Le Idee

La campagna elettorale in Abruzzo

 

La campagna elettorale in Abruzzo

Sembra ormai confermata la data del 10 febbraio per la campagna elettorale in Abruzzo. Da tempo il Movimento 5 stelle ha candidato alla presidenza della regione Sara Marcozzi; recentemente è sceso in campo Giovanni Legnini in rappresentanza di un ampio schieramento di centro sinistra. Il Centro Destra probabilmente renderà ufficiale la candidatura di Marsilio, catapultato da Roma in Abruzzo, con una etichetta di origine abruzzese un pochino contraffatta. Gli elettori avranno la responsabilità di scegliere per il meglio. La prima cosa da fare è evitare di restarsene a casa; chi non partecipa al voto subisce, senza poter far nulla, le decisioni di chi vota. Il primo nemico da battere è l’astensionismo, il generale inverno permettendolo. Per chi andrà a votare, e speriamo siano in molti, bisognerà farlo non di pancia ma di testa, valutando con attenzione i programmi, gli uomini che dovranno realizzarli e anche quanto è stato fatto in passato dai partiti che si sono succeduti al potere.

Per i giovani, che non avendo vissuto le esperienze dello scorso secolo potrebbero credere che quello che hanno intorno sia caduto dal cielo, vorrei rievocare fatti passati.

L’Abruzzo alla fine della seconda guerra mondiale era una regione poverissima, tra le più arretrate del sud anche se geograficamente situata nel centro Italia. Le uniche strade erano la Tiburtina Valeria e la Istonia che risalivano all’Impero Romano, e la Adriatica, strada militare realizzata durante il dominio napoleonico. Per il resto le strade non c’erano o erano non asfaltate quasi fossero delle mulattiere. Le industrie non esistevano, gli ospedali erano dei lazzaretti, l’agricoltura povera e arretrata, del turismo meglio non parlare. Per studiare bisognava andare a frequentare le università di Napoli, di Roma e quelle del nord con una preferenza per Bologna.

Nei trenta anni che vanno dal 1960 al 1990 sono state costruiti le strade che ora sono abbandonate e vanno in malora. Le autostrade hanno collegato la regione con il nord, il sud e l’ovest. Sono stati realizzati acquedotti, ospedali, scuole, uffici postali, porti, l’aeroporto di Pescara, stazioni ferroviarie ed è stata migliorata la linea ferroviaria adriatica. Le università di L’Aquila, Teramo e Chieti-Pescara rappresentano un volano di cultura per la nostra regione e hanno permesso a molti nostri giovani di studiare qui e di trovare qui lavoro interrompendo quel salasso di giovano molto ben preparati che, terminati i loro studi, non tornavano in Abruzzo. Le aree industriali di L’Aquila, Avezzano, Val Vibrata, Valle del Pescara, Val Di Sangro, Val Sinello e San Salvo hanno portato decine di migliaia di posti di lavoro. Una agricoltura moderna e una accoglienza turistica efficiente hanno fatto il resto. Si è interrotta una forte emigrazione che durante il fascismo e nel dopo guerra aveva devastato le popolazioni abruzzesi; fenomeno che conosco anche per diretta esperienza familiare.

Negli ultimi 25 anni non solo non è continuata la crescita economica ma vi è stato un regresso che si può toccare con mano. I nuovi partiti di destra e di sinistra si sono alternati al governo della regione senza ottenere un consenso duraturo, perché chi aveva governato è stato sconfitto nelle successive elezioni allo stesso modo di quanto accadeva a livello nazionale.

Ora ci cittadini si trovano di fronte ad una Destra che è una riedizione riveduta e corretta di quella che è stata a trazione berlusconiana. Basterà questo cambiamento di fattori a modificare in meglio il risultato finale? La stessa cosa può dirsi per la Sinistra. Dopo la dura sconfitta del 4 marzo è in fieri un cambiamento a livello nazionale ancora non ben definito e che non sappiamo dove porterà. La operazione di larghe intese portata avanti da Legnini, che si propone di cambiare il volto della sinistra abruzzese potrebbe essere un interessante laboratorio sperimentale i cui risultati potrebbero essere esportati a livello nazionale. Chi in teoria sembra stare meglio è il Movimento 5 stelle perché non può essere accusato dei disastri causati dalle precedenti amministrazioni. Il movimento ha schierato i grossi calibri (Di Maio, Lezzi, Sileri) per portare al governo della regione che per prima fu governata da una donna, l’on. Nenna D’Antonio, la sua candidata Sara Marcozzi. C’è però un ma grosso come una casa. Quale capacità amministrativa sapranno mettere in campo i 5 stelle? Se si pensa alla esperienza della Raggi vengono i brividi. E’ poi difficile che in regione non ci si adegui alla filosofia politica del movimento: niente infrastrutture e grandi lavori, no a tutto, solo provvedimenti propagandistici tesi a racimolare un gruzzoletto di voti invece che creare lavoro e quindi ricchezza. Distribuire la povertà non ha mai aiutato nessuno e questo lo sanno bene quei paesi a lungo dominati dalla ideologia comunista, alcuni riflessi della quale, quelli più retrogradi, si vedono riesumati nella ideologia grillina. La decrescita felice non fa felice nessuno e un comunista illuminato come l’attuale presidente della Cina ha lodato Den Xiao Ping per l’apertura al capitalismo e ai mercati e ha promesso una grande spinta per una più forte crescita futura della economia cinese.

Cosa può fare dunque il cittadino abruzzese chiamato ad esprimere la sua scelta nell’urna elettorale? Deve essere preparato sul passato, sia su quello più recente che su quello più lontano ed usare queste conoscenze per usarle come un metro di misura. Bisogna infatti valutare con attenzione i programmi. Essi devono essere facilmente comprensibili, devono contenere elementi di sviluppo economico, culturale e democratico, con l’obiettivo di far crescere il PIL regionale e ridurre la disoccupazione. Per essere credibili devono contenere pochi punti definiti nei particolari con grande attenzione alle modalità realizzative. Diffidate delle promesse irrealizzabili, data la situazione economica attuale e i cinque anni di tempo; guardate con sospetto alle enunciazioni fumose tutte piene di affermazioni propagandistiche e prive di elementi concreti. Osservate con grande attenzione chi sarà chiamato a realizzare quello che sembra un buon programma e alla squadra che viene messa in campo. In una fase storica dove si crede che uno vale uno e che chiunque sa fare qualsiasi cosa, evitate che a smentire questa illusione sia una esperienza negativa vissuta sulla propria pelle. Se nel calcio con giocatori scarsi non si va da nessuna parte e per avere successi a ripetizione, come sanno i tifosi Juventini, ci vogliono interpreti di prim’ordine, figuriamoci nell’amministrare una regione o uno stato.

Auguro a tutti i cittadini di questa regione che amo, di fare con l’aiuto di Dio, per chi ci crede, e della propria coscienza in cui tutti dobbiamo avere fiducia, la scelta giusta.

di Achille Lucio Gaspari

 

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Legnini candidato, ecco una buona notizia per L’Abruzzo

Legnini candidato, ecco una buona notizia per L’Abruzzo

Giovanni Legnini ha risposto positivamente all’appello di 162 sindaci abruzzesi che gli chiedevano di scendere in campo per candidarsi alla guida della Regione Abruzzo. Questo appello fatto da sindaci non tutti del PD ha un grande significato; riconduce il ruolo del Presidente della Giunta Regionale al suo significato più autentico, quello di amministratore e garante del bene comune della regione. Ed avendo la carica di presidente questo significato, l’appello non poteva venire che dai sindaci che sono gli amministratori dei loro comuni.
Dobbiamo renderci conto che l’azione di un Presidente di regione o come viene attualmente chiamato, di un Governatore è quello di amministrare le risorse della regione per garantirne la buona amministrazione, lo sviluppo economico, la tutela del territorio, la promozione delle infrastrutture e la sicurezza dei cittadini liberati dal bisogno, accuditi nelle necessità preventive e curative della loro salute e garantiti nella sicurezza di un corretto vivere democratico e civile.
Essere onesti non basta per svolgere con efficacia questo compito, e ben lo sanno i cittadini romani tormentati dalla incapacità amministrativa della loro sindaca
Non sto a ripetere il prestigioso Curriculum di Giovanni Legnini perché tutti gli abruzzesi conoscono bene lui e i suoi trascorsi di sindaco, di parlamentare, di membro del governo e di Vice Presidente del CSM. Devo però affermare con forza, e senza tema di smentita, che con tutto il rispetto dovuto agli altri candidati, tra Legnini e gli altri ci passa la stessa differenza che c’è tra Cristiano Ronaldo e qualche giocatore di serie C.
Se la contesa politica fosse come un campionato di calcio tra la squadra di Legnini e le altre non ci sarebbe partita. Ma gli spettatori che qui sono gli elettori devono tifare non per la ideologia di questo o quel partito, per questo o quel personaggio; devono tifare per se stessi e avere a cuore il loro presente e il loro futuro.
Se Legnini riuscirà a coinvolgere una ampia rete di sostenitori che vada oltre i tradizionali partiti di sinistra e i loro simboli ,se formerà un squadra di entusiasti e di competenti con molte facce nuove ,e avrà il coraggio di tagliare i molti rami secchi, la vittoria non potrà sfuggirgli e sarà la vittoria non di Legnini ma di tutti i cittadini abruzzesi.

di Achille Lucio Gaspari

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Travaglio e il suo incubo sulla prescrizione

Travaglio e il suo incubo sulla prescrizione

Come al solito Travaglio nel suo articolo”Chiagni e sciopera” sul Fatto Quotidiano del 22 novembre fa abilmente un gioco sporco. 

