Primo Piano

Abruzzo al voto

Si vota in 50 Comuni abruzzesi delle quattro province per l'elezione dei sindaci e per rinnovo dei consigli comunali. Gli abruzzesi chiamati alle urne sono 269.850. Si vota dalle 7 alle 23. Sei i Comuni con una popolazione superiore ai 15mila abitanti: L'Aquila, Avezzano, Ortona, San Salvo, Spoltore e Martinsicuro, dove è previsto il ballottaggio se nessuno dei candidati sindaci dovesse superare al primo turno la quota del 50 per cento dei voti validi (domenica 25 giugno ci sarebbero i ballottaggi). A L'Aquila si sfidano per il dopo Cialente sette candidati: Americo Di Benedetto, sostenuto da una vasta coalizione di centrosinistra; Pierluigi Biondi, candidato del centrodestra; Fabrizio Righetti, per il M5S; Carla Cimoroni (L'Aquila chiama), Nicola Trifuoggi (L'Aquila polis), Giancarlo Silveri (Riscatto popolare), Claudia Pagliariccio, espressione di Casapound. Sei gli sfidanti ad Avezzano. Il sindaco uscente, Giovanni Di Pangrazio (centrosinistra) Ci riprova con l'appoggio di 10 liste. Gli sfidanti sono: Gabriele De Angelis (7 liste collegate di centrodestra e movimenti civici); Francesco Eligi, candidato del M5S, Leonardo Casciere, Stefano D'Andrea, Nazzareno Di Matteo. Sette i candidati sindaci anche ad Ortona (Chieti). A San Salvo sarà corsa a quattro. Il sindaco uscente, Tiziana Magnacca (area centrodestra) si ripropone agli elettori con il sostegno di tre liste. Per il centrosinistra Gennaro Luciano, appoggiato dal Pd e altre due liste collegate, ma nella caccia alla poltrona di sindaco si inseriscono anche Angelo Angelucci e Osvaldo Menna, sostenuti da vari movimenti civici. Quattro gli sfidanti anche a Martinsicuro (Teramo). Il sindaco uscente, Paolo Camaioni (appoggiato da due liste) dovrà vedersela con Elisa Foglio, candidata del Pd; Massimo Vignoni (5 liste civiche) e Marco Masetti, espressione del M5S. A Spoltore, unico Comune della provincia di Pescara con oltre 15mila abitanti chiamato al voto i candidati sindaci sono tre, con l'uscente Luciano Di Lorito (Pd) insidiato da Marina Febbo (centrodestra) e Filomena Passarelli, del M5S. 

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In Italia si e’ verificato un boom dei licenziamenti per giusta causa

In Italia si e' verificato un boom dei licenziamenti per giusta causa ma a provocarlo potrebbe esserci un raggiro ai danni delle imprese e delle casse dell'Inps. Tale fenomeno, secondo la Cgia di Mestre, sarebbe infatti collegato alla volonta' del lavoratore di ricorrere, in modo scorretto, a questa forma di licenziamento per ottenere i vantaggi previsti dall'attuale normativa con una indennita' speciale dell'azienda che puo' arrivare a sfiorare i 1.500 euro e un sostegno al reddito da parte dell'Inps fino a 2 anni. L'Ufficio studi della Cgia rivela che nel 2016 i licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo nel settore privato hanno registrato una crescita del 26,5%, mentre le altre tipologie di licenziamento non hanno presentato trend di crescita cosi' importanti. Se i licenziamenti totali sono saliti del 3,5%, quelli per giustificato motivo oggettivo sono aumentati del 4,6% e quelli per esodo incentivato, invece, sono addirittura crollati del 19%. Stante la leggera ripresa economica e l'aumento dell'occupazione in atto, questo orientamento, secondo la Cgia, fatica a trovare una giustificazione legata alle normali dinamiche esistenti tra i datori di lavoro e le proprie maestranze. "Ad averne innescato l'ascesa - denuncia il coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo - e' stata una cattiva abitudine che si sta diffondendo tra i dipendenti. Seppur in forte crescita, questo fenomeno presenta delle dimensioni assolute ancora contenute. Nell'ultimo anno, infatti, lo stock ha interessato 74.600 lavoratori. Se, comunque, seguitera' questa tendenza, e' evidente che nel giro di qualche anno ci ritroveremo con numeri molto importanti". 

