L’Osservatorio

Salario minimo, per la Cgia costerebbe 1,5 miliardi agli artigiani

Il Centro studi degli artigiani della Cgia di Mestre 'boccia' la proposta dei 5S di un salario minimo a 9 euro, sostenendo che questa costerebbe alle piccole aziende almeno 1,5 miliardi in piu'. E comunque gia' oggi, afferma la Cgia, nei principali contratti nazionali di lavoro dell'artigianato (con livelli retributivi tra i piu' bassi) le soglie minime orarie lorde complessive sono superiori alla proposta di legge proposta pentastellata. Oltre a cio', l'Ufficio studi della Cgia segnala che l'introduzione del salario minimo per legge avrebbe delle conseguenze molto negative per le aziende artigiane ubicate nelle aree economiche piu' arretrate del Paese che, per ragioni storiche e culturali, non applicano compiutamente i contratti nazionali. Probabilmente, l'aumento dei costi salariali in capo alle aziende - osserva la Cgia - "spingerebbe molte realta' produttive a licenziare i beneficiari di questo provvedimento di legge, facendo cosi' aumentare l'esercito dei lavoratori in nero"

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La Finanza ha scoperto 13.285 evasori totali del Fisco

Tra il gennaio del 2018 e il maggio del 2019 la Guardia di Finanza ha individuato 13.285 evasori totali del Fisco, che hanno evaso complessivamente 3,4 miliardi di Iva. È il bilancio fornito dalle Fiamme gialle in occasione del 245mo anniversario della fondazione del corpo. Evasione fiscale internazionale, frodi carosello, indebite compensazioni e traffici illeciti di prodotti petroliferi sono stati al centro dell'attenzione operativa della Finanza: settori in cui, nel 2018 e nei primi 5 mesi del 2019, sono stati eseguiti, nell'ambito di piani d'intervento coordinati con l'Agenzia delle Entrate, 128.497 interventi ispettivi. Nell'ultimo anno e mezzo sono stati 15.976 i reati fiscali riscontrati (principalmente, emissione e utilizzo di fatture false, dichiarazioni fraudolente e occultamento delle scritture contabili), con 18.148 denunce. Ammontano a 16.807 le indagini delegate dalla magistratura e ad oltre 9,3 miliardi di euro le proposte di sequestro avanzate. Eseguite misure patrimoniali per 1,5 miliardi di euro, mentre sono state 525 le persone arrestate. Le frodi scoperte ai danni del bilancio nazionale e comunitario sono state pari a oltre 1,7 miliardi di euro, mentre si attestano intorno ai 157 milioni quelle nel comparto della spesa previdenziale, assistenziale e sanitaria, con 13.570 persone denunciate. CALANO IVA EVASA E REATI, AUMENTANO GLI ARRESTI - Rispetto all'ultimo bilancio fornito dal corpo (gennaio 2017 - maggio 2018), risultano in calo il totale di Iva evasa scoperta (5,8 miliardi di euro contro 3,4 mld: -41,3%) e i reati fiscali denunciati (23.000 contro 15.976: -30,5%), mentre sono in aumento gli arresti (378 contro 525: +38,8%). Gli altri dati sono in sostanziale equilibrio con il passato. Tra gennaio 2017 e maggio 2018 erano stati 12.824 gli evasori totali scoperti, responsabili di aver evaso in quell'anno e mezzo 5,8 miliardi di Iva; nell'ambito delle frodi fiscali, sempre nello stesso periodo di tempo furono 128.000 gli interventi della GdF, tra verifiche e controlli avviati nei confronti delle persone e delle imprese considerate più a rischio di evasione fiscale, e circa 23.000 i reati fiscali denunciati con 17.000 responsabili individuati, 378 dei quali finiti in manette, e sequestri di disponibilità patrimoniali e finanziarie ai responsabili di frodi fiscali per 1,1 miliardi di euro. Le frodi scoperte ai danni del bilancio nazionale e comunitario furono oltre 1,5 miliardi di euro, con quelle nel settore della spesa previdenziale e sanitaria per 175 milioni e 12.741 soggetti nel complesso denunciati.

