Le storie

Italiani sempre piu’ mobile-dipendenti

Sempre piu' mobile-dipendenti ma sempre meno 'fedeli' nella scelta dell'operatore telefonico. E' questo il rapporto tra italiani e smartphone fotografato dal Sondaggio condotto dall'ufficio studi di Coop sulla comunicazione mobile.

Quanto all'operatore, sebbene il 57% degli intervistati assegni una valutazione positiva al proprio service provider, un italiano su 3 pensa di cambiarlo (il dato e' piu' alto per i big player e piu' basso invece per i piccoli operatori).

A fare la differenza e' in primo luogo il prezzo, ma incidono anche la voglia di sperimentare nuovi servizi e le difficolta' di copertura di rete. Tra i motivi delle valutazioni negative soprattutto i servizi di assistenza clienti, con un italiano su 5 assegna un'insufficienza al sistema di call center del proprio operatore.

Ogni giorno, rileva l'indagine, trascorriamo in media 5 ore usando il nostro telefono cellulare, gli uomini mezz'ora in piu' rispetto alle donne, 6 ore i 18-35enni (contro le 3 dei 56-65enni), mentre la maggior parte degli italiani e' convinta che in futuro usera' lo smartphone ancora di piu'. "La comunicazione - prevede Albino Russo, direttore generale Ancc-Coop e responsabile dell'ufficio studi - sara' sempre piu' sincopata e asincrona. Crescera' l'utilizzo delle chiamate vocali, ma ancora di piu' l'utilizzo di messaggi, di testo cosi' come audio e video. Gli italiani immaginano un telefono che tra dieci anni potrebbe essere piu' grande, leggero e flessibile, sempre onnipresente nelle nostre vite, anche se a tanta persistenza corrispondono usi diversi". Con 22 chiamate nelle ultime 24 ore e tra 100 e 200 altre interazioni di testo audio e video con altre persone, l'11% degli italiani sono veri e propri 'smart-holic'. All'opposto piu' di un italiano su quattro (i cosiddetti 'flight mode') ha un rapporto distaccato con il telefono. In mezzo i 'Mama's & Lovers (23%) concentrano un numero di poco piu' basso di chiamate (17%) e un numero uguale di interazioni in relazioni personali e familiari molto intense.

I 'silent mode' (13%) sono invece quegli italiani che pur utilizzando abbastanza il telefono hanno una limitata comunicazione vocale, preferendo le altre interazioni non vocali. Completano il quadro i 'Well balance', ossia le persone che hanno una 'dieta equilibrata' di interazioni mobile. Secondo il survey, un italiano su 4 dichiara di essere stato vittima di stalking telefonico (27%) almeno una volta. Per gli under 35 il cellulare ha una vita media di 2 anni e 3 mesi, mentre per i 55-65enni di 3 anni.

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I dolci di Natale, regione per regione

 In quasi la metà delle famiglie italiane (48%) c'è chi prepara in casa i dolci tipici del Natale nel rispetto delle tradizioni locali. E' quanto emerge dall'indagine Coldiretti/Ixe' che evidenzia un importante ritorno al fai da te, messo in mostra al Villaggio contadino a Matera dove è stato organizzato il primo appuntamento nazionale dedicato al Natale a tavola, la tradizione più radicata nella cultura degli italiani, con la prima esposizione dei dolci tipici provenienti da tutte le regioni realizzati dal vivo dagli agrichef, i cuochi contadini. La preparazione casalinga dei piatti tradizionali delle feste è infatti - sostiene la Coldiretti in una nota - una attività tornata ad essere gratificante per uomini e donne e all'interno delle mura domestiche si svolge il rito della preparazione di specialità alimentari caratteristiche del Natale destinate spesso a rimanere solo un piacevole ricordo per tutto il restante periodo dell'anno. Si tratta spesso di dolci - ricorda Coldiretti - le cui ricette sono tramandate da generazioni e rappresentano un vero e proprio patrimonio culturale del Paese. Accade così che, assieme agli immancabili panettone ed il pandoro sulle tavole sono tornate anche le specialità casalinghe della tradizione contadina. Da Nord a sud del Bel Paese - sottolinea la Coldiretti -le specialità sono moltissime e tutte fortemente legate al territorio, in Basilicata non possono mancare i calzoncelli di pasta fritta con ripieno di mandorle e zucchero oppure castagne e cioccolato, in Calabria si consuma la pitta "mpigliata" con la sua caratteristica forma a rosellina (o rosetta). In Campania è il tempo di roccocò e susamielli, mentre in Puglia troviamo le cartellate baresi, nastri di una sottile sfoglia di pasta, unita e avvolta su sé stessa sino a formare una sorta di "rosa" impregnata di vincotto tiepido o di miele, e poi ricoperte di cannella, zucchero a velo oppure mandorle. Al nord - continua la Coldiretti - in Friuli torna la gubana, una pasta dolce lievitata, con un ripieno di noci, uvetta, pinoli, zucchero, grappa, scorza grattugiata di limone, dalla caratteristica forma a chiocciola, in Emilia Romagna la spongata ripiena di miele, uva passa, noci, pinoli, cedro, in Liguria del pandolce (impasto di farina, uvetta, zucca candita a pezzetti essenza di fiori d'arancio, pinoli, pistacchi, semi di finocchio, latte e marsala ) e in Lombardia, dove troviamo il Panun de Natal, un dolce ricco di frutta secca e molto profumato fatto con il grano saraceno e che può avere la forma di un filoncino leggermente appiattito o più raramente di una pagnotta rotonda, rigonfia al centro. Non mancano specialità infine - continua la Coldiretti - nelle isole come in Sicilia con i buccellati di Enna (dolci tipici ripieni di fichi secchi).

Ma per chi non ha tempo di dedicarsi al fai da te casalingo e vuole comunque stupire i commensali - continua Coldiretti - arrivano i primi agripanettoni 100% italiani, come quelli con grano anico o di mais corvino fatti in Lombardia o il panettone con grano 100% nazionale, frutto della collaborazione tra Sis, Società Italiana Sementi di Bologna, mulino Pivetti di Cento (Ferrara), Coprob (cooperativa produttori bieticolo-saccariferi) e la cooperativa Deco Industrie di Bagnacavallo (Ravenna). Per produrlo - continua Coldiretti - è stato utilizzato grano tenero della varietà "Giorgione", da cui si ottiene una farina al top della qualità per la trasformazione in prodotti da forno. Selezionato, coltivato, raccolto e macinato in Italia, il Giorgione - commenta Coldiretti - è un grano tenero frutto della ricerca di Sis, ottenuto con incroci naturali e senza impiego di organismi transgenici, ma valorizzando il meglio della tradizione produttiva del grano nel nostro Paese. Oltre all'ingrediente base, la farina, il panettone 100% italiano - conclude Coldiretti - utilizza burro, zucchero, uova, lievito madre e scorze di arance candite, tutti di produttori nazionali.