Con l'introduzione della riforma Fornero, dal 2013 chi viene licenziato ha diritto all'ASpI (indennita' mensile di disoccupazione): una misura di sostegno al reddito con una durata massima di 2 anni che costringe l'imprenditore che ha deciso di lasciare a casa il proprio dipendente al pagamento di una "tassa di licenziamento". Se si verifica questa situazione, infatti, il datore di lavoro deve versare all'Inps una somma pari al 41 per cento del massimale mensile della NASpI, la nuova ASpI introdotta nel 2015, per ogni 12 mesi di anzianita' aziendale maturata negli ultimi 3 anni. Per una persona con un'anzianita' lavorativa di almeno 3 anni, la tassa a carico dell'azienda puo' sfiorare i 1.500 euro. "Se una impresa contribuisce ad aumentare il numero dei disoccupati - dichiara il segretario della Cgia Renato Mason - provoca dei costi sociali che in parte deve sostenere. Negli ultimi tempi, pero', la questione ha assunto i contorni di un raggiro a carico di moltissime aziende e anche dello Stato, perche' un numero sempre piu' crescente di dipendenti non rispetta la norma e costringe gli imprenditori al licenziamento e, di conseguenza, fa scattare la Nuova ASpI (NASpI) in maniera impropria". Anche nel primo trimestre di quest'anno si registra la medesima tendenza con un incremento considerevole del +14,7% (sullo stesso trimestre del 2016) dei licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. Come mai avviene tutto cio'? Per "inerzia" del dipendente che in caso di dimissioni vuole evitare incombenze burocratiche e ottenere la NASpI. Non sono pochi coloro che negli ultimi tempi hanno deciso di non recarsi piu' al lavoro senza dare alcuna comunicazione al proprio titolare. Essendo stata introdotta nel marzo del 2016 l'obbligatorieta' delle dimissioni on-line, se il dipendente "diserta" la presenza in cantiere o in ufficio e non comunica telematicamente la volonta' di starsene definitivamente a casa, l'interruzione del rapporto di lavoro la deve "avviare" il datore di lavoro attraverso il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. Procedura che, grazie alla legge Fornero, consente al lavoratore "scorretto" di ricevere la NASpI, misura che non gli spetterebbe, invece, nel caso di dimissioni volontarie. "Questo astuto espediente - conclude Zabeo - sta creando un danno economico non indifferente. Non solo perche' costringe il titolare dell'azienda a versare la tassa di licenziamento che, come dicevamo, puo' arrivare fino a 1.500 euro, ma anche alla collettivita' che deve farsi carico del costo della NASpI. Se quest'ultima viene erogata per tutti i 2 anni previsti dalla legge Fornero, il costo complessivo per le casse dell'Inps puo' arrivare fino a 20.000 euro a lavoratore". In buona sostanza, lo stratagemma si sta diffondendo e a conferma di questa tesi ci aiutano i dati relativi alle dimissioni volontarie rassegnate dai lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato: tra il 2015 e il 2016 la contrazione e' stata del 13,5%. 

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Sondaggio Agorà-Ixè, al 44% degli intervistati piace il proporzionale

Secondo un sondaggio Ixè, presentato oggi ad Agorà (Raitre), la maggioranza degli italiani (il 56%) vorrebbe andare al voto nel 2018, ovvero a fine legislatura. Resta alta, anche se in flessione rispetto alle ultime settimane, la quota di chi invece vorrebbe votare in autunno (41%).

L'idea di tornare a votare con il sistema proporzionale (su cui le forze politiche si stanno confrontando - e scontrando - in Parlamento) piace al 44% degli italiani. Lo afferma l'Istituto Ixè, in un sondaggio trasmesso oggi ad Agorà (Raitre), secondo il quale il 39% è contrario mentre il 17% non si esprime.

Manchester, Londra e Parigi lasciano il segno. Sale, infatti, la paura di attentati nel nostro Paese, che ormai colpisce il 71% degli intervistati di un sondaggio Ixè. Il 56%, inoltre, confessa di aver paura - dopo i recenti fatti di sangue in Europa - di viaggiare all'estero.