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Lavoro, in aumento i posti fissi e in calo contratti a termine

Numeri positivi per le trasformazioni in posti di lavoro stabili e contratti a termine in calo nel primo trimestre dell'anno per la prima volta dal secondo trimestre del 2016, ovvero dopo undici trimestri in aumento. E' il quadro che emerge dalle comunicazioni obbligatorie rielaborate nella Nota trimestrale congiunta sulle tendenze dell'occupazione messa a punto da ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. Si conferma la crescita dell'occupazione dipendente ed in particolare dei contratti a tempo indeterminato: +207 mila rispetto al quarto trimestre del 2018, che raddoppiano nel confronto annuo. 

Nel complesso, nel primo trimestre del 2019, le attivazioni di contratti sono state 2 milioni 580 mila e le cessazioni 2 milioni 443 mila, che hanno determinato un saldo positivo di 138 mila posizioni di lavoro dipendente. Di queste, rispetto al trimestre precedente, le posizioni a tempo indeterminato risultano +207 mila, mentre quelle a tempo determinato subiscono una riduzione (-69 mila) e le trasformazioni in stabili (+223 mila) raggiungono il livello massimo della serie storica. Nel confronto annuo, la dinamica e' la stessa: +376 mila le posizioni dipendenti, di cui +401 mila stabili e -24 mila a termine. Entrambe le tendenze, sottolinea la Nota congiunta, sono influenzate proprio "dal notevole aumento delle trasformazioni a tempo indeterminato", contribuendo cosi' "in modo complementare" ad accrescere il numero dei contratti a tempo indeterminato e a diminuire quello dei contratti a termine. E questi ultimi risultano in calo per la prima volta dal secondo trimestre 2016, dopo undici trimestri di crescita, seppure caratterizzata negli ultimi trimestri da un progressivo rallentamento. Positivo per i sindacati questo andamento. 

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Commercio estero, vola il Made in Italy

Volano le esportazioni dell'alimentare nazionale che fanno registrare un balzo del 13,3% che per dimensione del settore e tasso di crescita traina l'intero Made in Italy. E' quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati sul commercio estero dell'Istat ad aprile rispetto allo scorso anno. Si tratta in realtà - sottolinea la Coldiretti - del consolidamento del successo dell'alimentare nazionale nel mondo che nei primi quattro mesi dell'anno fa registrare un aumento record dell'8%, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. A spingere la domanda estera dell'alimentare nazionale è - precisa la Coldiretti - il boom fatto registrare per le esportazioni in Usa dove si registra un aumento del 16,6% nonostante il clima di incertezza legato ai dazi minacciati dal presidente Trump contro una serie di prodotti europei. Buoni risultati ad aprile - continua la Coldiretti - anche in Europa con aumenti del 13,7% in Germania e del 7,4% in Francia mentre rallenta l'andamento in Gran Bretagna con un +2,9% sotto la pressione della Brexit. Tra i mercati emergenti - precisa la Coldiretti - si segnala un incoraggiante +9,4% per gli alimentari Made in Italy in Cina. Un andamento che evidenzia - sottolinea Coldiretti - la capacità del settore agroalimentare tricolore di intercettare la nuova domanda globale di alta qualità e tipicità nell'alimentare ma anche di interpretare l'attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale. Lo dimostra il fatto che, secondo uno studio Censis per Coldiretti e Filiera Italia, dalla crisi del 2008 ad oggi le esportazioni agroalimentari sono salite da 23,6 miliardi a 41,8 miliardi di euro, con un aumento record del 47,8% (contro il +16,5% del totale dell'economia)

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Istat, oltre 1,8 milioni di famiglie in povertà assoluta