Regione per regione, i dolci tradizionali

VALLE D'AOSTA - FLANTZE Pane lavorato con zucchero e arricchito da uvetta, mandorle, noci e scorza d'arancia candita. Veniva preparato nei paesi durante la panificazione (che avveniva una o poche volte l'anno e di solito era caratterizzata dalla produzione del pane nero cotto nei forni comuni dei villaggi) a partire dallo stesso impasto di base del pane, come regalo per i bambini che partecipavano al procedimento collettivo e tradizionale. Oggi viene preparato dai panifici con lavorazione artigianale. Tradizionalmente di forma rotonda, può essere confezionato anche a forma di animale per i bambini. Gli ingredienti di base sono la farina integrale, di solito di segale o di frumento, la frutta secca e un po' di burro. PIEMONTE - CRUMBOT Il dolce è legato alla tradizione povera del Natale e rappresenta il Bambino Gesù. Una leggenda narra che durante la fuga in Egitto Gesù fu nascosto in una cesta che conteneva della pasta madre per il pane che miracolosamente lievitò avvolgendo il Bambino per nasconderlo. Il 'Bambino di Natale' è una pasta frolla della tradizione in cui gli ingredienti semplici danno spazio al massimo sapore della farina del grano San Pastore: uova, burro, zucchero e un pizzico di lievito uniti a questa farina vengono poi impreziositi ed esaltati dai canditi di arance e ciliegia e dalle gocce di cioccolato. Il Bambino riprende e riattualizza la tradizione della Busela, la bambolina di pastafrolla che veniva sagomata o disegnata durante il periodo natalizio nelle famiglie contadine VENETO - LA PINZA E' un dolce contadino e ai tempi nostri può essere definito un piatto del riciclo. Si può fare con in pane raffermo o la polenta avanzata, mescolando uvetta, semi di finocchio, fichi secchi. Veniva servito alla fine delle festività proprio perché è inteso come torta antispreco, realizzata con ciò che non veniva consumato a tavola LOMBARDIA - MIASCIA - Nasce come dolce povero e dei poveri, per riutilizzare il pane secco ammollato nel latte e impastato con uova, frutta (al posto del prezioso e ben più costoso zucchero) e frutta a guscio. In assenza del pane, trovava impiego anche un impasto di semplice farina, bianca e gialla. Ancora oggi è un dolce di casa nel comasco. Col passare del tempo, tramandato di cucina in cucina dal Lario alla Brianza, si è arricchito di varianti: nuovi ingredienti quali scorze di agrumi, polvere di cacao, fichi secchi, ma anche liquore e amaretti, fino ad arrivare all'aggiunta di erbe aromatiche. Numerose sono infatti le versioni in cui la si può apprezzare sul territorio: la miascia di Bellagio con farina di castagne, la miascia di Colico con la farina bramata e quella di Ossuccio con farina bianca e bramata, fino in Valsassina, dove è previsto anche l'impiego di foglie di menta (o erba di San Pietro). La miascia è un dolce tipicamente preparato nelle case dei comaschi nei giorni di festa, e in particolare a Natale (come se fosse una sorta di "panettone" del Lario). Essendo un dolce povero e di semplice fattura, veniva riproposto più in generale anche nelle occasioni delle feste paesane, cuocendolo in forni comunitari TRENTINO ALTO ADIGE - ZELTEN E' un pane dolce a base di frutta secca e canditi. Farina, uova, burro, zucchero e lievito sono la base comune di un dolce che conosce naturalmente un gran numero di varianti; da zona a zona, da valle a valle, da famiglia a famiglia la ricetta cambia e si arricchisce di ingredienti particolari, di segreti, di personali regole di preparazione. Possiamo comunque distinguere, un po' sommariamente, due varianti: quella trentina, che contiene più pasta e meno frutta e quella del Sud-Tirolo e Bolzano, caratterizzata da un maggiore uso della frutta. Noci, fichi secchi, pinoli e mandorle sono comunque usate in tutte le diverse preparazioni. Le case si riempiono i profumi inebrianti di cannella, di fichi secchi, il periodo dell'Avvento è il momento di dolci leccornie. La tradizione della cucina povera, che caratterizza molte regioni italiane ha prodotto una serie di dolci preparati nel periodo natalizio che erano sostanzialmente versioni arricchite del pane fatto in casa. Il nome Zelten risale al nome tedesco 'selten' che vuol dire 'a volte' inteso a sottolineare l'eccezionalità della preparazione che avviene solo a Natale. FRIULI VENEZIA GIULIA - GUBANA E' un tipico dolce delle valli del Natisone e di Cividale del Friuli (Udine), che si prepara in periodi di grande festa (Natale, Pasqua), a base di pasta dolce lievitata, con un ripieno di noci, uvetta, pinoli, zucchero, grappa, scorza grattugiata di limone, dalla forma a chiocciola, del diametro di circa 20 cm, cotto al forno. Il dolce è noto fin dal 1409 quando fu servita in un banchetto preparato in occasione della visita di papa Gregorio XII a Cividale del Friuli, come testimoniato dallo stesso papa veneziano LIGURIA - PANDOLCE In dialetto pandöçe o pan döçe, è uno dei dolci tradizionali liguri. Come il panettone milanese anche il pandolce è particolarmente legato alle festività natalizie. Può essere basso o alto a seconda del tempo di lievitazione ma in entrambi i casi l'impasto è arricchito da pinoli, uvetta e frutta candita. In passato era molto apprezzato dai marinai liguri per la sua lunga conservazione. Infatti se ben preparato e tenuto in una busta di cellophane dopo l'apertura può conservare la fragranza anche per due settimane EMILIA ROMAGNA - PAMPEPATO DI FERRARA A forma di zuccotto è impreziosito da mandorle o nocciole finissime, da gustosi canditi, è insaporito con spezie profumate; la calotta è ricoperta infine di cioccolato fondente. Così il ricco dolce diventa il Pan del Papa. Facile comprendere a chi era dedicata questa meraviglia! Una lingua antica, poetica e perduta lo trasforma in Pampapato e Pampepato. Da secoli i due nomi convivono e la sostanza non cambia. E' il dolce del Natale, delle feste, è il dolce che meglio rappresenta la ricchezza e la raffinatezza di Ferrara. E' il dolce che con il suo gusto intenso e il suo profumo delizioso richiama la tradizione di un territorio dai tanti racconti e sapori. Recentemente ha ottenuto anche la indicazione di origine protetta (IGP) ed è tutelato da un Consorzio che attribuisce il bollino europeo solo a chi rispetta il disciplinare di produzione TOSCANA - PANFORTE E' un dolce di forma circolare, basso e compatto. Può essere di colore bianco o nero a seconda che si cosparga esternamente di zucchero vanigliato o di cacao. Presenta una superficie rugosa, nella parte inferiore appoggia su un'ostia sottile. Ha un sapore forte di spezie e di frutta candita, è piuttosto consistente e si presenta leggermente gommoso al palato. Viene preparato in diverse pezzature. Prodotto tipico della provincia di Siena, la sua tradizione si è allargata col tempo al grossetano: a Massa Marittima la sua produzione accompagna tutte le festività. UMBRIA - PAMPEPATO Tipico di Terni, il Panpepato è un dolce dalle origini antichissime. Questa specialità dalla forma rotonda è a base di noci, nocciole, mandorle, cannella, noce moscata, cioccolato, miele e uvetta. Un vero e proprio