L’Osservatorio

Rallenta la performance delle Srl nel settore commercio

Cresce ancora, ma rallenta rispetto all'anno precedente, la performance delle Srl nel settore commercio: nel 2018 sono aumentati gli addetti (+3,3%) e il fatturato (+5,8%) ma in frenata rispetto ai dati dell'anno precedente che registravano un incremento del +4,5% per gli addetti e del +6,5% per il fatturato. Una decelerazione più decisa nel caso del valore aggiunto, la cui crescita si riduce della metà, passando dal +6,5% al +3,5%. Questa la fotografia del comparto scattata dall'Osservatorio sui bilanci delle Srl - Focus Settore Commercio pubblicato dal Consiglio e dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti. L'analisi sulla base della banca dati Aida - Bureau Van Dick ha riguardato i bilanci di quasi 112.000 srl afferenti al settore commercio, pari ad un quarto del totale di srl attive. Il risultato migliore in termini di fatturato è stato ottenuto tra le Srl del Commercio all'ingrosso (+6,4%) seguite dalle Srl del Commercio e della riparazione di autoveicoli e motocicli (+5%) e da quelle del Commercio al dettaglio (+4,7%). Nessuno registra un calo dei ricavi, solo un comparto, quello del commercio al dettaglio di articoli culturali e ricreativi in esercizi specializzati, registra una crescita inferiore all'1% (+0,8%).

A livello geografico, limitando l'osservazione all'andamento del fatturato e del valore aggiunto e tenendo conto solo delle Srl con patrimonio netto e risultato d'esercizio positivi, le affermazioni migliori relative ai bilanci 2018 si registrano nel Nord-est e nel Sud. Qui, in particolare, la crescita del fatturato e quella del valore aggiunto sono uguali e le più alte (+6,3%). Nel Nord-est, la crescita del fatturato è pari a +6,2%, mentre quella del valore aggiunto è pari a +4,5%. Da segnalare, invece, il calo del valore aggiunto tra le Srl del settore Commercio dell'Italia centrale (-1,9%). Nel dettaglio, la Campania è la regione dove si registra la migliore prestazione in termini di fatturato (+7,6%), seguita da Abruzzo (+6,7%), Veneto e Lazio ( entrambi +6,6%) mentre la maglia nera va al Friuli Venezia Giulia (+2,7%) preceduta da Toscana (+3,3%) e Sardegna (+3,8%). Relativamente agli addetti la crescita più sostenuta si osserva in Friuli Venezia Giulia (+7,5%) e Puglia (+7%) che doppiano il dato italiano, negative le variazioni in Molise (-0,6%) e Sicilia (-3,2%) Per quanto riguarda le classi dimensionali soffrono le piccole aziende. Le microimprese, quelle al disotto dei 350.000 euro di fatturato segnano un calo sia degli addetti (-3,8%) che del fatturato (-2,1%) a fronte di una impennata delle grandi che con un incremento del +6,8% degli addetti e del +8,7% dei ricavi vanno ben oltre la media nazionale.

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Sei italiani su 10 al ristorante a Natale, sos per i menù acchiappaturisti

Durante le feste quasi sei italiani su dieci (63%) colgono l’occasione per mangiare fuori casa soprattutto alla ricerca dei piatti tipici della tradizione locale, nella propria città o in vacanza in Italia e all’estero. E’ quanto emerge dall’indagine Coldiretti/Ixè 'Il Natale nel piatto' presentata in occasione dell’Assemblea nazionale, con la preparazione dei piatti sbagliati per aiutare a non cadere nelle trappole.