Nel 2018, si stimano oltre 1,8 milioni di famiglie in povertà assoluta (con un’incidenza pari al 7,0%), per un totale di 5 milioni di individui (incidenza pari all’8,4%). Non si rilevano variazioni significative rispetto al 2017 nonostante il quadro di diminuzione della spesa complessiva delle famiglie in termini reali. In gran parte questo si deve al fatto che soltanto le famiglie con minore capacità di spesa (a maggiore rischio di povertà) mostrano una tenuta dei propri livelli di spesa, con un conseguente miglioramento in termini relativi rispetto alle altre. Al netto dell’inflazione registrata nel 2018 (in media nazionale pari a +1,2%), utilizzando, quindi, gli indici 2017 di prezzo nel calcolo delle soglie, l’incidenza complessiva in termini di famiglie sarebbe stata pari a 6,8%. L’intensità della povertà, cioè quanto la spesa mensile delle famiglie povere è mediamente sotto la linea di povertà in termini percentuali, ovvero “quanto poveri sono i poveri”, si attesta nel 2018 al 19,4% (era il 20,4% nel 2017), da un minimo del 18,0% nel Centro a un massimo del 20,8% al Sud.

L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma notevolmente superiore nel Mezzogiorno (9,6% nel Sud e 10,8% nelle Isole) rispetto alle altre ripartizioni (6,1% nel Nord-Ovest e 5,3% nel Nord-est e del Centro). Analogamente agli anni passati, questo fa sì che, sebbene la quota di famiglie che risiede nel Nord sia maggiore di quella del Mezzogiorno (47,7% rispetto a 31,7%), anche nel 2018 il maggior numero di famiglie povere è presente in quest’ultima ripartizione (45,1% contro 39,3% del Nord). Nel Centro si trova il restante 15,6% di famiglie povere.

Le famiglie in condizioni di povertà relativa nel 2018 sono stimate pari a poco più di 3 milioni (11,8%), per un totale di individui di quasi 9 milioni (15,0%). Rispetto al 2017, il fenomeno si aggrava nel Nord (da 5,9% al 6,6%), in particolare nel Nord-est dove l’incidenza passa da 5,5% a 6,6%. Il Mezzogiorno, invece, presenta una dinamica opposta (24,7% nel 2017, 22,1% nel 2018), con una riduzione dell’incidenza sia nel Sud (da 24,1% a 22,3%) sia nelle Isole (da 25,9% a 21,6%).

A livello individuale, il lieve calo in media nazionale (da 15,6% a 15,0%) è sintesi di dinamiche contrastanti nelle ripartizioni (da 7,4% a 8,6% nel Nord-est; da 30,8% a 25,7% nelle Isole). Su scala territoriale, Calabria (30,6%), Campania (24,9%) e Sicilia (22,5%) si confermano le regioni con la maggiore incidenza.

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Le Pmi dominano lo scenario delle economie locali

Le piccole e medie imprese, che contraddistinguono la struttura del nostro sistema produttivo, dominano lo scenario delle economie locali producendo almeno l'80% del valore aggiunto in 4 comuni su 5. Adottando la stessa soglia di prevalenza, il valore aggiunto della grande impresa è preponderante solo in un comune su cento, proporzione che si innalza al 2% considerando la sola manifattura. Lo si legge in un focus dell'Istat dedicato alla crescita delle Pmi a livello territoriali nel 2016. Una maggiore concentrazione di comuni contraddistinti dalla grande impresa si riscontra in Friuli-Venezia Giulia (2,8%) e Piemonte (2,1%). Considerando il solo settore manifatturiero, tali comuni sono localizzati soprattutto in Toscana (3,6%), Abruzzo (3,3%) e Lombardia (2,9%). 

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Quasi il 21 per cento del territorio a rischio desertificazione

La desertificazione non riguarda solo l'Africa o l'Asia. Quasi il 21% del territorio italiano e' a rischio. La piu' minacciata dalla desertificazione e' la Sicilia, ma tutto il sud rischia. E il pericolo arriva fino a Marche, Umbria ed Emilia Romagna. Cosi', la Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione, istituita dall'Onu per il 17 giugno, non e' una data che interessa soltanto paesi lontani, poveri e caldi. Interessa anche il nostro Belpaese. La ragione principale dell'avanzata dei deserti e' il riscaldamento globale. Ma poi contribuiscono lo sfruttamento intensivo del territorio, con l'abbattimento delle foreste e le monocolture, e l'inquinamento.

La Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e' stata indetta nel 1995 dalle Nazioni Unite per ricordare l'adozione a Parigi il 17 giugno 1994 della Convenzione per la Lotta alla Desertificazione (Unccd). Il nostro paese ha aderito alla Convenzione non solo come paese donatore, ma anche come paese colpito. Secondo il Cnr, in Sicilia le aree a rischio sono il 70%, in Puglia il 57%, nel Molise il 58%, in Basilicata il 55%. In Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono tra il 30 e il 50%.

L'Unccd ha dichiarato colpiti da desertificazione 13 Stati dell'Ue: oltre all'Italia, Bulgaria, Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia, Malta, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria. Nel mondo, secondo la Convenzione quasi 170 paesi sono interessati dal fenomeno. "La siccita' - scrive Coldiretti in occasione della Giornata - e' diventata l'evento avverso piu' rilevante per l'agricoltura, con i fenomeni estremi che hanno provocato in Italia danni pari a piu' di 14 miliardi di euro nel corso di un decennio".

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Unioncamere: boom di ristoranti, 30mila imprese in più in 8 anni

Negli ultimi otto anni in Italia le imprese attive nella ristorazione sono cresciute del 27%, arrivando a quota 142.958 (30mila in piu'), con una crescita molto pronunciata in particolare nel Centro-Sud. A rilevarlo e' uno studio di Unioncamere-InfoCamere, che analizza il periodo 2011-2019. I protagonisti di questo universo, che nel 2017 hanno realizzato un giro d'affari di 11,6 miliardi di euro, vanno dal piccolo ristorante a conduzione familiare alla grande impresa di respiro globale, passando per le ormai diffusissime reti di franchising della cucina: la suddivisione e' sostanzialmente paritaria tra societa' di capitale (il 32,6% del totale), societa' di persone (il 31,7%) e imprese individuali (il 34,4%). Un'impresa su quattro e' guidata da donne, mentre gli 'under 35' e gli stranieri sono all'11%. Guardando alla classifica delle citta' Roma stacca tutti con oltre 13mila imprese (+41%), seguita a grande distanza da Milano con 7.786 (+64%).

La crescita piu' sostenuta e' pero' quella di Siracusa (+72%). Delle oltre 30mila realta' in piu' rilevate a marzo 2019, il 37% e' localizzato nel Mezzogiorno e un altro 28% in quelle del Centro, per un incremento esattamente pari al 66% di quello complessivo. La vivacita' maggiore si registra in Sicilia, dove tra 2011 e 2019 si e' registrata una crescita del 50% (2.847 imprese in piu'), Campania (+39,8% corrispondenti a 3.661 realta' in piu') e Lazio (+37,3% equivalente a 4.743 operatori in piu'). La Lombardia, pur assente dai primi posti della classifica della crescita, e' la regione italiana con il maggior numero di ristoranti (20.000) e il saldo piu' elevato in all'anno. Con l'eccezione di Milano (al terzo posto con un aumento del 64% nel periodo) le prime cinque piazze della graduatoria sono occupate da province siciliane: Siracusa, Catania, Palermo e Trapani, tutte oltre la soglia del 50% di crescita negli otto anni. All'estremo opposto, due sole le province (Enna e Aosta) in cui la platea della ristorazione, nell'intervallo 2011-2019, si e' ristretta. Prendendo in esame le sole imprese costituite nella forma di societa' di capitali (per le quali vige l'obbligo di presentare il bilancio al Registro delle imprese delle Camere di commercio), la foto scattata alla fine di marzo di quest'anno restituisce il profilo di circa 21.400 imprese della ristorazione italiana. 

