L’Osservatorio

Non ripartono i consumi in Italia

Non ripartono i consumi degli italiani che anche nel 2020 faranno registrare una crescita stimata di circa mezzo punto percentuale in un quadro di accelerazione del Pil altrettanto contenuta, comunque troppo modesta per generare impatti sulla vita quotidiana. E' quanto emerge dal sondaggio di fine anno Coop-Nomisma e le previsioni 2020 del 'Rapporto Coop'. Nel dettaglio, approvata la manovra di bilancio che ha fortunatamente scongiurato le clausole Iva, le prospettive per il 2020 sono di una lievissima accelerazione della crescita, che si attesterebbe su un ritmo prossimo (se non inferiore) al mezzo punto percentuale. I consumi, anche grazie al reddito di cittadinanza e alle attese misure sul cuneo fiscale potrebbero lievemente sovraperformare l'andamento del prodotto interno lordo, ma rimarrebbero comunque ampiamente inferiori al punto percentuale (la stima si attesta su un +0,4%). Si tratta, quindi, di una prospettiva di modestissima ripresa che rimane soggetta ai rischi di deterioramento incombenti sul quadro globale e, probabilmente, non avra' impatti percettibili sulla vita quotidiana degli italiani. La maggior parte dei quali prevede comunque di spendere di piu' nel nuovo anno. Al top delle spese obbligate e in aumento le bollette, il carburante e le spese per il trasporto e per i servizi sanitari. Oltre a quelle obbligate mantengono saldi positivi anche le spese per l'alimentazione, per i viaggi e ancora la cura personale. 

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Saldi, spesa media di 168 euro a testa

Ripartono i saldi invernali e a dare il via saranno domani Sicilia, Basilicata e Valle d'Aosta, mentre nelle altre regioni inizieranno il 4 gennaio. In totale, il giro di affari stimato da Confcommercio si aggira sui 5 miliardi di euro, con 4 italiani su 10, secondo la Confesercenti, che approfitteranno degli sconti stagionali, ma per Federconsumatori e Codacons le vendite accuseranno un calo che va dall'1,3% fino a un crollo del 10% rispetto al 2019. A fare acquisti, calcola l'Ufficio Studi di Confcommercio, saranno 15 milioni di famiglie per una spesa media di 324 euro, circa 140 euro pro capite, per abbigliamento, calzature e accessori. Cifre piu' ottimistiche arrivano da Confesercenti, che stima una spesa di circa 168 euro a testa, mentre le associazioni dei consumatori vedono nero, rimarcando come sulle vendite incideranno negativamente la maggiore propensione al risparmio delle famiglie e soprattutto l'effetto del Black Friday che di anno in anno assorbe una fetta sempre maggiore dello shopping. Per Federconsumatori, a sfruttare l'occasione dei saldi sara' solo il 38% delle famiglie (pari circa a 9,3 milioni). Meno ancora per il Centro consumatori Italia, secondo cui a fare shopping sara' solo il 35% delle famiglie (8,9 milioni) per un totale di risorse di circa 1,45 miliardi. Il Codacons calcola che la spesa media a famiglia scendera' a quota 145 euro. "Il Black Friday ha portato milioni di italiani ad anticipare acquisti che prima erano riservati al periodo dei saldi - spiega l'associazione - e cosi' i saldi invernali di tradurranno in una debacle totale: solo outlet e boutique d'alta moda faranno registrare presenze e numeri positivi, ma saranno principalmente i turisti stranieri a fare acquisti". Per questo, il Codacons liquida come "inutili e obsoleti" i saldi di fine stagione che "andrebbero eliminati del tutto, per fare posto sia a iniziative come il Black Friday, sia alla liberalizzazione degli sconti, lasciando agli esercenti la facolta' di scegliere quando e come scontare la propria merce". Anche per Federconsumatori il venerdi' nero ha ormai definitivamente cambiato le abitudini degli italiani: "se prima le famiglie preferivano rimandare qualche regalo di Natale o il proprio shopping al periodo dei saldi - spiega l'associazione - quest'anno hanno approfittato del venerdi' nero".

