La transumanza e' stata proclamata patrimonio culturale immateriale dell'umanita'. E' quanto annuncia la Coldiretti nel commentare positivamente la decisione del Comitato intergovernativo dell'Unesco riunito a Bogota', in Colombia per tutelare l'antica pratica della pastorizia che consiste nella migrazione stagionale del bestiame lungo le rotte migratorie nel Mediterraneo e nelle Alpi. La candidatura della transumanza, che ha visto l'Italia capofila di una alleanza con Grecia e Austria, e' stata avanzata nel 2017 per tutelare una pratica ancora oggi diffusa sia nel Centro e Sud Italia, dove sono localizzati i Regi tratturi, partendo da Amatrice e Ceccano nel Lazio ad Aversa degli Abruzzi e Pescocostanzo in Abruzzo, da Frosolone in Molise al Gargano in Puglia. Pastori transumanti sono ancora in attivita' anche nell'area alpina, in particolare in Lombardia e nel Val Senales in Alto Adige. Il voto positivo dell'Unesco - evidenzia la Coldiretti - certifica il valore della tradizionale migrazione stagionale delle greggi, delle mandrie e dei pastori che, insieme ai loro cani e ai loro cavalli, si spostano dalla pianura alla montagna, percorrendo le vie semi-naturali dei tratturi, con viaggi di giorni e soste in luoghi prestabiliti, noti come "stazioni di posta". Un riconoscimento importante - sottolinea la Coldiretti - che conferma il valore sociale, economico, storico e ambientale della pastorizia che coinvolge in Italia ancora 60mila allevamenti nonostante il fatto che nell'ultimo decennio il "gregge Italia" sia passato da 7,2 milioni di pecore a 6,2 milioni perdendo un milione di animali. Il riconoscimento tutela un'attivita' ad elevato valore ecologico e sociale poiche' - continua la Coldiretti - si concentra nelle zone svantaggiate e garantisce la salvaguardia di ben 38 razze a vantaggio della biodiversita' del territorio, dalla rustica pecora sarda alla pecora Sopravissana dall'ottima lana, dalla Brogna con testa e gli arti privi di lana alla pecora Comisana con la caratteristica testa rossa, dalla gigantesca Bergamasca fino a quella massese dall'insolito manto nero che rappresentano un patrimonio di biodiversita' il cui futuro e' minacciato da un concreto rischio di estinzione. "La notizia del riconoscimento Unesco, dato alla Transumanza come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanita' inorgoglisce ed impreziosisce non solo la storia e la lunga tradizione abruzzese, ma tutto il popolo abruzzese". Questo il commento dell'assessore regionale al Turismo, Mauro Febbo che specifica come "la Transumanza da sempre racchiude, rappresenta e racconta il nostro passato, le tradizioni abruzzesi piu' genuine ed autentiche. Oggi con questo importante e fondamentale riconoscimento conferito dall'Unesco abbiamo un valido strumento per promuovere le nostre tante e innumerevoli bellezze naturali presenti sul e nel percorso della Transumanza a partire dalle tradizioni culinari, artigianali, culturali ed artistiche. Abbiamo lavorato in questi mesi perche' il percorso entrasse a pieno titolo nel Piano Strategico del Turismo proprio attraverso cammini specifici'
Leggi Tutto »Retribuzioni dei laureati più alte del 20 per cento
Nel 2017, la retribuzione oraria dei dipendenti che possiedono un diploma è pari a 11,54 euro, il 20% in meno rispetto alla retribuzione oraria dei dipendenti che possiedono almeno una laurea triennale (13,85 euro). Il premio retributivo dei laureati risulta inferiore rispetto a quello osservato nel 2014 (21,2%); infatti, i laureati presentano una crescita nelle retribuzioni inferiore rispetto a quella dei diplomati (rispettivamente, da 13,83 euro a 13,85 euro e da 11,41 euro a 11,54). In termini di struttura occupazionale nel 2017 ci sono circa 3 laureati ogni 10 diplomati (incidenza in crescita rispetto al 2014). Il differenziale retributivo tra laureati e diplomati aumenta al crescere dell'anzianità lavorativa. Le posizioni occupate da laureati con anzianità inferiore ai 10 anni, infatti, presentano nel 2017 un differenziale rispetto ai colleghi diplomati con pari anzianità del 17,7% Se l'anzianità supera i 20 anni tale differenziale si attesta al 46%,con una differenza di oltre 28 punti percentuali. L'aumento più significativo del differenziale al crescere dell'anzianità si osserva nel Centro (+33,7 punti percentuali) e nel Nord-est (+29,2 punti percentuali). La composizione tra laureati e diplomati dimostra una maggiore presenza relativa di laureati tra le donne: il numero di dipendenti laureate è, infatti, pari al 37,5% delle diplomate, mentre per l'altro sesso tale rapporto scende al 24,9%. La laurea premia in misura maggiore gli uomini: l'aumento retributivo è del 32,6% rispetto al diploma mentre per le donne si ferma al 14,3%. I laureati (uomini) percepiscono una retribuzione oraria pari a 16,07 euro, superiore del 32,6% rispetto a quella dei diplomati (12,12 euro). Per loro il differenziale più alto si registra nel Nord-ovest (+38,4%) e quello più basso al Sud (+20,5%).
