L’Osservatorio

Le vendite di beni alimentari registrano un rilevante aumento, pari al 7,5%

A marzo 2018 Istat stima che le vendite al dettaglio diminuiscano, rispetto al mese precedente, dello 0,2% in valore e dello 0,6% in volume. Le vendite di beni alimentari aumentano dello 0,6% in valore mentre in volume sono sostanzialmente stazionarie (-0,1%); per i beni non alimentari si registra una diminuzione sia in valore sia in volume (rispettivamente -0,7% e -0,8%).

Nel primo trimestre del 2018, l’indice totale delle vendite registra un calo congiunturale dello 0,3%, sia in valore sia in volume. Nello stesso periodo le vendite di beni alimentari aumentano dello 0,5% in valore e in volume, mentre quelle di beni non alimentari diminuiscono dello 0,9% in valore e dello 0,8% in volume.

Su base annua, le vendite al dettaglio registrano un aumento del 2,9% in valore e in volume. Le vendite di beni alimentari registrano un rilevante aumento, pari al 7,5% in valore e al 6,8% in volume, mentre quelle di beni non alimentari diminuiscono dello 0,8% in valore e dell’1,0% in volume.

Per quanto riguarda le vendite di beni non alimentari, gli incrementi maggiori su base annua riguardano gli Elettrodomestici (+4,5%), gli Altri prodotti (+3,5%) e i Prodotti di profumeria, cura della persona (+3,4%). In flessione risultano invece gli altri prodotti, con riduzioni più marcate per Utensileria e ferramenta e Calzature (-4,3% per entrambi i gruppi).

Sempre a livello tendenziale, il valore delle vendite al dettaglio registra una variazione positiva pari al 7,0% per la grande distribuzione, mentre è in calo per le imprese operanti su piccole superfici (-1,3%). Il commercio elettronico diminuisce dello 0,3%.

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Istat, torna a crescere la produzione industriale

La produzione industriale italiana torna a crescere a marzo dopo due mesi di flessione congiunturale consecutivi. L'indice destagionalizzato della produzione industriale è aumentato dell'1,2% rispetto a febbraio. L'Istat ha spiegato che nella media del trimestre gennaio-marzo la produzione ha registrato una variazione nulla nei confronti dei tre mesi precedenti. Corretto per gli effetti di calendario, a marzo l'indice è aumentato in termini tendenziali del 3,6%.

A marzo, ha aggiunto l'Istat, "è tornata a crescere la produzione industriale, dopo due mesi di flessione congiunturale. Il dato destagionalizzato dell'indice generale è il più elevato dall'inizio dell'anno, ma inferiore al picco di dicembre 2017, raggiungendo livelli relativamente elevati per i beni di consumo durevoli (111,9) e strumentali (111,6)".

Il primo trimestre si è chiuso con una variazione media tendenziale positiva (+3,4%) ma nulla in termini congiunturali. I beni di consumo non durevoli (+5,3%) e quelli strumentali (+4,7%) hanno registrato la più ampia crescita tendenziale; tuttavia la variazione congiunturale è stata positiva solo per i primi (+1,4%) e lievemente negativa per i secondi (-0,3%). L'indice destagionalizzato mensile, ha segnalato ancora l'Istat, ha evidenziato variazioni congiunturali positive in tutti i comparti; sono aumentati i beni di consumo (+2,5%), l'energia (+1,3%), i beni strumentali (+0,8%) e i beni intermedi (+0,7%).

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Mamme, il rapporto di Save the Children

Il rapporto   "Le Equilibriste. La maternità in Italia" di Save the Children fotografa la situazione delle mamme della Penisola. Le mamme che vivono nelle province autonome di Bolzano e Treno hanno più agevolazioni rispetto a quelle residenti in Campania. In generale le mamme italiane hanno sempre più difficoltà nel bilanciare carichi familiari e vita lavorativa, decidono di diventare madri sempre più tardi (l'Italia è in vetta alla classifica europea per anzianità delle donne al primo parto con una media di 31 anni) e rinunciano sempre più spesso alla carriera professionale quando si tratta di dover scegliere tra lavoro e impegni familiari (il 37% delle donne tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio risulta inattiva).