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Micro imprese, Fisco più leggero a Lanciano, Spoltore e L’Aquila

Una montagna fatta di imposte, tasse, addizionali e balzelli vari. E’ quella che ogni anno devono scalare le imprese italiane e abruzzesi per accontentare gli appetiti del vorace “socio occulto” che staziona in azienda: quel Fisco che si manifesta volta per volta sotto le vesti del Comune, della Regione, dello Stato. Una montagna di soldi da tirare fuori, che tradotta in giorni del calendario e reddito disponibile, permette a un piccolo imprenditore insediato con la propria attività in uno dei dodici maggiori centri d’Abruzzo, di cominciare a lavorare finalmente per sé e per la propria famiglia solo dall’inizio di agosto: ne salta fuori una graduatoria in cui va meglio alle imprese che operano a Lanciano, Spoltore e L’Aquila, decisamente peggio per quelle insediate a Montesilvano, Roseto e Sulmona. Si presenta così la ricerca annuale messa a punto da Claudio Carpentieri e presentata ieri a Roma per il Centro studi nazionale della Cna, che già nel nome (“Comune che vai, Fisco che trovi”) presenta la sua ragione sociale: “Tax Free Day”, ovvero il fatidico giorno in cui ci si libera dalle ganasce fiscali: una ricerca che per l’Abruzzo ha analizzato la pressione esercitata nei quattro comuni capoluogo (Chieti, L’Aquila, Pescara, Teramo), ma anche nei due centri più grandi di ciascuna provincia: Avezzano, Sulmona, Lanciano, Vasto, Montesilvano, Spoltore, Roseto e Giulianova.

Il complesso studio di Carpentieri mette a confronto, comune per comune, il peso globale della tassazione applicato a una impresa standard - con 431mila euro di ricavi, costo del personale per quattro operai e un impiegato fissato a quota 165mila euro, costo del venduto per 160mila euro, costi ed ammortamenti vari per 56mila euro, reddito d’impresa da 50mila euro – con tutte le diverse forme di tassazione esistenti: Imposta municipale unica (Imu) e Tributo per i servizi indivisibili (Tasi), Imposta regionale sulle attività produttive (Irap), contributo Ivs, Imposta sul reddito della persona fisica (Irpef e Iri), addizionale regionale e comunale Irpef. Un bouquet di balzelli che finisce per decretare in modo oggettivo il peso del Fisco nei dodici comuni esaminati nel 2017, ma anche per fissare la data precisa della festa di liberazione dalle tasse, che per la cronaca cade a livello nazionale il 10 agosto, con comuni virtuosi ovviamente al di qua, meno virtuosi al di là. Ed eccola allora questa graduatoria, secondo ovviamente un ordine di minor pressione fiscale: Lanciano (1 agosto; percentuale totale di pressione fiscale pari al 58,6%; reddito disponibile pari a 20.694 euro); Spoltore (1 agosto; 58,6%; 20.677); L’Aquila (1 agosto; 58,7%; 20.637); Teramo (4 agosto; 59,4%; 20.306); Vasto (5 agosto; 59,7%; 20.132); Avezzano (5 agosto; 59,8%; 20.112); Chieti (9 agosto; 60,7%; 19.656); Giulianova (12 agosto; 61,7%; 19.173); Pescara (14 agosto; 62,1%; 18.930); Montesilvano (20 agosto; 63,8%; 18.105); Roseto (22 agosto; 64,4%; 17.789); Sulmona (23 agosto; 64,8%; 17.614).

A conti fatti, tra un’impresa con sede a Lanciano e una con sede a Sulmona corrono ben 22 giorni di differenza nella celebrazione della festa della liberazione dal Fisco, con oltre sei punti percentuali di maggior pressione fiscale, ma soprattutto con più di 3mila euro di differenza nel reddito disponibile per l’imprenditore. Con tutti gli altri centri sospesi nel mezzo di questi valori limite.