"Tra i piatti più traditi ci sono - continua la Coldiretti - la tipica caprese servita con formaggio industriale al posto della mozzarella di bufala o del fiordilatte ma non mancano i casi di pasta al pesto proposta con mandorle, noci o pistacchi al posto dei pinoli e con il formaggio comune che sostituisce l’immancabile parmigiano reggiano e il pecorino romano. Un inganno che colpisce anche la tradizione siciliana con la pasta alla norma preparata spesso con semplice formaggio grattugiato al posto della ricotta salata. Ma tra i falsi culinari più spacciati figurano anche il tiramisù con la panna al posto del mascarpone e gli spaghetti alla bolognese, una invenzione per stranieri completamente sconosciuta nella città emiliana. Un pericolo che riguarda l’Italia ma soprattutto l’estero proprio nei ristoranti italiani sono serviti ingredienti Made in Italy taroccati in più di due piatti su tre e a essere portate in tavola sono le più bizzarre versioni delle ricette tradizionali per non parlare poi della pizza che viene offerta nelle versioni più inimmaginabili, da quella hawaiana con l’ananas a quella di pollo"

"Proprio per identificare i veri ristoranti italiani e proteggerli dai fake e dall’utilizzo di prodotti tricolori tarocchi arriva la prima carta d’identità ideata da Coldiretti e Asacert, azienda di certificazione e ispezione con esperienza pluriennale e accreditamenti internazionali. Grazie a un apposito protocollo basato sulla rispondenza dei fornitori, dei menù e della carta dei vini, sarà infatti possibile identificare i ristoranti - precisa Coldiretti - che sono davvero italiani e non solo di nome e di 'facciata', ovvero sul piano delle materie prime, dello staff e soprattutto della tradizione culinaria e della proposta enogastronomica. La certificazione 'Ita 0039 | 100% ItalianTaste' è nata, infatti, dalla necessità di difendere, promuovere e valorizzare il patrimonio agroalimentare italiano, non solo a livello di prodotto ma anche sul piano della distribuzione enogastronomica". "La mancanza di chiarezza sulle ricette made in Italy offre terreno fertile alla proliferazione di prodotti alimentari taroccati all’estero che valgono 100 miliardi di euro e causano un danno economico e di immagine alle esportazioni di prodotti agroalimentari tricolori originali", conclude il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.

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Istat, occupazione stabile al 59,2% nel terzo trimestre

Nel terzo trimestre 2019 l'input di lavoro misurato in termini di Ula (Unita' di lavoro equivalenti a tempo pieno) aumenta dello 0,3% sotto il profilo congiunturale e dello 0,6% su base annua; l'occupazione risulta invece sostanzialmente stabile rispetto al trimestre precedente e in aumento su base annua. Lo ha fatto sapere l'Istat nella nota trimestrale sulle tendenze dell'occupazione. Secondo l'istituto di statistica le dinamiche occupazionali si sono sviluppate in una fase di persistente debole crescita dei livelli di attivita' economica confermata, nell'ultimo trimestre, da una variazione congiunturale dello 0,1% del Pil; il tasso di occupazione destagionalizzato si porta al 59,2% (+0,1 punti in confronto al trimestre precedente); l'aumento riguarda sia le donne sia gli uomini e soprattutto i giovani di 15-34 anni. Prosegue la crescita tendenziale dell'occupazione dipendente in termini sia di occupati (+1,0%, Rilevazione sulle forze di lavoro) sia di posizioni lavorative riferite ai settori dell'industria e dei servizi (+1,6%, Rilevazione Oros). Lo stesso andamento si riscontra nei dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali tratti dalle Comunicazioni obbligatorie (Co) rielaborate (+367mila posizioni lavorative nel terzo trimestre 2019 rispetto al terzo del 2018) e in quelli dell'Inps-Uniemens riferiti alle sole imprese private (+316mila posizioni lavorative al 30 settembre 2019 rispetto al 30 settembre 2018). L'aumento tendenziale delle posizioni lavorative dipendenti interessa le imprese di tutte le dimensioni.  Anche in termini congiunturali, ha rilevato l'Istat, la crescita dell'occupazione dipendente riguarda sia gli occupati (+0,2%) sia le posizioni. Nel terzo trimestre 2019,in base alle Co, le attivazioni sono state 2 milioni 530 mila e le cessazioni 2 milioni 468 mila, determinando un saldo positivo di 63mila posizioni di lavoro dipendente. La crescita riguarda tutti i settori di attivita' economica, soprattutto i servizi (+42 mila) in termini assoluti. Andamenti simili si riscontrano nelle posizioni lavorative dei dipendenti del settore privato extra-agricolo (Rilevazione Oros) dove la variazione congiunturale di +0,5% (+60 mila posizioni) e' dovuta aun aumento piu' contenuto nell'industria in senso stretto (+0,1%, +3 mila posizioni) rispetto ai servizi (+0,6%, +51 mila) e alle costruzioni (+0,7%, +6 mila)