A) contesta la libertà garantita dalla Costituzione a tutti i lavoratori di pronunciare secondo le regole uno sciopero nazionale Non è che un avvocato si proclama da solo in sciopero per ritardare un suo processo. O vogliamo far credere che l'avvocato Tizio ha bisogno di un bello sciopero per ritardare una causa nel tribunale di Rocca Cannuccia e allora induce tutti gli avvocati a proclamare uno sciopero nazionale? Ma mi faccia il piacere direbbe Totò

B) Travaglio dice che i clienti degli avvocati sono quasi tutti colpevoli. Curiosa la coincidenza con le parole di Davigo  che afferma che non ci sono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti. E la presunzione di innocenza sancita dalla Costituzione? E' solo carta straccia. Allora perché perdere tanto tempo? Facciamo un bel tribunale di Salute Pubblica con Di Matteo e Davigo giurati  e Travaglio presidente. Condanna alla enunciazione delle generalità Un bel risparmio di tempo! Non vi pare?

C) Sono troppi tre gradi di giudizio; a cosa servono tutti questi appelli? Visto che sembra piacergli la giurisdizione statunitense perché non propone per chi è assolto la impossibilità di presentare appello da parte pubblico ministero come è negli Stati Uniti? Che sciocco! Dimenticavo che qui in Italia siamo tutti colpevoli; lasciamo il tempo al p.m. di scoprirli

D) Che disdetta qui in Italia non si possono utilizzare le prove raccolte dal pubblico ministero, magari una bella confessione ottenuta a schiaffi e calcioni come il caso Cucchi insegna e così si perde un sacco di tempo perché è in dibattimento che si formano le prove essendo il processo di tipo accusatorio come negli Stati Uniti. Anzi negli USA la prescrizione non c'è proprio. Facciamo anche noi così. Va bene ma perché Travaglio vuol prendere solo una cosa? Prendiamo tutto allora. La separazione delle carriere, la elezione dei procuratori distrettuali, la non obbligatorietà dell'azione penale, le giurie popolari che emettono il verdetto. Che sciocco! Dimenticavo che queste cose a Di Matteo e a Davigo non piacciono. Dove andrebbe altrimenti a finire il potere delle Procure?.

E) eccezionale l'ultima proposta del nostro emulo di Beccaria . La prescrizione facciamola cominciare da quando si scopre il reato! Cosi magari quando avrò novanta anni un Davigo qualsiasi mi dirà: oggi ho scoperto che tu settanta anni fa hai ammazzato tua nonna ;orsù difenditi.

Ma per chi scrive queste cose Travaglio? Quelli che la pensano come lui non ne hanno bisogno; forse per degli ingenui e degli sprovveduti. Gli altri il Fatto Quotidiano proprio non lo comprano e se gli capita tra le mani ne fanno altri usi

di Lucio Achille Gaspari

 

 

 

 

 

 

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Le spine di Salvini tra Di Maio e Berlusconi

 

Le spine di Salvini tra Di Maio e Berlusconi

Nelle democrazie liberali di tipo parlamentare quando un Partito non ha da solo la maggioranza per sostenere un suo governo ricorre ad alleanze con altri partiti. Nella prima repubblica la Democrazia Cristiana ha governato con i partiti di centro e includendo i socialisti allargò il perimetro della maggioranza. Nella seconda repubblica si sono alternate coalizioni di sinistra e coalizioni di centro destra. La caratteristica di queste alleanze era costituita dalla presenza di un partito leader che era il più forte dell’alleanza (Democrazia Cristiana, PDS, Forza Italia) e in piccoli partiti abbastanza omogenei per ideologia politica che non coltivavano l’ambizione di divenire il partito principale della coalizione

 

Il contratto giallo-verde, ciò che unisce

L’alleanza tra Movimento 5 stelle e Lega è qualcosa di anomalo. L’unica cosa che unisce le due forze politiche è un atteggiamento di contrasto verso l’Unione Europea considerata fonte di ogni male; una opposizione quindi tra il popolo e la élite burocratica europea da cui deriva la definizione di populisti. Non si tratta di posizioni del tutto immotivate; basta considerare in che modo l’Italia sia stata lasciata solo a gestire una incontrollabile ondata migratoria, anche se con la condiscendenza del governo Renzi. L’aspetto più rilevante riguarda invece la gestione economica. Dal momento che 18 paesi hanno una moneta unica è logico che esistano delle regole comuni. Si è verificata una convergenza dei due partiti nel criticare queste regole. In una prima fase tutta la colpa è stata data all’euro con conseguente proposta di uscire dalla moneta unica e tornare alla lira. Poiché è impossibile abbandonare l’euro senza uscire dalla Unione Europea questa stravagante idea che avrebbe distrutto l’economia nazionale è stata messa da parte. Gli strali si sono allora indirizzati contro regole che strangolano l’economia inducendo alla recessione, e anche contro la disuguale applicazione di queste regolo verso le nazioni più forti e quelle meno forti. L’economia non è una scienza esatta come la matematica e la fisica; esistono scuole di pensiero contrapposte per l’adozione di provvedimenti futuri e addirittura per la interpretazione di eventi trascorsi. Pertanto, anche perché non sono un economista, mi astengo dal calpestare questo terreno scivoloso, anche se mi sembra opportuno che queste rigide regole vadano in qualche modo modificate.

 

Il contratto giallo-verde, ciò che divide

Molto più numerosi sono i motivi di divisione; per i cinque stelle prevale la filosofia della decrescita felice e dell’uno vale uno. Da qui deriva il no a quasi ogni iniziativa, dalle Olimpiadi alla TAV, dalla TAP a nuove autostrade. In altri termini lo sviluppo e l’innovazione vanno frenate per un ideale ritorno ad una età arcadica, in qualche modo favorente la riduzione dei desideri per conquistare la felicità. Si desidera un ritorno ad una economia prevalentemente rurale, che è stata una idea perseguita anche da Mussolini negli anni trenta. Il secondo aspetto riguarda il fatto che ogni individuo ha un suo valore culturale identico a quello di qualunque altro, per cui chiunque può parlare di qualunque cosa e la competenza non è più un valore. Idea che si può capire se si genera in un partito con tantissimi soggetti culturalmente impreparati ad iniziare da molti dei capi. Il terzo aspetto è il giustizialismo sfrenato sotto la spinta delle posizioni di Di Matteo e di Davigo per cui non ci sono innocenti ma soltanto delinquenti non ancora scoperti ad eccezione dei magistrati e dei Grillini. Questa ideologia ha come conseguenza che l’unico modo di spendere soldi è quello di finanziare il reddito di cittadinanza, un modo di conquistarsi facilmente il favore delle aree depresse del Sud.

La Lega ha una lunga esperienza parlamentare e di governo con Berlusconi. Ha abbandonato le posizioni giustizialiste del 1993 quando in parlamento venivano sventolati cappi e manette. Ottenuto dalla scomparsa dei partiti di governo lo spazio desiderato per se e per Berlusconi sono passati dal cappio alle leggi ad personam e questa tendenza non è del tutto scomparsa come dimostra l’incidente alla Camera che in voto segreto ha introdotto una modifica al reato di peculato che favorisce alcuni esponenti del partito verde. Abbandonata la pretesa di rappresentare le valli bergamasche e limitarsi al massimo ad una Padania indipendente, il partito di Salvini scende sotto il Po e punta a conquistare consensi nel Centro e nel Sud Italia. Non può però tradire la sua origine locale e sociale e quindi è per l’ammodernamento del paese anche attraverso le grandi opere. Fa una bandiera della sicurezza dei cittadini attraverso il controllo della immigrazione clandestina, la lotta alla delinquenza organizzata e al traffico di droga. Si tratta dunque di due partiti concorrenti, che aspirano entrambi a governare da soli e pertanto la polemica tra di loro aumenta ogni giorno di più. Ciascuno tenta di realizzare il proprio programma e impedire all’altro firmatario del contratto di realizzare il suo.

