Le Idee

Il mistero delle Sardine

Il mistero delle Sardine

Le sardine sono un evento molto interessante, degno di studio. Nate una sera in una piazza di Bologna durante un comizio di sostegno al candidato PD Bonacini (e questo è un indizio) si sono diffuse alle piazza di altre città emiliane e di altre regioni, sino ad una affollata manifestazione in Piazza San Giovanni a Roma. Questa diffusione non deve far meraviglia. Il meccanismo della emulazione che spinge a ripetere i comportamenti (ad esempio l’occupazione dei licei) è ben conosciuto, e i potentissimi mezzi di informazione di massa lo favoriscono. Quello che sarebbe interessante sapere è se nelle manifestazioni di piazza si tratta di persone del luogo o se esiste anche un trasferimento di sardine da una città all’altra. A Roma è infatti dimostrato che i romani erano probabilmente in minoranza. Come sono state risolte le spese di viaggio e di apprestamento del palco? Un conto è infatti se si è trattato di auto finanziamento; cosa ben diversa se c’è qualche finanziatore, e in tal caso è molto interessante sapere chi è e per quale scopo agisce.

Molti hanno voluto accostare questo movimento ai girotondi di Moretti e al popolo viola. Quei movimenti protestavano contro il governo come sempre accade nei movimenti di piazza, che era allora il governo Berlusconi. Le sardine, caso unico, protestano contro l’opposizione, o per meglio dire contro la Lega che dei tre partiti di opposizione è quello che gode del maggior consenso.

Una riflessione andrebbe anche fatta sul movimento del sessantotto, anche se aveva radici a Parigi e si diffuse successivamente ad altre nazioni dell’Europa occidentale. In quel periodo a capo dell’Unione Sovietica c’era Breznev che aveva teorizzato il principio della sovranità limitata. Nei paesi occupati dall’Armata Rossa e in cui era stato imposto un regime comunista non era consentita una autonomia politica e quando in Cecoslovacchia i dirigenti comunisti tentarono la via verso “un comunismo dal volto più umano “intervennero i carri armati sovietici a ristabilire l’ordine proletario. Nel frattempo in Cina Mao Tze Tung aveva lanciato la grande rivoluzione culturale. La base ideologica era il Libretto Rosso, il braccio operativo erano le guardie rosse. Tra le operazioni più qualificanti arresti indiscriminati, processi farsa, allontanamento di intellettuali dai posti di lavoro, sostituiti nelle cattedre universitarie e nei Rettorati da contadini analfabeti. Chang, primario ortopedico dell’Ospedale numero sei di Shangai, il primo nel mondo ad eseguire un reimpianto di mano venne spedito per dieci anni a fare il giardiniere. A lui andò relativamente bene perché molti intellettuali furono mandati nelle risaie. Sono cose che si possono leggere nei libri di storia, ma a me le ha raccontate personalmente Chang quando molti anni dopo lo invitai a Roma per un Congresso di Microchirurgia. Questa follia terminò con la morte di Mao, e Deng Xiao Ping che ne era stato una vittima, assurto al potere, ne attribuì la responsabilità alla banda dei quattro capitanata da Lin Piao. Mao era una icona della rivoluzione, impensabile coinvolgerlo.

Contro chi credete che manifestassero, talvolta anche in modo violento, il giovani del sessantotto? Contro questi oppressori della libertà e della democrazia? Ma neanche per sogno. Protestavano contro i governi occidentali in favore della istaurazione della dittatura del proletariato. Su una cosa però si dividevano e si scontravano con violenza. Meglio la dittatura del proletariato in salsa sovietica o in salsa cinese ad imitazione del Dittatore albanese e dei terroristi peruviani di sendero lunimoso?

Avevano sbagliato obiettivo e di questo se ne accorsero ventuno anni dopo quando la caduta del muro di Berlino si trascinò dietro tutti i regimi comunisti europei Russia compresa. Chi aveva capito tutto con grande anticipo era stato Pier Paolo Pasolini. Si era verificata a Roma una violenta manifestazione a Valle Giulia, dove qualche migliaio di studenti universitari e liceali si era scontrato con la polizia. L’Unità aveva tuonato in prima pagina contro la violenza fascista della polizia, ma Pasolini che era si di sinistra, ma da grande intellettuale non portava il suo cervello all’ammasso dichiarò. Questi manifestanti sono tutti figli di papà, sono una borghesia annoiata in cerca di emozioni e giocano a fare i rivoluzionari. Io sto con i poliziotti che sono figli del popolo, quel popolo che, da come vanno i risultati elettorali è stato abbandonato dal PD che riscuote i maggiori consensi dei quartieri centrali delle grandi città.

