alcuni furono linciati dalla folla, altri condannati dall’autorità al solo scopo di dare qualche vittima in pasto al furore popolare furono legati ad una colonna (la colonna infame di manzoniana memoria) suppliziati ed uccisi. Anche un autore recente, Camus , tratta in un suo romanzo dal titolo “La Peste” pubblicato nel 1947 di una epidemia di peste che colpisce la città di Orano in Algeria.

Il coronavirus e il virus dell’influenza.

Le pandemie da yersinia pestis hanno colpito in tal modo la nostra immaginazione che definiamo con il termine di pestilenza ogni diffusione di malattie contagiose anche se in realtà si trattava di altre malattie come il vaiolo, il dermotifo , il colera e la spagnola. Quest’ultima pandemia causata dal virus influenzale H1N1 infettò in tutto il mondo cinquecento milioni di persone causando cinquanta milioni di morti. La mortalità così elevata fu determinata dalla particolare aggressività del virus, dalle condizioni scadute di salute e di nutrizione delle popolazioni reduci dal primo conflitto mondiale, dalla superinfezione con batteri patogeni e dalla mancanza di antibiotici e di terapie intensive.

All’esordio in Cina di questa infezione da coronavirus ci è stato detto che si trattava niente di più che una comune influenza. E’ stato subito evidente che non poteva ess mai erano state prese misure cosi drastiche per le attuali epidemie di influenza. Facciamo un po’ di conti anche se non possono essere assolutamente precisi. Il virus dell’influenza ha una contagiosità del 10% quindi in Italia durante la stagione invernale colpisce sei milioni di italiani. La mortalità è dello 0,1% ;i morti saranno quindi circa seimila. Per ogni morto supponiamo di avere 4 pazienti in terapia intensiva quindi ventiquattromila pazienti per sette giorni nei centocinquanta giorni in cui dura l’epidemia. Vediamo ora cosa accadrebbe se il coronavirus si diffondesse: la contagiosità è di almeno il 50%, quindi trenta milioni di ammalati. Nel 20% ci sarebbero forme gravi, pertanto seicentomila pazienti. La mortalità del 3% causerebbe novecentomila morti. Poco in confronto alle antiche pestilenze, tantissimo rispetto all’abitudine della nostra società. Le strutture sanitarie andrebbero in tilt, i malati gravi dovrebbero essere abbandonati. Questo spiega perché vengono prese misure così drastiche dal momento che non abbiamo a disposizione ne farmaci antivirali sicuramente efficaci, ne vaccini e per ottenerli ci vorranno almeno diciotto mesi.

Sono stati commessi errori?

E’ legittimo chiedersi come mai l’Italia detiene il non invidiato terzo posto per contagiati dopo Cina e Corea del Sud. Sono stati commessi errori? Il Governo dice di no e che questi dati dipenderebbero dal fatto che noi siamo più bravi degli altri a diagnosticare la malattia e quindi ne troviamo di più. Certo è che la frase di Conte –sono sorpreso – fa il paio con –pieni poteri- che voleva Salvini.Induce nel pubblico un senso di incertezza. Alcuni esperti sostengono che chiudere i voli dalla Cina sia stato un errore. Bisognava lasciarli aperti e mettere in quarantena tutti i passeggeri dal momento che si può essere contagiosi anche mentre si è asintomatici. Controllare le temperature corporee dei passeggeri all’arrivo non consente di individuare i così detti portatori sani, che con in voli chiusi sono arrivati dalla Cina tramite triangolazioni.

Quello che dobbiamo evitare è un clima da colonna infame; ora tutti insieme dobbiamo collaborare per vincere questa battaglia. Se ci sono stati errori c’è tutto il tempo per individuarli. I nodi fatalmente vengono al pettine.

 

Di Achille Lucio Gaspari

 

 

 

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L’incostituzionalità che ti aspettavi

L’incostituzionalità che ti aspettavi

“Tanto tuonò che piovve”. Queste le prime considerazioni a caldo di Meritocrazia Italia sull’attesa pronuncia di incostituzionalità oggi adottata dalla Corte Costituzionale, all’esito della propria camera di consiglio.

Il Giudice delle leggi ha, infatti, sancito come "l'applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla liberta' personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, e' incompatibile con il principio di legalita' delle pene, sancito dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione", di fatto censurando l’operato della Legge manifesto pentastellato, che ha esteso ai reati contro la pubblica amministrazione le preclusioni previste dall’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario rispetto alla concessione dei benefici e delle misure alternative alla detenzione.

Ma, come anticipato, l’intervento correttivo era nell’aria, siccome preannunciato dall’incredibile dichiarazione a sorpresa della stessa Avvocatura dello Stato, deputata alla rappresentanza governativa, la quale, nell’udienza di ieri, aveva spiazzato tutti allineandosi alle posizioni dell’accusa e contestando la retroattività del provvedimento, relativamente alla concessione dei benefici penitenziari, con la chiosa di non sentirsi “controparte rispetto ai colleghi difensori, perché lo Stato di diritto dev’essere un riferimento per tutti gli operatori del diritto».