In Italia inoltre c'è una scarsa o inesistente rete per la prima infanzia e poco sostegno per le donne che decidono di diventare madri, sebbene nel paese la denatalità abbia toccato un nuovo record, registrando la nona diminuzione consecutiva dal 2008; le mamme italiane infatti hanno pochi figli, con un numero medio per donna pari oggi a 1,34.

Il tasso di disoccupazione delle donne, e in particolare delle madri, è tra i più alti in Europa, con discriminazioni radicate nel mondo del lavoro, forte squilibrio nei carichi familiari tra madri e padri, poche possibilità di conciliare gli impegni domestici con il lavoro. Negli anni, la classifica delle regioni non subisce delle variazioni sostanziali, con le Province autonome di Bolzano e Trento rispettivamente al primo e secondo posto seguite da Valle D'Aosta (3° posto), Emilia-Romagna (4°), Friuli-Venezia Giulia (5°) e Piemonte (6°).

Bolzano e Trento non solo conservano negli anni il primato, ma registrano miglioramenti. Emblematico, al contrario, il caso dell'Emilia-Romagna che passa dalla prima posizione nel 2008 alla quarta nel 2018. Tra le regioni del Mezzogiorno fanalino di coda della classifica, la Campania risulta peggiore regione "mother friendly" e perde due posizioni rispetto al 2008, preceduta da Sicilia (20° posto), Calabria (che pur attestandosi al 19° posto guadagna due posizioni rispetto al 2008), Puglia (18°) e Basilicata (17°).

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Istat, rallenta il commercio internazionale ma l’occupazione è tornata ad aumentare

Il commercio internazionale e l’economia dell’area euro mostrano lievi segnali di rallentamento. Nel primo trimestre del 2018 l’economia italiana è cresciuta allo stesso ritmo dei trimestri precedenti. La produzione del settore manifatturiero e le esportazioni registrano invece alcuni segnali di flessione.

L’occupazione è tornata ad aumentare anche se il processo di crescita dell’occupazione femminile ha segnato una pausa.

L’inflazione si conferma moderata e in ripiegamento.

L’indicatore anticipatore si mantiene su livelli elevati anche se si rafforzano i segnali di rallentamento delineando uno scenario di minore intensità della crescita economica.

Il ritmo di crescita dell’economia italiana si mantiene stabile (+0,3% la crescita congiunturale nel primo trimestre 2018, Figura 3), sostenuto dalla domanda interna, mentre la componente estera netta ha fornito un contributo negativo. In particolare il valore aggiunto dell’industria ha segnato una variazione pressoché nulla, interrompendo il percorso di crescita degli ultimi trimestri. Gli indicatori congiunturali dell’industria avevano già manifestato segnali di flessione. Nei primi due mesi dell’anno sia l’indice della produzione industriale che il volume delle esportazioni erano diminuiti (-0,5% e -0,6% rispettivamente le variazioni congiunturali a febbraio rispetto al mese precedente). Tuttavia gli andamenti risultano differenziati a livello settoriale. Per approfondire questi andamenti sono stati costruiti due indicatori sintetici settoriali: uno per il mercato interno e l’altro per il mercato estero che combinano, attribuendogli lo stesso peso, gli indici del fatturato deflazionato e i giudizi sugli ordini. L’obiettivo è misurare la persistenza degli andamenti settoriali nel breve periodo. Per ciascuno dei due indicatori sono state confrontate le variazioni del trimestre dic.-feb. 2018 rispetto al trimestre precedente (Figura 4, asse y) con quelle del trimestre set.-nov. 2017 rispetto a giu.-ago. 2017 (asse x). Nel complesso dei settori i due indicatori mostrano una fase di maggiore diffusione della crescita (primo quadrante) sul mercato interno rispetto a quello estero. Per quanto riguarda il mercato interno nel trimestre dicembre-febbraio l’indicatore aggregato ha riportato delle variazioni congiunturali negative solo nel settore della produzione di coke (-5,0%), della farmaceutica (-1,3%) e alimentari (-0,5%). Il settore degli altri trasporti e l’industria tessile hanno mostrato una maggiore vivacità (rispettivamente +22,4%, fuori dal range del grafico, e +6,8%). Nello stesso periodo l’indicatore aggregato del mercato estero ha segnato una variazione congiunturale solo leggermente positiva (+0,1% rispetto a +3,0% del trimestre precedente). La riduzione dell’indicatore risulta diffusa tra i settori economici e in particolare tra gli altri mezzi di trasporto (-9,5%, da +13,6%, fuori dal range del grafico) e tra gli autoveicoli (-2,1% da +6,5%) mentre l’industria tessile, alimentare e delle bevande hanno evidenziato una accelerazione. Il settore delle costruzioni mostra segnali di ripresa. Nel terzo trimestre i permessi di costruire, che solitamente anticipano la produzione, hanno registrato una variazione moderatamente positiva sia in termini di numero di abitazioni in nuovi fabbricati residenziali (+1,0%) sia di superficie utile abitabile residenziale (+0,2%, Figura 5). L’andamento dei permessi per nuova edilizia non residenziale è tornato vivace, con un forte aumento nel terzo trimestre (+14,4%) che segue la riduzione segnata in T2 (-5,0%). Anche i dati di produzione mostrano segnali positivi, anche se di entità ancora modeste: nel trimestre novembre-febbraio l’indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni è aumentato rispetto al trimestre precedente (+1,3%) nonostante il forte calo congiunturale mostrato a febbraio (-2,0%) dovuto alle avverse condizioni climatiche. Nel quarto trimestre del 2017 i prezzi delle abitazioni hanno registrato un lieve incremento rispetto al trimestre precedente (+0,1%): i prezzi delle abitazioni nuove continuano ad aumentare (+0,7%) mentre quelli delle abitazioni esistenti rimangono stabili.