Fra i dipendenti uomini, rispetto al 2014 il vantaggio retributivo dei laureati sui diplomati è diminuito di più di un punto percentuale (dal 34,3%), perché, contestualmente, sono aumentate le retribuzioni dei diplomati (da 12,06 euro a 12,12 euro) e sono diminuite le retribuzioni dei laureati (da 16,20 euro a 16,07 euro). Nel 2017 le donne in possesso di una laurea percepiscono una retribuzione oraria inferiore di oltre 3 euro rispetto ai colleghi uomini (12,58 euro) e il premio collegato al possesso della stessa si ferma a un livello che è meno della metà di quello ottenuto dagli uomini (14,3%). Lo svantaggio delle donne, ovunque evidente, è più marcato nel Nord-est (+9,6% contro +24,1%), nel Centro (+16,3% contro 34,4%) e nel Nord-ovest (+18,6% rispetto a +38,4%). Per le donne il differenziale all'aumentare dell'anzianità cresce di 27 punti percentuali - dal 13,2% per anzianità inferiore ai 10 anni al 40,3% per anzianità superiore ai 20 - mentre per gli uomini di 25 (dal 28,1% per anzianità inferiore ai 10 anni al 53% per anzianità superiore ai 20).
Leggi Tutto »Italiani sempre piu’ mobile-dipendenti
Sempre piu' mobile-dipendenti ma sempre meno 'fedeli' nella scelta dell'operatore telefonico. E' questo il rapporto tra italiani e smartphone fotografato dal Sondaggio condotto dall'ufficio studi di Coop sulla comunicazione mobile.
Quanto all'operatore, sebbene il 57% degli intervistati assegni una valutazione positiva al proprio service provider, un italiano su 3 pensa di cambiarlo (il dato e' piu' alto per i big player e piu' basso invece per i piccoli operatori).
A fare la differenza e' in primo luogo il prezzo, ma incidono anche la voglia di sperimentare nuovi servizi e le difficolta' di copertura di rete. Tra i motivi delle valutazioni negative soprattutto i servizi di assistenza clienti, con un italiano su 5 assegna un'insufficienza al sistema di call center del proprio operatore.
Ogni giorno, rileva l'indagine, trascorriamo in media 5 ore usando il nostro telefono cellulare, gli uomini mezz'ora in piu' rispetto alle donne, 6 ore i 18-35enni (contro le 3 dei 56-65enni), mentre la maggior parte degli italiani e' convinta che in futuro usera' lo smartphone ancora di piu'. "La comunicazione - prevede Albino Russo, direttore generale Ancc-Coop e responsabile dell'ufficio studi - sara' sempre piu' sincopata e asincrona. Crescera' l'utilizzo delle chiamate vocali, ma ancora di piu' l'utilizzo di messaggi, di testo cosi' come audio e video. Gli italiani immaginano un telefono che tra dieci anni potrebbe essere piu' grande, leggero e flessibile, sempre onnipresente nelle nostre vite, anche se a tanta persistenza corrispondono usi diversi". Con 22 chiamate nelle ultime 24 ore e tra 100 e 200 altre interazioni di testo audio e video con altre persone, l'11% degli italiani sono veri e propri 'smart-holic'. All'opposto piu' di un italiano su quattro (i cosiddetti 'flight mode') ha un rapporto distaccato con il telefono. In mezzo i 'Mama's & Lovers (23%) concentrano un numero di poco piu' basso di chiamate (17%) e un numero uguale di interazioni in relazioni personali e familiari molto intense.
I 'silent mode' (13%) sono invece quegli italiani che pur utilizzando abbastanza il telefono hanno una limitata comunicazione vocale, preferendo le altre interazioni non vocali. Completano il quadro i 'Well balance', ossia le persone che hanno una 'dieta equilibrata' di interazioni mobile. Secondo il survey, un italiano su 4 dichiara di essere stato vittima di stalking telefonico (27%) almeno una volta. Per gli under 35 il cellulare ha una vita media di 2 anni e 3 mesi, mentre per i 55-65enni di 3 anni.
Leggi Tutto »I dolci di Natale, regione per regione
In quasi la metà delle famiglie italiane (48%) c'è chi prepara in casa i dolci tipici del Natale nel rispetto delle tradizioni locali. E' quanto emerge dall'indagine Coldiretti/Ixe' che evidenzia un importante ritorno al fai da te, messo in mostra al Villaggio contadino a Matera dove è stato organizzato il primo appuntamento nazionale dedicato al Natale a tavola, la tradizione più radicata nella cultura degli italiani, con la prima esposizione dei dolci tipici provenienti da tutte le regioni realizzati dal vivo dagli agrichef, i cuochi contadini. La preparazione casalinga dei piatti tradizionali delle feste è infatti - sostiene la Coldiretti in una nota - una attività tornata ad essere gratificante per uomini e donne e all'interno delle mura domestiche si svolge il rito della preparazione di specialità alimentari caratteristiche del Natale destinate spesso a rimanere solo un piacevole ricordo per tutto il restante periodo dell'anno. Si tratta spesso di dolci - ricorda Coldiretti - le cui ricette sono tramandate da generazioni e rappresentano un vero e proprio patrimonio culturale del Paese. Accade così che, assieme agli immancabili panettone ed il pandoro sulle tavole sono tornate anche le specialità casalinghe della tradizione contadina. Da Nord a sud del Bel Paese - sottolinea la Coldiretti -le specialità sono moltissime e tutte fortemente legate al territorio, in Basilicata non possono mancare i calzoncelli di pasta fritta con ripieno di mandorle e zucchero oppure castagne e cioccolato, in Calabria si consuma la pitta "mpigliata" con la sua caratteristica forma a rosellina (o rosetta). In Campania è il tempo di roccocò e susamielli, mentre in Puglia troviamo le cartellate baresi, nastri di una sottile sfoglia di pasta, unita e avvolta su sé stessa sino a formare una sorta di "rosa" impregnata di vincotto tiepido o di miele, e poi ricoperte di cannella, zucchero a velo oppure mandorle. Al nord - continua la Coldiretti - in Friuli torna la gubana, una pasta dolce lievitata, con un ripieno di noci, uvetta, pinoli, zucchero, grappa, scorza grattugiata di limone, dalla caratteristica forma a chiocciola, in Emilia Romagna la spongata ripiena di miele, uva passa, noci, pinoli, cedro, in Liguria del pandolce (impasto di farina, uvetta, zucca candita a pezzetti essenza di fiori d'arancio, pinoli, pistacchi, semi di finocchio, latte e marsala ) e in Lombardia, dove troviamo il Panun de Natal, un dolce ricco di frutta secca e molto profumato fatto con il grano saraceno e che può avere la forma di un filoncino leggermente appiattito o più raramente di una pagnotta rotonda, rigonfia al centro. Non mancano specialità infine - continua la Coldiretti - nelle isole come in Sicilia con i buccellati di Enna (dolci tipici ripieni di fichi secchi).