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La fotografia della Pubblica Amministrazione in Italia

Negli ultimi due anni (2015-2017) si colgono i segnali di una ripresa dell'occupazione dipendente nella Pubblica amministrazione. L'occupazione, infatti, è aumentata complessivamente dell'1,1% (+0,9% per il tempo indeterminato e +2,2% per quello a termine). E' la fotografia scattata dall'Istat nel Censimento permanente delle Istituzioni pubbliche 2017. Al 31 dicembre 2017 sono state censite 12.848 istituzioni pubbliche, presso le quali prestano servizio 3.516.461 unità di personale, di cui 3.321.605 dipendenti (pari al 94,5% del totale). Il restante 5,5% del personale in servizio - circa 195mila unità - è rappresentato da personale non dipendente, ovvero occupato con altre forme contrattuali (collaboratori coordinati e continuativi o a progetto, altri atipici e temporanei).

Considerando la distribuzione del personale in servizio nella Pubblica amministrazione, oltre la metà di quello dipendente (54,6%) è concentrato nell'Amministrazione centrale, che comprende, tra gli altri, il personale delle scuole statali e delle forze armate e di sicurezza . Il 19,8% dei dipendenti pubblici è occupato nelle Aziende o Enti del Servizio sanitario nazionale, l'11,3% nei Comuni (i quali rappresentano quasi i due terzi delle istituzioni pubbliche). Le altre forme giuridiche assorbono il restante 14,4% di dipendenti. In relazione al tipo di contratto, il personale in servizio si articola in 3.023.901 dipendenti a tempo indeterminato (pari all'86,0% del totale del personale occupato nelle istituzioni pubbliche), 297.704 dipendenti a tempo determinato (pari all'8,5%) e 194.856 non dipendenti (5,5%). I dipendenti a tempo determinato rappresentano il 10,1% del personale in servizio presso le Amministrazioni dello Stato. Valori superiori alla media (8,5%) si rilevano anche nelle Province e città metropolitane (13,9%) e nelle Comunità montane e unioni dei comuni (11,1%). I dipendenti a tempo determinato hanno il peso relativo minore presso le Università, caratterizzate da una quota rilevante di personale non dipendente (41,8% del personale in servizio). Quanto al genere, le donne occupate nella pubblica amministrazione sono 2 milioni e rappresentano la componente maggioritaria, con una quota pari al 56,9%% del personale in servizio. La più elevata presenza di donne si registra negli enti del Sistema sanitario nazionale (SSN) con il 65,9%, il valore più basso nelle Regioni (48,3%) e Università pubbliche (49,6%). Analizzando le tipologie contrattuali, la quota maggiore di tempi determinati si riscontra tra le donne (9,4% contro 7,2%). A livello territoriale, oltre il 45% delle unità locali si trova nelle regioni del Nord, anche in conseguenza dell'elevato numero di comuni presenti in Lombardia e Piemonte. La presenza femminile tra gli occupati della PA è nettamente superiore nelle regioni del Nord (63,7% nel Nord-ovest e 62,5% nel Nord-est a fronte del 56,9% della media nazionale), nelle quali si rileva anche una quota superiore alla media di personale non dipendente. Per i tempi determinati, fatta eccezione per valori molto elevati a Bolzano/Bozen (18,4%) e Trento (13%), non si rileva una particolare caratterizzazione territoriale. Per quanto riguarda il personale delle Forze armate, di sicurezza e Capitanerie di porto, rilevato per la prima volta in occasione del censimento permanente riferito al 2015, si tratta di circa 477 mila dipendenti, di cui oltre 36 mila donne (pari al 7,6%) e circa 33 mila dipendenti a tempo determinato (6,9%). A livello territoriale, sono l'Abruzzo (11,8%) e alcune regioni del Centro-nord a registrare le quote maggiori di dipendenti donne sul totale regionale, in particolare Liguria (9,6%), Valle d'Aosta (9,0%) e Toscana (8,9%). Per i dipendenti a tempo determinato le quote più elevate si hanno nei territori a statuto speciale di Valle d'Aosta, Bolzano/Bozen e Friuli Venezia Giulia.