A marzo riprende la crescita dell’occupazione, trainata dal miglioramento della componente maschile (+0,6% rispetto al mese precedente), dagli indipendenti (+1,1%) e dalla classe di età 25-34 anni (+1,5%, Figura 6). Si arresta quindi il contributo positivo alla crescita dell’occupazione fornito dalla componente femminile e si interrompe la fase di riduzione dell’occupazione del lavoro indipendente. Sia il tasso di occupazione sia la disoccupazione migliorano ma si mantengono ancora sotto la media europea. Con riferimento alla media del 2017, il tasso di occupazione per la popolazione 20-64 anni era pari al 62,3% (72,2% la media europea). La componente femminile è risultata più distante dalla media europea (rispettivamente 52,5% e 66,5%). A marzo il tasso di disoccupazione italiano è rimasto stabile all’11,0% (8,5% la media dell’area euro).

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Cgia, il lavoro occasionale occupa 592mila addetti

Sono 592 mila gli addetti che nel 2017 hanno svolto un’attività lavorativa nel nostro Paese per meno di 10 ore alla settimana. Di questi, 389 mila hanno prestato servizio come dipendenti e gli altri 203 mila come lavoratori autonomi.

Dal 2014 il numero di questi lavoratori è leggermente in calo sia a seguito della ripresa occupazionale sia della riforma dei voucher avvenuta l’anno scorso che ha “aumentato” il ricorso al lavoro irregolare (vedi Graf. 1).

Questi 592 mila addetti, fa sapere l’Ufficio studi della CGIA (*), sono persone impiegate in lavori saltuari: 2 su 3 sono donne occupate, principalmente, nei servizi alla persona, come domestiche, baby-sitter, badanti, o al servizio di attività legate alla cura della persona (parrucchiere, estetiste, centri benessere, etc.) (vedi Tab. 1). Un altro comparto dove si concentra un’incidenza molto elevata di occupati saltuari è l’alberghiero-ristorazione e i servizi alle imprese. Rispetto al 2007, il numero complessivo dei lavoratori saltuari è aumentato del 20,3 per cento (vedi Tab. 2).

Gli over 65 sono i più numerosi: l’incidenza degli occupati con meno di 10 ore alla settimana sul totale dei lavoratori della stessa fascia demografica è pari al 6,9 per cento; seguono i giovani tra i 15 e i 24 anni (4,7 per cento).