Ma per chi non ha tempo di dedicarsi al fai da te casalingo e vuole comunque stupire i commensali - continua Coldiretti - arrivano i primi agripanettoni 100% italiani, come quelli con grano anico o di mais corvino fatti in Lombardia o il panettone con grano 100% nazionale, frutto della collaborazione tra Sis, Società Italiana Sementi di Bologna, mulino Pivetti di Cento (Ferrara), Coprob (cooperativa produttori bieticolo-saccariferi) e la cooperativa Deco Industrie di Bagnacavallo (Ravenna). Per produrlo - continua Coldiretti - è stato utilizzato grano tenero della varietà "Giorgione", da cui si ottiene una farina al top della qualità per la trasformazione in prodotti da forno. Selezionato, coltivato, raccolto e macinato in Italia, il Giorgione - commenta Coldiretti - è un grano tenero frutto della ricerca di Sis, ottenuto con incroci naturali e senza impiego di organismi transgenici, ma valorizzando il meglio della tradizione produttiva del grano nel nostro Paese. Oltre all'ingrediente base, la farina, il panettone 100% italiano - conclude Coldiretti - utilizza burro, zucchero, uova, lievito madre e scorze di arance candite, tutti di produttori nazionali.
Regione per regione, i dolci tradizionali
VALLE D'AOSTA - FLANTZE Pane lavorato con zucchero e arricchito da uvetta, mandorle, noci e scorza d'arancia candita. Veniva preparato nei paesi durante la panificazione (che avveniva una o poche volte l'anno e di solito era caratterizzata dalla produzione del pane nero cotto nei forni comuni dei villaggi) a partire dallo stesso impasto di base del pane, come regalo per i bambini che partecipavano al procedimento collettivo e tradizionale. Oggi viene preparato dai panifici con lavorazione artigianale. Tradizionalmente di forma rotonda, può essere confezionato anche a forma di animale per i bambini. Gli ingredienti di base sono la farina integrale, di solito di segale o di frumento, la frutta secca e un po' di burro. PIEMONTE - CRUMBOT Il dolce è legato alla tradizione povera del Natale e rappresenta il Bambino Gesù. Una leggenda narra che durante la fuga in Egitto Gesù fu nascosto in una cesta che conteneva della pasta madre per il pane che miracolosamente lievitò avvolgendo il Bambino per nasconderlo. Il 'Bambino di Natale' è una pasta frolla della tradizione in cui gli ingredienti semplici danno spazio al massimo sapore della farina del grano San Pastore: uova, burro, zucchero e un pizzico di lievito uniti a questa farina vengono poi impreziositi ed esaltati dai canditi di arance e ciliegia e dalle gocce di cioccolato. Il Bambino riprende e riattualizza la tradizione della Busela, la bambolina di pastafrolla che veniva sagomata o disegnata durante il periodo natalizio nelle famiglie contadine VENETO - LA PINZA E' un dolce contadino e ai tempi nostri può essere definito un piatto del riciclo. Si può fare con in pane raffermo o la polenta avanzata, mescolando uvetta, semi di finocchio, fichi secchi. Veniva servito alla fine delle festività proprio perché è inteso come torta antispreco, realizzata con ciò che non veniva consumato a tavola LOMBARDIA - MIASCIA - Nasce come dolce povero e dei poveri, per riutilizzare il pane secco ammollato nel latte e impastato con uova, frutta (al posto del prezioso e ben più costoso zucchero) e frutta a guscio. In assenza del pane, trovava impiego anche un impasto di semplice farina, bianca e gialla. Ancora oggi è un dolce di casa nel comasco. Col passare del tempo, tramandato di cucina in cucina dal Lario alla Brianza, si è arricchito di varianti: nuovi ingredienti quali scorze di agrumi, polvere di cacao, fichi secchi, ma anche liquore e amaretti, fino ad arrivare all'aggiunta di erbe aromatiche. Numerose sono infatti le versioni in cui la si può apprezzare sul territorio: la miascia di Bellagio con farina di castagne, la miascia di Colico con la farina bramata e quella di Ossuccio con farina bianca e bramata, fino in Valsassina, dove è previsto anche l'impiego di foglie di menta (o erba di San Pietro). La miascia è un dolce tipicamente preparato nelle case dei comaschi nei giorni di festa, e in particolare a Natale (come se fosse una sorta di "panettone" del Lario). Essendo un dolce povero e di semplice fattura, veniva riproposto più in generale anche nelle occasioni delle feste paesane, cuocendolo in forni comunitari TRENTINO ALTO ADIGE - ZELTEN E' un pane dolce a base di frutta secca e canditi. Farina, uova, burro, zucchero e lievito sono la base comune di un dolce che conosce naturalmente un gran numero di varianti; da zona a zona, da valle a valle, da famiglia a famiglia la ricetta cambia e si arricchisce di ingredienti particolari, di segreti, di personali regole di preparazione. Possiamo comunque distinguere, un po' sommariamente, due varianti: quella trentina, che contiene più pasta e meno frutta e quella del Sud-Tirolo e Bolzano, caratterizzata da un maggiore uso della frutta. Noci, fichi secchi, pinoli e mandorle sono comunque usate in tutte le diverse preparazioni. Le case si riempiono i profumi inebrianti di cannella, di fichi secchi, il periodo dell'Avvento è il momento di dolci leccornie. La