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Nel primo semestre 2019 si registra una riduzione del numero di incidenti stradali

Nel primo semestre 2019 si registra una riduzione del numero di incidenti stradali con lesioni a persone (82.048, pari a -1,3%) e del numero dei feriti (113.765, -2,9%), mentre il totale delle vittime entro il trentesimo giorno (1.505, + 1,3%) e' in lieve aumento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Lo rileva l'Istat nella stima preliminare riferita al periodo fra gennaio e giugno 2019. Con riferimento agli anni 2001 e 2010 per la sicurezza stradale, nei primi sei mesi dell'anno il numero di morti scende del 23,6% rispetto al primo semestre 2010 e del 54,2% nel confronto con lo stesso periodo del 2001. L'aumento della mortalita' registrato nel primo semestre 2019 allontana dunque l'obiettivo europeo di riduzione del 50% delle vittime entro il 2020

L'indice di mortalita', calcolato come rapporto tra il numero dei morti e il numero degli incidenti con lesioni a persone moltiplicato 100, e' pari a 1,8, stabile rispetto al primo semestre 2018. L'aumento delle vittime, spiega l'Istat, e' frutto, in particolare, dell'incremento registrato sulle autostrade (oltre il 25%) e sulle strade extraurbane (+0,3%). Per le strade urbane si stima, invece, una diminuzione pari a circa il 3%. Nel primo semestre 2019, le prime iscrizioni di autovetture sono diminuite del 3,4%; le percorrenze medie annue sulle autostrade in concessione sono sostanzialmente stabili (+0,6% rispetto allo stesso periodo del 2018) mentre aumenta il traffico di veicoli pesanti (+2,1%)

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Cinque milioni di veicoli per il trasporto di merci e persone

Il parco circolante italiano di veicoli per il trasporto di merci e persone (e cioè autocarri, autobus, motocarri per il trasporto merci, rimorchi, semirimorchi e trattori stradali) ha superato nel 2018 la soglia dei cinque milioni di unità, attestandosi, per la precisione, a quota 5.059.117 unità. Nel 2017 il parco italiano di veicoli per il trasporto di merci e persone ammontava a 4.991.833 unità. Fra il 2017 e il 2018 vi è stata, quindi, una crescita pari all'1,3%. Questi dati emergono da un'elaborazione del Centro Ricerche Continental Autocarro sulla base dei dati resi noti da Aci. L'elaborazione del Centro Ricerche Continental Autocarro riporta anche i dati relativi al parco circolante a livello regionale. A questo proposito è opportuno precisare che per parco circolante si intende l'insieme dei veicoli immatricolati nel corso degli anni in un dato ambito locale (nazione, regione, provincia, ecc.) a cui vengono sottratti i veicoli che escono dalla circolazione. Tornando ai dati, si può dire che in tutte le regioni italiane vi è stata una crescita del parco circolante, tranne che in Lazio (dove, evidentemente, le radiazioni sono state maggiori delle nuove immatricolazioni). Spiccano, tra gli, altri, i dati di Trentino Alto Adige e Valle d'Aosta, che fanno registrare aumenti dell'8,9% e del 5%. Nella graduatoria regionale seguono: Molise e Sardegna (+2%), Basilicata (+1,9%), Friuli Venezia Giulia e Campania (+1,7%), Sicilia e Veneto (+1,6%), Puglia e Toscana (+1,5%), Calabria (+1,4%), Umbria (+1,2%), Abruzzo (+1,1%), Emilia Romagna e Lombardia (+0,9%), Marche e Liguria (+0,6%) e Piemonte (+0,3%). Chiude la classifica, come detto, il Lazio con un dato in calo dell'1%. 