“Questi dati – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – evidenziano che la cosiddetta gig economy, sebbene in forte espansione, alimenta un’ occupazione on demand ancora molto contenuta. Le opportunità offerte dai siti, dalle applicazioni e dalle piattaforme web, ad esempio, stanno riempendo le nostre strade di ciclo corrieri, ma i cosiddetti piccoli lavoretti sono ancora ad appannaggio di settori tradizionali, come i servizi alla persona, e in quelli dove è molto elevata la stagionalità. Ambiti, tra l’altro, dove la presenza degli stranieri è preponderante"

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Ricerca di At Kearney, il piano industria 4.0 piace agli investitori stranieri

Il piano Industria 4.0 è fra i fattori che rendono l'Italia attrattiva per gli investitori esteri. E' l'esito della indagine 2018 Foreign direct investment confidence index, della società di consulenza strategica At Kearney. L'Italia è nella top ten a livello mondiale: la ricerca è stata condotta durante la campagna elettorale, ma le incertezze del quadro politico non hanno pesato più di tanto. La classifica si ferma ai primi venticinque Paesi: oltre la metà delle posizioni è occupata da mercati del Vecchio Continente. 

Fra i fattori che hanno determinato la performance italiana ci sono la forza della domanda interna, la crescita della domanda estera e il tasso di disoccupazione più basso degli ultimi 5 anni. Nella classifica, gli Stati Uniti occupano il primo posto. Crescono quasi tutti i mercati evoluti in Asia. L'Europa si conferma attrattiva per gli investitori esteri: la Germania scende al terzo posto, mentre il Regno Unito mantiene il quarto. La Francia è stabile al settimo posto, Svizzera e Italia salgono di tre, rispettivamente al nono e decimo posto. La Spagna scende al quindicesimo posto il Portogallo è al ventiduesimo

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L’Italia resta fanalino di coda d’Europa per la crescita

L'Italia resta fanalino di coda d'Europa per la crescita, la più bassa dei 28 Paesi assieme a quella del Regno Unito. Per entrambi i Paesi il pil 2018 crescerà di 1,5%, per poi rallentare a 1,2% nel 2019. La più alta è quella di Malta (5,8% nel 2018 e 5,1% nel 2019) seguita da Irlanda (5,7% e 4,1%). E' quanto emerge dalle previsioni economiche di primavera della Commissione Ue

Dopo "l'accelerazione" della crescita nel 2017, l'economia italiana "continuerà a crescere allo stesso passo dell'1,5% quest'anno, sostenuta largamente dalla domanda interna". Ma con i "venti di coda in calo e l'output gap che si chiude, la crescita del pil verrà moderata a 1,2% nel 2019". A scriverlo è la Commissione Ue nelle stime economiche di primavera, che confermano quelle invernali e che per l'anno prossimo segnalano anche un rallentamento degli investimenti. Guardando all'Ue "la crescita resta forte nel 2018 e si allenterà solo leggermente nel 2019, con una crescita rispettivamente del 2,3% e del 2%".
 "L'incertezza sulle politiche è diventata più pronunciata e, se prolungata, potrebbe rendere i mercati più volatili e intaccare il sentimento economico e i premi di rischio". Lo scrive la Commissione Ue nelle previsioni economiche di primavera nel capitolo dedicato all'Italia, dove sottolinea che per il Paese "i rischi per le prospettive di crescita sono diventati più inclinati verso il basso".

Gli sforzi strutturali fatti dall'Italia per il 2018 "sono pari a zero, questi sono fatti che emergono dalle nostre previsioni e possiamo anche trarne delle conclusioni in termini di sorveglianza dei conti ma non è una lezione da trarre oggi, ne parleremo nel pacchetto di primavera" del 23 maggio. La dichiarazione è del commissario agli affari economici Pierre Moscovici che ha risposto a chi gli chiedeva se l'Italia avesse fatto lo sforzo di 0,3% che la Ue aveva chiesto al Governo.

 

 

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Sondaggio Confesercenti, italiani contrari alle aperture festive

Lo shopping nei giorni di festa non convince gli italiani: il 59% si dice favorevole ad introdurre una limitazione delle aperture delle attività commerciali almeno in occasione delle principali festività nazionali. E' quanto emerge da un sondaggio sull'impatto delle liberalizzazioni commerciali sulle abitudini di consumo, condotto da Swg per Confesercenti su un panel di 1.000 consumatori maggiorenni. Inoltre, in media, un consumatore ha approfittato dei negozi aperti di domenica o in un altro giorno festivo solo 10 volte lo scorso anno, sui circa 60 giorni 'in più' resi disponibili dalla liberalizzazione. Che non ha prodotto un aumento degli acquisti: nel 2017, sottolinea, le vendite al dettaglio sono ancora inferiori di oltre 5 miliardi di euro rispetto al 2011, ultimo anno prima della "deregulation". E il 'sempre aperto' è stato una "catastrofe" per i negozi tradizionali.