 

Le avances di Berlusconi

Quanto potrà durare questo governo? Non certo 5 anni e chi più lo afferma (Salvini) è il più convinto che non potrà durare così a lungo. Il più strenuo difensore del contratto, pur tra mille difficoltà è Di Maio perché sa bene che dopo le dimissioni di questo governo il pallino passerebbe nelle mani di Fico o di Di Battista. Berlusconi tenta di insinuarsi tra le difficoltà che in qualche modo separano i due vice presidenti e cerca di spingere Salvini a rompere e a varare un governo tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. I voti non ci sono ma il buon Silvio pensa di trovarli in parte comprandoli con il soldi, in parti comprandoli con posti nel governo ed in parte fondandosi sulla paura di elezioni anticipate per chi teme di non essere rieletto. E’ una operazione difficilissima e sicuramente dannosa per la Lega. Salvini sarebbe costretto a basarsi non sul rapporto di forza dei sondaggi, ma su quello scaturito dalle elezioni del 4 marzo, ulteriormente indebolito dai voti che Berlusconi sarà capace di trovare. Il governo sarà debolissimo e avrà contro una opposizione molto forte dove PD e Grillini essendo fianco a fianco potrebbero anche trovare una intesa tra loro, in particolar modo se a vincere la competizione congressuale fosse Zingaretti. Per Salvini, l’abbraccio di Berlusconi sarebbe mortale. L’elettorato ha ormai capito che l’unico obiettivo di Berlusconi e la tutela dei suoi interessi economici che non coincidono affatto con l’interesse degli elettori

 

Come andrà a finire?

No ho poteri divinatori come il mago Otelma (che sa tutto e prevede tutto ma quando bussano alla porta chiede. Chi è?) ma ritengo che l’alleanza andrà avanti almeno fino a dopo le elezioni europee il cui risultato costituirà un elemento indicativo per la futura evoluzione. Solo un disastro economico potrebbe accelerare il disfacimento del governo ma non penso che si arriverà a questo. Ad un certo punto ci sarà un bella marcia indietro sulle promesse più costose con la seguente dichiarazione: volevamo fare quanto promesso in campagna elettorale e per questo ci siamo scontrati con l’Europa; questi burocrati ce lo hanno impedito e noi non possiamo mandare in fumo le limitate risorsi che abbiamo. Votateci e li manderemo a casa. Con una diversa Commissione Europea faremo quanto promesso e anche di più

Ho azzardato una previsione e potrei rischiare una brutta figura; per rimediare mi lancio in una previsione più facile. La Roma non vincerà lo scudetto, non andrà in semifinale di Champions League e non vincerà neanche la Coppa Italia.

 

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Il bimillenario della morte di Ovidio

Il bimillenario della morte di Ovidio

Per il bimillenario della morte di Ovidio le Scuderie del Quirinale hanno organizzato una mostra. Poiché questa struttura espositiva è dedicata alle arti figurative, ci si potrebbe domandare che tipo di mostra sia possibile organizzare su un poeta. Su un contemporaneo non mancherebbero foto, cimeli, lettere, manoscritti e prime edizioni dei suoi libri. Ma su un personaggio vissuto oltre duemila anni fa cosa si può mostrare?

Ovidio nacque a Sulmona nel 43 a.C.; con le sue opere divenne famoso e ambito nei circoli culturali e politici della Capitale dell’Impero organizzati da Giulia, l’unica figlia di Augusto. Tra le sue innumerevoli opere, di grande prestigio e ammirazione ha da sempre goduto il monumentale libro delle Metamorfosi.

Le metamorfosi, ovvero le trasformazioni sono una completa raccolta di miti della cultura greca che hanno per comun denominatore un cambiamento. Aracne trasformata in ragno da Atena dopo una sfida a chi meglio sapeva tessere, Narciso innamorato di se stesso che si lascia morire per questo amore impossibile e viene trasformato nel fiore che porta il suo stesso nome, Dafne che inseguita da Apollo viene trasformata in una pianta di alloro. Tantissimi sono i miti che Ovidio narra nel suo libro e che grazie alla sua opera sono diventati immortali e fonte di ispirazione per pittori e scultori. La mostra è quindi una preziosa collezione di pitture, mosaici, sculture e quadri dell’epoca greco romana e del rinascimento europeo. Grandi pittori come Giorgione, Botticelli, Velasquez, Tiziano e tanti altri sono stati sedotti da queste storie e con la loro arte hanno reso visibili questi personaggi mitologici.

Ovidio spiega le ragioni che lo hanno spinto a comporre la sua opera sulle Metamorfosi con questa frase: nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma. E’ sorprendente che nei suoi versi il poeta usi parole che saranno riprese da grandi scienziati come Lauvoiser e Einstein per descrivere la realtà fisica che ci circonda e di cui noi stessi siamo fatti.

Ovidio fu esiliato a Tomi una piccola cittadina che sorgeva sulle rive del mar Nero e che nella odierna Romania si chiama Costanza. Perché fu esiliato? La versione più accreditata è che Augusto avendo iniziato una azione moralizzatrice sui costumi del tempo non tollerava comportamenti licenziosi; per questo fece esiliare la sua unica figlia prima nell’isola di Ventotene e poi a Reggio Calabria. Avendo Ovidio pubblicato un libro, L’ars amandi, considerato sconveniente, per questa ragione fu esiliato. In realtà la figlia Giulia fu punita non per i suoi comportamenti sessualmente disinvolti ma perché partecipava ad una congiura che voleva restaurare la repubblica eliminando la figura dell’Imperatore. Per questo reato avrebbe meritato la morte, ma Augusto si limitò a punire la figlia in modo più blando e la storia dei comportamenti licenziosi era solo un modo per nascondere la reale versione dei fatti. Quindi l’accusa per Ovidio di essere un corruttore dei comportamenti non regge anche perché lo stesso poeta riconosce di essersi macchiato di una gravissima colpa che meritava la morte e mostra di essere in qualche modo grato per la clemenza esercitata da Augusto. Quale dunque fu la sua colpa? La vita politica dei Romani era soggetta a credenze di origine religiosa. La tolleranza che i Romani esercitavano verso tutte le altre religioni (tranne il cristianesimo, ma questa è un’altra storia) nasceva dal desiderio di volersi ingraziare gli dei protettori delle città nemiche garantendo loro uno splendido culto nell’Impero in modo che privassero queste città nemiche della loro protezione. Per questa ragione, temendo che i nemici facessero la medesima cosa con i loro dei avevano proibito, pena la morte ,di svelare il nome segreto di Roma ,ciò è il nome della dea protettrice della fondazione della città. Questa dea è Maia ,la più bella delle Pleiadi che sono una costellazione di sette stelle, disposte nel cielo come i sette colli di Roma. E la dea stella Maia occupa nel firmamento una posizione più centrale corrispondente al colle Palatino. Dunque è lei la dea protettrice, il nome segreto di Roma. Ovidio iniziò a comporre una nuova opera, i Fasti, in dodici libri, Scopo dell’opera era di spiegare l’origine del nome di ciascun mese, e quando si trattò di parlare di Maggio il poeta attribuì l’origine del nome alla dea Maia, svelando quanto si doveva tacere. Per questo meritava la morte che Augusto tramutò in esilio. Trova quindi spiegazione l’affermazione del sulmonese che dice di aver commesso un grave delitto che avrebbe meritato di essere punito con la morte.

Tutti noi cerchiamo di vincere in qualche modo l’oblio della morte; da uomini semplici cerchiamo di farlo dando ai nostri parenti e amici un motivo per ricordarci con affetto. Io mi sono sempre domandato chi tra un artista, uno scienziato e un grande personaggio storico riesca meglio a conquistare l’immortalità.

Di Alessandro, di Cesare, di Napoleone noi ammiriamo la grandezza e il potere anche se è stato conquistato a spese di lutti e violenze. Di Euclide, Galileo, Fermi ammiriamo il vantaggio e il progresso che con le loro scoperte hanno apportato all’intera umanità. Ma quando leggiamo un verso di Dante, ascoltiamo una musica di Mozart, guardiamo un quadro di Botticelli riviviamo in noi stessi le sensazioni e i sentimenti che hanno ispirato gli artisti e poiché la nostra vita è mossa dalla logica, ma sopra tutto dal sentimento per me gli artisti sono i più grandi.

