L’Osservatorio

Auto, il mercato ai livelli più bassi da inizio secolo

A causa della pandemia di Covid-19, il mercato auto tocchera' il livello piu' basso mai registrato da inizio secolo: tra marzo e aprile, il crollo medio e' stato dell'80%, con 370 mila prime iscrizioni di veicoli in meno, 300 mila delle quali auto. A maggio non si e' registrata una ripresa significativa, anche se, a fine mese, la flessione potrebbe risultare piu' contenuta, grazie alla ripartenza della produzione di alcuni brand di componenti e concessionari. E' quanto emerge dai dati dell'Aci riportati nell'Annuario Statistico 2020 e in Autoritratto 2019, stimando che, nel 2020, le prime iscrizioni di veicoli nuovi di fabbrica scenderanno ben al di sotto degli 1,6 milioni rilevati nel 2013. E' verosimile, infatti, che saranno in molti a rinviare l'acquisto di un'auto, a causa della pesante crisi economica conseguenza del lockdown. E' molto probabile, poi, che tra i motivi principali di questo rinvio ci sia l'attesa dell'erogazione di incentivi da parte del Governo, come richiesto a gran voce da tutti gli operatori del settore, per facilitare il rilancio del mercato. Le Regioni piu' penalizzate saranno quelle del Sud che, gia' oggi, presentano un indice trasferimenti/prime iscrizioni notevolmente piu' elevato rispetto alla media nazionale di 1,6 (3,6 acquisti di auto usate per ogni acquisto di auto nuove), e dove le autovetture Euro 0-1-2-3 costituiscono il 44,5% (media Italia 32,5%)

Pesanti le conseguenze per l'ambiente: aumentera', infatti, l'eta' media delle autovetture in circolazione, oggi pari a 11 anni e 5 mesi, e mentre la tecnologia avanza continueremo ad avere in circolazione 1 auto su 5 di classe Euro 0-1-2 (da 18 anni in poi). In frenata anche le immatricolazioni delle autovetture ibride ed elettriche, (agevolate dagli ecoincentivi erogati dal 2015 al 2019), soprattutto a causa del prezzo, generalmente, piu' elevato. All'opposto, a dispetto del netto calo delle auto nuove a gasolio riscontrato a partire dal 2018, le prime iscrizioni di marzo ed aprile scorso dicono che questo tipo di alimentazione potrebbe tornare ad essere il preferito dagli acquirenti. I dati dell'Aci ricordano anche quanto sia importante il settore automobilistico per il nostro Paese: la media nazionale del rapporto autovetture/popolazione e' pari a 655 auto ogni 1000 abitanti, mentre, prendendo in considerazione tutti i veicoli, il rapporto sale a 868 ogni mille abitanti. Nelle citta', mediamente, circolano 643 auto ogni 1000 abitanti: il valore massimo a L'Aquila (776) e Frosinone (775), il minimo, oltre Venezia (424), a Genova (469) dove sono molto usati i motocicli e Milano (501), grazie all'efficienza del TPL e alla diffusione di altre forme di mobilita'.

L'Annuario Statistico dell'Aci fotografa anche i costi sostenuti dagli italiani per l'automobile: nel 2019 sono stati spesi 155 miliardi, sostanzialmente in linea con l'anno precedente (+0,3% a prezzi costanti). L'esborso maggiore se ne va nell'acquisto (49 miliardi), poi in carburante (39 miliardi) e manutenzione (26 miliardi). In aumento le voci relative a pneumatici, manutenzione, parcheggi e pedaggi autostradali, in leggera diminuzione quelle relative all'acquisto e ai premi Rca. Anche la componente fiscale dei trasporti, lo scorso anno pari a 65 miliardi, e' risultata in linea con il 2018: l'entrata maggiore per l'erario e' stata per la vendita dei carburanti (circa 35 miliardi), seguono l'Iva per l'acquisto del veicolo (circa 8,5 miliardi), e la tassa automobilistica (6,7 miliardi). 