 

Le sardina hanno tenuto manifestazioni composte e prive di violenza, sostengono di volere pacificare i toni troppo aggressivi e violenti dell’attuale linguaggio politico e questo è un gran bene. Su una questione però si deve riflettere con attenzione dal momento che manifestano contro l’opposizione o per meglio dire contro il più forte partito di opposizione. Converrete con me che in una democrazia liberare l’opposizione non solo deve esserci ma svolge anzi un ruolo fondamentale. Pensare di eliminare l’opposizione o di sceglierne una di comodo è il primo passo verso l’instaurazione della dittatura. Nella democrazia liberare il competitore è un avversario, mai un nemico. Ora dobbiamo capire il significato di cantare quella bella canzone partigiana che è “bella ciao” Chi è l’invasore nazista di turno? E’ Salvini? Allora con il concetto di democrazia non ci siamo proprio se con accuse pretestuose vogliamo chiudere la bocca dell’avversario di turno. Non ci piacciono le sue idee? Combattiamole con la forza del ragionamento e non con l'utilizzo dell’accusa gratuita ed infamante.

Vedremo la futura evoluzione; una cosa sembra però chiara se le sardine volessero mettersi nella competizione politica. Causerebbero una redistribuzione dei voti della sinistra tra i cinque partiti che la compongono, ma da destra non sposterebbero neanche un voto.

 

 

 

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Fisco, a dicembre crescita record

Fisco, a dicembre crescita record.
Confartigianato: battere l’evasione per pagare meno tutti
Fine anno con il botto della pressione fiscale: il peso delle varie tassazione in Italia arriva alla punta record del 42.4%. Mentre, con una punta di soddisfazione, il costo del fisco scende al di sotto del 60% per le piccole e medie imprese. Dati altalenanti ma in generale per le Associazioni di categoria e i lavoratori autonomi, il coro è unanime: la pressione fiscale "è il nemico numero uno" per chi vuole fare impresa in Italia. Il record toccherà il mese di dicembre, per gli analisti tributari segnerà l’ennesimo record per il nostro Paese che, secondo le stime dell’Ufficio Parlamentare di bilancio, dovrebbe essere un record di tasse che sarà addirittura battuto il prossimo anno. Nel 2020 quando dovrebbe crescere di un ulteriore mezzo punto percentuale. Per i siti specializzati in politiche economiche e fiscali l’Italia si avvicina così ai livelli di tassazione dei Paesi scandinavi dove, però, i servizi al cittadino da quelli sanitari a quelli del welfare statali sono un fiore all’occhiello rispetto a quelli burocratici e antieconomici del nostro Paese. Le più colpite dall’insieme di norme fiscali rimangono le piccole imprese. Secondo il rapporto dell'ufficio studi di Confartigianato, il carico di tributi vari diventa insopportabile per micro aziende i cui utili si sono assottigliati a livello di sopravvivenza imprenditoriale.
In pratica per la Confederazione degli artigiani in Italia si pagano "18,6 miliardi di tasse in più rispetto alla media europea, pari ad un maggior prelievo di 308 euro per abitante". La grande speranza del 2019 per le pmi si chiamava “Flat Tax”, ossia una tassazione con una imposta fissa del 15%; aspettative deluse dal momento che della tassa piatta non si parla più, dopo mesi di clamori e annunci. Con tasse e balzelli troppo alti scende a livelli critici la competitività delle imprese sulle quali pesa anche il cuneo fiscale sul costo del lavoro dipendente, pari al 47,7%, vale a dire 11,8 punti superiore al 35,9% della media Ocse, sottolinea Confartigianato. "Siamo tra i peggiori d'Europa anche per la tassazione sull'energia: paghiamo 16 miliardi in più rispetto alla media europea", denuncia ancora l'associazione, sottolineando che "l'Italia è al 46esimo posto della classifica mondiale per le condizioni favorevoli a fare impresa". Insomma il 2019 è stato un anno delle mancate svolte e ora il timore che il 2020 sia ancora più pesante. Stessa preoccupazione per la Rete Imprese Italia, l’associazione che unisce i sindacati di rappresentanza del mondo delle PMI cui anche Confartigianato aderisce, già ascoltati dalla Commissione Finanze in Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sugli organismi della fiscalità e sul rapporto tra contribuenti e fisco. Per Rete Imprese Italia è urgente determinare una svolta possibile solo con una vera lotta all’evasione per ridurre il peso del fisco su quanti pagano. “L’attuale sistema fiscale”, calcola Domenico Massimino, presidente provinciale di Confartigianato Cuneo, nonché componente di Giunta nazionale, “è utilizzato sempre più spesso non come strumento di politica economica a favore di crescita ed equità, ma solo come fonte di maggiori entrate in cui il fattore spesa è la variabile indipendente a cui le entrate devono continuamente adeguarsi. Va capovolto il paradigma: è la spesa pubblica che deve essere riportata entro limiti che consentano una tassazione non oltre la media europea. In particolare, è fondamentale che le maggiori entrate provenienti, in primis, dal contrasto all’evasione siano totalmente destinate alla riduzione della pressione fiscale per imprese e famiglie”. Secondo i calcoli di fine anno anche se l’aumento percentuale della pressione fiscale non è direttamente legato all’aumento quantitativo del gettito fiscale, per questo fine 2019 nel tirare le somme, saranno contabilizzate le maggiori entrate erariali per 8,5 miliardi di euro. Di queste 337 milioni arriveranno dall’introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria, 680 milioni dalla cosiddetta “Pace fiscale” e 768 milioni dall’aumento della tassazione sui giochi d’azzardo. Di notevole portata anche etica, la tassa sul gioco, misura approvata nella Legge di Bilancio 2019, varata dal Governo “Conte 1”, che decise di aumentare la tassazione su slot online e altri giochi d’azzardo, elevandole ulteriormente rispetto ai livelli attuali. Lo Stato ha fatto cassa su uno dei vizi più comuni tra gli italiani, tentando così di recuperare somme da destinare a progetti per combattere le ludopatia.
Il livello della tassazione sulle giocate sale al 55,2% del totale. Per capire il fenomeno dal punto di vista economico bastano alcuni numeri, lo scorso anno gli italiani hanno giocato in totale 19 miliardi di euro, il 62,6% dei quali proviene da videopoker e slot machine. Di questi 19 miliardi giocati tra slot online, casino online e altri giochi d’azzardo, 10,4 miliardi sono finiti direttamente nelle casse dell’erario sotto forma di tasse e balzelli vari.
Allo stesso tempo, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, di concerto con la Guardia di Finanza, hanno messo in atto diverse iniziative per contrastare il fenomeno del gioco d’azzardo illegale online. Sono stato chiusi oltre mille siti che operavano senza licenza.