Ed allora, nonostante la censura costituzionale si riferisca, in particolare, alla “mancanza di una disciplina transitoria che impedisca l'applicazione delle nuove norme ai condannati per un reato commesso prima dell'entrata in vigore della legge n. 3/2019", appare evidente l’eco politico di una siffatta bocciatura, che denota l’inapplicabilità del giustizialismo “fai da te” di matrice populista e la necessità del definitivo abbandono di insensate logiche di contrapposizione figlie dell’agone politico tra blocchi contrapposti, in nome di una imprescindibile cooperazione tra gli operatori qualificati del settore, a beneficio esclusivo del sistema Paese.

L’auspicio di Meritocrazia, dunque, è che tale intervento reprensivo del baluardo costituzionale possa fungere da monito per le prossime imminenti decisioni involgenti il sistema giustizia, perché ogni produzione legislativa torni ad essere espressione di competenza normativa e sintesi di una corretta dialettica professionale, politica ed istituzionale, che sappia porsi all’ascolto dei validi contributi da chiunque provenienti, perché la sconfitta dello Stato è una sconfitta di tutti.

di Meritocrazia Italia

 

 

 

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Lavoro e paradossi: entro marzo mancheranno 300 mila tecnici

Lavoro e paradossi: entro marzo mancheranno 300 mila tecnici
Offerte per un milione di posti ma 300 mila saranno vuoti

Far incontrare offerta di lavoro e richieste di impiego, saldare le competenze ed esperienze con le esigenze del mercato. È questa la cosa più difficile del rapporto tra mondo produttivo e quello formativo scolastico. La riprova arriva dai numeri, entro marzo 2020 le imprese offriranno oltre un milione di posti di lavoro, ma oltre il 30%, quindi 300 mila posizioni rimarranno senza candidati. Questo mancato allineamento tra domanda e offerta definita tecnicamente “mismatch” riguarda in particolare i giovani dove il disallineamento tocca la eccezionale punta del 65% delle richieste. Quindi per molte imprese mancheranno
specialisti in scienze informatiche, fisica e chimica, mentre risulteranno scarsissimi se non introvabili tecnici, diplomati e Its; laureati nelle discipline informatiche e ingegneri. Ed è un problema che sta a monte delle formazione, in Germania ci sono 900 mila ragazzi che si diplomano in materie tecniche e sono allievi di istituti tecnici-industriali, in Italia i diplomati negli istituti tecnici sono 9 mila l’anno. Inoltre ogni anno cresce il divario tra domanda e offerta con aziende che non riescono a reperire sul mercato la figura professionale necessaria. Un vero paradosso in questi tempi di drammatica carenza occupazionale per i giovani in modo particolare.
La situazione, inoltre viene monitorata dal Rapporto Excelsior di Unioncamere e Anpal dove si sottolineano i problemi del mercato del lavoro, e delle caselle di competenze che rimangono vuote per mancanza di candidati
Difficile, ad esempio, trovare ingegneri energetici, meccanici, chimici e  petroliferi, saldatori, agenti assicurativi e immobiliari, idraulici, meccanici, montatori e animatori turistici. Poi c’è carenza di profili qualificati all’appello manca il 19% dei dirigenti, specialisti e tecnici sul totale delle richieste programmate dalie aziende. Tra le figure che hanno assunto maggiore rilevanza ci sono quelle legate al mondo
del digitale e in materia di eco-sostenibilità. Per il prossimo futuro, ossia nell’arco di 4 anni, le professioni in cima alla lista tra quelle più richieste ci saranno quelle di tecnici e professionisti con competenze digitali per Industria 4.0, in particolare per Servizi 4.0.
Il fabbisogno – stando al rapporto Excelsior di Unioncamere e Anpal -
prevede inoltre un aumento di richieste per i servizi
pubblici. Con un particolare ruolo di digital transformation ed ecosostenibilità. Posti di lavoro riservati agli esperti in analisi dei dati come a quelli in sicurezza informatica, intelligenza artificiale e analisi di mercato. In particolare, io dato innovativo sulle professioni, riguarda le filiere della salute e benessere, education e cultura, meccatronica e robotica, mobilità e logistica, energia. Tra le lauree più ricercate quella in medicina. Seguono economia e ingegneria. Da sfondo a questo il paradosso lavorativo si contano circa 3 milioni di disoccupati e 3 milioni di inattivi, in un frangente  in cui il tasso di occupazione si ferma al 58% e risultiamo sotto di 10 punti rispetto ai livelli del resto d’Europa. Ora con l’accelerazione dovuta ai prepensionamenti di Quota 100 la situazione sarà ancora più difficile, il calo dei medici che scarseggiano e del ancor più drastico calo degli infermieri in corsia ne sono un esempio. Il rapporto di Unioncamere, realizzato con l’apporto di Anpal,  prevede che entro il 2023  occorrerà riempire un numero di posti che si aggira sui 2,7 e i 3 milioni. La maggior parte di essi, tra 2,3 e 2,5 milioni – si avverte nel rapporto – riguarderanno però la sostituzione di lavoratori che lasceranno il loro posto per andare in pensione.