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Indice produzione costruzioni a marzo -36,2%

A marzo 2020 si stima che l'indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni diminuisca drasticamente, registrando un calo del 36,2% rispetto a febbraio 2020. Lo rileva l'Istat, specificando che nella media del primo trimestre 2020, la produzione nelle costruzioni mostra una flessione del 6,8% rispetto al trimestre precedente. Su base annua l'indice grezzo della produzione nelle costruzioni diminuisce del 33,1%, mentre l'indice corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 22 contro i 21 di marzo 2019) cala del 35,4%. 

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Ripartono i concorsi pubblici

La ministra della P.a, Fabiana Dadone, interviene con un video su Facebook per rassicurare sui concorsi per diventare dipendenti pubblici. Lo Stato, promette la ministra, "avra' una grande stagione" di reclutamento. Ma neppure i concorsi toneranno ad essere quelli di una volta: niente piu' maxi-aule e orali in video-conferenza. Prima della pandemia in programma c'erano 150 mila assunzioni a partire da quest'anno, cosi' da far fronte all'esodo di massa, causa pensionamenti: 500 mila uscite in tre anni. Calcolando che il turnover era tornato al 100% solo a novembre scorso, dopo anni di paletti. E' difficile che il 2020 riesca a centrare il target ma saranno comunque decine di migliaia i posti messi a bando. Magari si riuscira' a restare sulla tripla cifra: agguantando quota 100 mila ingressi. D'altra parte, solo nel dl Rilancio - tra scuola, sanita' e giustizia - e' previsto l'arruolamento di circa 36 mila nuove leve. Il decreto inoltre taglia i tempi con l'obiettivo di velocizzare le procedure e dimezzare la durata media di un corso, portandola da 18 a 8 mesi. Le prove saranno dislocate sul territorio e digitalizzate dalla A alla Z. Un restyling che riguarda, chiarisce Dadone, sia le selezioni in corso che quelle che verranno. Il ministero sta anche lavorando a 'bandi tipo' per venire incontro agli enti locali, che potrebbero incontrare piu' ostacoli. E per cui e' stato anche costruito un meccanismo per abbattere il vincolo che lega le entrate ai pensionamenti, liberalizzando le assunzioni, purche' sostenibili a livello finanziario. Tutto questo avveniva sempre prima dell'emergenza. Tra le novita' ci sara', poi, la valutazione delle cosiddette competenze trasversali, come la capacita' di fare squadra ma anche il "senso dello Stato".
"Non e' sufficiente fare una prova per entrare e rimanere 30 o 40 anni tranquilli in un posto di lavoro", scandisce Dadone. A palazzo Vidoni, sede del dipartimento della Funzione pubblica, ci si concentra sul prossimo provvedimento in rampa di lancio: il dl semplificazioni. Dagli appalti agli altri tipi di procedimenti amministrativi, nel menu' c'e' una sburocratizzazione a 360 grandi della macchina pubblica, che tenga conto delle esigenze dettate dal virus ma anche della necessita' di digitalizzare quanto piu' possibile e di orientare gli investimenti verso il 'verde'. Dalla richiesta da remoto del codice fiscale per i neonati alle colonnine di ricarica per le auto elettriche, i capitoli aperti sono tanti. E il ministero della P.a si propone come coordinatore degli input che arriveranno sui diversi fronti.