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I rifiuti in Abruzzo: economia circolare o incenerimento?

I rifiuti in Abruzzo: economia circolare o incenerimento?

«Più differenziata, niente inceneritori», titola oggi "Il Messaggero" Abruzzo a tutta pagina, introducendo il report annuale sulla raccolta differenziata presentato ieri dall'assessore regionale all'Ambiente, Nicola Campitelli. E mò come la mettiamo con il suo "Capitano"? Salvini, infatti, da qualche tempo incoraggia quasi compulsivamente la costruzione di impianti di incenerimento, arrivando a tirare fuori in modo strumentale (ma và?) i traffici illegali («Lo smaltimento illecito dei rifiuti ce l’hai se i rifiuti non li valorizzi») o ad alimentare le paure («L’emergenza in Sicilia, il rischio di nuove crisi in Campania e a Roma. I rifiuti o li differenzi o li valorizzi o li mangi»).

L'Abruzzo, secondo Campitelli, sarebbe dunque «sulla buona strada». L’assessore, però, omette, di riportare almeno tre fatti incontrovertibili:

1. Ciò che lui definisce «trend positivo degli ultimi anni, che dal 2014 ha sempre mostrato il segno più», in realtà si tratta di una vera e propria impennata: nel primo semestre 2018 la percentuale di raccolta differenziata in Abruzzo ha raggiunto il 61,88 per cento (Fig.1), cioè oltre 15 punti in più del 2014 e quasi 6 punti in più rispetto al 2017 e 12 rispetto al 2015. Ricordo, per dovere di cronaca, che nel periodo 2009-2014 (ndr Governo Chiodi) l’aumento non andò oltre un misero 4%.

2. Concordo con Campitelli quando dichiara che «occorre lavorare ancora molto». Omette, però, di fare un seppur timido cenno al lavoro immane svolto - dall’esecutivo regionale, dal sottoscritto e dai propri collaboratori - dal 2014 in poi, lavoro concretizzatosi con il finanziamento e l’attuazione di centinaia di interventi, in buona parte ultimati già alla fine del 2018, grazie ad un investimento (storico per la Regione Abruzzo) di ben 50 milioni di euro. A partire dalla «Rete Regionale del Riciclo», progressivamente costruita dal 2014 con un investimento di 14 milioni di euro e l’attuazione di 71 progetti e la realizzazione di 50 Centri di Raccolta, 8 Piattaforme Ecologiche e 13 Centri del Riuso (Fig.3). Passando alle attività realizzate sul tema della prevenzione ed alle azioni per la riduzione della produzione dei rifiuti, che, in forza del contestuale stanziamento di ulteriori 7 milioni di euro, ha consentito a 69 realtà comunali di realizzare altrettanti progetti disseminati sull’intero territorio regionale (Fig.4). Giungendo al sostegno integrale, con 9 milioni di euro di risorse investite, di 221 progetti degli Enti locali volti ad implementare la Raccolta Differenziata sull’intero territorio regionale (Fig.5).

3. Concordo ancora con l'assessore Campitelli quando dichiara di voler andare «avanti con l'economia circolare». Non so se lo sa, ma questo suo intendimento cozza decisamente con quanto sbandierato ai quattro venti dal suo "Capitano" in occasione delle sue continue e ripetute campagne promozionali pro-inceneritori. Per Salvini, infatti, gli inceneritori «producono utili e ricchezza, non roghi tossici», tanto da auspicarsi la costruzione di «un impianto per ogni provincia». Altro che "economia circolare".