concentrato di energia che lo rende, infatti, un dolce molto apprezzato durante il periodo natalizio. Ogni famiglia utilizza una versione rivista della ricetta tradizionale ed è anche per questo che è considerato un dolce popolare MARCHE - PANETTONE ALLE VISCIOLE Da antiche ricette di metà 800, arriva il panettone con le visciole ossia ciliegie selvatiche. Questo prodotto ha nella semplicità il suo punto di forza. Un panettone in cui si avverte l'aroma del panettone fatto in casa. Lievito madre, una lenta e graduale lievitazione, che giunge naturalmente a compimento nell'arco di trentasei ore e ingredienti selezionati di alta qualità, rendono questo prodotto delicato e armonico. Sapore vellutato e setoso, dove si armonizza perfettamente e senza eccessi la presenza delle visciole, che stemperano il dolce e arrotondano il gusto, stimolando il palato con inaspettate combinazioni di sapori e profumi. LAZIO -PANGIALLO Meglio noto come pangiallo romano è un dolce che ha la sua origine nell'antica Roma e più precisamente durante l'era imperiale. Era, infatti, un'usanza di quei tempi distribuire questi dolci dorati, durante la festa del solstizio d'inverno, in modo da favorire il ritorno del sole. Il tipico pangiallo romano, ha subito numerose trasformazioni durante i secoli a causa dell'espansione dei confini territoriali e dell'incremento nella comunicazione tra le varie regioni italiane.Tradizionalmente il pangiallo veniva ottenuto tramite l'impasto di frutta secca, miele e cedro candito, il quale veniva in seguito sottoposto a cottura e ricoperto da uno strato di pastella d'uovo.Fino a tempi molto recenti nella preparazione del pangiallo le massaie romane mettevano i noccioli della frutta estiva (prugne e albicocche) opportunamente essiccati e conservati, in luogo delle costose mandorle e nocciole ABRUZZO - PARROZZO E' un tipico dolce abruzzese di Pescara, associato alle tradizioni gastronomiche del Natale. Luigi D'Amico, titolare di un laboratorio di pasticceria a Pescara, ebbe l'idea di fare un dolce dalle sembianze di un pane rustico anche detto pane rozzo (da cui è derivato il nome "Pan rozzo"), che era una pagnotta semisferica che veniva preparata dai contadini con il granoturco e destinata ad essere conservata per molti giorni. D'Amico fu ispirato dalle forme e dai colori di questo pane e riprodusse il giallo del granoturco con quello delle uova, alle quali aggiunse la farina di mandorle; invece, lo scuro colore dato dalla bruciatura della crosta del pane cotto nel forno a legna fu sostituito con la copertura di cioccolato. La prima persona alla quale Luigi D'Amico fece assaggiare il parrozzo fu Gabriele d'Annunzio, che, estasiato dal nuovo dolce, scrisse un madrigale "La Canzone del parrozzo" CAMPANIA - ROCCOCO' E SUSAMIELLI Dolci di Natale a forma di ciambella, adatti a chi ha denti buoni, sono un mix a base di mandorle, farina, zucchero, canditi e spezie varie. La loro origine pare risalga al 1320, per mano delle monache del Real Convento del Real Convento della Maddalena, mentre il nome deriva dal francese "rocaille", elemento decorativo a forma di roccia o conchiglia. Anche i susamielli fanno parte dei dolci della tradizione natalizia campana; diffusissimi in tutta la regione, sono dei biscotti duri di forma rotonda o a esse, che, preparati in casa, venivano serviti al mattino del giorno di Natale insieme ai raffioli, ai mustaccioli ed ai roccocò. La ricetta dei susamielli dice che dopo aver impastato farina, miele, noci tritate ed ammoniaca la pasta va stesa e si lavorano i biscotti per farli diventare della forma desiderata prima di infornarli. Una curiosità intorno al susamiello è che BASILICATA - CALZONCELLI Tipico delle tavole natalizie lucane è il calzoncello, dolce fritto con all'interno un cuore di castagne, raccolte nei boschi lucani, e cioccolato. Vi sono varianti legate all'utilizzo dei ceci al posto delle castagne nell'impasto o alla unicità del "Calzoncello di Melfi" che prevede la cottura al forno: ogni famiglia lucana apporta piccole variazioni alla ricetta a seconda della "propria" tradizione. PUGLIA CARTELLATE AL VINCOTTO Sono dei tipici dolci originari della Puglia. l nome potrebbe derivare da carta, incartellate, cioè sinonimo di incartocciate, secondo la loro tipica forma arabesca. Le cartellate al vincotto, carteddàte in dialetto, sono un tipico dolce pugliese che si prepara per Natale: una ricetta della tradizione che trionfa su tutte le tavole della regione. Un impasto semplice a base di olio, vino bianco e farina a cui dare la forma di rosette: basterà poi friggerle e passarle nel vincotto, prima di servirle. Si tratta di dolcetti firabili e croccanti dalle origini molto antiche: nella tradizione popolare le cartellate simboleggiano le lenzuola di Gesù Bambino. Ipotesi storiche, invece, parlano di dolci che arrivano dall'antico Egitto, dove venivano preparate per i faraoni. Tradizione vuole che le donne di diverse famiglie si incontrino per preparare insieme i dolci delle feste natalizie, mescolando così le varie ricette tradizionali e i segreti che le rendono uniche. Solitamente le cartellate si gustano intrise nel vin cotto, ottenuto dalla uve pugliesi Malvasia e Negramaro, o dai fichi. MOLISE CIPPILLATI DI TRIVENTO - Biscotto di pasta frolla ripieno di marmellata di amarene. La sua caratteristica forma a mezzaluna richiama il copricapo della Dea Diana, cui è dedicata la bellissima Cripta. CALABRIA PITTA MPIGLIATA - Anche conosciuta come pitta "nchiusa" è un dolce tipico calabrese, originario di San Giovanni in Fiore ma molto diffuso in tutta la provincia di Cosenza. È un dolce preparato in tutti i periodi di festa. Il nome pitta mpigliata deriva dall'ebraico e dall'arabo pita, che significa schiacciata. Il periodo al quale si fa riferimento della nascita della pitta mpigliata è il 1700. Il dolce veniva preparato soprattutto per le cerimonie nuziali, come riferisce un documento notarile di San Giovanni in Fiore, risalente al 1728. Esistono alcune varianti della pitta mpigliata per quanto riguarda gl'ingredienti, in ogni caso il dolce mantiene sempre la sua forma tipica Vi sono comunque oltre alla forma a pitta, quella a rosellina (o rosetta). SICILIA BUCCELLATI Sono i dolci di natale siciliani per eccellenza, quelli della tradizione! sono dei dolci a base di pasta frolla con un ripieno ricco a base di fichi secchi. Ne esistono di vario tipo, forma e ripieno a seconda delle varie parti della Sicilia. Esiste il buccellato intero dalla forma circolare e quelli più piccoli dalla forma allungata. Vi sono quelli semplici con un po' di zucchero a velo e quelli decorati con glassa e zuccherini colorati. E anche riguardo al ripieno, vi sono quelli ripieni di fichi secchi ma anche i buccellati con ripieno di mandorle, marmellata e cioccolato. SARDEGNA PABASSINAS - Il dolce natalizio della Sardegna per eccellenza chiamati anche papassini, pabassinos, papassinos: sono come dei grossi biscotti preparati con un impasto di pasta frolla, uva passa, mandorle, noci, scorza di limone grattugiata, miele. Altre varianti prevedono l'aggiunta di vaniglia o cannella. 