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Cgia, i big del web nel 2018 hanno pagato al Fisco 600 volte meno di pmi

 Le multinazionali del web producono in Italia "fatturati milionari, anche se solo una piccolissima parte viene successivamente dichiarata in Italia", per la Cgia, secondo cui "questa anomalia, pertanto, consente a queste realta' di versare al nostro fisco pochissime imposte. Nel 2018, ad esempio, l'aggregato delle controllate in Italia appartenenti a una quindicina circa di big tecnologici ha fatturato 2,4 miliardi di euro (pari allo 0,3 per cento del totale WebSoft mondiale). Gli addetti che lavorano nel nostro Paese sono quasi 10 mila e al fisco italiano questi colossi dell'hi-tech fanno pervenire poche "briciole": solo 64 milioni di euro", affermano gli artigiani di Mestre, e segnalano che "nello stesso anno, invece, le nostre micro e piccole imprese, con meno di 5 milioni di fatturato, hanno generato un volume di affari di 926,7 miliardi, dando lavoro a piu' di 10 milioni di addetti. Il contributo fiscale giunto all'erario da queste piccole realta' e' stato di quasi 39,5 miliardi di euro: un importo di 600 volte superiore al gettito versato dalle multinazionali del web". Le filiali italiane monitorate nello studio della Cgia sono riconducibili a: Amazon, ADP; Alibaba, Alphabet, Booking, Expedia, Facebook, Microsoft, Oracle, Otto, Qurate Retail, Salesforce, SAP, Uber Technologies, Vipshop e Apple.

 Sebbene nel decreto Rilancio siano state prese delle misure di alleggerimento fiscale che interesseranno le nostre piccole imprese, la Cgia rimane molto critica sull'azione del Governo Conte. Il segretario, Renato Mason, osserva: "E' vero che oltre agli indennizzi diretti, comunque del tutto insufficienti, e' stato introdotto anche l'azzeramento dell'acconto e del saldo Irap di giugno, la riproposizione dei 600 euro, la detrazione del 60 per cento degli affitti delle attivita' che hanno visto crollare di almeno il 50 per cento del fatturato negli ultimi 3 mesi e il taglio delle bollette. Ma tutto questo e' ancora insufficiente a colmare la rovinosa caduta del fatturato registrata in questi ultimi mesi da tantissime piccole imprese che, a differenza dei giganti tecnologici, non possiedono la liquidita' sufficiente per reggersi in piedi"

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Prezzi, cresce ad aprile il ‘carrello della spesa’

Corre ad aprile il 'carrello della spesa' stando alla rilevazione dell'Istat che spiega come i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona accelerino in modo marcato da +1,0% a +2,5%, mentre la crescita di quelli dei prodotti ad alta frequenza d'acquisto passi da +0,6% a +0,8%. Sottolinea l'Istat nel commento: ad aprile "i prezzi del cosiddetto 'carrello della spesa', trainati dagli Alimentari non lavorati, accelerano (+2,5%), portandosi a livelli di crescita che non si registravano da febbraio 2017".

L'Istat spiega che ad aprile, con l'emergenza sanitaria in pieno corso, da una parte il restringersi dell'offerta e della domanda commerciale al dettaglio (concentrate su un minor numero di comparti merceologici), dall'altra il crollo delle quotazioni del petrolio, determinano spinte opposte: inflazionistiche per i prodotti alimentari e deflazionistiche per i Beni energetici. Queste ultime sono prevalse azzerando l'inflazione (non avveniva da ottobre 2016 quando la variazione dell'indice dei prezzi al consumo fu negativa e pari -0,2%); tuttavia, i prezzi del cosiddetto "carrello della spesa", trainati dagli Alimentari non lavorati, accelerano (+2,5%), portandosi a livelli di crescita che non si registravano da febbraio 2017

L'Istat spiega che i Beni energetici, amplificano la loro flessione sia nella componente regolamentata (da -9,4% a -14,1%) sia in quella non regolamentata (da -2,7% a -7,6%); questa dinamica e' in parte compensata dall'accelerazione dei prezzi dei Beni alimentari (da +1,1% a +2,7%), trainata dagli Alimentari non lavorati (+4,3%) e, in misura minore, dalla riduzione della flessione dei prezzi dei Servizi relativi alle comunicazioni (da -2,6% a -1,3%). L'"inflazione di fondo", al netto degli energetici e degli alimentari freschi, e quella al netto dei soli beni energetici accelerano rispettivamente a +0,8% a +1,0%, entrambe da +0,7%. L'inflazione acquisita nel 2020 e' pari a +0,1% per l'indice generale e a +0,7% per la componente di fondo. I prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona accelerano in modo marcato da +1,0% a +2,5%, mentre la crescita di quelli dei prodotti ad alta frequenza d'acquisto passa da +0,6% a +0,8%. 