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Unioncamere, 575 mila di imprese giovanili

Ai giovani piace ancora fare impresa anche se crescono le difficolta'. Ma quando riescono a superare la fase di avvio, i giovani under 35 sono piu' resistenti rispetto agli altri imprenditori. Inoltre, un'impresa giovanile su tre chiude i battenti nei primi cinque anni di vita e di queste quasi la meta' non supera il biennio. Il risultato e' che in otto anni si sono perse 122 mila imprese under 35, portando a quota 575 mila l'esercito delle iniziative imprenditoriali guidate da giovani. E' questa la fotografia scattata dall'indagine di Unioncamere sulle imprese giovanili tra il 2011 e il 2018. Un dato che emerge e' che quasi 41 mila imprenditori under 35 nati al Sud sono andati al Centro Nord per mettersi in proprio. Poco meno della meta' ha scelto la Lombardia (26 per cento) o il Lazio (22 per cento).

"Secondo i nostri dati - commenta il presidente di Unioncamere Carlo Sangalli - la voglia di fare impresa dei giovani del nostro Mezzogiorno non e' stata sconfitta dalla crisi che ha colpito l'economia italiana. Ma occorre creare le condizioni per evitare che i migliori fuggano in altre aree del Paese o all'estero". Sono circa 952 mila i giovani titolari o soci di un'impresa, un terzo sono donne, e nel complesso hanno un'eta' media di 28,7 anni. Ma sono sempre meno quelli pronti a puntare sull'autoimprenditorialita'. Tra il 2011 e il 2018 il rapporto tra imprese giovanili per mille giovani e' calato di 7 punti, passando da 57,2 a 50,3. In media piu' di 1 giovane imprenditore del Sud su 10 si e' mosso al Centro-Nord per dare vita alla propria iniziativa di business, totale sono 41 mila. Molise (22,8 per cento), Calabria (21,6 per cento) e Basilicata(19,7 per cento) sono le regioni con maggiore mobilita' di imprenditori under 35 verso altre regioni d'Italia, a volte anche in aree limitrofe. L'Abruzzo (4 per cento) e' la prima destinazione degli imprenditori under 35 molisani, la Lombardia (6,7 per cento) di quelli calabresi, la Puglia (2,9 per cento) di quelli lucani. Meno propensi a spostarsi per dare vita alla propria idea imprenditoriale, i giovani nati al Centro (6,5 per cento) o al Nord Italia ( Nord-Est 6,5 per cento e Nord-Ovest 6,7 per cento). 

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Famiglie sempre piu’ piccole, il 33% e’ single

 "Le famiglie, 25 milioni e 700 mila, sono sempre piu' numerose e sempre piu' piccole". Cosi' l'Istat nell'Annuario. "Il numero medio di componenti e' passato da 2,7 (media 1997-1998) a 2,3 (media 2017-2018), soprattutto per l'aumento delle famiglie unipersonali che in venti anni sono cresciute di oltre 10 punti: dal 21,5% nel 1997-98 al 33,0% nel 2017-2018, ovvero un terzo del totale delle famiglie", spiega l'Istituto.Nel dettaglio, nel biennio 2017-2018 le famiglie risultano "in crescita di 200 mila rispetto al biennio precedente e di oltre 4 milioni nel volgere di vent'anni", spiega l'Istat. Quanto all'analisi delle strutture familiari si conferma" la tendenza, in atto da decenni, di una progressiva semplificazione nella dimensione e nella composizione delle famiglie. Il boom di quelle unipersonali si accompagna in parallelo alla diminuzione, nello stesso periodo, delle famiglie numerose, con cinque e piu' componenti, che "ammontavano al 7,7% nel 1997-98 e che oggi raggiungono appena il 5,3 %". Complessivamente, quindi, "le famiglie di uno o due componenti rappresentano oltre il 60 per cento del totale, mentre quelle di almeno quattro componenti sono appena il 20,4%. Tra le tipologie familiari, a registrare l'incremento maggiore sono le famiglie senza nucleo, quelle cioe' in cui componenti non formano alcuna relazione di coppia o di tipo genitore-figlio, e che per la quasi totalita' sono costituite da persone che vivono da sole". La maggioranza delle famiglie, il 63,2%, "e' formata da un solo nucleo; in particolare le coppie con figli, che rappresentano la tipologia familiare piu' numerosa, ma anche quella che ha fatto registrare la maggiore diminuzione negli ultimi anni, sono il 33,2 per cento del totale delle famiglie; le coppie senza figli sono il 20,1% e una su dieci e' un nucleo monogenitore, prevalentemente di madri sole (8,1%). Residuale la quota di famiglie composte da due o piu' nuclei (1,5%)". L'Istat ricorda poi come "tra i 18 e i 34 anni poco piu' del 60 per cento vive ancora con uno o entrambi i genitori"