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Alzheimer, scoperta molecola che blocca la malattia

Un anticorpo potrebbe bloccare la malattia di Alzheimer nella fase iniziale, facendo in modo che le cellule staminali del cervello riprendano a produrre neuroni in modo quasi normale. E' questo il frutto di una ricerca messa a punto in laboratorio dai ricercatori della Fondazione Ebri (European Brain Research Institute) 'Rita Levi-Montalcini', con uno studio effettuato su topi. La ricerca, interamente italiana, e' coordinata da Antonino Cattaneo, Giovanni Meli e Raffaella Scardigli, presso la Fondazione Ebri, in collaborazione con il Cnr, la Scuola Normale Superiore e il Dipartimento di Biologia dell'Universita' di Roma Tre, ed e' stata pubblicata sulla rivista Cell Death and Differentiation. La scoperta e' molto importante ed apre a nuove possibilita' di diagnosi e cura di questa malattia". In pratica, i ricercatori hanno scoperto che la nascita di nuovi neuroni nel cervello adulto (neurogenesi) si riduce in una fase molto precoce dell'Alzheimer e tale alterazione e' causata dall'accumulo nelle cellule staminali del cervello di sostanze tossiche chiamate A-beta oligomeri. Il passo avanti sta nel fatto che il team e' riuscito a neutralizzare gli A-beta oligomeri nel cervello di topi malati di Alzheimer, introducendo appunto l'anticorpo A13 all'interno delle cellule staminali del cervello e riattivando cosi' la nascita di nuovi neuroni ringiovanendo il cervello stesso. Dunque, i topi cosi' trattati hanno ripreso a produrre neuroni ad un livello quasi normale. Oggi, spiegano i ricercatori, "il problema e' che per l'Alzheimer non ci sono terapie risolutive e si interviene troppo tardi, quando cioe' i neuroni sono gia' devastati: abbiamo invece dimostrato, su modelli animali, che introducendo questi anticorpi innovativi nelle cellule staminali del cervello, si elimina la proteina tossica che causa la malattia. Cosi' le staminali riprendono a produrre i neuroni in modo normale e la conseguenza e' che l'Alzheimer si blocca quando e' ancora ad uno stadio precoce". L'importanza di questa ricerca e' dunque duplice: "da un lato - chiariscono - dimostriamo che la diminuzione di neurogenesi anticipa i segni patologici tipici dell'Alzheimer, e potrebbe quindi contribuire ad individuare tempestivamente l'insorgenza della malattia in una fase molto precoce; dall'altro, abbiamo anche osservato in vivo, nel cervello del topo, l'efficacia del nostro anticorpo nel neutralizzare gli A-beta oligomeri, alla base dello sviluppo della malattia". Ai fini della diagnosi precoce, quindi, "riuscire a monitorare la neurogenesi nella popolazione adulta offrira' in futuro un potenziale strumento diagnostico per segnalare l'insorgenza dell'Alzheimer in uno stadio ancora molto precoce, cioe' quando la malattia e' ancora senza sintomi". Sul fronte delle cure, invece, sottolineano i ricercatori, "il futuro utilizzo dell'anticorpo A13 permettera' di neutralizzare gli A-beta oligomeri dentro i neuroni, bloccando cosi' la malattia ai suoi inizi". La cautela e' pero' d'obbligo ed "il prossimo passo - concludono - sara' innanzitutto verificare se il blocco della malattia nei modelli animali perdurera' per almeno un anno, per poter parlare di guarigione". 

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Olio all’asta: gli studenti di Città Sant’Angelo vendono per beneficenza l’olio che hanno prodotto.

Venderanno all’asta l’olio che hanno prodotto, per imparare come coniugare le leggi del mercato con la beneficenza: gli studenti della Scuola Secondaria di I grado “Nicola Giansante” dell’Istituto Omnicomprensivo di Città Sant’Angelo danno appuntamento domani, martedì 26 novembre, nella sala consigliare del Comune di Città Sant’Angelo dalle ore 15:30 alle ore 17:00, per battere il martelletto. Si tratta dell’ultimo atto di due progetti che li hanno visti coinvolti nelle scorse settimane: “I soldi non piovono dal cielo”, portato avanti in collaborazione con la Banca d’Italia di Pescara per l’educazione finanziaria e “Il nostro olio” che ha impegnato i giovani studenti nella raccolta delle olive in collaborazione con il Comune di Città Sant’Angelo e l’Oleificio D’Agostino Maria. Il ricavato della vendita delle bottiglie di olio sarà devoluto alla Casa Famiglia “Terra Promessa” di Città Sant’Angelo e alla Casa di accoglienze Madri e Profughi di Lampedusa. Si tratta di percorsi di apprendimento significativo: gli studenti sono stimolati, attraverso l’esperienza, a comprendere che tra i fattori produttivi non vi sono solo la disponibilità di forza lavoro, di materie prime e di capitale finanziario, ma anche di capitale sociale. Vale a dire: un tessuto di relazioni che crea una comunità operosa, cooperante, che si identifica con le sorti dell’impresa e ne condivide il bene. Si tratta di un ritorno al territorio e alla società, che trasforma in beni i prodotti del territorio e che alla comunità restituisce valore. Un modello che viene da lontano: il riferimento culturale va ad Adriano Olivetti e alla sua “fabbrica comunità”, fabbrica come bene comune.