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Riflessioni sull’esito delle elezioni in Emilia Romagna e Calabria

Riflessioni sull’esito delle elezioni in Emilia Romagna e Calabria

La matematica non è una opinione e 2+2 fa sempre quattro tranne che nella valutazione dei risultati delle elezioni, e questo accade anche a chi vuole fare un commento oggettivo. Tutto dipende dall’angolo di visuale da cui si osservano risultati. In questo caso si può scegliere una valutazione tra dati esattamente comparabili che sono quelli delle precedenti elezioni regionali. I risultati possono anche essere valutati alla luce delle aspettative e delle dichiarazioni dei leaders politici. Se si vuole tentare una previsione, sempre rischiosa e difficile per chi la fa, si utilizzerà la comparazione tra mele, pere e banane, cosa impossibile in matematica ma accettabilissima in politica, utilizzando i dati delle elezioni politiche, europee e regionali per valutarne il trend ed azzardare una previsione.

 

Una valutazione su dati omogenei

Se si confronta il dato elettorale del 2014 agli attuali è il Centro Destra che a buon diritto si può proclamare vincitore. Ha infatti strappato la Calabria al Centro Sinistra con amplissimo margine e ha conteso la vittoria al Centro Sinistra in Emilia Romagna dove alle precedenti elezioni la vittoria per la Sinistra era stata semplice e senza rischi come sparare sulla Croce Rossa. Anche il trend è nettamente favorevole al Centro Destra e si conclude con un umiliante 8 a 1 . Ci saranno in primavera altre elezioni regionali in Valle d’Aosta, Veneto, Liguria, Marche, Campania, e Puglia. Per ora il Centro Sinistra conduce per 4 a 2 ed è difficile che riesca a conservare o addirittura a migliorare questo risultato. Un dato deve però far riflettere ed è un dato ambivalente. Il vantaggio della Sinistra sulla Destra si è considerevolmente ridotto in una regione che storicamente è sempre stata un grosso serbatoio di voti per il PD e per i suoi predecessori e questa abbondanza, che ora non esiste più, serviva per compensare la scarsità di voti raccolti in altre aree. La percentuale di partecipazione al voto è però raddoppiata. Nel 2014 la vittoria era così sicura per il PD che non tutti gli elettori della Sinistra sono andati a votare e si sono astenuti anche molti elettori di destra in considerazione della inutilità dello sforzo. In questa tornata elettorale l’incertezza del voto e la mobilitazione delle sardine ha favorito, anche se non di molto la sinistra. Questa situazione potrebbe ripetersi in qualche altra regione, in modo particolare in Toscana.

 

Le aspettative e le dichiarazioni dei leaders

Durante il Governo D’Alema le elezioni regionali furono pesantemente sfavorevoli alla Sinistra e il Capo del Governo ne prese atto dimettendosi. Questo non comportò elezioni anticipate perché la maggioranza in parlamento non subì variazioni numeriche, ma si ebbe un nuovo governo con un diverso Presidente Del Consiglio. Gli esponenti della maggioranza attuale hanno sempre sostenuto che non si tratta di elezioni politiche e che anche una vittoria di Salvini in Emilia non avrebbe determinato elezioni anticipate. Conte affermava che naturalmente non c’era da temere neanche una variazione nella carica di Presidente del Consiglio e questo naturalmente anche perché memore di quanto capitato a Massimo d’Alema. Per ora questo rischio non lo corre ma è da vedere cosa accadrebbe se in primavera il Centro Destra segnasse uno Score di 5 a 1. La Meloni a Porta a Porta ha fatto una fantasiosa dichiarazione sostenendo che il Presidente della Repubblica sarebbe stato obbligato a sciogliere le Camere in caso di duplice vittoria anche in assenza di un voto di sfiducia al Governo, cosa che sarebbe apparsa come un colpo di stato. Salvini sosteneva in continuazione che con una vittoria anche in Emilia Romagna, che dava quasi per sicura, avrebbe dato una spallata al Governo. Sono affermazioni in cui non crede nemmeno lui ma è stato costretto a farle perché Bonaccini aveva mostrato di saper ben amministrare e quindi era necessario spostare l’attenzione dal governo regionale a quello nazionale e soprattutto per la inconsistenza della candidata leghista. Quindi sul piano dei dati elettorali omogenei il Centro Destra ha vinto, ma sul piano delle aspettative suscitate dalle roboanti dichiarazioni del segretario della Lega ha perso.

 