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Capodanno, si spenderanno in media 94 euro a famiglia

 Per il cenone di fine anno saranno destinati alla tavola 94 euro in media a famiglia, con un aumento del 14% rispetto allo scorso anno. E’ quanto emerge da un'indagine Coldiretti/Ixè, secondo cui più di sette italiani su dieci (71%) consumeranno il cenone a casa, propria o di parenti e amici, mentre gli altri si divideranno tra ristoranti, trattorie, pizzerie, pub e agriturismi, per una media complessiva a tavolata di 9 persone. Lo spumante si conferma il prodotto immancabile per nove italiani su dieci (91%), seguito a ruota dalle lenticchie, presenti nell’82% dei menu.

L’interesse per le lenticchie è accompagnato dalla riscossa di cotechino e zampone, presenti sul 67% delle tavole. Si stima che saranno serviti circa 6 milioni di chili di cotechini e zamponi, con una netta preferenza per i primi. Durante le festività di fine anno si consuma circa il 90 per cento del totale della produzione nazionale, in gran parte certificata come Cotechino e Zampone di Modena Igp, riconoscibili dal caratteristico logo a cerchi concentrici gialli e blu con stelline dell'Unione europea. Si rileva, sottolinea Coldiretti, anche un'apprezzabile richiesta per cotechini e zamponi artigianali, magari acquistati direttamente dagli allevatori, in azienda, nei mercati. Sulle tavole delle feste è forte anche la presenza del pesce nazionale, a partire da alici, vongole, sogliole, triglie e seppie. Il 66% degli italiani ha assaggiato il salmone arrivato dall’estero, appena il 13% si è permesso le ostriche e il 15% il caviale, spesso però di produzione nazionale. 

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Studio Cgia, in Italia bassa fiducia nella Pubblica Amministrazione

 Il grado di fiducia e di soddisfazione degli italiani per la Pubblica Amministrazione del Paese e' tra i piu' bassi d' Europa. In particolare, solo il 31% degli italiani dichiara di avere fiducia nel sistema giudiziario, a fronte di una media UE pari al 56%. In quest'ambito l'Italia si colloca al 21/o posto, assieme alla Slovenia tra i 23 paesi europei presi in esame da un'indagine campionaria condotta recentemente dall'Ocse. Lo afferma la Cgia di Mestre, che ha elaborato alcuni risultati desunti dall'indagine dell'organismo internazionale per la cooperazione e lo sviluppo. Per la Cgia, questi dati "ribadiscono ancora una volta l'inadeguatezza, secondo gli italiani, di servizi pubblici essenziali indispensabili per il buon funzionamento del Paese: come la giustizia, la sanita', la scuola e la sicurezza". Rispetto al risultato registrato nel 2007, l'Italia ha perso ben 8 punti percentuali. Altrettanto negativo, osserva l'ufficio studi mestrino, e' l'esito riferito al grado di soddisfazione nella nostra assistenza sanitaria: stando ai giudizi degli italiani si piazza al 20/o posto, con il 49% degli intervistati che ha dichiarato di usufruire di un buon servizio sanitario. La media Ue si e' attestata al 68%. Con livelli di soddisfazione inferiori a quello italiano vi sono l'Ungheria, la Grecia e la Lettonia

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Ocse lancia l’allarme per gli investimenti per l’istruzione in Italia