 

 

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Difficile conciliare famiglia e lavoro per più di 1 occupato su 3

 La conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di vita familiare risulta difficoltosa per più di un terzo degli occupati (35,1%) con responsabilità di cura nei confronti di figli. E' quanto emerge da un report dell'Istat. Quasi la stessa proporzione di padri e madri di bambini sotto i 15 anni ha dichiarato che c'è almeno un aspetto nell'attuale lavoro che rende difficile conciliare la vita familiare e quella professionale (34,6% e 35,9%, rispettivamente), in particolare quando i figli sono più di uno (36,8% dei genitori) o in età prescolare (37,8%). Lamentano maggiori difficoltà i lavoratori indipendenti (39,4%), chi svolge professioni qualificate (39%), gli addetti al commercio e servizi (39,2%). Tra i genitori occupati in professioni impiegatizie e non qualificate tale quota è del 25%. Il regime orario è un fattore rilevante per la conciliazione dei tempi. I genitori che lavorano full-time hanno più difficoltà rispetto a quelli in part-time (37,6% contro 24,6%), in particolare le madri: il 43,3% delle madri a tempo pieno contro il 24,9% di quelle in part-time. Proprio l'orario di lavoro lungo è indicato come l'ostacolo maggiore da più di un quarto dei genitori che lamentano almeno un problema di conciliazione, quota che raggiunge il 43,2% tra chi in generale ha difficoltà e svolge un lavoro indipendente mentre scende al 20,3% tra i dipendenti. Per i lavoratori indipendenti ulteriori difficoltà derivano da un lavoro troppo impegnativo o faticoso o con programmazione complessa o imprevedibile (circa il 20% tra chi lamenta difficoltà in entrambi i casi); i lavoratori dipendenti, invece, riportano che la conciliazione è resa complicata dal lavoro a turni, in orari pomeridiani e serali o nel fine settimana (19,5%) e dal troppo tempo necessario per raggiungere il posto di lavoro (18,1%). Le difficoltà di conciliazione si fanno più evidenti in presenza di bambini molto piccoli, tra 0 e 5 anni. In particolare, tra le donne con bambini in età prescolare (quasi un milione e 300 mila) la quota di quelle che incontrano ostacoli supera il 39%, arrivando al 46,7% tra quelle che lavorano a tempo pieno. Le madri che lavorano part-time hanno problemi di conciliazione in misura minore (27,5% dei casi). Stessa situazione per i padri, ma con percentuali inferiori: fra loro dichiara di avere un problema di conciliazione il 37%, la quota scende al 25,4% tra quelli in part-time. Ha almeno un problema di conciliazione quasi il 42% di coloro che devono prendersi contemporaneamente cura di figli minori di 15 anni e di familiari non autosufficienti, e il 34,4% di coloro che hanno solo responsabilità di cura verso familiari disabili, malati o anziani. 

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La spesa assistenziale tocca il livello record di 118 miliardi

La spesa assistenziale continua a correre toccando nel 2018 il livello record di 118 miliardi, il 58,9% in piu' dell'importo speso nel 2008, anno di inizio della crisi economica. L'allarme arriva dal Centro di ricerca "Itinerari previdenziali" guidato da Alberto Brambilla che oggi al Cnel ha ricordato come la spesa assistenziale a carico della fiscalita' generale sia aumentata in media annua del 5,3% mentre la spesa previdenziale pura e' cresciuta in media dello 0,7% ogni anno nell'ultimo quinquennio. I richiami dell'Unione europea, dell'Ocse e del Fondo monetario sui conti pubblici - ha spiegato Brambilla - "se si possono considerare comprensibili nel caso di una spesa assistenziale fuori controllo (116 miliardi nel 2018 a fronte dei 73 spesi nel 2008) e di un eccessivo debito pubblico (nel 2018, gli interessi sul debito sono costati 62,5 miliardi) non sono invece giustificabili nel caso della spesa pensionistica "pura" che, al netto dei trasferimenti di natura assistenziale, ha fatto segnare nell'ultimo quinquennio un incremento annuale dello 0,7%, uno dei piu' bassi dalla meta' degli anni Novanta in poi". Intanto la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo ha ribadito che sono "esclusi del tutto" ritocchi in manovra alla misura Quota 100 e ha chiesto che eventuali risorse aggiuntive in manovra vadano alla rivalutazione delle pensioni. In pratica mentre negli ultimi anni c'e' stata una stretta sulla previdenza (con regole piu' rigide per l'accesso alla pensione), ad esclusione dell'intervento sulla cosiddetta Quota 100, sull'assistenza non c'e' stata la stessa rigidita' (anche per le difficolta' nelle quali si sono trovate molte famiglie a causa della crisi). Ci sono pero' anche segnali positivi: dalla meta' del 2014 fino alla prima parte del 2018, l'Italia "ha vissuto una fase di crescita positiva evidenziata sia da buoni dati sul fronte dell'occupazione, che ha toccato uno dei tassi piu' elevati di sempre (il 58,7%, con circa 23,223 milioni di occupati tra i 15 e i 64 anni), sia da segnali positivi per quanto riguarda la tenuta del sistema pensionistico. Nel 2018 il rapporto occupati/pensionati si e' infatti attestato intorno all'1,45, valore piu' alto degli ultimi 22 anni e molto prossimo a quell'1,5 occupati individuabile come traguardo cui tendere per la stabilita' di medio-lungo termine del sistema". Brambilla ricorda che in sede europea e' presentato un valore che, ricomprendendo anche voci di spesa non strettamente correlate alle pensioni, "finisce con l'aggravare di molto il giudizio, e la pressione nei confronti del sistema pensionistico italiano". Ci vorrebbe - sottolinea - una riclassificazione della spesa previdenziale al netto dell'assistenza" e la messa a punto di un'anagrafe dell'assistenza per razionalizzare l'erogazione di tutte le prestazioni anche se "sarebbe comunque sbagliato . far cadere tutta la responsabilita' dei richiami sulla sola presentazione dei dati". "Molti degli ultimi governi - conclude - hanno alimentato eccessivamente quel capitolo di spesa, sia per imperizia sia per convenienza elettorale". 

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Sonno, bisogna dormire 7-8 ore al giorno

Ogni notte bisognerebbe dormire dalle 7 alle 8 ore. Come minimo. Se dormiamo di meno è facile sentirne gli effetti sulla giornata seguente: stanchezza, irritabilità, malumore, difficoltà di concentrazione, aumento della fame. Ma per recuperare il sonno perso, può essere utile il pisolino pomeridiano? Il sonnellino "può anche essere efficace, soprattutto nel pomeriggio. E' bene però che non sia un'abitudine, ma che ce lo si conceda nel momento del bisogno". Lo raccomanda Lara Fratticci, neurologa in Humanitas, analizzando gli effetti della mancanza di sonno sulla newsletter 'Humanits Salute'. "Per essere davvero ristoratore, il pisolino deve durare da mezz'ora a massimo un'ora, in modo da raggiungere la fase Rem e permettere così il recupero delle energie". Occorre distinguere "tra chi è in temporaneo debito di sonno, perché magari ha passato una notte sveglio o ha dormito poco o male, e chi invece vive una deprivazione di sonno cronica - sottolinea la specialista - A questo proposito, uno studio del Medical Center di Boston, condotto da Daniel Cohen, ha paragonato alcuni soggetti svegli per 24 ore di seguito ad altri che per tre settimane avevano dormito circa cinque ore a notte, e dunque poco. Coloro che erano svegli da 24 ore hanno recuperato con una dormita di dieci ore, per gli altri invece il recupero è stato molto più difficile. Ne consegue che più il debito di sonno è cronico, tanto più il recupero è arduo". 