Il confronto con le precedenti elezioni

Da quando nel 1994 con la vittoria di Berlusconi è nata la seconda repubblica la coalizione al governo ha sempre perso le successive consultazioni elettorali che erano un confronto tra due soli soggetti, sia pure costituiti da raggruppamenti di partiti, la Destra e la Sinistra. Nel 2013, dopo l’interludio del Governo Monti è apparsa sulla scena politica una terza forza, Il movimento 5 stelle che ha rifiutato le avances di Bersani e si è mantenuto alla opposizione. La tripolarità delle forze politiche si è confermata nelle elezioni del 2018 con queste caratteristiche: il PD che aveva governato nella precedente legislatura ha subito una sonora sconfitta, il Movimento 5 Stelle che aveva fatto una rigida opposizione ha guadagnato i frutti maggiori arrivando a sfiorare il 33%, e nel campo della Destra alla riduzione dei consensi di Forza Italia ha fatto seguito una notevole crescita della Lega che si è portata vicino al 18%. Con una rapidità imprevedibile le cose sono cambiate in un anno e mezzo. Ai 5 Stelle è capitato quello che Montanelli prevedeva per Berlusconi “facciamolo governare e il suo consenso crollerà”. Questo sta accadendo al Movimento di Grillo con una rapidità sconcertante. Alle elezioni europee ha dimezzato i propri voti a fronte di una modesta ripresa del PD e di una forte crescita della Lega e di Fratelli d’Italia. Queste elezioni regionali mostrano un ulteriore miglioramento del PD, una crescita del Partito della Meloni che si sta sostituendo a quello di Berlusconi e un moderato arretramento della Lega al cui consenso le citofonate di Salvini non giovano. Questo moderato arretramento leghista si spiega con il fatto che Salvini, annebbiato dal sole del Papeete e dalle bevute di Mojto, ha liquidato il governo giallo verde credendo di poter andare immediatamente alle urne. Questo errore e il fatto che, come diceva Andreotti, il potere logora chi non lo ha, spiega la riduzione dei consensi. Una cosa si può prevedere con sicurezza: non si andrà a votare prima della scadenza naturale della legislatura. Ai partiti di governo non conviene assumere dei rischi anche se il trend osservato in questo gennaio, ossia il lento calo della Lega e il recupero del PD dovesse continuare; la entrata in vigore della legge che taglia il numero dei parlamentari è un ulteriore disincentivo per tutti ma in particolar modo per le forze di governo e tra questi per il Movimento 5 Stelle che rischia di essere una meteora nel panorama politico italiano. I prossimi appuntamenti elettorali regionali e dei grandi comuni ci diranno quale tendenza prevarrà nel rafforzamento. Variabili da considerare sono il futuro andamento dell’economia, i rapporti nella maggioranza tra PD e 5 stelle e i problemi giudiziari di Salvini che potrebbero per lui rivelarsi uno svantaggio ma forse anche un vantaggio. Comunque, anche a scapito di ulteriori salvinate, io terrei ben pronto Giorgetti a cimentarsi come leader, perché identificare Salvini con la Lega in modo totalizzante è un errore. Fino a che un consistente partito di centro non nascerà è verso il centro che si prendono i voti per vincere e questi voti più facilmente li può conquistare un capo politico moderato nei modi e nelle azioni.

 

di Achille Lucio Gaspari

 

 

 

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Le parole hanno un significato e un peso.

Le parole hanno un significato e un peso. 
Festival di Sanremo, no a chi nelle proprie canzoni inneggia allo stupro.

 

Le donne hanno diritto al rispetto, in ogni ambito. Principio che parrebbe scontato ma che ha invece bisogno di essere ribadito sempre più spesso, a fronte di una regressione culturale che sembra non conoscere limiti. Dopo la dichiarazione dei giorni scorsi da parte del conduttore del Festival di San Remo, con parole fortemente impregnate di una non più tollerabile dis-cultura patriarcale, un’altra “chicca”, questa violentissima e ancor più ferocemente misogina, giunge dalla kermesse canora sanremese: la partecipazione di un cantante che ha nel suo “repertorio” testi chiaramente inneggianti allo stupro, alla violenza contro le donne, al femminicidio. Testi orribili.
Si è quindi, con urgenza, provveduto all’invio di una mail a com_rai@camera.it e a comitato.minori@mise.gov.it , denunciando una condizione inaccettabile e una regressione culturale intollerabile. Questo il contenuto inviato:
“Inaccettabile la partecipazione ad una manifestazione canora, seguita da milioni di telespettatori delle reti pubbliche, qual è quella del Festival di San Remo, di Junior Cally, un rapper per ragazzini/e che ha nel suo repertorio canzoni contenenti frasi come queste:
«Lei si chiama Gioia, beve poi ingoia.Balla mezza nuda, dopo te la da. Si chiama Gioia, perché fa la tr*ia, sì, per la gioia di mamma e papà».
«Questa non sa cosa dice. Porca tro*a, quanto ca**o chiacchera? L'ho ammazzata, le ho strappato la borsa. C'ho rivestito la maschera».
«state buoni, a queste donne alzo minigonne»;
«me la chi*vo di brutto mentre legge Nietzche»;
«ci scopi*mo Giusy Ferreri [la cantante ndr]»;
«lo sai che fotti*mo Greta Menchi [una influencer, ndr];
«lo sai voglio fott*re con la Canalis [la conduttrice ndr]»;
«queste put**ne con le Lelly Kelly non sanno che fott*no con Junior Cally»

Frasi orribili, chiaramente istiganti alla violenza sessuale sulle donne e al femminicidio.
Gravissimo che un’azienda pubblica qual è la RAI ritenga di dover dare spazio a chi nelle sue “canzoni” include testi ignobili, veri e propri inni all’odio contro le donne. La Rai, azienda pubblica, ha il dovere di svolgere un ruolo forte, determinato, costante, nel contrastare la violenza di cui le donne sono vittime, per l’affermazione della cultura del rispetto, della civiltà. Concedere spazi e visibilità a chi canta testi che istigano allo stupro sarebbe decisione gravissima, indegna. Le parole hanno un peso, un significato, e non possono nascondersi dietro un vile e improponibile principio di “creatività” dell’artista. Quelle parole pesano come macigni, sono lame affilate che istigano all’odio di genere, all’inciviltà.