L'Ocse lancia l'allarme sulla spesa dell'Istruzione in Italia praticamente ferma dalla fine degli anni Novanta e poi andata inesorabilmente in calo. Le dimissioni del ministro Lorenzo Fioramonti hanno confermato e ribadito le difficolta' dell'Italia a trovare nuovi investimenti per il comparto scuola, universita' e ricerca, che neanche il governo Conte bis e' riuscito a trovare. Al netto dei tagli bloccati, dei fondi stanziati per gli asili nido (2,5 miliardi per i comuni per aumentare i posti ma all'interno delle misure per le famiglie), dell'aumento di qualche decina di milioni dei fondi di finanziamento e delle borse di studio e delle risorse preventivate nel Dl Fisco (piu' risorse per la sicurezza degli edifici anche dall'8xmille dal 2020), di soldi per l'istruzione nella manovra approvata ce ne sono pochi. Discorso diverso per i fondi dedicati all'edilizia scolastica che anche nell'ultimo periodo hanno avuto un incremento costante per fare fronte alle tantissime emergenze: gli ultimi 510 milioni sono stati sbloccati il 20 dicembre e andranno in erogazione diretta gli enti locali. Fondi dell'edilizia che avevano avuto un nuovo slancio anche dalla famosa legge sulla "buona scuola". Eppure gli ultimi dati (settembre 2019) dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo evidenziano da anni come l'Italia spenda poco per l'istruzione, circa il 3,6% del suo Pil dalla scuola primaria all'universita', una quota inferiore alla media Ocse che e' del 5% e uno dei livelli piu' bassi di spesa tra i Paesi aderenti all'organismo internazionale. In particolare, la spesa e' diminuita del 9% tra il 2010 e il 2016 sia per la scuola che per l'universita', piu' rapidamente rispetto al calo registrato nel numero di studenti. Ma il calo degli investimenti della scuola ha origini piu' lontane: tra il 1995 e il 2010 l'Ocse ha rilevato che l'Italia ha sostanzialmente congelato la spesa per studente di scuola primaria e secondaria (inferiore e superiore), con un aumento in termini reali dello 0,5%. Una sorta di "spendig review prolungata" amplificata dal progressivo invecchiamento del corpo docente: gli insegnanti italiani sono in media i piu' anziani dell'area Ocse, con il 59% di ultracinquantenni, anche se, grazie alle recenti assunzioni, questo rapporto e' diminuito (dal 64% nel 2015 al 59% nel 2017) e che dovra' sostituire circa la meta' dei prof entro i prossimi dieci anni, avendo la quota piu' bassa di insegnanti di eta' tra i 25 e i 34 anni.

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Turismo, presenze straniere superiori a quelle italiane

Il mercato turistico italiano regge soprattutto grazie alle presenze straniere: il 2019 vede, infatti, un ulteriore slancio del turismo internazionale e un sorpasso piu' evidente rispetto al domestico. L'ultima analisi dell'Osservatorio sull'economia del turismo delle Camere di commercio rileva come, in dieci anni, la configurazione dei flussi turistici sia cambiata con il sorpasso del turismo straniero rispetto a quello domestico: nel 2008 le presenze domestiche rappresentavano il 56,7% del totale mentre oggi si sono ridotte al 49,5%; al contrario la quota del turismo internazionale passa dal 43,3% al 50,5%, grazie ad una crescita delle presenze del +33,8% (secondo i dati Istat). L'analisi, precisa Unioncamere, esamina le dinamiche dei flussi turistici e rileva che nonostante il buon andamento del turismo internazionale rispetto a quello degli italiani, complessivamente le strutture dell'ospitalita' hanno registrato una diminuzione dell'occupazione delle camere nei primi 9 mesi del 2019 rispetto al 2018. Un andamento che si spiega, secondo Isnart, l'Istituto di Unioncamere e delle Camere di commercio, con molti fattori che vanno dalla clientela 'mordi e fuggi' alla bassa permanenza media al modesto contributo del turismo business alla mancata innovazione nell'offerta ricettiva.