"Il riposo notturno - aggiunge Fratticci - dovrebbe durare 7-8 ore. Dormire di meno, ma anche dormire di più, ha delle ripercussioni negative sul benessere e sulla salute", sottolinea. Non solo: riposare bene aiuta la memoria, la concentrazione e l'attenzione. Riducendo anche il colesterolo e il rischio di patologie cerebrovascolari, e aiutando a mangiare correttamente, contrastando il sovrappeso. La leptina (piccolo ormone proteico) infatti segue il ritmo circadiano e aumenta nel corso della notte, conferendo un senso di sazietà ed evitando che insorgano attacchi di fame notturni. Ecco perché dormire bene contrasta il diabete, mentre dormire poco, ricordano dall'Humanitas, aumenta l'ormone dello stress, il colesterolo e gli zuccheri e facilita lo sviluppo di insulino-resistenza. 

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Alberta Campitelli, quando la storia è Bellezza

Competente, elegante, energica, attenta ai dettagli che danno luce e vita ad una opera d’arte, ad uno stile architettonico. Alberta Campitelli è la signora delle profondità
della storia, di quelle energie creative che prendono poi forma e luce in gioielli architettonici, palazzi, giardini, in sculture, quadri, palazzi, oggetti dal volere inestimabili. Lei studia, indaga , veglia recupera i tesori Nazionali, quindi su un patrimonio vastissimo fiore all’occhiello dell’Italia nel mondo. Grazie alla sua esperienza, lo studio, la dedizione è stata nei giorni scorsi nominata dal Ministero dell’Istruzione, la Presidente dell’”Accademia delle belle arti di Roma”. Un titolo che é un punto di onore per una vita trascorsa in sintonia con le cose eleganti, perché ha saputo mettere in campo tutte le sue risorse intellettuali e d’intuito femminile nel come preservare in favore di tutti i cittadini le straordinarie e fragili bellezze di Ville, Palazzi, Dimore, Giardini di geometrie divine.
Alberta Campitelli, oggi ha un volto luminoso, il tempo ha reso più vivi i lineamenti di una donna che è entrata in sintonia con le cose che ha studiato, un sorriso delicato, sulle labbra un filo di rossetto rosa, indossa una giacca di colore fucsia, e una elegantissima maglia a collo alto. Gli orecchini sono due ricercatissime perle che giocano di rimando di luce, con una collana che alterna perle e oro.
Alberta è nata a Lanciano, l’antica Frentania d’Abruzzo, un luogo mitico, carico di vicende e leggende, storiche, religiose, e da questa terra ha preso un coriaceo spirito di iniziativa. Nel suo ricordo di bimba, non fa mistero di come il sodalizio con lo studio e l’impegno siano presenti in lei fin dalla prima adolescenza. ”Ho sempre dedicato allo studio una grande parte del mio tempo”, racconta, “a sei anni già sapevo leggere e scrivere ho frequentato il liceo a Lanciano. I miei genitori scelsero una scuola pubblica, ed oggi mi sento di consigliare, a chi me lo chiede, le scuole pubbliche". Poi il grande salto nella capitale mondiale dell’arte, del bello, del Rinascimento, una gioventù a Firenze dove ha affinato gli studi di specializzazione in storia dell' arte, poi terminata l’università Fiorentina eccola a Roma a seguire architettura e paleografia.
La presidente Campitelli nella sua carriera ha inanellato decine di ricerche, studi, scritto libri, partecipato e promosso convegni internazionali. La sua cultura ha ottenuto negli studi di Storia dell’arte e dei Giardini, i più importanti riconoscenti di Stato
“Nel 2013”, racconta, “ho ricevuto dalla Repubblica Francese l’onorificenza di Chevalier des Arts et des Lettres per la collaborazione culturale tra Italia e Francia".
È stata per 30 anni direttrice dei Musei e Ville storiche del Comune di Roma. Ha progettato e diretto, importanti interventi di restauro e di ripristino di giardini ed edifici nelle ville Borghese e Torlonia, solo per citarne alcuni lavori. C’è un aspetto di Alberta Campitelli che è particolarmente interessante, la sua vitalità e la franchezza delle sue riflessioni.
"Credo nella qualità della scuola pubblica”, rivela, “essere insegnante e stare con i ragazzi è qualcosa di meraviglioso". La sua caratura professionale è nota, e non fa mistero dei riconoscenti che le sono stati tributati. “Ritengo di essere stata nominata per competenza e tecnica, per questo dico sempre ai giovani di aver fiducia nelle proprie capacità e dare il giusto tempo allo studio". Il suo talento sarà ancora una volta dedicato a dar vita a progetti di rilievo internazionale. Ci promette, infine, un nuovo incontro, e ci lascia con questa idea, che siano certi realizzerà con la passione e l’impegno di sempre.
“Faremo”, annuncia Alberta Campitelli nel suo nuovo ruolo di presidente dell’Accademia delle belle arti di Roma, “progetti importanti che vedranno storia, bellezza e turismo fondersi”. Allora a presto e buon lavoro.

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Il 3 novembre del 1706 il terremoto della Maiella

 

Il 3 novembre del 1706 un violento sisma sconvolse l'Abruzzo. Tra il 1702 ed il 1706 molti i terremoti che colpitrono l'Italia centrale, il sisma della Maiella fu uno dei piu' disastrosi raggiungendo un magnitudo 6.8 della scala Richter. L'epicentro è stato localizzato sul versante aquilano della Maiella, a circa 15 km ad est di Sulmona

Gravemente danneggiati la Valle Peligna ed il versante in provincia di Chieti della Maiella. I centri colpiti furono: Lama dei Peligni, Manoppello, Palena, Cansano, Sulmona, Prezza, Raiano, Vittorito, Roccacasale, Salle, Tocco da Casauria, Rivisondoli, Roccaraso, Palena, Lettopalena, Lama dei Peligni, Fara San Martino.

A Palena i morti furono 300 su una popolazione di 450 persone, a Sulmona, che perdette la maggiore parte degli edifici e buona parte del suo centro storico medievale, morirono 1150 persone. Alla prima scossa ne seguì una seconda la notte del 4 novembre portando ulteriore distruzione e morte. Le vittime accertate del sisma furono circa 2400.

Il sisma avvenne a soli 3 anni di distanza dalla crisi sismica del 1703 che aveva duramente colpito L'Aquila, praticamente rasa al suolo, con danni gravissimi per ciò che riguarda il suo patrimonio artistico e architettonico.


Un censimento dei danni riportato su https://it.wikipedia.org/ :

I danni maggiori li patì l'Abruzzo, specialmente come già detto la Valle Peligna. Danni gravi si registrarono comunque anche nel Lazio, nel Molise e parzialmente anche nella Capitanata (nord della Puglia).