Stefania Pezzopane, Parlamentare del Partito Democratico

Gilda Panella, Coordinatrice provinciale L'Aquila delle Democratiche

 

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La bella storia di vita di Aquilino: dal sabotaggio delle linee tedesche nella seconda guerra mondiale, a minatore in Belgio, a operaio edile, a uomo di fiducia

La bella storia di vita di Aquilino: dal sabotaggio delle linee tedesche nella seconda guerra mondiale, a minatore in Belgio, a operaio edile, a uomo di fiducia

 

“Ho fatto una vita bellissima”. Queste parole rappresentano la esemplare conclusione della conversazione con COLASANTE AQUILINIO, classe 1931, pensionato iscritto al Sindacato Pensionati della CGIL e componente il direttivo provinciale del SUNIA, il sindacato degli inquilini ed assegnatari vivendo nel quartiere popolare di San Donato a Pescara. Tantissimi anni portati splendidamente. Ci incontriamo nella sede zonale del Sunia e della Cgil in Via Aldo Moro che lui frequenta assiduamente. Ci conosciamo, quindi, bene essendoci incontrati in questo ufficio numerose volte. Ma questa volta è diverso: ci vediamo perché mi vuole raccontare gli episodi salienti della sua vita che, a suo dire, è stata certamente felice, ma ugualmente sofferta e difficile.

L’idea mi è venuta qualche giorno fa avendolo ascoltato in un intervento alla riunione provinciale del Sunia dove, con molto calore, ha affermato la attualità dei valori della Resistenza e della lotta partigiana. “Io non ho sparato contro i tedeschi, ma la guerra l’ho vissuta da ragazzo in montagna ed ho fatto un atto di sabotaggio contro l’occupazione tedesca della mia zona.”

 

Aquilino Colasante è originario di Montebello di Bertona, ultimo di sei figli. “Durante la guerra, mi dice, non c’era niente….se volevi sopravvivere dovevi solo zappare la terra...c’era la fame nera….”

La madre muore nel 1946 e la situazione familiare si rende ancora più difficile. In questo periodo Aquilino vive l’occupazione tedesca dell’area vestina e di Montebello di Bertona. Le truppe tedesche nella loro ritirata provvedono a fare saltare i ponti, minare le strade per rendere difficoltosa l’avanzata delle truppe alleate ed avevano stabilito il comando militare proprio a Montebello di Bertona.

 

“Un giorno – racconta - portando a pascolare le pecore, insieme ad alcuni miei coetanei, vediamo nel verde del bosco dei fili elettrici, di colore bianco, rosso e verde. Non ci abbiamo pensato due volte ed abbiamo provveduto a tagliare questi fili non rendendoci perfettamente conto che così facendo avevamo tagliato la rete telefonica del comando tedesco, le cui comunicazioni rimasero bloccate per un lungo tempo. La reazione tedesca fu furente, ma i responsabili di questo sabotaggio non furono individuati.”

 

“Io mi ricordo i rastrellamenti tedeschi per cercare nella nostra montagna i partigiani, aggiunge Aquilino, ai quali, personalmente, con notevole rischio e pericolo, nonostante il periodo di grande fame, portavo da mangiare della pagnotte di pane dividendole con quelle necessarie per alimentare la mia famiglia”.

 

Colasante ha avuto un fratello prigioniero dei tedeschi in Germania ed un altro che ha fatto la resistenza in Grecia di cui ha il vivo ricordo di quando nell’inverno del 1944 tornò in Italia, sbarcò a Brindisi e solo dopo molti giorni, in maniera davvero avventurosa, tornò a Montebello di Bertona, dove aveva abbondantemente nevicato, con abiti leggeri ed avendo ai piedi non le scarpe, ma zoccoli di legno. Quindi è stato un miracolo che sia sopravvissuto al lungo viaggio ed alle proibitive condizioni climatiche.

 

Subito dopo la guerra il lavoro scarseggiava. Al di là delle opere di ripristino dei ponti e delle strade distrutti dai tedeschi in ritirata l’attività produttiva principale era la raccolta dei tronchi in mezzo al bosco che venivano trasportati, per la lavorazione, con gli asini a Penne.

Quindi le condizioni di vita continuarono ad essere particolarmente dure e difficili per un giovane, come Aquilino, che voleva, comunque, costruirsi un futuro.

 

Nel 1955 viene diffuso il bando del Governo De Gasperi per chi voleva andare in Belgio a fare il minatore. Colasante decide di emigrare in Belgio, facendo la domanda tramite il sindacato. La sua destinazione, nel giugno del 1955 la miniera di Cherat vicino a Liegi. Lì troverà molti conterranei provenienti da Farindola, Penne, Manoppello. Venne ospitato in una casa che i belgi chiamavo hotel, per modo di dire, data la sua modestia. Certamente non erano le baracche che ospitavano gli italiani a Marcinelle.”Lavorare in miniera era difficilissimo, ma ci si abituava”, mi dice Aquilino.

 

Appena arrivato ho mangiato per la prima volta, in vita mia, una bistecca...Per me fu una grandissima cosa! Nel 2011 sono tornato in Belgio con mia figlia che, nel vedere il tunnel della miniera dove ho lavorato, rimase impressionata, e mi ha detto:”ma papà, come hai fatto a lavorare lì sotto...”.