E mò chi glielo dice al "Capitano"?


di Mario Mazzocca

Presidente Associazione 'Rete Abruzzo'

Già Assessore Regionale ad Ambiente ed Ecologia

 

 

 

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Pronto soccorso, mancano 2 mila medici

Pronto soccorso, mancano 2 mila medici
La prima proposta è “per evitare l’esplosione del sistema”. È l’incipit, a suo modo allarmante, dell’ultimo comunicato della Società italiana di medicina di emergenza urgenza (Simeu) che lancia l’Sos al presidente Mattarella per chiedere il via libera all’ingresso nella medicina di urgenza di giovani neo laureati.
Cosa accade, per avere toni così definitivi e proposte così dirompenti? Tra l’altro in un settore della sanità così delicato e che può riguardare tutti? È la carenza di medici in Italia, in particolare quelli del Pronto soccorso a spingere il presidente del Simeu, Francesco Rocco Pugliese a lanciare una raccolta firme condivisa da 200 direttori di Pronto soccorso perché è “urgente tamponare i prossimi 5 anni”. La proposta prevede l’assunzione di medici non specialisti, anche neo-laureati, da iscrivere però contemporaneamente in sovrannumero alle Scuole di specializzazione in Medicina d’urgenza. Una via che appare obbligata dettata dal fatto che al
Pronto soccorso dal nord al sud, “sono a rischio chiusura: i medici mancanti sono ormai oltre 2.000 e non si riescono più a coprire i turni”. Il documento dell’Accademia dei direttori Simeu è indirizzato in primis al capo dello Stato Sergio Mattarella ed al ministro della Salute, Roberto Speranza. La prima proposta, per evitare l’esplosione del sistema”, si legge nel documento presentato il 15 novembre scorso e ufficializzato in un incontro al Senato, è proprio l’introduzione dell’”ospedale d’insegnamento”. In altri versi è necessario prevedere l’assunzione temporanea nei Pronto Soccorso di medici non specialisti, anche neo-laureati, o con una specializzazione diversa, da iscrivere contestualmente in sovrannumero alle scuole di specializzazione di Medicina di emergenza. Un modo per inserire i giovani neo laureati o addirittura ancora studenti dentro un sistema lavorativo e quindi di esperienza professionale.
La loro formazione, sempre secondo la proposta della Società italiana di medicina di emergenza urgenza,
avverrebbe per la parte pratica nei dipartimenti d’emergenza, integrata poi dalla formazione teorica nelle sedi universitarie.
In questa maniera, sottolinea il
presidente del Simeu, Francesco Rocco Pugliese, “si ovvierebbe in tempi rapidi alla drammatica carenza di medici nei Pronto Soccorso, con un provvedimento che consentirebbe nell’arco dei prossimi cinque anni di comporre i futuri organici di Ps con soli specialisti in Medicina d’emergenza urgenza”. Tali medici sarebbero destinati nell’immediato, si spiega nel documento, “alla gestione di pazienti con codice a minore priorità ed eseguirebbero la formazione pratica sul campo sotto la supervisione dei direttori”. Per evitare che ci siano tensioni professionali la proposta della Società italiana di medicina di emergenza urgenza,
fa presente che si tratta di “dequalificare i medici d’urgenza ma è necessario tamponare l’emergenza. La nostra è una proposta urgentissima, una misura-tampone temporanea ed eccezionale”.
La Simeu nella sua lettera al presidente Mattarella e ai senatori, ha chiesto anche di “risolvere le carenze strutturali e organizzative”, a partire dalla previsione di un numero congruo di posti letto, e di intervenire sul “grave disagio lavorativo cui sono sottoposti i medici d’urgenza, e che rende poco attrattiva questa professione”. Ciò anche intervenendo decisamente contro il fenomeno delle aggressioni sul luogo di lavoro e prevedendo una valorizzazione economica del lavoro in Emergenza. L’obiettivo, ha concluso Pugliese, è pure “arrestare l’attuale fuga dai Pronto soccorso di professionisti preziosi e difficilmente sostituibili”. Il problema non è solo legato alla carenza di medici di pronto intervento, ma a conti fatti tra
il 2011 e il 2017 il Sistema sanitario  nazionale, ha perso più di 4mila unità e l’età media è passata da 51,0 a 52,9 anni. Ciò che più preoccupa, tuttavia, è l’avvicinamento alla pensione del gruppo più folto di professionisti, i circa 25mila medici che nel 2019 hanno tra i 62 e i 66 anni, nonché gli ulteriori 22mila che nel 2019 hanno tra i 57 e i 61 anni.
Quota 100 ha accelerato il congedo di questa parte di lavoratori.
Alle difficoltà causate dall’impatto dei pensionamenti va aggiunta l’insufficiente compensazione causata dal cosiddetto imbuto formativo, il grande ingorgo formatosi all’ingresso della carriera medica in ragione del basso numero di borse di specializzazione disponibili. C’è poi da ricordare il numero chiuso per gli aspiranti giovani che intendono abbracciare la professione medica. Dal pronto soccorso, all’età e fuga dei medici verso la lesione, al numero chiuso degli studi, sono tre problemi che se non risolti tra breve segneranno davvero la crisi del sistema sanitario.