Insomma, tutto tranne che dettagli, soprattutto in epoca di crisi, di contrazione del credito, flessione del mercato interno ed effetti della globalizzazione, in cui la concorrenza e la capacità di competere si giocano talvolta anche su dettagli e differenze di pochi spiccioli: ed è facile immaginare la reazione di una micro impresa abruzzese (su questo punto davvero senza grandi distinzioni tra comune e comune) nello scoprire che a Trento, migliore città della graduatoria nazionale, la data del “tax free day” sia fissata al 16 luglio, con una pressione fiscale complessiva del 54,1%. Enorme in assoluto, a conferma di una anomalia tutta italiana, ma bazzecole però se rapportata a quella dei malcapitati imprenditori abruzzesi. Tutto ciò senza voler gettare l’occhio oltre confine, per scoprire che in Europa la tassazione media è fissata intorno al 40%, valore che genera un gravissimo handicap verso i competitori stranieri.

I numeri, si sa, possono però essere guardati da diverse angolazioni, scoprendo così che esistono anche altre chiavi di lettura; chiavi che magari stemperano alcune differenze che il primo impatto propone. Avviene, ad esempio, per la variazione percentuale nel peso della pressione fiscale tra 2016 e 2017: con tutti e dodici i comuni abruzzesi esaminati pronti a ritoccare poco virtuosamente verso l’alto le percentuali, anche se con valori generalmente modesti, visto che sono tutti compresi tra lo 0,2 e lo 0,3%. Differenze che diventano invece più nette e marcate se il paragone corre con il 2011, anno fissato dallo studio di Carpentieri come riferimento per un confronto di medio periodo: si scopre così che in Abruzzo appena due dei dodici comuni hanno messo mano alle forbici, riducendo la pressione fiscale sulle rispettive imprese: Teramo con -1,1% e Vasto con lo 0,5%. Con tutti gli altri, al contrario, votati al rincaro della pressione, con oscillazioni percentuali minime (è il caso dello 0,6% dell’Aquila) ma pure autentiche “mazzate”, come quelle riservate da Pescara e Roseto con ben il 3,4% in più.

 

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L’Abruzzo si prepara al voto amministrativo

Sono 50 i Comuni abruzzesi al voto il prossimo 11 giugno, con 3.500 candidati. I votanti saranno 269.850, la maggioranza abitanti a L'Aquila, con 59.875 votanti su una popolazione di 66.967 residenti. E' Montelapiano (Chieti) il Comune con il minor numero di votanti, 158. Oltre a L'Aquila, sono 5 i Comuni dove si andra' al ballottaggio nel caso in cui nessuno dei candidati superi il 50%: Avezzano (L'Aquila), Martinsicuro (Teramo), Spoltore (Pescara), Ortona e San Salvo (Chieti). Ad Avezzano l'uomo da battere e' il sindaco uscente Gianni Di Pangrazio sostenuto da dieci liste tra cui il Pd e l'Udc. Lo sfidante principale e' l'imprenditore Gabriele De Angelis, gia' assessore della Giunta Di Pangrazio, appoggiato da gran parte del centrodestra e dall'assessore regionale Andrea Gerosolimo. Per i grillini sara' la prima volta: in campo Francesco Eligi, ristoratore. Altri tre candidati a sindaco sono espressi da liste civiche: Stefano D'Andrea, Nazzareno Di Matteo e Leonardo Casciere. A Martinsicuro, che per la prima volta sperimentera' l'eventuale doppio turno, riprova a conquistare la poltrona di sindaco Massimo Vagnoni, battuto 5 anni fa dal primo cittadino in carica, Paolo Camaioni, per 167 voti. Vagnoni e' appoggiato da 5 liste civiche di centrodestra, ma senza simboli di partito. Il sindaco uscente si ricandida con due liste civiche e il motto del gruppo "Civici da sempre". Due le liste che appoggiano Elisa Foglia (Pd), che non ha trovato l'accordo con la sinistra piu' radicale. I 5 Stelle, presenti per la prima volta, schierano Marco Masetti. A Spoltore tenta la riconferma, con l'appoggio di 4 liste, Luciano Di Lorito, sindaco del Pd. Due gli sfidanti: la forzista Marina Febo, appoggiata da cinque civiche, e Filomena Passerelli, per il M5S. A Ortona, dove il Comune e' commissariato dopo l'abbandono del sindaco Enzo D'Ottavio, la sfida appare interna tutta interna al Pd che schiera tre dei 7 candidati: l'ammiraglio Rinaldo Veri, candidato ufficiale sostenuto dal portavoce della maggioranza in Consiglio regionale Camillo D'Alessandro; Giorgio Marchegiano, che punta soprattutto sulle nuove generazioni; Gianluca Coletti, figlio dell'ex senatore Tommaso Coletti. Gli altri apiranti sindaco sono Angelo Di Nardo, espressione del centrodestra, Peppino Polidori, con tre liste civiche, Leo Castiglione, anche lui con tre liste civiche, e Tiziano Torzi, presente con una civica. A San Salvo, infine, la sindaca uscente del centrodestra Tiziana Magnacca, appoggiata da tre liste civiche, dovra' vedersela con il candidato del centrosinsitra Gennaro Luciano, che ha anche il sostegno del Pd piu' due civiche, Osvaldo Menna, due civiche, Angelo Angelucci, due civiche. 