 

Colasante ha vivo il ricordo della tragedia di Marcinelle, dove dice di aver perso un amico che lavorava con lui, originario di Penne, che aveva fatto domanda di assere trasferito da Liegi a Marcinelle. La sera del 7 agosto del 1956 partì per Marcinelle, la mattina dell’8 prese servizio al Bois du Cazier e, purtroppo, non è più tornato. “Quando nell’elenco delle vittime ho letto il suo nome mi sono sentito male”mi dice.

I minatori in Belgio non venivano chiamati con il loro nome e cognome, ma a loro era dato un numero….Aquilino Colasante per sette anni ha lavorato la pietra in galleria raggiungendo, per quei tempi, una grande specializzazione professionale….parlava bene il francese e si era integrato bene.

C’è stato un periodo in cui aveva pensato addirittura di andare in Sudafrica a lavorare nelle miniere d’oro allettato da importanti offerte economiche. Invece il destino aveva stabilito diversamente. Tornato per un periodo in Italia si sposa con Galante Valeriana, il 29 settembre 1957, porta la moglie in Belgio ed arrivano due figli. “Il matrimonio per me – mi precisa Aquilino – ha rappresentato una scelta fondamentale e tante volte mi sono interrogato sulle mie capacità di riuscire a formare una famiglia. Ma oggi posso dirmi soddisfatto anche se purtroppo mia moglie è morta nel 2011.”

 

Ai primi di luglio del 1964 Colasante decide, insieme alla famiglia, di tornare in Italia. La direzione della miniera lo invita a rimanere; non vogliono che vada via sia per la sua preparazione professionale che per la sua serietà ed affidabilità. Ma lui torna a Pescara dove per circa 8 mesi fa il muratore nel cantiere del centro della città in ricostruzione alle dipendenze della azienda edile Di Gennaro e Severino. Aquilino, sorridendo, mi dice che deve l’aver trovato lavoro ad una visita che fece, subito dopo che era tornato a Pescara, all’ufficio dell’on.Aldo Cetrullo, storico leader socialdemocratico pescarese e personaggio molto influente. Avendo fatto una buona impressione trovò subito lavoro. Come edile la paga era buona: 120 mila lire al mese. Che Aquilino pensò di arrotondare facendo il guardiano notturno. Poichè vicino al cantiere c’era un garage, in Via Teramo, per sei anni ha lavorato lì come sorvegliante di giorno e la notte lavava le macchine poiché vi era anche il lavaggio.

Aveva raggiunto – possiamo dire – una condizione di relativa tranquillità economica nella Italia del dopoguerra ed all’inizio di quello che è stato il boom economico del secolo scorso, quando la sua vita cambiò nuovamente.

 

“Un giorno, mi dice, viene in garage un signore che arriva con un Pagodino Mercedes a due posti, una vettura bellissima ed unica per quel periodo. Parcheggia e va via a casa abitando vicino al garage. Quando riprende la sua autovettura, nel salire in macchina non si accorge che gli cadono dalla tasca un pacchetto di soldi. Aquilino prontamente gli corre dietro e gli restituisce i soldi, che rappresentavano una bella cifra! Questo gesto, ovviamente, colpisce molto favorevolmente il proprietario dei soldi. Si tratta di un importante industriale petrolifero Pietro Nostrani proprietario di 78 impianti che subito provvede a dare ad Aquilino un ricompensa di 10 mila lire( a quei tempi erano davvero tanti soldi!) e poi gli propone di diventare il suo autista e factotum, come persona di fiducia, con uno stipendio di 200 mila lire al mese.

 

“La sua fiducia nei miei confronti era totale – aggiunge Colasante – avevo, ad esempio, anche le chiavi delle cassette di sicurezza dove c’erano i gioielli di famiglia e la mia firma depositata in tre banche per le operazioni bancarie. Per me è stata una grande esperienza professionale ed umana. Purtroppo la situazione economica del sig, Nostrani nel tempo mutò in negativo. Dopo aver ceduto 38 impianti alla società Italpetroli, nel 1986 mi chiamò e mi disse che non mi poteva tenere più alle dipendenze e mi diede, come prova della sua grande generosità e stima, un importo della liquidazione tre volte superiore a quanto spettantomi.”

 

Aquilino mi dice che ha incontrato il sindacato, la Cgil nel 1970 all’epoca della diatriba e della lotta con l’Aquila per il capoluogo di regione. Ricorda di aver conosciuto Tonino Corneli che all’epoca era il massimo dirigente della Cgil di Pescara nel corso di una trattativa nel cantiere edile dove ha lavorato. E ricorda che Corneli ad un certo punto gli disse:” Vuoi venire a fare il sindacalista con me?” Lui rispose che non se la sentiva, ma da allora il suo legame con il sindacato è sempre stato molto forte. Oggi è pensionato dal 1991 con una pensione di poco superiore al minimo, una altra piccola pensioncina dal Belgio ed una piccola rendita dall’Inail.

 

Aquilino Colasante ha indubbiamente vissuto una bella vita: nella Resistenza contro i tedeschi, in miniera in Belgio, lavoratore edile, uomo che ha avuto su di sé grandi responsabilità. Ma la sua è soprattutto una bella storia che deve essere conosciuta perché contiene in sé quei valori etici e morali, di lotta per la democrazia, la giustizia sociale, la responsabilità, la serietà e l’affidabilità che devono essere anche oggi, per i più giovani, i punti di riferimento per costruire un nuovo domani in una Italia più giusta e solidale.