tradizione della cucina povera, che caratterizza molte regioni italiane ha prodotto una serie di dolci preparati nel periodo natalizio che erano sostanzialmente versioni arricchite del pane fatto in casa. Il nome Zelten risale al nome tedesco 'selten' che vuol dire 'a volte' inteso a sottolineare l'eccezionalità della preparazione che avviene solo a Natale. FRIULI VENEZIA GIULIA - GUBANA E' un tipico dolce delle valli del Natisone e di Cividale del Friuli (Udine), che si prepara in periodi di grande festa (Natale, Pasqua), a base di pasta dolce lievitata, con un ripieno di noci, uvetta, pinoli, zucchero, grappa, scorza grattugiata di limone, dalla forma a chiocciola, del diametro di circa 20 cm, cotto al forno. Il dolce è noto fin dal 1409 quando fu servita in un banchetto preparato in occasione della visita di papa Gregorio XII a Cividale del Friuli, come testimoniato dallo stesso papa veneziano LIGURIA - PANDOLCE In dialetto pandöçe o pan döçe, è uno dei dolci tradizionali liguri. Come il panettone milanese anche il pandolce è particolarmente legato alle festività natalizie. Può essere basso o alto a seconda del tempo di lievitazione ma in entrambi i casi l'impasto è arricchito da pinoli, uvetta e frutta candita. In passato era molto apprezzato dai marinai liguri per la sua lunga conservazione. Infatti se ben preparato e tenuto in una busta di cellophane dopo l'apertura può conservare la fragranza anche per due settimane EMILIA ROMAGNA - PAMPEPATO DI FERRARA A forma di zuccotto è impreziosito da mandorle o nocciole finissime, da gustosi canditi, è insaporito con spezie profumate; la calotta è ricoperta infine di cioccolato fondente. Così il ricco dolce diventa il Pan del Papa. Facile comprendere a chi era dedicata questa meraviglia! Una lingua antica, poetica e perduta lo trasforma in Pampapato e Pampepato. Da secoli i due nomi convivono e la sostanza non cambia. E' il dolce del Natale, delle feste, è il dolce che meglio rappresenta la ricchezza e la raffinatezza di Ferrara. E' il dolce che con il suo gusto intenso e il suo profumo delizioso richiama la tradizione di un territorio dai tanti racconti e sapori. Recentemente ha ottenuto anche la indicazione di origine protetta (IGP) ed è tutelato da un Consorzio che attribuisce il bollino europeo solo a chi rispetta il disciplinare di produzione TOSCANA - PANFORTE E' un dolce di forma circolare, basso e compatto. Può essere di colore bianco o nero a seconda che si cosparga esternamente di zucchero vanigliato o di cacao. Presenta una superficie rugosa, nella parte inferiore appoggia su un'ostia sottile. Ha un sapore forte di spezie e di frutta candita, è piuttosto consistente e si presenta leggermente gommoso al palato. Viene preparato in diverse pezzature. Prodotto tipico della provincia di Siena, la sua tradizione si è allargata col tempo al grossetano: a Massa Marittima la sua produzione accompagna tutte le festività. UMBRIA - PAMPEPATO Tipico di Terni, il Panpepato è un dolce dalle origini antichissime. Questa specialità dalla forma rotonda è a base di noci, nocciole, mandorle, cannella, noce moscata, cioccolato, miele e uvetta. Un vero e proprio concentrato di energia che lo rende, infatti, un dolce molto apprezzato durante il periodo natalizio. Ogni famiglia utilizza una versione rivista della ricetta tradizionale ed è anche per questo che è considerato un dolce popolare MARCHE - PANETTONE ALLE VISCIOLE Da antiche ricette di metà 800, arriva il panettone con le visciole ossia ciliegie selvatiche. Questo prodotto ha nella semplicità il suo punto di forza. Un panettone in cui si avverte l'aroma del panettone fatto in casa. Lievito madre, una lenta e graduale lievitazione, che giunge naturalmente a compimento nell'arco di trentasei ore e ingredienti selezionati di alta qualità, rendono questo prodotto delicato e armonico. Sapore vellutato e setoso, dove si armonizza perfettamente e senza eccessi la presenza delle visciole, che stemperano il dolce e arrotondano il gusto, stimolando il palato con inaspettate combinazioni di sapori e profumi. LAZIO -PANGIALLO Meglio noto come pangiallo romano è un dolce che ha la sua origine nell'antica Roma e più precisamente durante l'era imperiale. Era, infatti, un'usanza di quei tempi distribuire questi dolci dorati, durante la festa del solstizio d'inverno, in modo da favorire il ritorno del sole. Il tipico pangiallo romano, ha subito numerose trasformazioni durante i secoli a causa dell'espansione dei confini territoriali e dell'incremento nella comunicazione tra le varie regioni italiane.Tradizionalmente il pangiallo veniva ottenuto tramite l'impasto di frutta secca, miele e cedro candito, il quale veniva in seguito sottoposto a cottura e ricoperto da uno strato di pastella d'uovo.Fino a tempi molto recenti nella preparazione del pangiallo le massaie romane mettevano i noccioli della frutta estiva (prugne e albicocche) opportunamente essiccati e conservati, in luogo delle costose mandorle e nocciole ABRUZZO - PARROZZO E' un tipico dolce abruzzese di Pescara, associato alle tradizioni gastronomiche del Natale. Luigi D'Amico, titolare di un laboratorio