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Vola il fatturato degli alimentari e delle bevande

Vola il fatturato degli alimentari e delle bevande che fa segnare un aumento del 3,8% ad ottobre rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. E' quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat sulla fatturato industriale. "In un clima di preoccupazione generale si tratta di un segnale positivo nella preparazione delle scorte per il Natale, in cui tradizionalmente - sottolinea la Coldiretti - si verificano i valori più elevati di consumi alimentari di tutto l'anno. Un risultato spinto dalla domanda dall'estero estera con un buon andamento delle esportazioni dei prodotti tipici Made in Italy nonostante i dazi, embargo e preoccupazioni per la Brexit ma anche a livello nazionale". L'agroalimentare con regali enogastronomici, pranzi e cenoni è, infatti, la voce più pesante del budget che le famiglie italiane destinano alle feste di fine anno, dal Natale al Capodanno. Gli italiani spenderanno quest'anno per la tavola e i cibi di Natale 140 euro a famiglia, sulla base dell'analisi della Coldiretti sui dati Deloitte. "La spesa degli italiani per i cibi delle feste di fine 2019 - sottolinea la Coldiretti - è superiore del 7% ai 131 euro a famiglia messi a budget in media in Europa. Una tendenza che conferma la maggiore attenzione per i cittadini del Belpaese alla convivialità a tavola che trova proprio nel Natale la sua massima espressione. La spesa alimentare è uno speciale indicatore dello stato dell'economia nazionale poiché l'agroalimentare, dai campi fino a negozi e ristoranti, è la prima filiera estesa dell'Italia con un fatturato di 538 miliardi di euro e un valore aggiunto superiore di quattro volte alla filiera dell'automobile, secondo The European House - Ambrosetti. I risultati positivi ottenuti sul piano industriale - conclude la Coldiretti - devono ora trasferirsi alle imprese agricole con una adeguata remunerazione dei prodotti che in molti casi si trovano tuttora al di sotto dei costi di produzione". 

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Lavoro, numero di occupati stabile nel terzo trimestre del 2019

 Il numero di occupati rimane stabile nel terzo trimestre del 2019, mentre aumentano le ore lavorate dello 0,4% su base congiunturale, secondo i dati del rapporto Istat sul mercato del lavoro. Su base annua, invece ci sono 151 mila occupati in piu' (+0,6%), interamente attribuibili alla crescita dei lavoratori a tempo parziale, mentre le ore lavorata registrano un aumento tendenziale dello 0,5%. L'incidenza del part time involontario e' stabile al 64% dei lavoratori a tempo parziale. Invece, dopo il rallentamento della crescita negli ultimi tre trimestri, gli occupati a tempo pieno tornano a diminuire. In generale, aumentano su base annua i dipendenti permanenti a fronte del calo di quelli a termine e degli indipendenti. "Nel confronto annuo, con minore intensita', per il decimo trimestre consecutivo continua la riduzione del numero di disoccupati (-61 mila in un anno, -2,5%) che coinvolge solo gli individui in cerca di prima occupazione a fronte del lieve aumento di quanti avevano precedenti esperienze di lavoro", si legge nel rapporto dell'Istat. Dopo l'aumento dello scorso trimestre, torna a diminuire il numero di inattivi di 15-64 anni (-199 mila in un anno, -1,5%). Il tasso di disoccupazione (9,8%) e' in diminuzione sia rispetto al trimestre precedente sia in confronto a un anno prima; tale andamento si associa alla stabilita' congiunturale e alla diminuzione tendenziale del tasso di inattivita' delle persone con 15-64 anni. Nei dati di flusso - a distanza di 12 mesi - aumenta la permanenza nell'occupazione, in particolare tra le donne e tra i giovani di 15-34 anni. Tra i dipendenti a termine la maggiore permanenza nell'occupazione e' dovuta al cospicuo aumento delle transizioni verso il tempo indeterminato (+9,5 punti).