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L’assetto della rete ospedaliera regionale, L’Aquila e Teramo: la realizzazione del DEA di II Livello

L'assetto della rete ospedaliera regionale, L'Aquila e Teramo: la realizzazione del DEA di II Livello

I due Consigli Comunali di L'Aquila e Teramo si riuniscono per discutere dell'assetto della rete ospedaliera, con riferimento alla realizzazione del DEA di II Livello. Per facilitare chi ha voglia di leggere, riporto una breve classificazione, secondo legge, degli ospedali. I DEA di II livello, previsti per una popolazione minima di 600.000 abitanti, come potete constatare , richiedono la presenza di tutti i reparti di alta specialità. Veniamo all'Abruzzo. Nessuno dei quattro ospedali provinciali, ad oggi, ha i requisiti completi per essere DEA di II livello, poiché i reparti superspecialistici sono distribuiti sulle quattro province. Poiché siamo 1.300.000 abitanti, è possibile istituire 1 o massimo 2 DEA II.
La proposta che feci come sindaco nel momento in cui si pose il problema è l'unica politicamente, scientificamente, organizzativamente , efficacemente ed efficientemente praticabile: la creazione di due DEA di secondo livello funzionali, vale a dire uno sull'area Chieti Pescara, l'altro su L'Aquila Teramo.
La giunta D'Alfonso accettò questa proposta ed istituì due Commissioni relativamente ai due ambiti.
Quella relativa alla costa si è conclusa positivamente: il DEA di II livello si farà sui due ospedali di Chieti e Pescara.
La Commissione per Teramo e L'Aquila si è riunita una sola volta, e dovrebbe dare il responso alla fine dell'anno.
La verità è che non si è voluta portare avanti. Tra le giustificazioni c'è quella, a mio avviso sciocca, che afferma che tra L'Aquila e Teramo la presenza del Gran Sasso rende impossibile qualsiasi collegamento in tempi utili, e che su questo punto il Ministero si è sempre inchiodato.
E' una sciocchezza, se si pensa che non solo i malati che ne avessero necessità (soprattutto i politraumatizzati contemporaneamente neurologici, toracici ed addominali) potrebbero benissimo essere trasportati in un quarto d'ora con l'elicottero o in 40 minuti via autostrada, ma ove necessario, l'equipe , ad esempio di chirurgia toracica, potrebbe spostarsi rapidamente. In tal senso è già stata stipulata una convenzione tra le due ASL, considerando che i reparti di alta specialità sono dell'Università dell'Aquila.
Avere il DEA funzionale di II livello serve soprattutto a mantenere alta la qualità complessiva dell'assistenza e della formazione.
Lunedì quindi si dovrebbe spingere in tal senso: un DEA funzionale di II livello tra L'Aquila e Teramo, con una stretta collaborazione tra le due ASL e L'Università, che è già presente nei due nosocomi. Veniamo al punto!!!!
Mi giunge voce che la regione, ed altri politici sparsi sul territorio, abbiano assunto una posizione a mio avviso folle: chiedere la deroga al ministero per avere 3 o addirittura 4 DEA di II livello in Abruzzo. Con che faccia lo farebbero al tavolo ministeriale non lo so!!!!
Delle due l'una: o si prendono in giro i cittadini, oppure si vuol fare la furbata di far ricadere la responsabilità dell'ovvio diniego sul Governo.
Per decenni i politici hanno messo a credere, facendoci campanilismo, che l'importante è assegnare un'etichetta, creare ospedali, mantenerli comunque anche quando divengono pericolosi perché privi delle alte tecnologie diagnostiche e terapeutiche, abbandonando completamente gli investimenti sulla medicina territoriale, secondo quanto oggi dettato dalla nuova medicina.
Ce lo vedete l'Abruzzo, già impelagato con il piano di rientro, con poche risorse, con un piano che prevede la chiusura di numerose unità operative complesse e semplici (sarebbero i reparti), realizzare tre o quattro cardiochirurgie, neurochirurgie, chirurgie toraciche, TIN (terapia intensiva neonatale, chirurgie vascolari di alto livello? Chi le paga? E soprattutto, quale qualità assicurerebbero nel momento in cui avrebbero un bacino di utenza inferiore a quello previsto in letteratura internazionale affinché vi si eseguano un numero tale di interventi capaci di assicurare una casistica che permetta la qualità della preparazione delle equipe? Ma se abbiamo chiuso i punti nascita perché meno di 500 parti sono ritenuti insufficienti per assicurare una casistica idonea per una vera qualità delle prestazioni, pensiamo che un parto sia più complesso di un intervento cardiochirurgico o neurochirurgico?
Mi auguro chei due consigli comunali si comportino seriamente. guai a prendere in giro i cittadini e soprattutto attenti: il campanilismo è gia' in agguato in tutte e quattro le citta' capoluogo. non ci mette niente a liberarsi dal guinzaglio e tornare a mordere.

di Massimo Cialente 

 

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L’Abruzzo e la colonizzazione culturale.