di pasticceria a Pescara, ebbe l'idea di fare un dolce dalle sembianze di un pane rustico anche detto pane rozzo (da cui è derivato il nome "Pan rozzo"), che era una pagnotta semisferica che veniva preparata dai contadini con il granoturco e destinata ad essere conservata per molti giorni. D'Amico fu ispirato dalle forme e dai colori di questo pane e riprodusse il giallo del granoturco con quello delle uova, alle quali aggiunse la farina di mandorle; invece, lo scuro colore dato dalla bruciatura della crosta del pane cotto nel forno a legna fu sostituito con la copertura di cioccolato. La prima persona alla quale Luigi D'Amico fece assaggiare il parrozzo fu Gabriele d'Annunzio, che, estasiato dal nuovo dolce, scrisse un madrigale "La Canzone del parrozzo" CAMPANIA - ROCCOCO' E SUSAMIELLI Dolci di Natale a forma di ciambella, adatti a chi ha denti buoni, sono un mix a base di mandorle, farina, zucchero, canditi e spezie varie. La loro origine pare risalga al 1320, per mano delle monache del Real Convento del Real Convento della Maddalena, mentre il nome deriva dal francese "rocaille", elemento decorativo a forma di roccia o conchiglia. Anche i susamielli fanno parte dei dolci della tradizione natalizia campana; diffusissimi in tutta la regione, sono dei biscotti duri di forma rotonda o a esse, che, preparati in casa, venivano serviti al mattino del giorno di Natale insieme ai raffioli, ai mustaccioli ed ai roccocò. La ricetta dei susamielli dice che dopo aver impastato farina, miele, noci tritate ed ammoniaca la pasta va stesa e si lavorano i biscotti per farli diventare della forma desiderata prima di infornarli. Una curiosità intorno al susamiello è che BASILICATA - CALZONCELLI Tipico delle tavole natalizie lucane è il calzoncello, dolce fritto con all'interno un cuore di castagne, raccolte nei boschi lucani, e cioccolato. Vi sono varianti legate all'utilizzo dei ceci al posto delle castagne nell'impasto o alla unicità del "Calzoncello di Melfi" che prevede la cottura al forno: ogni famiglia lucana apporta piccole variazioni alla ricetta a seconda della "propria" tradizione. PUGLIA CARTELLATE AL VINCOTTO Sono dei tipici dolci originari della Puglia. l nome potrebbe derivare da carta, incartellate, cioè sinonimo di incartocciate, secondo la loro tipica forma arabesca. Le cartellate al vincotto, carteddàte in dialetto, sono un tipico dolce pugliese che si prepara per Natale: una ricetta della tradizione che trionfa su tutte le tavole della regione. Un impasto semplice a base di olio, vino bianco e farina a cui dare la forma di rosette: basterà poi friggerle e passarle nel vincotto, prima di servirle. Si tratta di dolcetti firabili e croccanti dalle origini molto antiche: nella tradizione popolare le cartellate simboleggiano le lenzuola di Gesù Bambino. Ipotesi storiche, invece, parlano di dolci che arrivano dall'antico Egitto, dove venivano preparate per i faraoni. Tradizione vuole che le donne di diverse famiglie si incontrino per preparare insieme i dolci delle feste natalizie, mescolando così le varie ricette tradizionali e i segreti che le rendono uniche. Solitamente le cartellate si gustano intrise nel vin cotto, ottenuto dalla uve pugliesi Malvasia e Negramaro, o dai fichi. MOLISE CIPPILLATI DI TRIVENTO - Biscotto di pasta frolla ripieno di marmellata di amarene. La sua caratteristica forma a mezzaluna richiama il copricapo della Dea Diana, cui è dedicata la bellissima Cripta. CALABRIA PITTA MPIGLIATA - Anche conosciuta come pitta "nchiusa" è un dolce tipico calabrese, originario di San Giovanni in Fiore ma molto diffuso in tutta la provincia di Cosenza. È un dolce preparato in tutti i periodi di festa. Il nome pitta mpigliata deriva dall'ebraico e dall'arabo pita, che significa schiacciata. Il periodo al quale si fa riferimento della nascita della pitta mpigliata è il 1700. Il dolce veniva preparato soprattutto per le cerimonie nuziali, come riferisce un documento notarile di San Giovanni in Fiore, risalente al 1728. Esistono alcune varianti della pitta mpigliata per quanto riguarda gl'ingredienti, in ogni caso il dolce mantiene sempre la sua forma tipica Vi sono comunque oltre alla forma a pitta, quella a rosellina (o rosetta). SICILIA BUCCELLATI Sono i dolci di natale siciliani per eccellenza, quelli della tradizione! sono dei dolci a base di pasta frolla con un ripieno ricco a base di fichi secchi. Ne esistono di vario tipo, forma e ripieno a seconda delle varie parti della Sicilia. Esiste il buccellato intero dalla forma circolare e quelli più piccoli dalla forma allungata. Vi sono quelli semplici con un po' di zucchero a velo e quelli decorati con glassa e zuccherini colorati. E anche riguardo al ripieno, vi sono quelli ripieni di fichi secchi ma anche i buccellati con ripieno di mandorle, marmellata e cioccolato. SARDEGNA PABASSINAS - Il dolce natalizio della Sardegna per eccellenza chiamati anche papassini, pabassinos, papassinos: sono come dei grossi biscotti preparati con un impasto di pasta frolla, uva passa, mandorle, noci, scorza di limone grattugiata, miele. Altre varianti prevedono l'aggiunta di vaniglia o cannella.