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Coldiretti, balzo del 58,5% dei reati a tavola

Fanno registrare un balzo del 59% nel 2018 le notizie di reato nel settore agroalimentare che si estendono ai principali comparti, dal biologico al vino, dall'olio all'ortofrutta, dalle conserve ai cereali. E' quanto afferma la Coldiretti sulla base dei risultati operativi degli oltre 54mila controlli effettuati dal Ispettorato Centrale Repressione Frodi (ICQRF) nel 2018, resi noti in occasione del sesto Rapporto Agromafie 2018 elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalita' nell' agroalimentare, illustrato stamane presso la Scuola Sottufficiali delle Fiamme gialle dell'Aquila, alla presenza tra gli altri del presidente Eurispes, Gianluigi Miglioli, di quello Coldiretti, Ettore Prandini e del presidente del Comitato Scientifico dell'Osservatorio sulla criminalita' nel settore agroalimentare, Gian Carlo Caselli. I settori agroalimentari piu' colpiti da truffe e reati nel 2018 sono il vino con +75% nelle notizie di reato, la carne dove sono addirittura raddoppiate le frodi (+101%), le conserve con +78% e lo zucchero dove nell'arco di dodici mesi si e' passati da zero e 36 episodi di frode. Nell'ultimo anno sono stati sequestrati 17,6 milioni di chili di alimenti di vario tipo per un valore di 34 milioni di euro con lo smantellamento di un'organizzazione fra Campania, Puglia, Emilia Romagna, Sicilia e Veneto che importava zucchero da Croazia, Isole Mauritius, Serbia e Slovenia e poi lo immetteva nei canali del mercato nero attraverso fatture false per rivenderlo a prezzi stracciati a imprenditori che lo usavano per adulterare il vino. 

Piu' di un italiano su cinque (17%) e' stato vittima di frodi alimentari nel 2018 con l'acquisto di cibi fasulli, avariati e alterati ed effetti anche sulla salute, secondo l'indagine Coldiretti dalla quale si evidenzia che ben l'88% dei cittadini nel momento di fare la spesa e' preoccupato dell'idea che nei negozi ci siano in vendita prodotti alimentari pericolosi per la salute. Sotto accusa sono soprattutto i cibi low cost dietro ai quali spesso si nascondono, infatti, ricette modificate, l'uso di ingredienti di minore qualita' o metodi di produzione alternativi ma - denuncia la Coldiretti - possono a volte mascherare anche vere e proprie illegalita', come e' confermato dall'escalation dei sequestri. Le difficolta' economiche hanno costretto molti italiani a tagliare la spesa alimentare e a preferire l'acquisto di alimenti piu' economici prodotti spesso a prezzi troppo bassi per essere sinceri, che - sostiene la Coldiretti - rischiano di avere un impatto sulla salute. L'agricoltura e l'alimentare sono infatti considerate aree prioritarie di investimento dalla malavita che ne comprende la strategicita' in tempo di crisi perche' del cibo, anche in tempi di difficolta', nessuno potra' fare a meno, ma soprattutto perche' consente di infiltrarsi in modo capillare nella societa' civile e condizionare la vita quotidiana delle persone in termini economici e salutistici. Di fronte al moltiplicarsi dei casi di frode e contraffazione alimentare piu' della meta' italiani (51%) chiedono - continua la Coldiretti - che venga sancita la sospensione dell'attivita'. 

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Istat, nel 2018 la spesa mensile delle famiglie stabile a 2.571 euro

Nel 2018, la stima della spesa media mensile per consumi delle famiglie residenti in Italia e' pari a 2.571 euro in valori correnti, stabile rispetto all'anno precedente. Lo rileva l'Istat nel report 'Le spese per i consumi delle famiglie'. La meta' delle famiglie spende piu' di 2.153 euro al mese. Pur in attenuazione, restano ampi i divari territoriali. Il differenziale maggiore e' tra Nord-ovest e Isole (circa 800 euro). Le famiglie che vivono in una abitazione in affitto destinano oltre un quinto della loro spesa complessiva al pagamento del canone. 