Visitando l’ultima sala della mostra ho letto con emozione sul muro le parole di Ovidio: con il mio libro ho innalzato un monumento perenne; né l’ira di Giove, né il passare del tempo che tutto consuma potrà distruggere il ricordo di me. Ho conquistato l’immortalità.

diAchille Lucio Gaspari

 

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Travaglio esalta i 5 stelle tenta di – travagliare Salvini –

Travaglio esalta i 5 stelle tenta di - travagliare Salvini - 

Che Travaglio sia un ottimo giornalista e che come polemista dia il meglio di se non lo scopriamo certo oggi, ma l’ultimo suo articolo apparso sul Fatto Quotidiano fa riflettere. Prendendo spunto dai recenti contrasti tra di Maio e Salvini il prode Marco compie una azione manichea. Da una parte i buoni (i 5 stelle) e dall’altra i cattivi (la Lega). Tutte le leggi proposte dai 5 stelle ed approvate sono il massimo dell’intelligenza, dell’efficienza e della moralità. Tutela leggi proposte dalla lega ed approvate sono dei favori ai delinquenti e aiuti agli speculatori. Poiché per approvare queste leggi di cui Travaglio parla sono necessari i voti di entrambi i partiti, una domanda sorge spontanea. Come mai la Lega non ha alcun merito avendo contribuito a far approvare queste meravigliose leggi proposte dai 5stelle? E come mai i 5 stelle non hanno alcun demerito avendo contribuito a far approvare queste schifose leggi proposte dalla Lega? Ma c’è di più; i buoni e i cattivi non sono solo i politici dei due partiti ma anche i rispettivi elettori. Coloro che votano 5 stelle sono degli illuminati che amano difendere gli interessi di tutto il popolo, coloro che invece nell’urna mettono la croce sul simbolo della Lega sono dei delinquenti e dei corrotti che vogliono tutelare i loro sporchi interessi. A essere generosi sono degli stupidi che si lasciano facilmente ingannare,

Sono opinioni che non condivido ma rispetto, e rispetto Travaglio anche quando va un po’ sopra le righe appellando Salvini con l’epiteto non proprio gentile di Cazzaro Verde. Capisco anche che abbia esultato alla sprovveduta azione di incriminazione portata avanti dal procuratore di Agrigento e che ci sia rimasto male quando il procuratore di Catania ha ritenuto che non essendoci nessun reato la pratica andava archiviata.

Però questi paladini della democrazia e della libertà mi devono spiegare perché sia lecito esprimere una incondizionata approvazione se ad essere attaccati sono i loro avversari politici e come mai invece se i giornalisti criticano Di Maio e company essi sono pennivendoli se uomini e puttane se donne. Minacciano pesantemente i funzionari del Ministero dell’Economia perché svolgono con indipendenza il loro compito e non si piegano ai dictat della loro parte politica.

Facciamo attenzione a tutti quelli che sono convinti di stare dalla parte del giusto e ci credono con fede religiosa. Non vorrei proprio che ci costringano, naturalmente per il nostro bene, a far proprie le loro idee.

di Achille Lucio Gaspari

 

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Democrazia e libertà di stampa

Democrazia e libertà di stampa

I giornali e i giornalisti che vivono secondo i principi dell’onnipotenza della stampa al di sopra e contro lo Stato, al di sopra e contro la Società devono sparire o piegarsi all’ordine nuovo. I giornali che lottano contro lo Stato non devono avere più la libertà di compiere la loro nefanda azione antipopolare. I giornalisti che si ritengono intangibili despoti del famigerato “quarto potere” devono deporre la penna.

Chi secondo voi ha pronunciato queste parole? Di Maio o Di Battista? Se mi dite uno dei due avete sbagliato. Queste parole le ha pronunciate nel 1930 Ermanno Amicucci, segretario del sindacato nazionale fascista dei giornalisti.

Se qualcuno si è ingannato è perché è rimasto colpito dall’attacco scomposto che entrambi gli esponenti dei 5 stelle hanno lanciato contro i giornalisti dopo l’assoluzione di Virginia Raggi.

Il sillogismo: io ho ragione perché rappresento il popolo e chi non la pensa come me commette un errore in malafede e poiché io governo e impersono il potere esecutivo dello Stato, chi non condivide le mie posizioni è contro lo Stato. Questa è la quintessenza del potere dittatoriale in uno stato totalitario. Questa dolorosa evenienza l’Italia l’ha vissuta durante il regime fascista e ora è potentemente vaccinata contro queste distorsioni del populismo; questa malattia della democrazia non può assolutamente recidivare.

Per chi ritiene che sto esagerando, vorrei ricordare che ben cinque volte il presidente Mattarella è intervenuto in difesa della libertà di stampa e da uomo moderato e prudente qual è lo ha fatto perché tirato per la giacca.

Se qualche giornalista scrive il falso e travisa le notizie ci sono i tribunali penali e civili che possono intervenire. Se un giornale anche non di partito, ha una sua linea editoriale e si colloca in una posizione critica contro il governo, contro qualche partito o contro qualche personaggio politico, ha il diritto e ritengo anche il dovere di farlo. Non accettiamo di adeguarci al pensiero unico che qualcuno vorrebbe imporci. Dobbiamo essere vigili e combattivi anche contro le parole per impedire che si passi dalle parole ai fatti.

Per ora non corriamo certo gravi pericoli, ma si sappia che la stragrande maggioranza dei cittadini ha nel cuore le parole con cui Dante descrive Catone l’Uticense dicendo “libertà va cercando che è si cara come sa chi per lei vita rifiuta”

di Achille Lucio Gaspari

 

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4 novembre 1918-2018 Cento anni dalla fine della grande guerra

4 novembre 1918-2018 Cento anni dalla fine della grande guerra

Le premesse della Triplice Alleanza.

Nel 1861 l’Italia aveva raggiunto la sua unità, ma mancava una intera regione, il Veneto passata agli austriaci con il trattato di Campoformio. La Prussia intanto si sviluppava rapidamente dal punto di vista culturale, economico, industriale e militare. Presto sarebbe diventata la Grande Germania. L’Italia approfittò di questo espansionismo prussiano che per ora si dedicava al Centro Europa (ma nel 1870 avrebbe pesantemente sconfitto la Francia ponendo fine al regno di Napoleone III°) stipulando una alleanza politico militare, ed entrambe le nazioni dichiararono guerra l’Austria. Al contrario di quanto accadde nel 1940, questa volta l’alleanza con i tedeschi funzionò molto bene. Nonostante le sconfitte italiane a Custoza sulla terra e a Lissa sul mare, la vittoria prussiana a Sadowa pose fine vittoriosamente alla guerra. Nel trattato di pace fu stabilito che il Veneto sarebbe passato alla Prussia (gli austriaci non si ritenevano sconfitti dall’Italia) e quest’ultima lo avrebbe consegnato all’Italia come infatti avvenne.

 

La triplice alleanza

Fortunatamente le nazioni dopo grandi tensioni e contrasti sanno trovare, molto di più dei singoli uomini in particolar modo se parenti, punti di incontro su comuni interessi. Prussia ed Austria trovarono convergenze di interessi e stipularono una alleanza politica e militare. L’Italia fu in qualche modo trascinata dalle decisioni della Germania; aveva bisogno di una sicurezza ai propri confini ed entrò in questo consorzio di nazioni che si costituì come Triplice Alleanza. L’Italia infatti, ultima delle nazioni europee cominciò a coltivare interessi coloniali in Africa, in Somalia, in Eritrea e in Libia. Dopo le sfortunate e mal organizzate spedizioni che si conclusero con le sconfitte di Adua e di Dogali, le cose andarono meglio nella guerra Italo –turca, che fruttò la conquista della Libia e delle isole del Dodecaneso. L’Austria non era un paese di cui fidarsi molto. Quando nel 1908 si verificò l’immane sciagura del terremoto di Messina e Reggio Calabria che causò oltre ottantamila morti, molte forze dell’Esercito Italiano furono spostate al Sud per portare soccorsi. Venne allora in mente al generale Conrad, capo di stato maggiore dell’esercito austriaco, di attaccare di sorpresa per riprendersi il Veneto e magari qualche cosa di più. I piani militari erano pronti da tempo, ma l’imperatore Francesco Giuseppe non autorizzo l’iniziativa di Conrad nel timore che ad un insuccesso si sarebbe aggiunto il biasimo internazionale. La Triplice Alleanza era una alleanza anche militare che obbligava i contraenti ad entrare in guerra se uno di essi avesse subito una aggressione. Non era previsto un simile automatismo nel caso il conflitto fosse determinato dall’azione di una delle potenze contraenti.

 

La deflagrazione del conflitto e la neutralità italiana.

L’episodio di Sarajevo verificatosi il 28 giugno 1914 che causò l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando erede al trono dell’Austria e di sua moglie Sofia per mano del terrorista bosniaco Gavrilo Princip , suscitò una grave tensione tra Austria e Serbia perché gli austriaci ritennero che l’atto terroristico fosse stato deciso e pianificato in Serbia. L’Austria presentò una richiesta-ultimatum alla Serbia; quasi tutte le richieste furono accolte, ma non essendoci stata una capitolazione totale l’Impero Asburgico si apprestò a compiere una azione militare contro la Serbia. La Russia, tradizionale alleata dei Serbi mobilitò l’esercito a scopo di minaccia. All’epoca la mobilitazione militare era una operazione complessa che richiedeva circa un mese. Un esercito pronto al combattimento avrebbe potuto prevalere facilmente contro un avversario impreparato. Per questa ragione mobilitarono anche la Germania e l’Austria e in conseguenza di questo mobilitò anche la Francia. I regnati che erano tra di loro cugini (gli imperatori di Austria e Germania, lo Zar della Russia e il Re d’Inghilterra) non erano intenzionati a farsi guerra e non lo erano neanche i rispettivi governi; i militari però presero la mano a tutti e fecero precipitare le cose fino alla guerra che la Germania dichiarò alla Russia il primo Agosto. Seguirono le dichiarazioni incrociate di Austria, Francia e Inghilterra. Il 3 Agosto l’Italia dichiarò la sua neutralità. Poiché la guerra era stata scatenata dall’Austria e dalla Germania l’Italia non aveva alcun obbligo statutario di intervenire e un intervento a fianco degli imperi centrati non era neanche nei suoi interessi.