  • Sulmona: non fu completamente distrutta, ma risultò il centro maggiormente colpito: fu perduto più di 3/4 del patrimonio edilizio, facendo scomparire anche quegli edifici che avevano fatto meritare alla città l'appellativo di Siena degli Abruzzi o Siena d'Abruzzo[5] per aver avuto uno sviluppo culturale pari a quello di Siena. A causa della gran polvere che si alzò, all'inizio non ci si rese conto dell'immane disastro che segnò profondamente la storia della città. Solo dopo ci si accorse che Sulmona era ridotta a cumuli di macerie, con qualche edificio scampato miracolosamente ma comunque sempre danneggiato. Crollarono la Cattedrale di San Panfilo, di cui rimase solo la facciata, il Palazzo Vescovile, la chiesa del Complesso della Santissima Annunziata, le chiese di San Francesco della Scarpa, San Filippo Neri, Sant'Agostino, Santa Chiara, Santa Caterina, Santissima Trinità, Santa Maria del Carmine, Badia Morronese, l'oratorio di san Rocco. Inoltre crollarono anche alcuni palazzi, principalmente affacciati lungo Corso Ovidio e l'attuale Piazza Garibaldi, le mura furono sbrecciate mentre le porte in larga parte riuscirono a rimanere in piedi, pur presentando notevoli danni (tranne Porta Napoli); crollarono anche il campanile di Santa Maria della Tomba, l'annessa Cappella della Madonna di Loreto e la Casa della Confraternita Lauretana (i cui resti si ammirano tuttora). Solo pochi edifici, che riportarono comunque danni come già detto, rimasero in piedi: la chiesa di Santa Maria della Tomba, il campanile dell'Annunziata, il palazzo del Complesso della Santissima Annunziata, la facciata e il campanile di San Francesco della Scarpa, il campanile della Badia Morronese, il portale di Sant'Agostino (trasferito nel 1883 in San Filippo), la facciata della Cattedrale, la cripta di quest'ultimo, l'Acquedotto Svevo, Porta Napoli, la chiesa dell'Incoronata, la chiesa di San Giovanni e la chiesa di San Gaetano. Inoltre, rimasero in piedi anche alcuni palazzetti medievali e rinascimentali che si trovavano nel cuore del centro storico e la Fontana del Vecchio (1478). I morti furono 1000 circa, i feriti e i senzatetto incalcolabili.
  • Campo di Giove: forse epicentro del sisma, fu letteralmente distrutto: rimase in piedi solo una parte di Palazzo Nanni. Si dice che alcuni massi si staccarono dalla montagna sovrastante. Molti feriti (numero non disponibile).
  • Cansano: quasi del tutto raso al suolo, rimasero in piedi, seppur danneggiati, Palazzo Teseo, il torrione del castello e le porte del centro fortificato (crollate poi col sisma del 1933). La maggior parte degli edifici dovette essere ricostruita ex novo, compresa la chiesa di San Salvatore, come recita l'iscrizione A TERREMOTU CORRUIT ET UN[IVERSI]TAS A PLANTA REDEGIT - A.D. 1739.
  • Pratola Peligna: i danni non furono molti, forse perché durante quel periodo la città era un "cantiere aperto" visto che si stava procedendo alla ricostruzione o alla ristrutturazione di alcuni edifici. Risultarono comunque danneggiati, inagibili e in parte crollati, il primitivo Santuario della Madonna della Libera, diversi oratori e alcuni palazzi. Non riuscirono a reggere invece le case popolari dove viveva buona parte della popolazione. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Prezza: crollano la chiesa di S.Lucia e quella di san Giuseppe (di cui comunque rimane in parte in piedi l'interno). Rimane intatta la statua di S.Lucia, miracolosa, nonostante le macerie che le cadono addosso. Il 90% dell'abitato crolla, il resto è inagibile. Rimane in piedi e intatta solo la Chiesa di Santa Maria del Colle. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Raiano: quasi tutto il paese crolla, anche le chiese. L'eremo di San Venanzio rimase in piedi ma risultò inagibile. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Vittorito: il paese risultò quasi del tutto inagibile; alcuni crolli, i maggiori nella parrocchiale. I morti forse non ci furono, ma qualcuno rimase ferito.
  • Castelvecchio Subequo: crolla la chiesa di san Francesco (rimangono in piedi solo la facciata, la cappella di S.Maria e gli altari laterali). Crollano anche alcuni piccole case; per il resto crepe e caduta di calcinacci. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Corfinio: danni alla Chiesa di San Pelino, detta Basilica Valvense e prima cattedrale della Diocesi di Sulmona-Valva. Crolla la chiesa di S.Martino, inagibile e devastata all'interno la chiesa di S.Maria del Soccorso. Danni più o meno gravi alle abitazioni. Feriti (e morti?) (numero non disponibile).
  • Roccacasale: a breve distanza da Sulmona, il centro risulta devastato e inagibile; il Castello crolla in buona parte e la sua decadenza si accentua. Annientate le chiese.
  • Salle: la situazione del centro fu gravissima, e sembra che ancora nel '900 portasse i danni di quella sciagura. Crollarono le chiese. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Pacentro: crollano le chiese, alcune abitazioni. Crolla in parte anche il Castello. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Pettorano sul Gizio: il centro è in buona parte distrutto, ma una parte rimane anche se inagibile. Sopravvive, seppur danneggiato, il Castello. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Scanno: le chiese risultano fortemente danneggiate, soprattutto quella di S.Maria in Valle. Crolli nella Chiesa della Madonna del Lago.
  • Tocco da Casauria: il paese risulta gravemente danneggiato, la periferia dell'abitato crolla. Danni ingenti e crolli nella chiesa di S.Eustachio, nel Castello e in modo più lieve alle altre chiese. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Popoli: crollano le chiese della Trinità e San Lorenzo. Viene giù quasi tutta la parte alta della facciata della chiesa di San Francesco, mentre il Castello (abbandonato da tempo) presenta crolli molto diffusi. Crollano anche alcuni abitazioni; i cronisti popolesi riportarono il decesso di 120 persone, mentre altre 130 furono ferite.
  • Cocullo: danni gravi alla chiesa di S.Maria delle Grazie. Inagibile la chiesa di S.Domenico Abate e piccoli crolli nell'abitato.
  • Villalago: il centro fu gravemente danneggiato. In buona parte, però, i vari edifici riescono a resistere alla scossa.
  • Anversa degli Abruzzi: crolla il Castello (ne rimangono pochissimi ruderi); danni in tutto l'abitato.
  • Castiglione a Casauria: danni all'Abbazia di San Clemente a Casauria.
  • Rivisondoli: crolla tutto il paese. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Roccaraso: crolla mentre era ancora in costruzione dopo che il Terremoto dell'Aquila del 1703 l'aveva distrutta. Crolla parzialmente anche la chiesa di San Bernardino. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Pescocostanzo: crolla il soffitto della Collegiata, cancellando così quasi tutte le testimonianze medievali della chiesa. Crollano anche alcuni palazzi, mentre altri sono inagibili. Piccoli crolli e inagibilità anche nella chiesa del Suffragio. Reggono bene, invece, gli altri palazzi e chiese, pur riportando a volte delle crepe. Morti e feriti (numero non disponibile).
  • Bugnara: gravemente danneggiato.
  • Fara San Martino: per questo borgo, come anche per quelli del versante chietino e pescarese, la scossa più distruttiva fu la seconda. A Fara la metà del paese crollò, l'altra metà era inagibile. La chiesa di San Remigio era inagibile e con piccoli crolli, quella dell'Annunziata si era sbriciolata, mentre quella di San Rocco riuscì a rimanere in piedi pur presentando crepe. Furono danneggiati anche alcuni palazzi e locali sede di attività. Crolla buona parte dell'Abbazia di San Martino. I morti furono 5 e i feriti 120.
  • Palena: gravi danni, i morti furono 300 e i feriti 100, e su una popolazione di circa 450 abitanti.
  • Lettopalena: danni. 60 morti e alcuni feriti.
  • Taranta Peligna: crollò la chiesa di san Biagio, di cui rimase la facciata, e vi furono gravi danni. 100 morti e poco più di 100 feriti.
  • Lama dei Peligni: danni gravissimi, solo pochi edifici rimasero in piedi. Inoltre vi fu uno smottamento che fece crollare altri edifici, rimasti in piedi. I morti furono 130 e i feriti 120.
  • Guardiagrele: già gravemente danneggiato nel 1703, il terremoto del 1706 provocò il crollo di alcuni edifici: andarono giù l'interno del Duomo, delle chiese di San Francesco, Sant'Antonio, dei Cappuccini. Crollarono completamente la chiesa di San Nicola e il Palazzo Vitacolonna. Crepe nella chiesa di san Silvestro.
  • Chieti: alcuni edifici, seppur pochi, risultarono inagibili; crolla la parte superiore del campanile della Cattedrale di San Giustino, che presenta evidenti crepe all'esterno. Pericolante il campanile di Santa Trinità. Alcuni edifici si inclinarono ma non caddero giù. La tradizione vuole che il terremoto non provocò altri danni per il tempestivo interno di San Giustino, apparso sopra Chieti.
  • Fossacesia: fu l'unico centro della costa danneggiato. Nel piccolo paese l'Abbazia di San Giovanni in Venere risulta inagibile e ciò ne accentua la decadenza.
  • Città Sant'Angelo: fu un caso sorprendente di come Città Sant'Angelo subì danni molto gravi dal sisma mentre la vicinissima Atri non patì nulla. A Città Sant'Angelo crollò la cuspide del campanile della Collegiata e la navata sinistra della suddetta chiesa; vennero giù anche le chiese di San Francesco e San Bernardo. Quasi tutte le abitazioni risultarono fortemente danneggiate, mentre le altre chiese furono inagibili.
  • Venafro: anche a Venafro, in Molise, la scossa più devastante fu la seconda. Crollarono parte della facciata della chiesa dell'Annunziata e risultarono gravemente danneggiati la Chiesa di San Nicandro, il Convento dei Cappuccini, e alcune sale al piano terra del Castello Pandone. Inagibile, con piccoli crolli, la chiesa del Cristo.
  • Acquaviva d'Isernia: inagibile il Castello.
  • Agnone: la chiesa di Santa Croce è inagibile, mentre sono pericolanti il campanile e l'annesso ospedale; la chiesa di S.Emidio ha il crollo parziale del soffitto, quelle dell'Assunta e di San Nicola inagibili.
  • Isernia: danneggiata la Cattedrale, crepe in alcuni edifici.
  • Capracotta: inagibile il Palazzo Baronale. Devastata e con dei crolli la chiesa di S.Maria di Loreto.
  • Ferrazzano: crepe nella chiesa dell'Assunta.
  • Guglionesi: inagibilità per la chiesa di S.Maria Maggiore.
  • Isernia: crolla l'interno della chiesa di San Francesco e inagibile il convento di S.Maria delle Monache.
  • Larino: inaigibili le chiese di Santo Stefano e San Francesco. Semicrollato il Palazzo Ducale.
  • Limosano: semicrollate le chiese di S.Maria e S.Francesco.
  • Lucito: inagibile la chiesa di San Nicola, dove vi sono alcuni crolli.
  • Morrone del Sannio: inaigibile la chiesa di S.Maria in Casalpiano.
  • Campodipietra: crolla la chiesa di San Martino.
  • Petrella Tifernina: gravemente danneggiata la chiesa di San Giorgio.
  • Rocchetta a Volturno: distrutta l'Abbazia di San Vincenzo al Volturno; la chiesa era stata già distrutta tre volte dai terremoti, e tutto ciò ne accentua la decadenza.
  • San Giuliano di Puglia: crolla quasi del tutto la chiesa di S.Giuliano, che da tempo era ormai in completo abbandono.
  • Santa Croce di Magliano: gravissimi danni alla torre medievale.
  • Sepino: crolla la parte superiore del campanile della chiesa di Santa Cristina.
  • Termoli: crolli all'interno del Duomo.
  • Torella del Sannio: inagibile, con piccoli crolli, il Castello.
  • Trivento: crolla buona parte del Duomo.
  • Capitanata: alcuni centri della Capitanata, quelli al confine con il Molise, avvertirono la scossa, riportando crepe e piccole cadute di intonaco.
  • Abbazia di Montecassino: distintamente avvertito, vi fu comunque qualche piccola caduta di intonaco e qualche crepa.
  • Sora: avvertito, provocò crepe, caduta di intonaci e spesso di alcuni elementi decorativi nelle facciate di edifici.