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In Italia ci sono 250mila smart worker

In Italia lo smart working è già stato sdoganato da molte aziende quali Microsoft Italia, ma anche Enel, Vodafone, Ferrovie dello Stato e Unicredit, solo per citarne alcune. Guardando ai risultati dell'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, attualmente gli smart worker in Italia sono circa 250mila: tanti sono infatti i lavoratori dipendenti che possono decidere sostanzialmente in autonomia i propri orari, i propri strumenti e le proprie postazioni di lavoro. A conti fatti, dunque, sono già in tutto e per tutto 'lavoratori 'agili' circa il 7% dei dipendenti tra dirigenti, quadri ed impiegati, segnando così un clamoroso aumento del 40% rispetto al 2013, anno in cui in Italia il concetto di smart working era poco più che un sussurro nei soli corridoi delle multinazionali. Ancora oggi, del resto, la prestazioni smart sono caratteristica peculiare delle grandi aziende, mentre nell'universo delle Pmi questa nuova modalità deve ancora prendere slancio: qui, infatti, solo il 5% dei business ha realizzato dei progetti di questo tipo durante il 2016. Ora ci si interroga su cosa cambierà con l'applicazione delle nuove regole. I dati relativi al 2016 dicono infatti che il dipendente 'agile' in Italia è nel 69% dei casi di sesso maschile, ha mediamente 41 anni ed è occupato perlopiù del settentrione (tra gli impiegati smart individuati in Italia il 52% vive infatti al Nord, il 38% al Centro e il 10% al Sud).

"Con questa nuova regolamentazione dello smart working i numeri potrebbero però cambiare - ha spiegato Carola Adami, ceo di Adami & Associati - in quanto tra il Ddl sembra confezionato appositamente per aiutare quelle donne che ad oggi rinunciano ad un'occupazione stabile per evitare di allontanarsi ogni giorno dalla propria abitazione e dai propri figli". I casi da cui prendere esempio per esportare la modalità di smart working anche nella propria azienda, come anticipato, non mancano di certo. Basti guardare ad Enel: dopo una partenza sperimentale con 500 dipendenti che hanno avuto la possibilità di lavorare lontano dai propri uffici per un giorno alla settimana, si è passati alla fase vera e propria dell'iniziativa, che ha visto entrare in modalità smart working ben 7.000 dipendenti in tutta Italia. Quando si parla di digitalizzazione del mondo del lavoro e di Industria 4.0, del resto, si parla in fin dei conti anche di questo: la tecnologia deve e può essere al servizio sia dei lavoratori che delle imprese, per un miglioramento reciproco.

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La spesa sanitaria pubblica si riduce

 