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La popolazione a rischio di poverta’ o esclusione sociale e’ pari al 27,3%

In Italia, nel 2018, la popolazione a rischio di poverta' o esclusione sociale e' pari al 27,3% (circa 16 milioni e 400 mila individui), in diminuzione rispetto all'anno precedente (28,9%). Il livello italiano resta comunque superiore a quello europeo (21,7% nel 2018 dal 22,4% del 2017). E' quanto si evince dal rapporto dell'ISTAT sugli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile 2020. Anche analizzando i tre indicatori che compongono il rischio di poverta' o esclusione sociale, la situazione nel 2018 (redditi 2017) e' in miglioramento, ad eccezione del rischio di poverta', che riguarda il 20,3% della popolazione ed e' stabile rispetto al 2017 (redditi 2016); in diminuzione la grave deprivazione materiale (8,5% nel 2018, dal 10,1% nel 2017), e la quota di chi vive in famiglie con una intensita' di lavoro molto bassa (11,3% da 11,8%). Nel 2019 si confermano i progressi nella riduzione della poverta' in Italia: l'incidenza di poverta' assoluta riguarda il 6,5% delle famiglie e il 7,8% degli individui (7,8% e 8,4% nel 2018).
Sui dati puramente economici, il rapporto afferma che dopo la ripresa del periodo 2015-2017, gli ultimi due anni evidenziano un rallentamento della crescita del Pil pro capite, piu' accentuato nel 2019 (+0,4%). Ma negli ultimi anni il proseguimento della fase positiva del ciclo economico ha determinato un generalizzato miglioramento dell'occupazione e una riduzione della disoccupazione sia nei Paesi europei sia, in misura piu' contenuta, in Italia. Dal rapporto emerge inoltre che in Italia, nel periodo 2004-2017, la crescita dei redditi della popolazione a relativamente basso reddito ha subito un deciso peggioramento. In particolare nel 2017 i redditi di tutta la popolazione sono aumentati in misura maggiore dei redditi delle persone piu' povere (rispettivamente +1,6% e +0,2%). Nella Penisola la percentuale di reddito disponibile per il 40% della popolazione piu' povero (19,3%) e' inferiore alla media europea (20,9%, dati 2016). Intanto, sul fronte dell'emigrazione, secondo l'ISTAT nel 2018 sono stati rilasciati 242.009 nuovi permessi di soggiorno, il 7,9% in meno rispetto all'anno precedente. La diminuzione e' in larga parte riconducibile al calo dei permessi rilasciati per richiesta asilo. La presenza di rifugiati resta contenuta (meno dell'1% dei permessi validi al 1° gennaio 2019). Continuano a diminuire le acquisizioni di cittadinanza: nel 2018 sono state 103.485, il 23,8% in meno rispetto al 2017. Il rapporto fotografa anche la situazione delle condizioni abitative; quelle non soddisfacenti coinvolgono piu' di un quarto della popolazione italiana. Note dolenti anche sul fronte dell'istruzione. Nel 2018 in Italia la percentuale di studenti che non raggiungono il livello minimo di competenza scientifica raggiunge il 25,9%, dato significativamente peggiore della media Ocse (22%). La percentuale di giovani tra 18 e 24 anni che non hanno concluso il percorso scolastico e formativo e' del 13,5% nel 2019, in diminuzione rispetto al biennio 2017-2018. Sempre nel 2019 soltanto il 27,6% dei giovani di 30-34 anni possiede una laurea o titolo terziario (33,8% delle donne e 21,6% degli uomini), stabile rispetto al 2018. Il livello rimane significativamente inferiore alla media europea (41,3%). La partecipazione degli adulti italiani alle attivita' di formazione, formale e non formale, rimane costante tra il 2018 e il 2019: l'8,1% di coloro che hanno tra 25 e 64 anni ha svolto nelle ultime 4 settimane almeno una attivita' formativa. Sulla ricerca l'Italia resta indietro rispetto agli altri Paesi. L'intensita' di ricerca media dell'Unione europea, misurata rispetto al Pil, e' passata dall'1,93 nel 2009 al 2,12 nel 2018, un valore comunque ancora distante dal target di Europa 2020.