Leggi Tutto »Alzheimer, scoperta molecola che blocca la malattia
Un anticorpo potrebbe bloccare la malattia di Alzheimer nella fase iniziale, facendo in modo che le cellule staminali del cervello riprendano a produrre neuroni in modo quasi normale. E' questo il frutto di una ricerca messa a punto in laboratorio dai ricercatori della Fondazione Ebri (European Brain Research Institute) 'Rita Levi-Montalcini', con uno studio effettuato su topi. La ricerca, interamente italiana, e' coordinata da Antonino Cattaneo, Giovanni Meli e Raffaella Scardigli, presso la Fondazione Ebri, in collaborazione con il Cnr, la Scuola Normale Superiore e il Dipartimento di Biologia dell'Universita' di Roma Tre, ed e' stata pubblicata sulla rivista Cell Death and Differentiation. La scoperta e' molto importante ed apre a nuove possibilita' di diagnosi e cura di questa malattia". In pratica, i ricercatori hanno scoperto che la nascita di nuovi neuroni nel cervello adulto (neurogenesi) si riduce in una fase molto precoce dell'Alzheimer e tale alterazione e' causata dall'accumulo nelle cellule staminali del cervello di sostanze tossiche chiamate A-beta oligomeri. Il passo avanti sta nel fatto che il team e' riuscito a neutralizzare gli A-beta oligomeri nel cervello di topi malati di Alzheimer, introducendo appunto l'anticorpo A13 all'interno delle cellule staminali del cervello e riattivando cosi' la nascita di nuovi neuroni ringiovanendo il cervello stesso. Dunque, i topi cosi' trattati hanno ripreso a produrre neuroni ad un livello quasi normale. Oggi, spiegano i ricercatori, "il problema e' che per l'Alzheimer non ci sono terapie risolutive e si interviene troppo tardi, quando cioe' i neuroni sono gia' devastati: abbiamo invece dimostrato, su modelli animali, che introducendo questi anticorpi innovativi nelle cellule staminali del cervello, si elimina la proteina tossica che causa la malattia. Cosi' le staminali riprendono a produrre i neuroni in modo normale e la conseguenza e' che l'Alzheimer si blocca quando e' ancora ad uno stadio precoce". L'importanza di questa ricerca e' dunque duplice: "da un lato - chiariscono - dimostriamo che la diminuzione di neurogenesi anticipa i segni patologici tipici dell'Alzheimer, e potrebbe quindi contribuire ad individuare tempestivamente l'insorgenza della malattia in una fase molto precoce; dall'altro, abbiamo anche osservato in vivo, nel cervello del topo, l'efficacia del nostro anticorpo nel neutralizzare gli A-beta oligomeri, alla base dello sviluppo della malattia". Ai fini della diagnosi precoce, quindi, "riuscire a monitorare la neurogenesi nella popolazione adulta offrira' in futuro un potenziale strumento diagnostico per segnalare l'insorgenza dell'Alzheimer in uno stadio ancora molto precoce, cioe' quando la malattia e' ancora senza sintomi". Sul fronte delle cure, invece, sottolineano i ricercatori, "il futuro utilizzo dell'anticorpo A13 permettera' di neutralizzare gli A-beta oligomeri dentro i neuroni, bloccando cosi' la malattia ai suoi inizi". La cautela e' pero' d'obbligo ed "il prossimo passo - concludono - sara' innanzitutto verificare se il blocco della malattia nei modelli animali perdurera' per almeno un anno, per poter parlare di guarigione".
Leggi Tutto »Olio all’asta: gli studenti di Città Sant’Angelo vendono per beneficenza l’olio che hanno prodotto.
Venderanno all’asta l’olio che hanno prodotto, per imparare come coniugare le leggi del mercato con la beneficenza: gli studenti della Scuola Secondaria di I grado “Nicola Giansante” dell’Istituto Omnicomprensivo di Città Sant’Angelo danno appuntamento domani, martedì 26 novembre, nella sala consigliare del Comune di Città Sant’Angelo dalle ore 15:30 alle ore 17:00, per battere il martelletto. Si tratta dell’ultimo atto di due progetti che li hanno visti coinvolti nelle scorse settimane: “I soldi non piovono dal cielo”, portato avanti in collaborazione con la Banca d’Italia di Pescara per l’educazione finanziaria e “Il nostro olio” che ha impegnato i giovani studenti nella raccolta delle olive in collaborazione con il Comune di Città Sant’Angelo e l’Oleificio D’Agostino Maria. Il ricavato della vendita delle bottiglie di olio sarà devoluto alla Casa Famiglia “Terra Promessa” di Città Sant’Angelo e alla Casa di accoglienze Madri e Profughi di Lampedusa. Si tratta di percorsi di apprendimento significativo: gli studenti sono stimolati, attraverso l’esperienza, a comprendere che tra i fattori produttivi non vi sono solo la disponibilità di forza lavoro, di materie prime e di capitale finanziario, ma anche di capitale sociale. Vale a dire: un tessuto di relazioni che crea una comunità operosa, cooperante, che si identifica con le sorti dell’impresa e ne condivide il bene. Si tratta di un ritorno al territorio e alla società, che trasforma in beni i prodotti del territorio e che alla comunità restituisce valore. Un modello che viene da lontano: il riferimento culturale va ad Adriano Olivetti e alla sua “fabbrica comunità”, fabbrica come bene comune.