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Cresce la performance delle Srl nel settore commercio

Cresce ancora, ma rallenta rispetto all'anno precedente, la performance delle Srl nel settore commercio: in Italia nel 2018 sono aumentati gli addetti (+3,3%) e il fatturato (+5,8%) ma in frenata rispetto ai dati dell'anno precedente che registravano un incremento del +4,5% per gli addetti e del +6,5% per il fatturato. Una decelerazione piu' decisa nel caso del valore aggiunto, la cui crescita si riduce della meta', passando dal +6,5% al +3,5%. Questa la fotografia del comparto scattata dall'Osservatorio sui bilanci delle Srl - Focus Settore Commercio pubblicato dal Consiglio e dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti. L'analisi sulla base della banca dati Aida -Bureau Van Dick ha riguardato i bilanci di quasi 112.000 srl afferenti al settore commercio, pari ad un quarto del totale di srl attive. Il risultato migliore in termini di fatturato e' stato ottenuto tra le Srl del Commercio all'ingrosso (+6,4%) seguite dalle Srl del Commercio e della riparazione di autoveicoli e motocicli (+5%) e da quelle del Commercio al dettaglio (+4,7%). Nessuno registra un calo dei ricavi, solo un comparto, quello del commercio al dettaglio di articoli culturali e ricreativi in esercizi specializzati, registra una crescita inferiore all'1% (+0,8%)

A livello geografico, limitando l'osservazione all'andamento del fatturato e del valore aggiunto e tenendo conto solo delle Srl con patrimonio netto e risultato d'esercizio positivi, le affermazioni migliori relative ai bilanci 2018 si registrano nel Nord-est e nel Sud. Qui, in particolare, la crescita del fatturato e quella del valore aggiunto sono uguali e le piu' alte (+6,3%). Nel Nord-est, la crescita del fatturato e' pari a +6,2%, mentre quella del valore aggiunto e' pari a +4,5%. Da segnalare, invece, il calo del valore aggiunto tra le Srl del settore Commercio dell'Italia centrale (-1,9%). Nel dettaglio, la Campania e' la regione dove si registra la migliore prestazione in termini di fatturato (+7,6%), seguita da Abruzzo (+6,7%), Veneto e Lazio ( entrambi +6,6%) mentre la maglia nera va al Friuli Venezia Giulia (+2,7%) preceduta da Toscana (+3,3%) e Sardegna (+3,8%). Relativamente agli addetti la crescita piu' sostenuta si osserva in Friuli Venezia Giulia (+7,5%) e Puglia (+7%) che doppiano il dato italiano, negative le variazioni in Molise (-0,6%) e Sicilia (-3,2%). Per quanto riguarda le classi dimensionali soffrono le piccole aziende. Le microimprese, quelle al disotto dei 350.000 euro di fatturato segnano un calo sia degli addetti (-3,8%) che del fatturato (-2,1%) a fronte di una impennata delle grandi che con un incremento del +6,8% degli addetti e del +8,7% dei ricavi vanno ben oltre la media nazionale. 

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Pubblica Amministrazione, aumenti di stipedio col rinnovo dei contratti

Il Rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti dà conto dei primi effetti sulle retribuzioni complessive della tornata contrattuale 2016-2018, attraverso l'analisi dei dati di contabilità nazionale Istat, i quali mostrano una crescita delle retribuzioni su tutta la PA del 3,5% nel 2018 rispetto all'anno precedente. Il dato di incremento complessivo viene analizzato in relazione con la tempistica dei rinnovi contrattuali 2016-2018, che ha visto concentrarsi sull'ultimo anno del triennio il rinnovo della totalità dei contratti relativi al personale non dirigente regolato da contratti sottoscritti in sede Aran (Funzioni centrali, Istruzione e ricerca, Funzioni locali e Sanità), la cui consistenza complessiva ammonta a circa 2,4 milioni di dipendenti. Sul 2018 non sono invece ancora visibili, in termini di incrementi retributivi, gli effetti dei rinnovi che hanno interessato il personale dirigenziale ed i medici del S.S.N. (circa 200mila persone), che vedranno rinnovato il loro contratto nel corso del 2019 o nei primi mesi del 2020. Il Rapporto si sofferma anche sulle differenze, in termini di incremento, tra i diversi settori della PA e tra settore privato e settore pubblico. Nel 2018, anno in cui si è concentrata appunto buona parte dei rinnovi, il settore pubblico è cresciuto di più del privato, ma a fronte di una crescita cumulata del periodo 2010-2018 risultata più elevata per il settore privato, anche per effetto del blocco contrattuale che ha interessato i comparti pubblici nel quinquennio 2010-2015.

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