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Eurofund, il 34 per cento ha perso il lavoro per Covid-19

Oltre il 34% degli italiani ha perso il lavoro in modo permanente o temporaneo come conseguenza della pandemia di Covid-19. E' quanto emerge da un sondaggio paneuropeo condotto da Eurofound per la European Trade Union Confederation (Etuc), la confederazione europea dei sindacati. Secondo il sondaggio, effettuato tra il 9 e il 30 aprile su un campione rappresentativo di 86.457 persone nell'Ue e nel Regno Unito (62.755 risposte complete) di età uguale o superiore a 18 anni, l'Italia è uno dei Paesi più colpiti dalla pandemia sotto il profilo occupazionale. Alla domanda "durante la pandemia avete perso il vostro posto di lavoro o il vostro contratto?", in Italia il 4,7% ha risposto "sì in modo permanente" e il 29,7% "sì in modo temporaneo", per un totale del 34,3%. La media Ue è del 28,5% (5,3% definitivamente, 23,2% temporaneamente). 

I Paesi più colpiti sono l'Irlanda (31,6%), la Spagna (30,7%), Francia (29,8%), Polonia (30,2%), Portogallo (29,3%), Romania (38,7%), Grecia (46,5%), Bulgaria (37,4%), Cipro (44,1%). Per la Confederazione dei sindacati europei il programma Sure della Commissione Europea a tutela dell'occupazione deve arrivare presto: "Arriverà troppo tardi a meno che non sia firmato la settimana prossima, visto che i dati mostrano che il 28% dei lavoratori ha perso il posto in modo permanente o temporaneo a causa della crisi" provocata dalla pandemia, sottolinea la Etuc 

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Istat, crolla la produzione a marzo e il calo è del 28,4%

L'Istat stima che l'indice destagionalizzato della produzione industriale diminuisca del 28,4% a marzo rispetto a febbraio. Nella media del primo trimestre dell'anno, il livello destagionalizzato della produzione diminuisce dell'8,4% rispetto ai tre mesi precedenti. Corretto per gli effetti di calendario, a marzo 2020 l'indice complessivo e' diminuito in termini tendenziali del 29,3% (i giorni lavorativi sono stati 22 contro i 21 di marzo 2019). "A marzo le condizioni della domanda e le misure di contenimento dell'epidemia di Covid-19 - commenta l'Istat - determinano un crollo della produzione industriale italiana. In termini tendenziali l'indice corretto per gli effetti di calendario mostra una diminuzione che e' la maggiore della serie storica disponibile (che parte dal 1990), superando i valori registrati nel corso della crisi del 2008-2009. Senza precedenti anche la caduta in termini mensili dell'indice destagionalizzato". L'istituto precisa che "tutti i principali settori di attivita' economica registrano flessioni tendenziali e congiunturali, in molti casi di intensita' inedite: nella fabbricazione di mezzi di trasporto e nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori la caduta congiunturale e tendenziale supera ampiamente il 50 per cento. Relativamente meno accentuato e' il calo nelle industrie alimentari, bevande e tabacco che, considerando la media degli ultimi tre mesi mantengono una dinamica tendenziale positiva". 