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Occupazione in crescita per le imprese sociali nel 2020

Per il 2020, il 67,5% delle imprese sociali prevede una stabilità e il 23% ha un sentiment occupazionale in crescita. Emerge dal XIII Rapporto dell'Osservatorio ISNET sull'impresa sociale in Italia, presentato oggi alla Camera alla presenza di Celeste D'Arrando, componente della commissione Affari Sociali della Camera. A illustrare i dati, Laura Bongiovanni, presidente di Associazione ISNET, che ha evidenziato come nelle ultime due edizioni l'Osservatorio ISNET abbia registrato uno scenario contraddistinto da sbalzi anche significativi degli indicatori economici, con variazioni percentuali importanti nei valori di crescita, stabilità e diminuzione. Uno scenario mutevole che non ha riguardato i valori legati all'occupazione, che si confermano invece, per quasi 7 imprese su 10, nel segno di una progressiva stabilità, con un incremento di ben 17 punti percentuali nelle ultimi 3 anni. All'interno di questo scenario generale, una lettura per cluster di impresa rivela che le organizzazioni di inserimento lavorativo che hanno realizzato partnership aziendali presentano valori di andamento economico e propensione all'innovazione superiori alla media (il 54,5% ha indici di innovazione medio alti, +14,5% rispetto al campione generale; l'84,6% delle imprese ha previsioni di stabilità e crescita economica contro il 76% del campione generale). Oltre alle cooperative di tipo B che hanno avviato relazioni con le aziende, tra le imprese del Panel con i migliori indicatori, risultano le cooperative sociali di tipo A di medio-grandi dimensioni.
I dati sull'occupazione sono stati arricchiti in questa XIII edizione dell'Osservatorio, da un focus sul lavoro, dedicato alle partnership tra aziende e imprese sociali e alle loro ricadute, anche con riferimento all'utilizzo delle convenzioni previste dall'ex art. 14 del dlgs 276/03 (le convenzioni ex-art. 14 dlgs. 276/2003 sono uno strumento per l'inserimento lavorativo; attraverso queste convenzioni le aziende assolvono gli obblighi della legge 68/99 affidando commesse di lavoro a cooperative sociali di inserimento lavorativo). Le cooperative di tipo B e A+B che utilizzano queste convenzioni (il 14,9% della porzione di campione di cooperative sociali B e A+B) prevedono una crescita delle risorse inserite del 27,3% (superiore di 4,3 punti percentuali rispetto al campione generale) e una buona dinamicità interna: nessuna di queste organizzazioni dichiara di non aver potuto fare innovazione nell'ultimo anno a causa di resistenze interne al cambiamento (indicatore che pesa l'11,5% nel campione generale). "Sono dati -spiega l'Osservatorio- che confermano l'impatto positivo delle partnership aziendali non solo da un punto di vista economico e occupazionale ma anche per la ricaduta sociale delle collaborazioni. Nonostante questi positivi risvolti sono ancora poche le imprese sociali e le aziende che utilizzano le convenzioni ex art 14".
"Tra le motivazioni, il 52,8 % di cooperative sociali di tipo A+B e B che ha relazioni con le aziende senza l'utilizzo di convenzioni, lamenta la mancanza di relazioni sufficienti con aziende che potrebbero essere interessate, l'8,3% soffre la mancanza di una forza vendita commerciale dedicata, il 22,2% dichiara una scarsa conoscenza. Sono dati che suggeriscono l'esistenza di ampi spazi di miglioramento nell'utilizzo dello strumento legislativo", aggiunge. La creazione di luoghi di conoscenza e ambiti di lavoro comuni tra le differenti tipologie di imprese, è uno degli obiettivi che emergono dall'indagine. "E' un effetto certificato dalle analisi di impatto sociale realizzate negli ultimi 6 mesi, un approfondimento tematico che l'Osservatorio ha sviluppato", ha affermato Bongiovanni. "Si sono verificati percorsi di apprendimento inter-organizzativo - ha spiegato - caratterizzati da relazioni di reciprocità: le aziende imparano l'impegno sociale concreto, restituendo una prospettiva di senso ai lavoratori coinvolti e le imprese sociali crescono in performance ed efficienza organizzativa consolidando una percezione di se che va oltre il valore aggiunto sociale. L'oggettività delle analisi condotte travalica il buonismo di una narrativa sul sociale, e rivela un modello di apprendimento, azienda e impresa sociale insieme, interconnesso e ad elevata innovatività".