La spesa e' ancora lontana dai livelli del 2011 (2.640 euro mensili), cui avevano fatto seguito due anni di forte Contrazione. Considerando la dinamica inflazionistica, in termini reali la spesa diminuisce dello 0,9%, segnando una contrazione per la prima volta dopo la moderata dinamica positiva registrata dal 2014 al 2017. Se si osserva il valore mediano, il 50% delle famiglie ha speso nel 2018 una cifra non superiore a 2.153 euro, invariata rispetto ai 2.154 euro del 2017. I livelli di spesa piu' elevati si registrano nel Nord-ovest (2.866 euro), nel Nord-est (2.783) e nel Centro (2.723 euro); piu' bassi nel Sud (2.087 euro) e nelle Isole (2.068 euro). La composizione della spesa resta sostanzialmente immutata rispetto al 2017: e' ancora l'abitazione ad assorbire la quota piu' rilevante (35,1% della spesa totale), seguita dalla spesa per prodotti Alimentari e bevande analcoliche (18,0%) e da quella per Trasporti (11,4%). Le famiglie hanno speso per prodotti Alimentari e bevande analcoliche 462 euro mensili, senza differenze significative rispetto ai 457 euro del 2017. Piu' nel dettaglio, aumenti di spesa si registrano per le carni (98 euro mensili, +4%), i pesci e i prodotti ittici (41 euro mensili, +3,4%) e per caffe', te' e cacao (15 euro, +5%). Le carni costituiscono anche la voce di spesa alimentare piu' importante in termini di composizione del carrello, rappresentando il 3,8% della spesa totale; il pesce pesa meno della meta' delle carni (1,6% della spesa complessiva) e caffe', te' e cacao appena lo 0,6%. Solo la spesa per zucchero, confetture, miele, cioccolato e dolciumi (che rappresenta appena lo 0,7% della spesa totale) diminuisce significativamente (19 euro mensili, -2,6% sul 2017). La spesa per beni e servizi non alimentari e' di 2.110 euro mensili, anche questa stabile rispetto al 2017 (2.107 euro). Per Abitazione, acqua, elettricita' e altri combustibili, manutenzione ordinaria e straordinaria la spesa resta invariata rispetto all'anno precedente e pari a 903 euro (il 35,1% del totale), di cui 589 euro di affitti figurativi. Tra le spese non alimentari, la quota piu' rilevante dopo l'abitazione e' destinata ai Trasporti (11,4%, 292 euro); seguono, nell'ordine: Altri beni e servizi (cura della persona, effetti personali, servizi di assistenza sociale, assicurazioni e servizi finanziari; 7,2%); Servizi ricettivi e di ristorazione e Beni e servizi ricreativi, spettacoli e cultura (entrambe le voci pari a circa il 5,0% del totale, approssimativamente 130 euro mensili ciascuna); Servizi sanitari e salute (4,7%, 121 euro mensili); Abbigliamento e calzature (4,6%, 119 euro mensili); Mobili, articoli e servizi per la casa (4,2%, 108 euro). Solo la spesa per Comunicazioni (pari al 2,4% della spesa totale, 62 euro mensili) si contrae in misura significativa rispetto al 2017 (-2,5%), contrariamente a quanto accaduto lo scorso anno (+2,5%).