L'indice destagionalizzato mensile della produzione, spiega l'Istat, mostra marcate diminuzioni congiunturali in tutti i comparti; variazioni negative caratterizzano, infatti, i beni strumentali (-39,9%), i beni intermedi (-27,3%), i beni di consumo (-27,2%) e l'energia (-10,1%).Gli indici corretti per gli effetti di calendario registrano a marzo 2020 diminuzioni particolarmente accentuate in tutti i settori; pertanto variazioni negative si registrano per i beni strumentali (-39,0%), i beni intermedi (-28,7%), i beni di consumo (-26,2%) e l'energia (-10,5%). Tutti i principali settori di attivita' economica registrano variazioni tendenziali negative. Le piu' rilevanti sono quelle della fabbricazione di mezzi di trasporto (-52,6%), delle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-51,2%), della fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. (-40,1%) e della metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-37,0%) mentre il calo minore si registra nelle industrie alimentari, bevande e tabacco (-6,5%). L'istituto precisa che "nel corso della fase di rilevazione vi e' stata una moderata riduzione del tasso di risposta delle imprese, conseguente all'emergenza sanitaria in corso. Le azioni messe in atto per fare fronte a queste perturbazioni nella fase di raccolta dei dati hanno consentito di elaborare e diffondere gli indici relativi al mese di marzo 2020". 

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Mef, nuove partite Iva -19,7% in tre mesi

Nei primi tre mesi del 2020 sono state aperte 158.740 nuove partite Iva ed in confronto al corrispondente periodo dello scorso anno si registra una flessione del 19,7%, determinata prevalentemente dall'emergenza sanitaria. Lo rende noto il Mef. Piu' in dettaglio si rileva che, nei primi due mesi dell'anno, risulta una contrazione dell'8% delle aperture di partita Iva dovuta principalmente alla diminuzione di avviamenti in regime forfetario rispetto al notevole aumento riscontrato nei primi mesi del 2019 grazie all'innalzamento del limite di ricavi a 65.000 euro. Gli effetti dell'emergenza sanitaria sono rilevabili nel mese di marzo con un calo di aperture pari al 50% rispetto a marzo 2019. 

La distribuzione per natura giuridica mostra che il 76,1% delle nuove aperture di partita Iva e' dovuto alle persone fisiche, il 18,6% alle societa' di capitali, il 3,6% alle societa' di persone; la quota dei "non residenti" e "altre forme giuridiche" rappresenta complessivamente l'1,6% del totale delle nuove aperture. Rispetto al primo trimestre del 2019, tutte le forme giuridiche accusano consistenti cali di aperture: dal -17,1% delle societa' di persone al -20,7% delle persone fisiche; in questo caso, nel primo bimestre la flessione maggiore riguarda le persone fisiche (-9,7%), che l'anno scorso hanno subito un forte aumento a causa delle massicce adesioni al regime forfetario, mentre e' piu' contenuta per le societa' di capitali (-2,9%). Nel mese di marzo le diminuzioni si attestano tra il 50 ed il 57% per tutte le forme giuridiche. Da segnalare in controtendenza i soggetti non residenti, che continuano a registrare un forte aumento (+56,7%) e si concentrano in particolare nel commercio elettronico. Riguardo alla ripartizione territoriale, il 45,2% delle nuove aperture e' localizzato al Nord, il 21,5% al Centro e quasi il 33% al Sud e nelle Isole. Il confronto con lo stesso periodo dell'anno precedente mostra una generalizzata diminuzione di avviamenti: la piu' contenuta in Valle d'Aosta (-8%), la piu' marcata nel Lazio (-23%). Nei primi due mesi il calo maggiore si e' avvertito in Calabria (-11,3%), mentre l'Abruzzo ha segnato un incremento dell'1,5%; in marzo la Lombardia ha accusato una flessione del 55,2%.