 

di Nicola Primavera

 

 

 

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Una Pescara piccola piccola

Una Pescara piccola piccola

La proverbiale ed esibita indifferenza con la quale la classe politica abruzzese ha accolto le riflessioni di Stefano Trinchese sul tema della "Nuova Pescara" fornisce una plastica testimonianza non solo della pochezza culturale del dibattito pubblico della nostra regione, ma anche della manifesta autoreferenzialità quasi castale del ceto dei decisori pubblici, ai vari livelli istituzionali allocati.

Nel merito, Trinchese, con un piglio argutamente e volutamente provocatorio, demolisce l'accidentato processo di fusione dei tre Comuni sulla scorta della manifesta evidenza di tre debolezze strutturali che ne renderebbero monca, riduttiva e superficiale finanche l'idea ispiratrice:

1. L'esiguo rango demografico della città nuova che, ad onta degli entusiasmi provincialisti dei promotori ed a confronto con le aree urbane vere del paese, per inciso, non consentirebbe neanche di massimizzare gli incentivi di finanza pubblica e di ordinamento municipale interno previsti dalla norma;

2. La striminzita estensione geografica all'interno dell'area urbana sugli assi nord-sud ed est-ovest che, solo per porre alcuni esempi, lascerebbe fuori da questo processo di razionalizzazione amministrativa il porto vero (Ortona) e parte dell'aeroporto (San Giovanni Teatino), ma anche la connessione con Chieti, condensato di una stratificata cultura necessaria alla configurazione di un'identità compiuta alla nuova città;

3. Il trasparire, nell'operazione di ridotta fusione prefigurata, di un'identità di Pescara superficiale, rapida perché fatua, di "città che fagocita se stessa" storicamente per il prevalere di una "mentalità bottegaia" schiacciata sul presente.

Un paniere di argomentazioni robusto e variegato, da approfondire e da connettere ai dubbi più immediati concernenti il difficile processo di convergenza tra Enti locali caratterizzati da condizioni finanziarie e di bilancio radicalmente diverse e specificità amministrative che un processo di fusione di tal fatta renderebbe a dir poco farraginoso.

La razionalizzazione dell'area urbana dovrà dunque essere compiuta nella sua interezza, lasciandosi guidare dalle ragioni di un'organica lettura geografica della stessa, dal recupero di una visione urbanistica adeguata al tempo presente e alle esigenze della comunità residente, dal senso critico e di comprensione della realtà che una piena conoscenza della storia di Pescara, della sua fondazione "politica", della sua apparente modernizzazione "di regime", del suo caotico configurarsi nel dopoguerra, della sua mancata vocazione produttiva, della sua crescita, del suo dinamismo terziario e delle sue carenze potrà fornire.

Gli strumenti del diritto amministrativo dovranno allora mettersi al servizio di una visione politica, magari rinunciando a scelte verticistiche e semplificatorie di fusione (magari propagandabili nei confronti di un'opinione pubblica distratta) a vantaggio di soluzioni istituzionali in grado di governare la complessita' degli insediamenti dell'area urbana in relazione anche all'intero Abruzzo e non, viceversa, dettando forme, modi e tempi di un processo di riorganizzazione territoriale che, nato storto, non potrà trovare correzioni nel futuro.

Sarà il forse il momento di discuterne?

O rassegnarsi alle risse tra taxi davanti l'aeroporto?

di Alessandro D'Ascanio (Esponente del Partito Democratico e Sindaco di Roccamorice)

 

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Famiglie e imprese, la Fisac avverte le Banche

Famiglie e imprese, la Fisac avverte le Banche.
 