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Difficile conciliare famiglia e lavoro per più di 1 occupato su 3
La conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di vita familiare risulta difficoltosa per più di un terzo degli occupati (35,1%) con responsabilità di cura nei confronti di figli. E' quanto emerge da un report dell'Istat. Quasi la stessa proporzione di padri e madri di bambini sotto i 15 anni ha dichiarato che c'è almeno un aspetto nell'attuale lavoro che rende difficile conciliare la vita familiare e quella professionale (34,6% e 35,9%, rispettivamente), in particolare quando i figli sono più di uno (36,8% dei genitori) o in età prescolare (37,8%). Lamentano maggiori difficoltà i lavoratori indipendenti (39,4%), chi svolge professioni qualificate (39%), gli addetti al commercio e servizi (39,2%). Tra i genitori occupati in professioni impiegatizie e non qualificate tale quota è del 25%. Il regime orario è un fattore rilevante per la conciliazione dei tempi. I genitori che lavorano full-time hanno più difficoltà rispetto a quelli in part-time (37,6% contro 24,6%), in particolare le madri: il 43,3% delle madri a tempo pieno contro il 24,9% di quelle in part-time. Proprio l'orario di lavoro lungo è indicato come l'ostacolo maggiore da più di un quarto dei genitori che lamentano almeno un problema di conciliazione, quota che raggiunge il 43,2% tra chi in generale ha difficoltà e svolge un lavoro indipendente mentre scende al 20,3% tra i dipendenti. Per i lavoratori indipendenti ulteriori difficoltà derivano da un lavoro troppo impegnativo o faticoso o con programmazione complessa o imprevedibile (circa il 20% tra chi lamenta difficoltà in entrambi i casi); i lavoratori dipendenti, invece, riportano che la conciliazione è resa complicata dal lavoro a turni, in orari pomeridiani e serali o nel fine settimana (19,5%) e dal troppo tempo necessario per raggiungere il posto di lavoro (18,1%). Le difficoltà di conciliazione si fanno più evidenti in presenza di bambini molto piccoli, tra 0 e 5 anni. In particolare, tra le donne con bambini in età prescolare (quasi un milione e 300 mila) la quota di quelle che incontrano ostacoli supera il 39%, arrivando al 46,7% tra quelle che lavorano a tempo pieno. Le madri che lavorano part-time hanno problemi di conciliazione in misura minore (27,5% dei casi). Stessa situazione per i padri, ma con percentuali inferiori: fra loro dichiara di avere un problema di conciliazione il 37%, la quota scende al 25,4% tra quelli in part-time. Ha almeno un problema di conciliazione quasi il 42% di coloro che devono prendersi contemporaneamente cura di figli minori di 15 anni e di familiari non autosufficienti, e il 34,4% di coloro che hanno solo responsabilità di cura verso familiari disabili, malati o anziani.
Leggi Tutto »La spesa assistenziale tocca il livello record di 118 miliardi
La spesa assistenziale continua a correre toccando nel 2018 il livello record di 118 miliardi, il 58,9% in piu' dell'importo speso nel 2008, anno di inizio della crisi economica. L'allarme arriva dal Centro di ricerca "Itinerari previdenziali" guidato da Alberto Brambilla che oggi al Cnel ha ricordato come la spesa assistenziale a carico della fiscalita' generale sia aumentata in media annua del 5,3% mentre la spesa previdenziale pura e' cresciuta in media dello 0,7% ogni anno nell'ultimo quinquennio. I richiami dell'Unione europea, dell'Ocse e del Fondo monetario sui conti pubblici - ha spiegato Brambilla - "se si possono considerare comprensibili nel caso di una spesa assistenziale fuori controllo (116 miliardi nel 2018 a fronte dei 73 spesi nel 2008) e di un eccessivo debito pubblico (nel 2018, gli interessi sul debito sono costati 62,5 miliardi) non sono invece giustificabili nel caso della spesa pensionistica "pura" che, al netto dei trasferimenti di natura assistenziale, ha fatto segnare nell'ultimo quinquennio un incremento annuale dello 0,7%, uno dei piu' bassi dalla meta' degli anni Novanta in poi". Intanto la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo ha ribadito che sono "esclusi del tutto" ritocchi in manovra alla misura Quota 100 e ha chiesto che eventuali risorse aggiuntive in manovra vadano alla rivalutazione delle pensioni. In pratica mentre negli ultimi anni c'e' stata una stretta sulla previdenza (con regole piu' rigide per l'accesso alla pensione), ad esclusione dell'intervento sulla cosiddetta Quota 100, sull'assistenza non c'e' stata la stessa rigidita' (anche per le difficolta' nelle quali si sono trovate molte famiglie a causa della crisi). Ci sono pero' anche segnali positivi: dalla meta' del 2014 fino alla prima parte del 2018, l'Italia "ha vissuto una fase di crescita positiva evidenziata sia da buoni dati sul fronte dell'occupazione, che ha toccato uno dei tassi piu' elevati di sempre (il 58,7%, con circa 23,223 milioni di occupati tra i 15 e i 64 anni), sia da segnali positivi per quanto riguarda la tenuta del sistema pensionistico. Nel 2018 il rapporto occupati/pensionati si e' infatti attestato intorno all'1,45, valore piu' alto degli ultimi 22 anni e molto prossimo a quell'1,5 occupati individuabile come traguardo cui tendere per la stabilita' di medio-lungo termine del sistema". Brambilla ricorda che in sede europea e' presentato un valore che, ricomprendendo anche voci di spesa non strettamente correlate alle pensioni, "finisce con l'aggravare di molto il giudizio, e la pressione nei confronti del sistema pensionistico italiano". Ci vorrebbe - sottolinea - una riclassificazione della spesa previdenziale al netto dell'assistenza" e la messa a punto di un'anagrafe dell'assistenza per razionalizzare l'erogazione di tutte le prestazioni anche se "sarebbe comunque sbagliato . far cadere tutta la responsabilita' dei richiami sulla sola presentazione dei dati". "Molti degli ultimi governi - conclude - hanno alimentato eccessivamente quel capitolo di spesa, sia per imperizia sia per convenienza elettorale".
Leggi Tutto »Sonno, bisogna dormire 7-8 ore al giorno
Ogni notte bisognerebbe dormire dalle 7 alle 8 ore. Come minimo. Se dormiamo di meno è facile sentirne gli effetti sulla giornata seguente: stanchezza, irritabilità, malumore, difficoltà di concentrazione, aumento della fame. Ma per recuperare il sonno perso, può essere utile il pisolino pomeridiano? Il sonnellino "può anche essere efficace, soprattutto nel pomeriggio. E' bene però che non sia un'abitudine, ma che ce lo si conceda nel momento del bisogno". Lo raccomanda Lara Fratticci, neurologa in Humanitas, analizzando gli effetti della mancanza di sonno sulla newsletter 'Humanits Salute'. "Per essere davvero ristoratore, il pisolino deve durare da mezz'ora a massimo un'ora, in modo da raggiungere la fase Rem e permettere così il recupero delle energie". Occorre distinguere "tra chi è in temporaneo debito di sonno, perché magari ha passato una notte sveglio o ha dormito poco o male, e chi invece vive una deprivazione di sonno cronica - sottolinea la specialista - A questo proposito, uno studio del Medical Center di Boston, condotto da Daniel Cohen, ha paragonato alcuni soggetti svegli per 24 ore di seguito ad altri che per tre settimane avevano dormito circa cinque ore a notte, e dunque poco. Coloro che erano svegli da 24 ore hanno recuperato con una dormita di dieci ore, per gli altri invece il recupero è stato molto più difficile. Ne consegue che più il debito di sonno è cronico, tanto più il recupero è arduo".