 

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Internet compie 50 anni

Internet compie 50 anni. La rete non si chiamava internet ma Arpanet, ed era un progetto voluto da un'agenzia del dipartimento della Difesa Usa, l'Arpa (Advanced research projects agency), quando il 29 ottobre del 1969 quando fu effettuata la trasmissione di un primo pacchetto di dati tra due computer, uno all'università di a Los Angeles - sotto la supervisione dell'informatico Leonard Kleinrock - e l'altro al Research Institute di Stanford.


A far decollare internet è stato, 20 anni dopo, il papà del Web Tim Berners-Lee: nel 1989 presentò un saggio al Cern di Ginevra che rappresentava la base teorica del World wide web, mentre nel 1991 fu online il primo sito web. Con la crescita del web e di servizi come la posta elettronica, internet è diventato la rete di telecomunicazioni globale che oggi connette miliardi di persone e oggetti, anche se quasi la metà della popolazione mondiale è ancora tagliata fuori.

Nonostante siano passati 50 anni dalla sua nascita, infatti, internet non è ancora alla portata di tutti. Secondo l'Unione internazionale delle telecomunicazioni (Itu), alla fine del 2018 gli utenti di internet erano 3,9 miliardi, pari al 51,2% della popolazione mondiale. In altre parole, poco meno della metà degli abitanti del pianeta non ha ancora accesso a internet.
   

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