 

I dieci mesi di neutralità dell’Italia.

Molte forze politiche in Italia erano contro un qualsiasi tipo di intervento e auspicavano un mantenimento della neutralità. I socialisti sostenevano che si trattava di una guerra scatenata da interessi capitalistici ed era contro le aspettative del proletariato operaio e contadino. Tranne l’eccezione di alcuni socialisti riformisti come Leonida Bissolati, questa posizione si mantenne anche durante il conflitto con una intensa propaganda disfattista. Anche successivamente alla conclusione vittoriosa della guerra queste posizioni non solo non mutarono ma si fecero più violente. Mio nonno Ettore mi raccontò di aver assistito a questa scena nel 1919. Un grande invalido, mutilato ed insignito di medaglia d’oro era seduto ad un bar in quella che è oggi la Galleria Alberto Sordi a Roma. Due socialisti lo insultarono, lo fecero oggetto di sputi e infine lo aggredirono scaraventandolo a terra. E questa manifestazione di intolleranza non era l’eccezione ma anzi la regola del comportamento dei socialisti. Gran parte dei cattolici e soprattutto le gerarchie erano contrari alla guerra. Questo atteggiamento era in parte motivato da un sentimento di pacifismo insito nella dottrina, ma anche nella ancora non digerita annessione di Roma all’Italia e alla fine del potere temporale dei Papi. Da questo stato d’animo derivò che alcuni cappellani militari dei gradi più elevati, durante il conflitto si prestarono a svolgere attività di spionaggio in favore della corona austriaca. Posizioni favorevoli al neutralismo furono espresse anche dal gruppo di liberali che faceva capo a Giolitti il quale ebbe a dire che con la neutralità l’Italia avrebbe potuto ottenere parecchio. Le rivendicazioni dell’Italia erano ben conosciute; con i nomi di Trento e Trieste si intendeva dire che si voleva portare il confine al Brennero ed ottenere il controllo di tutta l’Istria fino al golfo del Quarnaro già indicato da Dante come territorio italiano e definito come il luogo “dove il dolce si suona” Trattative in effetti furono stabilite con l’Austria durante gli ultimi mesi del 1914 e i primi del 1915. In cosa consisteva questo parecchio di Giolitti? Trento, ma non il confine al Brennero; Gorizia ma non Trieste che sarebbe stata costituita in città libera. Queste erano le concessioni che il regno asburgico era disposto a fare, ma solo dopo la vittoriosa conclusione della guerra. Tra gli interventisti c’erano i nazionalisti che consideravano questa come la quarta guerra di indipendenza conclusiva del Risorgimento, i futuristi che consideravano la guerra come “sola igiene del mondo” capace di eliminare i parassiti, di far affermare i super uomini e di dare una spinta decisiva al progresso. I più equilibrati erano i liberali che valutavano come inaffidabili ed inaccettabili le proposte dell’Austria e quindi il Governo Italiano stipulò a Londra il 26 aprile 1915 un patto con Francia, Inghilterra e Russia per una guerra comune contro gli imperi centrali, dopo aver stabilito le proprie rivendicazioni. Il patto era segreto; bisognava preparare l’opinione pubblica e in qualche modo anche i deputati che avrebbero dovuto ratificarlo. Il prestigio e le capacità oratorie di D’Annunzio furono determinanti. Il 4 maggio, dallo scoglio di Quarto dove in quella stessa data era partita la Spedizione dei Mille il poeta tenne un memorabile discorso. Altro discorso D’Annunzio tenne a Roma il 17 maggio, tra gran concorso di pubblico sulla scalinata dell’Araceli. Esortò i presenti ad andare a Piazza Montecitorio per impedire l’ingresso alla Camera ai deputati contrari all’intervento e a conclusione sguainò un sciabola che disse essere appartenuta a Nino Bixio. Il sole del tramonto romano illuminò la lama con i suoi raggi rossi, scatenando l’entusiasmo dei presenti

 

Il 24 maggio 2015 l’Italia entra in guerra.

Lo sforzo bellico richiesto all’Italia fu impressionante. Si trattava di equipaggiare, addestrare e mettere in campo quasi cinque milioni di uomini- Furono necessari migliaia di cannoni e di bombarde; decine di migliaia di mitragliatrici, milioni di munizioni. La marina venne potenziata; anche se non ancora costituita in arma autonoma l’aviazione fece la sua comparsa sui campi di battaglia. Si dovette organizzare una efficiente sanità militare con ospedali da campo, ospedali militari e centri di riabilitazione per i mutilati. Un esercito che prima si muoveva a piedi e a cavallo fu motorizzato con motociclette, automobili, camion ed entrarono in linea le prime autoblinda armate. Era una guerra totale e l’impegno della Nazione fu totale. L’apparato industriale si ampliò e si rimodernò; le donne sostituendo gli uomini nelle fabbriche e nei campi svolsero un ruolo fondamentale che fu loro riconosciuto nella società in modo ampio.

Il punto dolente era costituito dalla mentalità antiquata dello stato maggiore, dalla mancanza di un moderno metodo di addestramento e dalla scarsa considerazione per le privazioni, le sofferenze e l’incolumità dei soldati. Il fronte si estendeva per seicento chilometri, dallo Stelvio al mare. L’esercito assunse uno schieramento offensivo, ma non essendo possibile avanzare sulle Alpi il piano strategico fu di avanzare lungo la direttrice delle valli slovene in direzione di Lubiana. Dopo alcune limitate avanzate, così come si era verificato sul fronte occidentale, i due eserciti si impantanarono in una guerra di trincea. Cadorna, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, legato a concezioni antiquate, decise per una guerra di logoramento dell’esercito austro-ungarico programmando dal maggio 15 all’agosto 17 ben undici spallate sull’altipiano carsico, ciascuna delle quali costò un numero impressionante di morti e di feriti con limitatissimi vantaggi territoriali. In pratica si ottenne solo la conquista della città di Gorizia e dell’Altipiano della Bainsizza. Terribili erano le condizioni di vita dei soldati di fanteria nell’umido delle trincee, tormentati dai topi e dai parassiti. Eroici gli sforzi degli Alpini che trascinarono pesanti pezzi di artiglieria fino a tremila metri di quota, e che pagarono un prezzo elevatissimo in vite umane per conquistare o difendere una vetta; e quando non era il piombo nemico a falciare questi valorosi soldati era il freddo, la tormenta e le valanghe. Le bellissime canzoni che nacquero in questo periodo parlano di sacrificio, di amore per la patria, ma anche per la mamma e la fidanzata lontana. Sentimenti semplici e veri che ancora ci commuovono quando li sentiamo evocati dai cori degli alpini. Nel 1916 Conrad scateno una grande offensiva nel Trentino con l’obbiettivo di conquistare le valli di pianura. Questa offensiva ebbe il nome in codice di”Straffexpedizion” ciò è spedizione punitiva . Una bella faccia tosta da parte di chi ci rinfacciava di aver cambiato alleanza, mentre in tempo di pace si preparava ad attaccare di sorpresa l’alleato. Ma la punizione la presero loro e ad infliggerla furono le divisioni alpine

 

Caporetto e la battaglia di arresto

Caporetto è un nome che evoca ancora oggi un sentimento di disfatta irreparabile, ma le cose non andarono in modo totalmente disastroso. Quali le cause della sconfitta? In un comunicato stilato il 28 ottobre 1917, fatto poi modificare dal Governo, Cadorna attribuisce tutta la colpa alla viltà dei soldati e alla propaganda disfattista dei socialisti. Se si guardano le cifre brute i fatti sembrano dargli ragione. La Seconda Armata,la nostra armata, più potente forte di novecentomila uomini fu annientata. Trecentocinquantamila prigionieri, quattrocentomila sbandati, ma solo undicimila morti; l’armata quindi non aveva combattuto e risponde al vero che alcune compagnie si arresero senza sparare un colpo al grido di “viva l’Austria”

L’attacco nemico fu sferrato dalla XIV armata austro tedesca al comando del generale Otto Von Bulow. Il piano operativo era stato ideato dal suo Capo di Stato Maggiore generale Kraf Von Demelsingen. La operazione consisteva nel radunare il grosso delle forze nella conca di Tolmino e Plezzo, sfondare verso Caporetto attraversando l’Isonzo e spingersi verso la pianura veneta. I battaglioni erano ben addestrati e potentemente armati; avevano inoltre goduto di due mesi di riposo. Nella organizzazione tedesca i reparti avevano una notevole autonomia decisionale sotto il comando di ufficiali giovani e ben preparati. Diversa era la situazione italiana. I reparti si erano logorati nella conquista dell’altipiano della Bainsizza avvenuto in agosto. Niente riposo e scarsi reintegri. Le riserve erano tenute molto lontano dalle prime linee. Gli ufficiali erano patrioti entusiasti ma carenti di preparazione; la dotazione di mitragliatrici non era abbondante. Non ci fu alcuna sorpresa come lo Stato Maggiore volle far credere. I nostri servizi di spionaggio che erano molto efficienti, avvertirono sin dall’inizio di settembre che una grossa offensiva era in preparazione, e via via che i giorni passavano, anche con le informazioni ottenute da numerosi disertori il piano fu completamente svelato. Si conosceva il luogo e la data dell’attacco, che era stata stabilita per il 24 ottobre. Note anche le modalità: violento attacco di artiglieria dalle due della notte anche con granate a gas, e poi attacco rapido lungo le valli trascurando i caposaldi in quota che vistisi accerchiati sarebbero caduti da se. Tra i più intraprendenti in questa azione di infiltrazione che lo portò a conquistare rapidamente anche Lavarone fu un giovane tenente Erwin Rommel che pubblicò nel dopoguerra un libro di successo “fanterie all’attacco” dove spiegava i nuovi principi della guerra di movimento. Principi che poi adottò nella seconda guerra mondiale al comando della VII divisione corazzata in Francia e al comando dell’Africa Corp. in Libia.