L’Abruzzo e la colonizzazione culturale.

Il TSA ha un nuovo presidente, Pietrangelo Buttafuoco, giornalista di cui rispettiamo la professionalità.

Ciò che non si comprendono e sorprendono, sono le parole del Presidente della Regione, a commento della nomina e scopriamo che l’Abruzzo ha bisogno di una maggiore vetrina nazionale ed internazionale e di riportare le scene abruzzesi al centro dell’attenzione che meritano, per il rilancio culturale della città e dell’Abruzzo.

Forse farebbe bene il Presidente Marsilio, se non lo ha già fatto, ad informarsi sulle enormi risorse culturali che possiede l’Abruzzo e sugli eventi che, tutto l’anno, portano la regione alla ribalta sia nazionale che internazionale. 

Di tutte le intelligenze che lavorano quotidianamente in ogni ambito, compreso quello culturale, così pieno di eccellenze.

 In tale quadro, e nonostante le difficoltà, l’Abruzzo continua a crescere senza essere più una regione di serie B.

Iniziative nuove e proposte sempre diverse, portate avanti con passione ed energia anche dai molti giovani che decidono di non lasciare l’Abruzzo, presenti in molte associazioni, numerose e vivaci. Ma, soprattutto, qualificati.

L’Abruzzo c’è. 

 

di Carla Tiboni, Presidente Premi Internazionali Flaiano

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Il riconoscimento a Liliana Segre sia rispettoso e autentico

Il riconoscimento a Liliana Segre sia rispettoso e autentico

La proposta di conferire la cittadinanza onoraria di Ortona alla Senatrice Liliana Segre ha il nostro pieno sostegno: coltivare la memoria e la conoscenza storica è il primo passo affinché le ingiustizie e le sofferenze del presente non siano colpite dall’odio di pochi e alimentate dall’indifferenza di molti.

A destare alcune perplessità è che questa iniziativa sia arrivata da un Consigliere comunale di maggioranza, Antonio Sorgetti, che solo tre anni fa sul suo profilo Instagram inneggiava al fascismo con foto di Mussolini e relativo inquietante hashtag # ilDuce. A nessuno infatti, può sfuggire che furono proprio le leggi razziali del 1938, approvate dal regime fascista, a dare avvio in Italia alle persecuzioni contro le persone di religione ebraica come la Senatrice Segre. Siamo di fronte a un sincero ripensamento del Consigliere Sorgetti o c’è il pericolo che si tratti di un’iniziativa esclusivamente mediatica e superficiale? In un’epoca in cui apparire viene spesso considerato più importante che essere, evitare questo pericolo è compito di ognuno di noi.

Il nostro auspicio, e sarà dovere di tutti impegnarsi affinché ciò accada, è che questo riconoscimento si inserisca in un percorso più ampio fatto di momenti di ascolto, partecipazione diffusa e studio approfondito. Dobbiamo cogliere questa occasione affinché la nostra Città, a partire dalle scuole, diventi un modello di conoscenza storica che incoraggi i valori di pace, libertà e fratellanza: solo in questo modo, preferendo una sincera condivisione a una condivisione di facciata, potremo dare alle nostre azioni un valore all’altezza della Senatrice Segre e di tutti coloro che, in ogni parte del mondo e periodo storico, hanno subito e continuano a subire le atrocità e le discriminazioni di altri esseri umani.

di Giorgio Marchegiano  e Emore Cauti

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Le contraddizioni della societa’ italiana che invecchia. La controversa realta’ delle R.S.A.

Le contraddizioni della societa’ italiana che invecchia. La controversa realta’ delle R.S.A.