Sale a 35,2 miliardi di euro la spesa di tasca propria per la sanita' (+4,2% nel periodo 2013-2016). E l'area della ''sanita' negata'' continua ad espandersi: nell'ultimo anno 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie (1,2 milioni in piu' rispetto all'anno precedente). E' quanto emerge dal Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute presentata oggi al ''Welfare Day 2017''. Non si ferma il boom della spesa sanitaria privata. La conseguenza sociale e' un gorgo di difficolta' e disuguaglianze crescenti che risucchiano milioni di persone. Sono 13 milioni gli italiani che nell'ultimo anno hanno sperimentato difficolta' economiche e una riduzione del tenore di vita per far fronte a spese sanitarie di tasca propria, 7,8 milioni hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o indebitarsi con parenti, amici o con le banche, e 1,8 milioni sono entrati nell'area della poverta'. Nel pubblico poi le liste di attesa sempre piu' lunghe e sarebbe proprio questo secondo il Censis la ragione principale per cui tanti italiani vanno nel privato e pagano a tariffa intera. Per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in piu' rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l'attesa arriva a 142 giorni. Per una colonscopia l'attesa media e' di 93 giorni (+6 giorni rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (+6 giorni rispetto al 2014), ma al Sud sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l'attesa media e' di 67 giorni (+8 giorni rispetto al 2014), ma l'attesa sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni (+8 giorni rispetto al 2014), ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (+18 giorni rispetto al 2014), con un picco di 77 giorni al Sud. Le distanze tra le sanita' regionali infine si ampliano, almeno per quello che riguarda quanto viene recepito dai cittadini. Il 64,5% degli italiani e' soddisfatto del Servizio sanitario, mentre il 35,5% e' insoddisfatto. Al Sud pero' i soddisfatti sono solo il 47,3%, mentre sono il 60,4% al Centro, salgono al 76,4% al Nord-Ovest e arrivano all'80,9% al Nord-Est. Il 31,8% degli italiani e' convinto che nell'ultimo anno il Servizio sanitario sia peggiorato, solo il 12,5% pensa che sia migliorato e il 55,7% ritiene che sia rimasto stabile. Al Sud il 38,9% dei cittadini pensa che la sanita' della propria regione sia peggiorata, il 13,3% che sia migliorata e il 47,9% che sia rimasta uguale. Al Centro il 34,2% ritiene che sia peggiorata, l'11,4% migliorata e il 54,3% rimasta uguale. Al Nord-Ovest il 25,2% la giudica peggiorata, l'11,8% migliorata, il 63% rimasta uguale. Al Nord-Est per il 26,1% e' peggiorata, per il 13,1% e' migliorata e per il 60,8% e' rimasta uguale. 

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Cna: il peso del fisco sulle piccole imprese è 61,2%

Il peso complessivo del fisco non dà tregua alle piccole imprese. Dopo il sensibile calo della pressione fiscale registrato nel 2015, il 2016 ha visto il Total tax rate (Ttr) delle piccole imprese italiane fermo al 60,9% e per quest'anno si prevede che sulle piccole imprese salirà dello 0,3%, toccando il 61,2%. E' quanto si legge nel rapporto 2017 dell'Osservatorio permanente Cna, "Comune che vai, fisco che trovi", sull'andamento della tassazione sulle piccole imprese in 135 città italiane. Qualche leggero sollievo potranno registrarlo le aziende che opteranno per il nuovo regime previsto dall'Iri (l'Imposta sul reddito delle imprese, che alleggerisce la tassazione del reddito lasciato in azienda) nel qual caso scenderà al 58,1%. A differenza di altri organismi, l'Osservatorio Cna precisa di basare la sua analisi sull'impresa tipo italiana, con un laboratorio e un negozio, ricavi per 431mila euro, un impiegato e quattro operai di personale, 50mila euro di reddito. L'andamento del Ttr si ripercuote anche sull'arrivo del Tfd, il giorno in cui l'imprenditore si libera del peso fiscale: dal seguente può finalmente cominciare a lavorare per sé e per la sua famiglia. L'anno scorso la liberazione fiscale delle piccole imprese in Italia è stata festeggiata il 10 agosto, quest'anno dovrebbe rimanere stabile, arretrando al 30 luglio per le piccole imprese che abbiano optato per l'Iri. Passando alle città radiografate dall'Osservatorio, però, le sorprese non mancano. Nel 2016 Reggio Calabria si conferma il capoluogo che maggiormente tartassa le piccole imprese con un Ttr del 73,2%, un po' meno peggio del 2015 (74,9%) ma ben più del 62,4% segnato nel 2011. Immutate anche le posizioni alle spalle della maglia nera.