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Studio Cgia Mestre, in 7 anni tagliati 22 miliardi alle Amministrazioni Locali

La CGIA segnala che tra il 2010 e il 2017 le manovre di finanza pubblica a carico delle Autonomie locali hanno comportato una contrazione delle risorse disponibili pari a 22 miliardi di euro. I più colpiti sono stati i Comuni. Se nelle casse dei Sindaci la “sforbiciata” ha raggiunto l’anno scorso gli 8,3 miliardi di euro, alle Regioni a Statuto ordinario le minori entrate si sono stabilizzate sui 7,2 miliardi. Salvate dagli italiani con la bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, le Province, invece, hanno subito una diminuzione delle risorse pari a 3,5 miliardi, mentre le Regioni a Statuto speciale formalmente non hanno sopportato alcuna contrazione, anche se lo Stato centrale ha imposto loro di accantonare ben 2,9 miliardi di euro.

“Con molte meno risorse a disposizione – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – i Sindaci e i Governatori, almeno fino al 2015, hanno reagito agendo sulla leva fiscale. Successivamente, grazie al blocco delle tasse locali imposto dal Governo Renzi, molti amministratori si sono difesi riducendo la qualità e la quantità dei servizi offerti ai cittadini. Tagliando i trasferimenti a Regioni ed enti locali, lo Stato centrale si è dimostrato apparentemente sobrio e virtuoso: in realtà, il conto è stato pagato in gran parte dai cittadini e dalle imprese che hanno subito un fortissimo aumento del prelievo fiscale. Il passaggio dall’Ici all’Imu/Tasi, ad esempio, ha incrementato il peso delle imposte sui capannoni mediamente dell’80 per cento”.

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Nei primi tre mesi del 2018 la retribuzione oraria media è cresciuta dello 0,8%

Alla fine di marzo 2018 i contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per la parte economica riguardano 8,4 milioni di dipendenti (65,1% del totale) e corrispondono al 62,1% del monte retributivo osservato. Complessivamente i contratti in attesa di rinnovo a fine marzo sono 33, relativi a circa 4,5 milioni di dipendenti (34,9%), in lieve diminuzione rispetto al mese precedente (35,0%).

L’attesa del rinnovo per i lavoratori con il contratto scaduto è in media di 70,9 mesi. L’attesa media calcolata sul totale dei dipendenti è di 24,8 mesi, in diminuzione rispetto a un anno prima (27,8). A marzo l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie è aumentato dello 0,2% rispetto al mese precedente e dell’1,0% nei confronti di marzo 2017. Complessivamente, nei primi tre mesi del 2018 la retribuzione oraria media è cresciuta dello 0,8% rispetto al corrispondente periodo del 2017.

Con riferimento ai principali macrosettori, a marzo le retribuzioni contrattuali orarie registrano un incremento tendenziale dell’1,1% per i dipendenti del settore privato (0,5% nell’industria e 1,7% nei servizi privati) e dello 0,9% per quelli della pubblica amministrazione. I settori che presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: ministeri (3,8%); militari-difesa (3,0%); forze dell’ordine (2,7%). Si registrano variazioni nulle nei settori dell’energia e petroli; dei servizi di informazione e comunicazione; delle regioni e autonomie locali; del servizio sanitario nazionale; della scuola e delle attività dei vigili del fuoco.

Nei primi tre mesi del 2018 si osserva il consolidamento dei segnali di moderata ripresa della dinamica delle retribuzioni contrattuali registrati nell’ultimo trimestre del 2017. In un quadro di debole crescita dei prezzi al consumo, la dinamica retributiva risulta in progressiva espansione, sostenuta anche dagli aumenti contrattuali previsti a partire da marzo dal CCNL delle funzioni centrali della Pubblica amministrazione e nei mesi successivi dai miglioramenti previsti dalle ipotesi siglate, in attesa di ratifica, per gli altri comparti del settore pubblico (Istruzione e Ricerca, Funzioni Locali, Sanità e comparto Sicurezza), relative complessivamente a circa 2,9 milioni di dipendenti.

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