Siamo una società che rapidamente sta invecchiando. Recentemente l’Istat ci ha comunicato che su
una popolazione totale di 60.359.546 , gli ultrasessantacinquenni sono ben 13.783.580. Questo
fenomeno è il prodotto dell’aumento complessivo dell’età media di sopravvivenza che nel 2016 era
di 80,6 anni per gli uomini e 85 anni per le donne; esso crescerà ulteriormente perché si prevede che
nel 2065 l’età media sarà per gli uomini di 86,6 anni e per le donne di 90,2 anni ed in questo stesso
periodo il 34% della popolazione avrà più di 65 anni.
Si tratta, ovviamente, del risultato del progresso della nostra società, ma che pone alla stessa il
problema di una modifica sostanziale della sua organizzazione in modo da garantire ai pensionati ed
agli anziani un vita dignitosa e piena. Per dirla con Rita Levi Montalcini “non è importante
aggiungere giorni alla vita, ma vita ai giorni”.
Finchè i pensionati e gli anziani non presentano problemi rilevanti di salute essi per l’ambito
familiare sono una risorsa importantissima, ma quando si ammalano e diventano cronici allora
vediamo che il sistema pubblico di assistenza sanitaria li lascia indietro e ci si vede costretti a
ricorrere al privato. Parliamo non solo di ospedali, ma sempre più di residenze sanitarie assistite ove
vengono sempre più “parcheggiati”anziani e malati cronici, anche in giovane età, a causa della
incapacità dell’ambito familiare di far fronte alla non autosufficienza ed alla cronicità.
Alcuni dati devono far riflettere. In Italia abbiamo 4000 R.S.A per 200 mila posti letto. Rispetto agli
altri paesi siamo abbastanza indietro. Se pensiamo, ad esempio, che la Germania ha 12 mila R.S.A.
per 876 mila posti letto, la Francia 10.500 strutture per 720.000 posti letto, la Spagna 5400 R.S.A.
per 373.00 posti letto.
Ma qual’è la situazione di queste strutture nel nostro Paese? Ebbene, recentemente, i NAS hanno
reso noto di aver rilevato irregolarità nel 28% di queste strutture (su 6245 controlli, 1775 erano
irregolari) e che viene chiusa una casa di riposo ogni 5 giorni. Ad Udine la magistratura ha messo
nel mirino una società che è un colosso nazionale delle case di riposo: 85 strutture gestite, 5900
posti letto, 3 mila dipendenti, 200 milioni di fatturato. Ed ha parlato di gestione votata “al bieco
cinismo, al perseguimento del profitto ad ogni costo, sacrificando il fondamentale diritto ad una vita
dignitosa.”La federazione nazionale dei pensionati della Confesercenti ha pubblicato sulle R.S.A.un
dossier( Quelle case senza amore)che parla di oltre mille vittime accertate nelle case di riposo dal
2013 al 2018 con 3 mila episodi di violenza contestati agli indagati e di oltre mille denunce di
maltrattamenti. Ben 282 nei primi 9 mesi del 2019. Ed ancora 1833 infrazioni penali, 2268
infrazioni amministrative, 211 strutture chiuse o sequestrate per un valore di 85 milioni di euro e
venti arresti,
Ovviamente si tratta di non generalizzare perché ci sono strutture private che sono un modello di
efficienza, ma è un settore che non può essere quasi monopolizzato dal privato ed una risposta
pubblica complessiva ci deve essere sul piano del livello dell’assistenza sanitaria e delle strutture e
se ne deve fare carico la fiscalità generale.
Ed infine:secondo l’OCSE in Italia i posti letto convenzionati per i non autosufficienti (250 mila)
sono la metà di quelli necessari. Ciò provoca il fenomeno dei ricoveri improri e dell’abusivismo,ma
apre ancor di più lo spazio all’intervento dei privati che hanno fiutato nelle R.S.A. il business del
futuro. Infatti le grandi società immobiliari ed infrastrutturali prevedono, in questo comparto, entro
il 2035 investimenti per nuove strutture per 15 miliardi di euro, con un rendimento lordo
dell’impegno finanziario tra il 6% ed il 7,5%.
Quindi anche in questo settore è più che mai necessario un piano infrastrutturale di intervento
pubblico, in tempi rapidi, per evitare che una conquista di civiltà, il vivere più a lungo, per
tantissimi si trasformi in una condanna.
di Nicola Primavera

 

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La valorizzazione turistica del Bacino minerario della Maiella

"Nell'ambito di "Strisciando 2019", il raduno nazionale di Speleologia organizzato dal Comune di Lettomanoppello (PE), lo scorso 31 ottobre, per iniziativa del GRAIM (Associazione volta a ricerche di archeologia industriale), siamo riusciti ad animare una tavola rotonda con ospiti provenienti da tutta Italia per mettere a fuoco la questione della valorizzazione turistica del Bacino minerario della Maiella".
"È maturo il tempo di una sinergia istituzionale larga volta all'istituzione di un Parco minerario, a patto che le iniziative sul campo (protocollo di intesa promosso dall'Agenzia del Demanio e fondo destinato dalla Provincia di Pescara per la realizzazione del "Parco didattico del Lavino") lascino cadere timori, interpretazioni formalistiche delle norme, tentativi di sviamento delle risorse pubbliche dall'obiettivo principale della restituzione alla fruizione pubblica di un inestimabile patrimonio della civiltà del lavoro minerario. Negli ultimi anni, la combinazione di studi di storia dell'industria e ricerche sul campo volte alla ricognizione del vasto tessuto di miniere, collegamenti e materiali ha sedimentato un corposo bagaglio di conoscenze che dovrà orientare l'agire degli amministratori pubblici. La tavola rotonda, attraverso le testimonianze di esperti e gestori di Parchi minerari, ha dimostrato come la risoluzione di problemi relativi alla proprietà, alla messa in sicurezza, alla valorizzazione e alla fruizione dei siti possano essere risolti a patto che gli strumenti del diritto amministrativo vengano utilizzati in maniera creativa e propositiva e non si riducano a schermi protettivi dietro i quali trincerarsi per evitare assunzioni di responsabilità. I Comuni dovranno recuperare un ruolo centrale anche nell'ambito di questo dossier, associandosi anche formalmente tra loro, stimolando una progettazione di qualità fondata sulle conoscenze scientifiche, mettendo in campo un'azione volta al reperimento di maggiori risorse finanziarie. Il 15 novembre avrà luogo una riunione presso l'Agenzia del Demanio di Pescara nella quale potranno compiersi passi in avanti. Sarà importante, del pari, indirizzare al meglio la progettazione della Provincia di Pescara evitando scelte inadeguate alla valorizzazione".