"Il riposo notturno - aggiunge Fratticci - dovrebbe durare 7-8 ore. Dormire di meno, ma anche dormire di più, ha delle ripercussioni negative sul benessere e sulla salute", sottolinea. Non solo: riposare bene aiuta la memoria, la concentrazione e l'attenzione. Riducendo anche il colesterolo e il rischio di patologie cerebrovascolari, e aiutando a mangiare correttamente, contrastando il sovrappeso. La leptina (piccolo ormone proteico) infatti segue il ritmo circadiano e aumenta nel corso della notte, conferendo un senso di sazietà ed evitando che insorgano attacchi di fame notturni. Ecco perché dormire bene contrasta il diabete, mentre dormire poco, ricordano dall'Humanitas, aumenta l'ormone dello stress, il colesterolo e gli zuccheri e facilita lo sviluppo di insulino-resistenza.
Leggi Tutto »Alberta Campitelli, quando la storia è Bellezza
Competente, elegante, energica, attenta ai dettagli che danno luce e vita ad una opera d’arte, ad uno stile architettonico. Alberta Campitelli è la signora delle profondità
della storia, di quelle energie creative che prendono poi forma e luce in gioielli architettonici, palazzi, giardini, in sculture, quadri, palazzi, oggetti dal volere inestimabili. Lei studia, indaga , veglia recupera i tesori Nazionali, quindi su un patrimonio vastissimo fiore all’occhiello dell’Italia nel mondo. Grazie alla sua esperienza, lo studio, la dedizione è stata nei giorni scorsi nominata dal Ministero dell’Istruzione, la Presidente dell’”Accademia delle belle arti di Roma”. Un titolo che é un punto di onore per una vita trascorsa in sintonia con le cose eleganti, perché ha saputo mettere in campo tutte le sue risorse intellettuali e d’intuito femminile nel come preservare in favore di tutti i cittadini le straordinarie e fragili bellezze di Ville, Palazzi, Dimore, Giardini di geometrie divine.
Alberta Campitelli, oggi ha un volto luminoso, il tempo ha reso più vivi i lineamenti di una donna che è entrata in sintonia con le cose che ha studiato, un sorriso delicato, sulle labbra un filo di rossetto rosa, indossa una giacca di colore fucsia, e una elegantissima maglia a collo alto. Gli orecchini sono due ricercatissime perle che giocano di rimando di luce, con una collana che alterna perle e oro.
Alberta è nata a Lanciano, l’antica Frentania d’Abruzzo, un luogo mitico, carico di vicende e leggende, storiche, religiose, e da questa terra ha preso un coriaceo spirito di iniziativa. Nel suo ricordo di bimba, non fa mistero di come il sodalizio con lo studio e l’impegno siano presenti in lei fin dalla prima adolescenza. ”Ho sempre dedicato allo studio una grande parte del mio tempo”, racconta, “a sei anni già sapevo leggere e scrivere ho frequentato il liceo a Lanciano. I miei genitori scelsero una scuola pubblica, ed oggi mi sento di consigliare, a chi me lo chiede, le scuole pubbliche". Poi il grande salto nella capitale mondiale dell’arte, del bello, del Rinascimento, una gioventù a Firenze dove ha affinato gli studi di specializzazione in storia dell' arte, poi terminata l’università Fiorentina eccola a Roma a seguire architettura e paleografia.
La presidente Campitelli nella sua carriera ha inanellato decine di ricerche, studi, scritto libri, partecipato e promosso convegni internazionali. La sua cultura ha ottenuto negli studi di Storia dell’arte e dei Giardini, i più importanti riconoscenti di Stato
“Nel 2013”, racconta, “ho ricevuto dalla Repubblica Francese l’onorificenza di Chevalier des Arts et des Lettres per la collaborazione culturale tra Italia e Francia".
È stata per 30 anni direttrice dei Musei e Ville storiche del Comune di Roma. Ha progettato e diretto, importanti interventi di restauro e di ripristino di giardini ed edifici nelle ville Borghese e Torlonia, solo per citarne alcuni lavori. C’è un aspetto di Alberta Campitelli che è particolarmente interessante, la sua vitalità e la franchezza delle sue riflessioni.
"Credo nella qualità della scuola pubblica”, rivela, “essere insegnante e stare con i ragazzi è qualcosa di meraviglioso". La sua caratura professionale è nota, e non fa mistero dei riconoscenti che le sono stati tributati. “Ritengo di essere stata nominata per competenza e tecnica, per questo dico sempre ai giovani di aver fiducia nelle proprie capacità e dare il giusto tempo allo studio". Il suo talento sarà ancora una volta dedicato a dar vita a progetti di rilievo internazionale. Ci promette, infine, un nuovo incontro, e ci lascia con questa idea, che siano certi realizzerà con la passione e l’impegno di sempre.
“Faremo”, annuncia Alberta Campitelli nel suo nuovo ruolo di presidente dell’Accademia delle belle arti di Roma, “progetti importanti che vedranno storia, bellezza e turismo fondersi”. Allora a presto e buon lavoro.