“Pensiamo che a tutto ciò debba essere messo un freno per una maggior tutela della legalità, dell’occupazione, dell’area contrattuale della clientela e delle famiglie”. A sfoderare un linguaggio chiaro, dai toni preoccupati e diretti, è la Fisac (Federazione italiana sindacati assicurazione credito), ossia il sindacato dei lavoratori di banca della Cgil, che in questi giorni è sceso di nuovo in campo a tutela dei posti di lavoro, delle famiglie e delle imprese che credono ed investono i risparmi negli istituti di credito. L’argomento più sentito in questi mesi e su cui la federazione insiste per un chiarimento è quello crediti inesigibili, comunemente chiamati “Npl”. Un problema che riguarda in Italia milioni di cittadini che rischiano di vedere tagliato ogni rapporto con le banche talvolta solo per avere saltato un solo pagamento. La Fisac-Cgil attraverso il suo segretario Giuliano Calcagni, ha sottolineato nelle scorse settimane il problema anche sociale e di tutela della parte economicamente più fragile della popolazione, che si determinerà nel 2020 con una lettera al presidente della Repubblica Sergio Mattatella. In questi giorni inoltre è la Federazione a tenere incontri e convegni per rilanciare un problema così serio e allarmante che porterà non pochi guai a molte famiglie e piccole imprese italiane.
“Sono trascorsi più di 10 anni dall’inizio della crisi economica mondiale”, sottolinea la Federazione riepilogando come si è arrivati all’attuale punto critico, “la più grande dopo quella del ’29; non è questo il luogo dove analizzare e discuterne le molteplici cause, ma vorremmo approfondire uno degli effetti che questa crisi ha generato e ancora sta producendo nel nostro paese.
Il prezzo più alto è stato sicuramente sostenuto dall’economia reale; dal 2009 a oggi sono fallite circa 114mila imprese con la conseguente perdita di molti posti di lavoro, lasciando intere famiglie e piccoli imprenditori in situazione di grave disagio a fronte della scomparsa della loro unica fonte di reddito. Il fenomeno non  si è ancora  arrestato e continua ad aumentare il numero delle persone e delle famiglie che, in crescente difficoltà economica, non riesce a far fronte agli impegni precedentemente assunti con le banche e o finanziarie quali mutui, finanziamenti e prestiti personali”. La crisi economica, nelle valutazioni del sindacati dei bancari, ha generato un innalzamento vertiginoso delle sofferenze bancarie riferibile anche a famiglie  e piccole imprese.
“Le banche italiane”, calcola il sindacato, “hanno pensato di alleggerire i propri bilanci mediante la vendita di elevate quantità di crediti inesigibili, comunemente chiamati Npl, passati dai 341 miliardi del dicembre 2015 ai 209 miliardi di settembre 2018 , con una cessione di oltre 100 miliardi (fonte Sole 24 ore).  Inoltre la nuova regulation di vigilanza (EBA-BCE) non potrà che accelerare il trend.
Si è sviluppato un vero e proprio mercato collaterale che, come spesso avviene in queste circostanze, non ha trovato una regolamentazione chiara, soprattutto a garanzia e salvaguardia dei soggetti più deboli, le famiglie in difficoltà economiche”. In questo contesto già difficile e denso di incertezze c’è chi invece ha trovato il modo di creare guadagni nel silenzio stesso delle istituzioni che avrebbero dovuto invece intervenire.
“Allettati da prospettive di grandi guadagni sono state create nuove società esclusivamente per l’acquisto e la successiva gestione di pacchetti di crediti venduti al 15/20% rispetto al valore iscritto in bilancio”, rivela la Fisac, “Con la cessione, le banche hanno un immediato introito oltre un miglioramento significativo della qualità delle poste di bilancio, mentre le società di riscossione ottengono la possibilità di un ingente guadagno generato dalla differenza tra la somma pagata e quanto recuperato dai creditori ceduti.  Proprio questo spinge queste compagnie ad ottenere il massimo rimborso delle somme senza considerare le condizioni economiche, sociali e psicologiche di coloro che la crisi economica ha trasformato in insolventi. Le società di gestione erano inizialmente legate al settore del credito e quindi sottoposte al Tub (Testo Unico Bancario) con dipendenti regolati dal CCNL del credito, successivamente, anche in virtù di masse sempre più ingenti da gestire, sono stati ceduti in subappalto ad altre società che non fanno riferimento alle normative citate venendo meno i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza, che spesso adottano comportamenti al limite della legalità per il recupero delle somme”. Inoltre si prevede una sorta di accanimento contro famiglie e imprese in quanto
il compenso che i nuovi agenti “addetti al recupero delle somme” ricevono è proporzionato a quanto riescono a realizzare; non si preoccupano minimamente delle ristrettezze economiche in cui versano i debitori né tantomeno considerano le condizioni di estrema povertà e difficoltà in cui verrebbero a trovarsi nel caso obbligati a risarcire il debito.
“Parallelamente al mercato degli Npl sta prendendo sempre più spazio il mercato degli Utp e cioè quei crediti che al momento hanno ritardi perché il debitore fa fatica a pagare le rate”, sottolinea ancora la Federazione del sindacato dei bancari,
“Non è più necessario quindi che il credito sia divenuto inesigibile ma basta una rata in mora, un ritardato pagamento per far considerare alla banca quel credito di difficile solvibilità e quindi cedibile a terzi. La cessione degli Utp è ancora più disastrosa perché va ad incidere in quelle realtà , aziende che hanno perso una commessa o famiglie con lavoratori in cassa integrazione, che con un piccolo aiuto come la sospensione delle rate o allungamento della durata, potrebbero tornare alla regolarità”. Un quadro a tinte fosche, con famiglie e imprese che si ritroveranno in ginocchio. Una situazione che la Federazione in nome sia del buon senso, della trasparenza, ma anche per un principio sociale di solidarietà vuole evitare, proponendo delle alternative che siano meno impattanti e comunque più giuste dal punto di vista dei rapporti di fiducia tra banche e cittadini.
“A conclusione non ci resta che constatare che la vendita di crediti deteriorati a società terze non produce nulla di buono”, osserva con disappunto la Federazione, “se non per i due attori principali, cedente e cessionario. Esiste una terza via che tenga in considerazione anche i bisogni del ceduto? La pratica di cessione di Npl e Utp provoca un doppio effetto: uno occupazionale, in quanto attività sin qui considerate tipiche del lavoratore bancario (recupero crediti) vengono un esubero di personale e dall’altro una vera e propria emergenza sociale. In sostanza, le sofferenze non sono state cancellate, non sono magicamente scomparse ma sono solo state traslocate ad altri “proprietari”. Pensiamo che a tutto ciò debba essere messo un freno per una maggior tutela della legalità, dell’occupazione, dell’area contrattuale della clientela e delle famiglie”.

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