Il generale Capello, comandante della seconda Armata, al corrente di tutto, era convinto di poter arrestare facilmente l’offensiva e poi con un contrattacco poderoso sfondare le linee nemiche, incamminarsi verso Vienna e vincere da solo la guerra. Per questa ragione, senza ascoltare le raccomandazioni di Cadorna che gli ordinava di assumere una disposizione difensiva, mantenne invece la disposizione offensiva dell’armata, avanzando i grossi calibri di artiglieria con l’ordine di non rispondere al fuoco di distruzione ma agire quando le fanterie avversarie fossero passate all’attacco. Il fuoco avversario distrusse le linee di comunicazione, l’attacco con i gas asfissianti fece molte vittime e quando le fanterie sbucarono dalla fitta nebbia era ormai troppo tardi per un efficace fuoco di artiglieria. Il generale Badoglio, comandante del XXIV corpo d’armata avrebbe dovuto svolgere un ruolo difensivo determinante, invece fu del tutto latitante e fu uno dei maggiori responsabili della sconfitta. Riuscì però a nascondere le sue responsabilità. Nei verbali della Commissione Parlamentare d’inchiesta istituita dalla Camera dei Deputati per appurare le responsabilità del disastro, i fogli che trattano del suo ruolo risultano strappati. Mussolini lo nominò successivamente capo di Stato Maggiore e il re Vittorio Emanuele II addirittura Capo del Primo Governo Post Fascista!

Nel pomeriggio del 24 molti reparti austro tedeschi avevano già attraversato l’Isonzo, e le truppe di riserva che arrivavano dopo marce estenuanti si trovavano le strade ingorgate da soldati sbandati che si ritiravano abbandonando le armi. In questo caos fino al 27 ottobre gli alti comandi non si resero conto della gravità del cedimento del fronte. E’ evidente che soldati provati da tante perdite, circondati, senza ordini, con i comandi di divisione e di corpo d’armata abbandonati dai responsabili, non potevano far altro che arrendersi, ritenendo che essendo per loro finita la guerra avevano ottenuto di salvare la vita. Non si immaginavano la spaventosa realtà dei campi di prigionia austriaci dove tantissimi trovarono la morte per la fame e per le malattie. Dopo una fase di grave confusione Cadorna recuperò il suo sangue freddo e trasformò la rotta in una ritirata organizzata. Nel frattempo ci fu una riunione del Comando Interalleato; l’Italia richiese la restituzione di alcuni gruppi di artiglieria inglese che erano in servizio sul fronte italiano ed erano stati ritirati in agosto. Ma non ne ottenne la restituzione. Chiese anche che alcune divisioni franco-inglesi fossero spostate sul fronte italiano per portare soccorso ma la risposta fu che la situazione era troppo rischiosa per gli alleati. Bisognava prima stabilizzare il fronte e poi la cosa poteva essere discussa. Consigliarono di ritirarsi fino almeno all’Adda se non al Mincio per difendere Milano. Cadorna aveva invece approntato una linea di difesa dal Grappa al mare accorciando la lunghezza del fronte di quasi metà lunghezza. Poté così sopperire alla mancanza della seconda armata, salvando tutte le altre armate che si ritirarono senza subire perdite; preziosa fu l’azione di rallentamento dell’avanzata nemica messa in atto dalla III armata al comando di S.A.R. il Duca di Aosta che assunse il compito di difendere la linea del Piave. L’avanzata nemica si arrestò contro la barriera creata sul monte Grappa e sul Piave; quegli stessi soldati tacciati con faciloneria da Cadorna di viltà, difesero con coraggio ed eroismo il nuovo fronte. Ignote mani vergarono su muri diroccati le frasi “meglio vivere un giorno da leoni che cento da pecora” e “tutti eroi, o il Piave o tutti accoppati” Fu richiamata anche la classe del 99 e i ragazzi diciassettenni in prima linea furono tra i più determinati e coraggiosi. Le canzoni “monte Grappa tu sei la mia patria” e “il Piave mormorò” nate in quei giorni ci trasmettono tuttora una forte emozione.

 

Gli atti di eroismo e la riscossa

Numerosissimi furono gli atti di eroismo e tante le medaglie al valore assegnate. Comincerei col ricordare Cesare Battisti, Fabio Filzi e Nazario Sauro. Italiani nati in territorio italiano occupato dagli austriaci, disertarono l’esercito imperiale e si arruolarono in quello italiano per contribuire a redimere le loro terre natali. Presi prigionieri e sottoposti ad un processo farsa furono condannati a morte per impiccagione. Affrontarono il loro destino con coraggio. Gli austriaci filmarono le esecuzioni e ne diffusero i filmati come monito. Le macabre immagini mostrano la fermezza e determinazione di quegli eroi e ricoprirono di vergogna e di vituperio quanti avevano preso la decisione di infliggere quell’ingiusto supplizio e di mostrarlo. Gli alpini si coprirono di gloria sulle vette dei monti e non meno coraggiosi si mostrarono i bersaglieri, autori di imprese incredibili come quella della conquista del Monte Nero. Oggi tutti gli eserciti hanno delle truppe speciali in grado di compiere missioni quasi impossibili. I primi ad organizzare una simile forza furono gli Italiani che crearono il corpo degli Arditi. Innumerevoli gli episodi guerreschi eroicamente portati a termine da questi militi che erano contraddistinti dalle Fiamme Nere sulle mostrine; andavano all’assalto con pugnale e bombe a mano perché quasi sempre i loro assalti venivano combattuti corpo a corpo. Grande fu il contributo degli aviatori, per tutti vale ricordare il Capitano Francesco Baracca pilota di caccia che si fregiava di 34 vittorie. Fu ucciso da un colpo di fucile mentre mitragliava a bassa quota le trincee nemiche durante la battaglia del solstizio. Il cavallino nero, rampante in campo giallo che adornava il suo velivolo (era un ufficiale di cavalleria), fu dalla madre dato in dono ad Enzo Ferrari; ancora oggi galoppa sulle rosse di Maranello e spesso vince. Anche la Marina contribuì in modo sostanziale. Luigi Rizzo al comando di un MAS (un motoscafo veloce armato di siluri) attaccò da solo una intera squadra navale austriaca affondando in due episodi diversi le corazzate Wien e Santo Stefano. Un decreto reale dovette modificare una legge che impediva di attribuire ad un soldato più di tre medaglie al valore per potergli tributare oltre ad una di bronzo, una d’argento ed una d’oro una seconda medaglia d’oro. Il grande professore di chirurgia, dalla cui scuola indirettamente derivo, Raffaele Paolucci, da giovane ufficiale medico mise a segno una impresa straordinaria. Fu infatti il primo sommozzatore a portare a termine una azione d’attacco penetrando in un porto nemico; dopo una nuotata di sette ore violò il porto di Pola trascinandosi dietro una mina con cui affondò la corazzata Viribus Unitis ,le cui ancore ornano ancora oggi il Ministero della Marina a Roma. Ne dimenticheremo il nostro conterraneo, Capitano di Corvetta Andrea Bafile che con i suoi marinai combatté a terra per difendere la linea del Piave e perse la vita per salvare i suoi uomini rimasti circondati su una isoletta del fiume. Le sue spoglie riposano in una grotta della Maiella Madre che guarda verso l’azzurro del mare. La propaganda è sempre stato un mezzo molto importante in pace e in guerra. Nessun paese belligerante ebbe un personaggio del calibro di Gabriele D’Annunzio che con le sue imprese in mare come la beffa di Buccari ,e in aria come il volo su Vienna sostenne il morale delle nostre truppe e depresse quello dei nemici.