di Alessandro D'Ascanio, sindaco di Roccamorice


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La scomparsa del prof. Carlo Umberto Casciani

 

La scomparsa del prof. Carlo Umberto Casciani

Si sono tenute il primo novembre a L’Aquila nella cattedrale di Collemaggio le esequie del prof. Carlo Umberto Casciani con grande concorso di gente. Presenti diversi colleghi ed allievi.
Casciani è stato un ricercatore, un docente ed un organizzatore di grandissimo livello. Nato all’Aquila, laureato giovanissimo in Medicina e Chirurgia, si interessò con grande impegno nel trattamento della insufficienza renale. Mentre si trovava negli Stati Uniti a perfezionarsi nell’utilizzo del rene artificiale conobbe il prof.Paride Stefanini che si era recato in visita presso la stessa istituzione dove lavorava Casciani. Stefanini aveva in mente di iniziare una attività di trapianto di rene presso il suo reparto al Policlinico Umberto Primo di Roma. Invitò pertanto Casciani ad entrare nel suo staff. Qualche tempo dopo, nel 1968 Stefanini realizzò il primo trapianto di rene in Italia. Casciani si distinse per la pubblicazione di numerosi lavori che riguardavano il trattamento della insufficienza renale cronica. Altri lavori di fondamentale importanza erano attinenti al funzionamento del sistema immunitario e al trattamento del rigetto del trapianto. La scuola di Stefanini divenne leader dei trapianti visceralo d’organo giovandosi del contributo prezioso dei professori Casciani e Cortesini. Casciani accanto alle doti di ricercatore scientifico che lo avevano reso uno scienziato noto nell’immunologia dei trapianti,possedeva quelle di manager di grande rilievo. Questa è una qualità che pochi sanno essere una qualità degli abruzzesi. Basti riferirsi a Mattioli presidente della Banca Commerciale Italiana e maestro di Cuccia, e a Marchionne. Casciani collaborò con Stefanini alla creazione delle facoltà mediche di Mogadiscio e dell’Aquila, potremmo anzi dire che ne fu “magna pars”. Creò per il CNR un laboratorio di tipizzazione tessutale molto importante per lo studio della compatibilità degli organi da trapiantare.

Alla fine degli anni settanta una legge dello Stato istituì la Seconda Università di Roma con lo scopo di ridurre l’eccesivo numero di professori della Sapienza . L’obbiettivo non fu raggiunto perché per ogni professore che optava per il trasferimento alla Seconda Università la Sapienza ne creava tre o quattro di nuovi. Casciani fu uno dei primi a trasferirsi perché credeva fortemente a questa iniziativa di creare un Ateneo dotato di un grande campus, sul modello delle università anglosassoni. E si deve riconoscere che sotto la guida del Rettore Enrico Garaci in un periodo abbastanza contenuto questa università nota come Tor Vergata, dal nome del luogo in cui fu edificata, raggiunse gli obiettivi prefissati. Tra questi uno dei più difficili da perseguire fu la realizzazione della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Casciani prima come Presidente del Comitato Organizzatore e successivamente come primo Preside creò l’organigramma della Facoltà dotandola delle strutture di ricerca e cliniche necessarie per iniziare le attività didattiche tenute da un gruppo di docenti,dei veri pionieri di grande qualità. La Facoltà di Medicina e Chirurgia fu una delle prime in Italia ad essere organizzata in Dipartimenti e Casciani fu il Direttore del Dipartimento di Chirurgia.

Casciani ha prodotto un notevole numero di allievi che si sono distinti nella Chirurgia Generale e nella Chirurgia dei Trapianti il cui esponente più prestigioso è il prof. Giuseppe Tisone responsabile del programma di Trapianti di rene e di fegato.

Senza la preziosa opera del prof. Casciani Roma avrebbe ,come minimo, impiegato più tempo per acquisire la leadership nei trapianti d’organo, e la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Tor Vergata non sarebbe forse mai nata.

Le qualità umane di Carlo Casciani sono altrettanto degne di ammirazione. Cattolico praticante, animato da una grande fede, era verso tutti, colleghi, allievi e pazienti generoso, affabile, semplice, alla mano. Impossibile, se lo si conosceva bene e si superava la sua timidezza, non diventarne un amico devoto.

Io mi auguro che le università dell’Aquila, della Sapienza e soprattutto Tor Vergata sappiano onorarne la memoria.

Una ultima considerazione: si usa dire “la scomparsa“ per una persona deceduta, e ho usato questa locuzione per Carlo Umberto Casciani ma mi rendo conto di aver errato perché Carlo vivrà sempre nei cuori degli amici, degli allievi e dei pazienti che lo ricorderanno con immutato affetto.

di Achille Lucio Gaspari

 

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