Seconda per incidenza del Ttr sulle piccole imprese è stata Bologna con il 71,9%(-1%), terza Roma (69,1%/-2,6%), quindi Firenze (69%), Catania (68,5%), Bari (68,1%), Napoli (67,8%), Cremona e Salerno (66,8%), Foggia (66,3%), Sassari (66,1%). Agli antipodi di Reggio Calabria si è piazzata Trento, dove il Ttr ha inciso soltanto per il 53,9%. Nell'ordine l'hanno seguita Gorizia (54,4%), Cuneo, Imola e Belluno (54,5%), Sondrio (54,8%), Udine (55,2%), Carbonia (55,3%), Arezzo e Mantova (55,7%). Le graduatorie sono rimaste pressoché inalterate per il Tfd. A Reggio Calabria gli imprenditori hanno dovuto attendere il 24 settembre per cominciare a pensare a se stessi e alla propria famiglia. Per fare un confronto, nel 2011 la maglia nera era stata Napoli, dove però avevano festeggiato la liberazione fiscale il 2 settembre, ventidue giorni prima dell'anno scorso. Il Tfd è caduto il 19 settembre a Bologna, il 9 a Roma e a Firenze, il 7 a Catania, il 5 a Bari, il 4 a Napoli, il 31 agosto a Cremona e Salerno, il 30 a Foggia, il 29 a Sassari. All'opposto, i piccoli imprenditori di Trento si sono liberati dell'ingombrante "socio" fisco il 15 luglio, il 17 è stata la volta di Gorizia e Cuneo, il 18 di Imola, Belluno e Sondrio, il 20 di Udine e Carbonia, il 22 di Arezzo e Mantova. E per quest'anno che cosa prevede l'Osservatorio? In classifica le scosse dovrebbero essere poche. Reggio Calabria dovrebbe continuare a primeggiare nella poco invidiabile classifica di città con il più elevato Ttr italiano (con il 73,4%) e a festeggiare per ultima il Tfd (il 24 settembre). Così come Trento sembra destinata a rimanere la città più "benevola" con il 54,1% di Ttr e il 16 luglio di liberazione fiscale.

La pressione fiscale in Italia è troppo elevata, qualunque dato si prenda, sottolinea la Cna. Ma il "problema vero" risiede piuttosto nella "iniqua distribuzione del carico, che si distingue in modo radicale secondo la natura del reddito e svantaggia le imprese, in particolare le piccole imprese personali". Per l'associazione è quindi "arrivato il momento di intervenire su un sistema fiscale evidentemente squilibrato" per raggiungere tre obiettivi di utilità generale: "ridurre la pressione fiscale garantendo, nel contempo, maggiore equità nel prelievo tra diversi redditi da lavoro; invertire sensibilmente la tendenza del trasferimento alle imprese degli oneri sui controlli; usare in modo intelligente la leva fiscale per aumentare la domanda interna". Per raggiungere "in tempi rapidi e senza oneri aggiuntivi" questi tre obiettivi, prosegue la Cna, occorre: "ridurre la tassazione sul reddito delle imprese personali e sul lavoro autonomo, utilizzano le risorse provenienti dalla spending review e dalla lotta all'evasione; rendere l'Imu pagata sugli immobili strumentali delle imprese completamente deducibile dal reddito d'impresa; rivedere la tassazione Irpef delle imprese personali e degli autonomi, prevedendo delle riduzioni automatiche all'aumentare del reddito dichiarato rispetto al reddito ideale suggerito attraverso i nuovi Indicatori sintetici di affidabilità; trasformare le detrazioni relative a spese per lavori edili in crediti d'imposta cedibili agli intermediari finanziari". E ancora: "definire il concetto di insussistenza di autonoma organizzazione per non assoggettare i soggetti all'Irap e aumentare la franchigia Irap ad almeno 30mila euro; rivedere al più presto i criteri per l'attribuzione dei valori catastali degli immobili, al fine di allinearli periodicamente ai valori di mercato a invarianza di gettito; agevolare il passaggio generazionale delle imprese individuali tramite la completa neutralità fiscale delle cessioni di azienda, al pari di quanto è previsto in caso di conferimenti" ed "evitare di spostare sulle imprese gli oneri dei controlli attraverso un uso intelligente della fatturazione elettronica, eliminando nel più breve tempo possibile tutti i regimi Iva del reverse change previsti attualmente, lo split payment, la ritenuta dell'8% sui bonifici relativi a spese per le quali sono riconosciute detrazioni fiscali".