Nella primavera avanzata del 1918 le risorse degli imperi centrali erano alla fine. Un ultimo grande sforzo per vincere la guerra fu fatto dalla Germania sul fronte occidentale e dall’Impero Austro-Ungarico in Italia. Il quindici giugno gli asburgici scatenarono una grande offensiva in montagna e sulla linea del Piave dove riuscirono in qualche punto a varcare il fiume e a costituire alcune teste di ponte che furono però annientata nel giro di una settimana. Ci fu una stasi delle operazioni durante la quale entrambi gli eserciti si prepararono al confronto definitivo.

 

La battaglia di Vittorio Veneto e la vittoria

A conclusione della ritirata sul Piave, Cadorna fu sostituito nel ruolo di Comandante Supremo da Armando Diaz e al Governo Salandra subentrò il Governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando. La collaborazione tra Governo e Stato Maggiore Generale rafforzò sia l’esercito che il fronte interno. La produzione industriale bellica raggiunse volumi mai visti prima in Italia e il morale dell’Esercito si rafforzò; nessuno dubitava più della vittoria. Determinante fu il contributo del re Vittorio Emanuele III che secondo lo statuto albertino era il capo supremo delle forze armate. Lo si vide spessissima al fronte, ma il contributo più importante lo diede nelle conferenze con gli alleati dove seppe far valere le posizioni politiche della Nazione. Non sorprende quindi che nella battaglia del solstizio la vittoria arrise ai nostri colori. Ora si trattava di concludere la guerra. Diaz riteneva che la battaglia finale si sarebbe svolta nella primavera del 1919, ma il presidente Orlando, nel timore che un improvviso crollo della Germania e quindi un inaspettato armistizio ci potesse cogliere con le truppe nemiche sul nostro territorio, non fidandosi affatto delle posizioni che gli alleati avrebbero assunto al tavolo della pace, esortò Diaz a passare all’offensiva il più presto possibile. Il Comando Supremo decise che l’attacco sarebbe iniziato il 24, ottobre, anniversario dello sfondamento di Caporetto. Il piano era di far attaccare sul Grappa e sul Montello la IV armata del generale Giardino in modo da richiamare sul luogo le riserve schierate dietro il Piave dove si sarebbe verificato l’attacco principale con direttrice Vittorio Veneto. Le cose sembravano mettersi male; sui monti gli austriaci resistevano con tenacia e le perdite erano pesanti da entrambe le parti. Il Piave in piena aveva travolto i ponti di barche lanciate dai genieri. Il 27 la situazione cominciava a migliorare su tutta la linea quando arrivò da parte degli austriaci una proposta di armistizio di questo tenore. Le ostilità si sarebbero immediatamente interrotte e gli italiani avrebbero permesso all’esercito austriaco di ritirarsi indisturbato fino alle posizioni occupate il 23 maggio 1915. Quando la proposta fu resa nota allo stato maggiore la risposta di Diaz fu l’ordine di intensificare il fuoco di distruzione di tutte le artiglierie. Il 28 ottobre la linea austriaca cedette di schianto e iniziò una velocissima avanzata delle nostre truppe spesso precedute da reparti di cavalleria; i nemici lasciavano nelle nostre mani decine di migliaia di prigionieri ed enormi quantità di armi e di materiali. Il giorno trenta si presentarono al comando d’armata dei plenipotenziari austriaci per chiedere l’immediata sospensione delle ostilità. Non tutti gli obiettivi erano stati raggiunti; bisognava guadagnare tempo. Il comando d’armata disse di non avere il potere di intavolare una trattativa e che si sarebbe informato su chi avrebbe avuto questa facoltà. Nel frattempo gli austriaci venivano condotti altrove. Le trattative partirono a rilento e si conclusero il giorno 3 novembre a Villa Giusti. Le azioni militari sarebbero state sospese alle 15 del 4 novembre. C’era il tempo per arrivare al Brennero e per occupare Trieste dove sbarcarono i bersaglieri dell’undicesimo reggimento. La mattina del quattro novembre per le strade di Roma c’era un gran fermento. La notizia della Vittoria si andava rapidamente diffondendo e una gran massa di persone si radunò in Piazza del Quirinale sotto il balcone da cui apparve il re, preceduto dalla bandiera tricolore per annunciare la vittoria. Si concludeva così il nostro Risorgimento

 

Dopo il 4 novembre 1018

Nel biennio 19-20 ,il così detto biennio rosso ci fu un tentativo delle forze di sinistra di ripetere la rivoluzione bolscevica. Sembrava quasi una colpa aver combattuto e vinto; ma questa non era l’opinione della stragrande massa della popolazione. Nel 1921 si decise di onorare tutti i caduti, erano stati 650.000, tumulando nel Vittoriano, altare della Patria il corpo di un caduto ignoto. Nel duomo di Aquileia erano allineate undici bare. Una madre triestina che aveva perso il figlio in guerra e il cui corpo non era stato identificato fu prescelta per indicare quale bara doveva essere sepolta nel Vittoriano. Vestita di nero, con un velo che le copriva il volto passò lentamente davanti alle bare, quindi si inginocchiò davanti ad una di esse e la toccò con le mani restando in raccoglimento. Quella bara, deposta su un affusto di cannone, fu da un treno speciale trasportata da Aquileia a Roma. In tutte le stazioni accorreva una enorme quantità di gente; il treno veniva ricoperto di fiori mentre le persone si inginocchiavano togliendosi il cappello o velandosi i capelli. Le bandiere e i labari si inchinavano reverenti. Il feretro fu inumato con una grande cerimonia il 4 novembre 1921. Chi vuol rivivere questo episodio commovente ed edificante può vederlo su Yutube. Il Fascismo si impossessò del mito della vittoria edificando una miriade di monumenti in ricordo dei caduti. Tra le tante cose errate fatte dal regime, questa fu una di quelle giuste.

Nel secondo dopoguerra questa, che dovrebbe essere la nostra festa laica più importante fu soppiantata dalla festa della Liberazione del 25 aprile. Certamente l’epopea partigiana ha avuto un grande valore morale di riscatto dalla dittatura e dalla occupazione dello straniero. Dal punto di vista militare come è ovvio la forza preponderante fu messa in campo dagli eserciti alleati. Si trattò comunque anche di una guerra civile e molti di coloro che nel primo dopoguerra la festeggiavano erano stati però favorevoli all’occupazione a cui Trieste fu sottoposta dalle milizie di Tito. Questa festa in tono minore fu soppressa nel 1977 a causa della seconda crisi petrolifera e della conseguente austerità, ma in realtà non ci fu mai il desiderio di festeggiarla con l’orgoglio con cui l’otto maggio gli Alleati celebrano la vittoria sulla Germania Nazista.

 

Il 4 maggio oggi a cento anni di distanza

Questa mattina la festa della Vittoria è stata celebrata a Trieste in Piazza dell’Unità d’Italia di fronte al Capo dello Stato e alle più alte autorità civili e militari. Al molo era attraccata accanto alla nave San Marco, la nuova fregata Luigi Rizzo che porta il nome dell’eroe. Nella Piazza sfilava un gruppo di militari in rappresentanza dell’Esercito, dei Carabinieri, dell’Aeronautica e della Marina. Per ultimi a passo di corsa i bersaglieri dell’undicesimo reggimento che cento anni fa erano stati i primi a mettere i piedi sul suolo di Trieste, e mentre risuonavano le note dell’inno nazionale in cielo sfrecciava la pattuglia acrobatica tricolore. Mi auguro che non si debbano attendere altri cento anni per vivere una simile cerimonia.

 

 

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Di Maio, Salvini e la manina misteriosa

Di Maio, Salvini e la manina misteriosa

 

A Porta a Porta Di Maio rivela che una manina misteriosa ha modificato il decreto fiscale introducendo un condono non deciso nel Consiglio dei Ministri; il documento inviato al Quirinale è dunque un falso e il giorno seguente egli si sarebbe recato in Procura a presentare una denuncia. Ma in procura poi Di Maio non è andato, così come non avviò la procedura per mettere in stato d’accusa il Presidente della Repubblica dopo aver dichiarato che lo avrebbe fatto. Di Maio dunque, al contrario di quello che lancia il sasso e nasconde la mano, lancia la mano e nasconde il sasso. E’ un vero peccato che questa denuncia non ci sia stata perché la magistratura avrebbe potuto spiegarci cosa è davvero accaduto. Salvini dice che Conte dettava gli articoli e Di Maio, che fungeva da segretario, li scriveva. Il vice presidente grillino nega e dichiara di non essere un bugiardo. Probabilmente quando Luigi si è accorto che quell’articolo veniva contestato da molti dei suoi e dalla base dei propri elettori si è inventato un modo per far credere che non ne sapeva niente e per ottenere la cancellazione del famigerato articolo 9.