In base alla classificazione per settore produttivo, le attivita' professionali risultano il settore con il maggior numero di aperture di partite Iva (19,7% del totale), seguito dal commercio con il 17,1% e dalle costruzioni (9,7%). Rispetto al primo trimestre del 2019, tra i settori principali la maggiore flessione di aperture si e' avuta nelle attivita' di intrattenimento (-24,9%, in marzo -63,9%), la meno sensibile nella sanita' (-10,5%). Nei primi due mesi i servizi alle imprese registrano una diminuzione di avviamenti del 14,1%, mentre l'istruzione e' in attivo del 2,2%. Relativamente alle persone fisiche, la ripartizione di genere mostra una sostanziale stabilita' (maschi al 61,1%). Il 47,6% delle nuove aperture e' stato avviato da giovani fino a 35 anni ed il 31,7% da soggetti appartenenti alla fascia dai 36 ai 50 anni. Rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno, tutte le classi di eta' registrano decrementi di aperture: la piu' consistente e' il -31,9% della classe piu' anziana. Analizzando il Paese di nascita degli avvianti, si evidenzia che il 14,5% delle aperture e' operato da un soggetto nato all'estero. Nel periodo considerato 81.779 soggetti hanno aderito al regime forfetario, pari al 51,5% del totale delle nuove aperture, con una diminuzione del 21,7% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Al riguardo, in gennaio la flessione e' stata pari al 10,9%, in marzo al 50,6%. 

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Coldiretti, per 3 italiani su 4 fiori per la festa della mamma

Tre italiani su quattro (75%) che fanno regali per la festa della mamma scelgono un mazzo di fiori o una pianta che quest'anno in piena pandemia battono nettamente cioccolatini (12%), gioielli o bigiotteria (12%) o capi di abbigliamento (1%) in occasione della tradizionale ricorrenza. E' quanto emerge da un sondaggio on line effettuato sul sito web della Coldiretti che ha promosso nel week end iniziative nei mercati degli agricoltori in tutta Italia consultabili sul sito www.campagnamica.it dal Veneto alle Marche, dall'Abruzzo alla Puglia, dalla Sicilia alla Sardegna fino a Roma in via San Teodoro 74 con il regalo a tutte le mamme di un fiore e l'opportunita' di una offerta libera per sostenere l'iniziativa la spesa sospesa a favore delle famiglie piu' bisognose. Dopo un lungo periodo di lockdown - sottolinea la Coldiretti - la Festa della mamma e' il primo appuntamento per esprimere i propri sentimenti con un gesto tradizionale particolarmente apprezzato dagli italiani come dimostrano i risultati del sondaggio. Tra i regali floreali che sono tra i piu' svariati tipi - spiega la Coldiretti - prevalgono rose, bouquet vari e lilium, e tra le piante begonie, gerani e azalee. Una boccata di ossigeno per uno tra i settori piu' colpiti dall'emergenza Coronavirus e dalle limitazioni poste al commercio per effetto della chiusura forzata con l'Italia che - sottolinea la Coldiretti - rischia di perdere i propri primati nel mondo dopo il record per le esportazioni florovivaistiche nel 2019.

Il danno stimato dalla Coldiretti nel 2020 per il settore florovivaistico e' pari a 1,5 miliardi di euro dovuto a problemi sull'export, con blocchi al confine ed in dogana di tanti paesi Ue ed extra-Ue, ritardi e problemi nel trasporto su gomma, la chiusura dei canali distributivi ma anche il divieto di cerimonie come battesimi, matrimoni, lauree e funerali che ora riprendono ma con forti limitazioni e la cancellazione di tutte le manifestazioni fieristiche dedicate agli appassionati. Il risultato - precisa la Coldiretti - e' stata la perdita di fiori e piante appassiti e distrutti nei vivai in Italia. Il settore e' uno dei piu' belli e amati del Made in Italy dove - rileva la Coldiretti - sono impegnate 27mila imprese con circa 200mila posti di lavoro che ora si trovano in gravissime difficolta'. 

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