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Millennials senza pensione

Millennials senza pensione, a meno che i 20enni di oggi non inizino da subito a mettere da parte qualcosa per la vecchiaia: hanno 40 anni di tempo. Un articolo contenuto sul F&D Magazine on Millennial and Work del Fondo monetario internazionale, fa il punto sul rischioso futuro previdenziale di una generazione (quella dei nati tra gli anni 80 e i primi del Duemila) etichettata con più di una definizione: Millennials, appunto, perché nati a cavallo del Millennio, generazione Y, generazione digitale. "Le pensioni pubbliche hanno svolto un ruolo cruciale negli ultimi decenni per assicurare un reddito dopo il ritiro dal lavoro", si legge nell'articolo firmato da Mauricio Soto economista esperto del Dipartimento Affari fiscali del Fmi. M per la generazione dei Millennials che entra nell'età lavorativa "la prospettiva è che le pensioni non provvederanno alla loro sicurezza economica nella stessa misura in cui è stato per le generazioni precedenti". Dunque i Millennials dovrebbero subito pensare a forme di previdenza complementare. Le pensioni sono state una forma importante di reddito, coprendo oltre il 60% del reddito nei paesi Ocse. Inoltre le pensioni hanno ridotto la povertà: senza gli assegni pensionistici infatti il tasso di indigenza per over 65 nelle economie avanzate sarebbe ben più alto. 

Ma la spesa pensionistica costa: la spesa pubblica per le pensioni nelle economie avanzate è cresciuta da una media del 4% del pil negli anni Settanta al 9% nel 2015 (in Italia secondo l'Istat è stata al 15% nel 2015), riflettendo l'ivecchiamento della popolazione, con l'aspettativa di vita media che è aumentata di circa un anno ogni decennio. "Per affrontare i costi dell'invecchiamento, molti paesi hanno avviato riforme pensionistiche significative, mirando in gran parte a contenere la crescita del numero di pensionati - tipicamente aumentando le età di ritiro o riducendo le regole di ammissibilità e riducendo l'entità delle pensioni con degli incentivi", afferma Soto. Tuttavia le proiezioni mostrano come il gap generazionale sia destinato ad acuirsi: tabelle alla mano, nel 1980 le spese per la pensione in percentuale al reddito pro capite (il cosiddetto tasso di sostituzione economica) è stato pari a circa 35%, ma questa percentuale di sostituzione è destinata a scendere al 20% entro il 2060. "Questo significa che le generazioni più giovani dovranno lavorare più a lungo e risparmiare di più per andare in pensione e ottenere tassi di sostituzione simili a quelli dei pensionati di oggi. La buona notizia per questi giovanissimi è che hanno 40 anni per correre ai ripari, pianificando lunghe carriere e iniziando a mettere i soldi da parte. Ma - conclude Soto - devono cominciare ora"

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Nessun problema per la siccità in Abruzzo

Se fino a dicembre la siccita' aveva caratterizzato anche l'Abruzzo, con le abbondanti piogge e nevicate iniziate nel mese di gennaio la regione si presenta alla stagione estiva non facendo registrare nessun problema di approvvigionamento idrico. Insomma il 'secco' autunnale e' un lontano ricordo.I diversi bacini imbriferi hanno raccolto l'acqua necessaria soprattutto per far fronte ai bisogni dell'agricoltura. Che la situazione non rappresentasse un problema lo aveva sostenuto anche il sottosegretario con delega all'Ambiente, Mario Mazzocca: "stiamo monitorando - aveva detto agli inizi di febbraio - ma non c'e' nessuna emergenza. Vedremo tra un mese cosa accadra'". E' comunque innegabile che prima delle tanto attese precipitazioni - una manna anche per gli operatori turistici montani che attendevano la neve - la crisi idrica sia stata un incubo anche per questa regione. Anche gli esperti erano in allarme. Una cosa del genere - affermo' il meteorologo abruzzese Giovanni De Palma - e' certa: da almeno un decennio non cadeva cosi' poca acqua. Da non sottovalutare che il terremoto del 18 gennaio scorso e gli altri eventi sismici che avevano comportato anche lo svasamento della diga di Campotosto, nel Teramano, pregiudicando non solo l'irrigazione ma anche la produzione di energia elettrica. Anche secondo Appennino Ecosistema, dicembre e' stato il mese piu' siccitoso degli ultimi 10 anni, visto che e' piovuto il 10 per cento di quanto piove mediamente sull'Appennino centrale. Emergenza, comunque, rientrata, e anche le produzioni ortofrutticole della piana del Fucino, nella Marsica, sono salve. 

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