 

Le differenze non giustificano questo modus operandi

Il Movimento 5 Stelle e la Lega sono assai diversi per cultura, per filosofia politica, per stratificazione sociale e geografica del loro elettorato. Il governo giallo-verde non è una alleanza politica ma un contratto di convenienza. Le differenze tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano erano ancora più forti dal punto di vista ideologico, ma durante il periodo in cui collaborarono realizzando il noto compromesso storico mai si giunse a scene disdicevoli come questa recentemente verificatasi tra i due alleati di governo. Ma allora, solo per citare qualche nome, da una parte c’erano Berlinguer, Napolitano e Ingrao e dall’altra Moro, Andreotti e De Mita. Era l’epoca di Maldini, Rivera e Riva; oggi ci tocca andare avanti con Biraghi, Barella e Insigne. Ma fino a quando?

Cinque anni o sette mesi?

Quando qualcuno ha paventato le dimissioni di Conte e una crisi di governo Salvini ha subito dichiarato: non è successo nulla; andremo avanti per cinque anni. A queste affermazioni si può dare lo stesso credito che diamo a quelle di Pallotta quando il Presidente della Roma dichiara che non venderà nessun giocatore e che renderà la sua squadra la più forte del mondo. Quindi per ora si va avanti. Conte per dimettersi deve ricevere l’ordine da Di Maio; motu proprio non lo farà mai perché è impossibile vincere per due volte ad una super lotteria! Lega e Cinque Stelle per ora non spezzano l’alleanza. Il partito di Di Maio non è compatto e ad un secondo tentativo il candidato presidente del Consiglio probabilmente non sarebbe lui, quindi Luigi tira la corda ma non fino a farla spezzare; ha ancora qualche risultato da portare a casa, ma lo stesso vale per Salvini. Entrambi hanno una meta da raggiungere costituita dalle elezioni europee. Dopo questo appuntamento il contratto potrebbe essere rimesso in discussione. Tutto dipenderà da quanto ciascuno di loro avrà realizzato del proprio programma, quali nuovi contrasti saranno sorti e soprattutto quale sarà stato l’esito della consultazione elettorale europea.

I motivi di una eventuale rottura e le soluzioni possibili.

Un grave declassamento del rating dell’Italia ed una esplosione dello spread non determineranno una caduta del governo come accadde al Ministero Berlusconi e la soluzione la ha già esposta Savona; la manovra economica sarà modificata ed entrambi i partiti lanceranno questo appello ai propri elettori.” La nostra manovra economica era bellissima e proprio per questo i burocrati europei del Partito Popolare e del Partito Socialista ci hanno scatenato contro le società di rating e gli speculatori internazionali. Per riconquistare la nostra indipendenza economica doppiamo cacciarli via. Votateci alle prossime elezioni europee e potremo fare quanto promesso ed anche di più” La rottura, quando ci sarà, si verificherà sui programmi ancora da realizzare. Investimenti, tunnel, autostrade ecc. Per Salvini l’unica soluzione sarà costituita da nuove elezioni da sostenere con una alleanza di centro destra. Sarà però essenziale che in questo raggruppamento i ruolo di Berlusconi sia assolutamente marginale ed ininfluente. Troppo a lungo il Cavaliere ha governato in modo inefficace curando solo i suoi interessi economici; se gli si desse ancora voce in capitolo potrebbe causare l’allontanamento da Salvini di molti elettori. Il Movimento 5 Stelle ha invece oltre alla competizione elettorale anche l’opzione di un governo con il PD, opzione difficilissima da realizzare ma non impossibile. Per ora e chissà per quanto una opposizione credibile non esiste per cui, almeno per un altro poco di tempo, questo governo, nonostante i contrasti interni avrà una vita parlamentare abbastanza tranquilla.

 

di Achille Lucio Gaspari

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La manovra del Governo giallo-verde

La manovra del Governo giallo-verde
La macroeconomia spiegata ai bambini dell’asilo
 
Una famiglia non dovrebbe spendere più di quanto guadagna ma non è sempre così.
La famiglia del nostro esempio possiede un ristorante ma per andare avanti ha bisogno di più denaro di quanto guadagna e chiede un prestito alla banca A.Dovra’ pagare Un interesse supponiamo del 3% perché nessuno presta i soldi gratuitamente,anzi vuole guadagnare e chiede un interesse prorzionale a rischio di perdere il capitale. La nostra famiglia dovendo restituire il prestito alla banca A chiede in prestito una uguale somma alla banca B e così di seguito.Avra’ sempre un debito e continuerà a pagare gli interessi.A un certo momento la famiglia decide di allargare il ristorante,questo comporterà una spesa maggiore per cui chiederà alla banca C una somma maggiore.A questo punto cosa accadrà? Ci sono varie possibilità 
1)gli affari vanno bene,il ristorante guadagnerà di più e la famiglia potrà in seguito ridurre il proprio debito
2) la banca si fiderà di meno e chiederà alla famiglia un interesse maggiore ,diciamo il 6%L’esborso maggiore per interessi si mangerà quello che si è è ottenuto con l’aumento del debito e il ristorante non potrà essere allargato
3) la banca non si fiderà più, non presterà denaro e per restituire il debito la famiglia dovrà vendere il ristorante.
Esiste una ultima possibilità:la famiglia otterrà il permesso di stampare banconote;tutto risolto?  Niente affatto. Il denaro è una merce come qualsiasi altra merce ad esempio l’oro. L’oro vale tanto non perché è bello ed utile ma perché ne esiste in limitate quantità.Sefosse abbondante come il mare non varrebbe nulla.La stessa cosa vale per il denaro;più banconote si stampano e meno vale ciascuna banconota.Questo meccanismo si chiama inflazione; dove prima ci voleva una banconota per comprare un chilo di pane adesso c’è ne vogliono due.
Veniamo ora alla manovra del Governo.Per aumentare le pensioni minime,dare il reddito di cittadinanza,mandare prima in pensione i lavoratori e abbassare le tasse,il governo non avendo fondi disponibili chiede un ulteriore prestito,cioè aumenta il debito.Ritiene che queste disposizioni aumenteranno l’occupazione e lasceranno più soldi nelle tasche degli italiani che potranno spendere di più;questo oltre a migliorare la condizione dei meno abbienti farà aumentare la ricchezza complessiva cioè il Prodotto Interno Lordo(pil) con cui in futuro sarà possibile ridurre il debito.Se questo meccanismo non si metterà in moto o se il mercato avrà meno fiducia bisognerà aumentare la quantità degli interessi da pagare per far sì che il mercato ci presti più soldi e questo fatto potrebbe ulteriormente impoverirci. Come fa lo stato a farsi prestare il soldi? Emette dei certificati di  credito (bot,bpt) su cui paga degli interessi.Chi è il mercato? Sono i risparmiatori e le banche italiane,gli i stranieri e la banca europea. Cosa è lo spread.? La differenza tra gli interessi che laGermania paga sul suo debito che è considerato sicuro e quanto paga l’Italia. Se gli investitori ritengono i nostri titoli meno affidabili vorranno un interesse maggiore e lo spread aumenterà .Non solo dovremo pagare più interessi ma aumenterà il costo del denaro;imprese e cittadini pagheranno più interessi per il denaro preso in prestito e l’economia andrà peggio rendendo tutti più poveri. Se gli investitori perderanno la fiducia non vorranno sottoscrivere nuovo debito e alla scadenza vorranno indietro il loro capitale;non avendo l’Italia fondi sufficienti a questo andrebbe in default ,direbbe la fatidica frase : non ti pago.Uno potrebbe dire come Salvini mene frego degli stranieri anche se poi non avendo più prestiti dovremmo tirare la cinghia dei pantaloni. Ma attenzione molto bot e bpt li hanno le banche italiane che salterebbero in aria con i nostri conti correnti e li hanno anche molti piccoli risparmiatori che si troverebbero con i loro risparmi tramutati in un pugno di foglie secche 
Potrebbe però scattare all’improvviso durante un fine settimana il piano B di Savona.Uscita dall’Europa e dall’euro e ritorno alla lira.La condizione della famiglia che si stampa i soldi! La lira varrebbe pochissimo rispetto all’euro e la sovranità monetaria non ci salverebbero così come sta accadendo alla Turchia,all’Argentina e al Venezuela. Per quanto si possano aumentare gli stipendi i prezzi aumenterebbero di più.Noi abbiamo bisogno di importare carne,grano,materie prime ed energia.Per pagare queste cose dovremo esportare i nostri prodotti finiti che costerebbero di meno all’ester solo in fase iniziale perché poi dovremmo incorporarci i maggiori costi delle importazioni.Altrimenti faremmo gli affari di Maria Calzetta ,una signora che a fine ottocento vendeva a Roma panini al prosciutto e aveva una fila sterminata di clienti perché li vendeva a due soldi mentre i concorrenti li vendevano a quattro.Pero’ a lei un panino costava tre soldi.
Questa viene definita la manovra per il popolo;se però le cose dovessero andare male i ricconi non ci perderebbero nulla perché porterebbero i loro capitali all’estereo,ammesso che non lo abbiano già fatto.Il popolo resterebbe invece come don Falcuccio che stava con una mano davanti è una di dietro perché si era dovuto vendere calzoni e mutande.
Come andrà a finire? Aspettiamo ed incrociamo le dita.
 
di Achille Lucio Gaspari

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