Nel Nord-ovest si spendono mediamente, in termini assoluti, circa 800 euro in piu' che nelle Isole, e cioe' il 38,6% in piu' in termini relativi, ma il divario scende sotto il 40% per la prima volta dal 2009 (nel 2017 era al 45%). A pesare di piu' sulle spese delle famiglie nel Sud e nelle Isole, dove le disponibilita' economiche sono generalmente minori, le voci destinate al soddisfacimento dei bisogni primari, quali ad esempio quelle per i beni alimentari: rispetto alla media nazionale (18,0%), la quota per la spesa alimentare e' il 22,9% nel Sud e il 21,3% nelle Isole, mentre nel Nord-est si ferma al 16,0%. Le regioni con la spesa media mensile piu' elevata sono Lombardia (3.020 euro), Valle d'Aosta (3.018 euro) e Trentino-Alto Adige (2.945 euro); in particolare, nel Trentino-Alto Adige si registrano, rispetto al resto del Paese, le quote piu' elevate di spesa per Servizi ricettivi e di ristorazione (6,2% contro il 5,1% di media nazionale) e per Beni e servizi ricreativi, spettacoli e cultura (6,1% contro il 5,0%). La Calabria si conferma la regione con la spesa piu' contenuta, pari a 1.902 euro (1.118 euro meno della Lombardia), seguita dalla Sicilia (2.036 euro mensili). In Calabria la quota di spesa destinata a prodotti alimentari e bevande analcoliche raggiunge il 23,4%, l'incidenza piu' alta dopo quella registrata in Campania (23,8%). I livelli e la composizione della spesa variano a seconda della tipologia del comune di residenza. Anche nel 2018, nei comuni centro delle aree metropolitane le famiglie spendono di piu': 2.866 euro mensili, +228 euro rispetto alle famiglie residenti nei comuni periferici delle aree metropolitane e in quelli con almeno 50mila abitanti e +417 euro rispetto alle famiglie residenti nei comuni fino a 50mila abitanti che non appartengono alla cerchia periferica delle aree metropolitane. Nei comuni centro di area metropolitana si registra la piu' bassa quota destinata ad Alimentari e bevande analcoliche (15,0%, contro 19,1% dei comuni periferia delle aree metropolitane e fino a 50mila abitanti); lo stesso vale per le quote di spesa destinate ad Abbigliamento e calzature (rispettivamente, 4,0% e 4,8%) e Trasporti (8,7% contro 12,4%). Al contrario, nei comuni centro di area metropolitana le quote piu' elevate di spesa si registrano per Abitazione, acqua, elettricita', gas e altri combustibili (41,2%, molto sopra il dato medio nazionale, contro 33,0% dei comuni periferici delle aree metropolitane e fino a 50mila abitanti) e per Servizi ricettivi e di ristorazione (rispettivamente, 5,6% e 4,8%). Le quote di spesa destinate alle altre tipologie di beni e servizi non registrano, invece, particolari differenze al variare del tipo di comune di residenza.

 La spesa per visite mediche e accertamenti periodici, in larga misura incomprimibile, e' quella sulla quale le famiglie hanno agito meno per provare a limitare l'esborso. Tra quante un anno prima dell'intervista sostenevano gia' questa spesa, soltanto il 16,1% dichiara infatti di aver speso meno, peraltro con forti differenziazioni territoriali: il 10,1% nel Nord, il 17,9% nel Centro e il 24,1% nel Mezzogiorno. Per contro, il 6,1% delle famiglie dichiara di aver aumentato la spesa sanitaria. Inoltre, tra le famiglie che un anno prima non sostenevano spese per sanita', si stima una piccola quota (meno di una su cinque) che dichiara di aver iniziato nel corso del 2018 a spendere per visite mediche e accertamenti periodici di prevenzione. Tra le famiglie che gia' sostenevano spese per carburanti, il 71,8% non ha mutato il proprio comportamento di spesa (77,2% nel Nord, 64,0% nel Mezzogiorno); il 25,1% ha, invece, provato a limitare questa voce. La voce di spesa che le famiglie cercano maggiormente di contenere e', nel 2018, quella per abbigliamento e calzature. Quasi la meta' (48,9%) di quante acquistavano gia' questi beni un anno prima dell'intervista ha infatti modificato le proprie abitudini, provando a limitare la spesa, anche in questo caso con forti differenziazioni territoriali: si prova a risparmiare di piu' nel Mezzogiorno (62,7%) rispetto al Centro (47,6%) e soprattutto al Nord (40,3%). Il 39,3% delle famiglie che gia' sostenevano spese per viaggi e vacanze ha provato a ridurle, con un massimo del 53,9% nel Mezzogiorno. Tale spesa e' comunque, tra le voci considerate, quella con la minore percentuale di famiglie che la sostenevano gia' un anno prima (poco piu' di una famiglia su due). Rispetto a un anno prima dell'intervista, due terzi delle famiglie non hanno modificato le proprie abitudini in fatto di spesa alimentare (il 72,2% nel Nord, il 56,8% nel Mezzogiorno).

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