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Clima, le aziende italiane stimano rischi per oltre 40 miliardi

 Le imprese italiane stimano oltre 40 miliardi di euro per i rischi collegati ai cambiamenti climatici ma meno di 1 azienda su 5 tra quelle interpellate ha obiettivi sufficientemente ambiziosi per ridurre le emissioni di gas serra. Il 76% delle citta', invece, rileva rischi legati al cambiamento climatico, ma solo 1 su 4 ha gia' completato una valutazione dei rischi e delle vulnerabilita', e solo il 12% ha gia' approvato un piano di adattamento. E' quanto emerge da un nuovo report su come le maggiori aziende, citta' e regioni italiane stanno affrontando il cambiamento climatico pubblicato oggi da Cdp, l'organizzazione no-profit che esegue indagini sull'ambiente. Il "Cdp Italy Report", presentato alla Cop25 alla presenza del ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, analizza 45 aziende italiane, tra le piu' grandi e a maggior impatto ambientale, oltre a 34 citta' e regioni che rappresentano oltre un terzo delle popolazione in Italia. I rischi piu' segnalati dalle citta' sono forti precipitazioni, ondate di caldo, e alluvioni. Venezia, Roma e Parma presentano l'indice di rischio maggiore, che riflette il numero di rischi riportati da una citta' e la loro pericolosita'. Allo stesso tempo, tale dato dimostra anche che queste citta' sono maggiormente consapevoli di essere esposte a tali rischi, un primo e fondamentale passo per la loro gestione, osserva Cdp. Per le aziende, circa 37 miliardi dei 40 stimati sono collegati ai rischi di trasformazione del business, come cambiamenti regolatori e di mercato. Ulteriori 7 miliardi di potenziale impatto finanziario sono stati identificati come risultato di rischi di natura fisica, che comprendono eventi meteorologici estremi come siccita' e alluvioni che influiscono sulle attivita' di business. Tuttavia, le imprese vedono importanti opportunita' derivanti dall'adattamento dei loro modelli di business all'impiego di tecnologie a piu' basse emissioni di carbonio. Le aziende stimano 67 miliardi di potenziali opportunita' finanziarie, la maggior parte relative allo sviluppo di nuovi prodotti e servizi con livelli piu' bassi di carbonio

Il ministro per l'Ambiente Sergio Costa spiega che "la nostra collaborazione con Cdp rappresenta un esempio della leadership dell'Italia in Europa e il nostro impegno nel promuovere una maggiore consapevolezza da parte di aziende, citta', stati e regioni italiane sul proprio impatto e rischi ambientali". Questo consente di "monitorare i nostri progressi e aumentare la nostra ambizione". Sebbene il 60% delle aziende abbia gia' fissato obiettivi di riduzione delle emissioni totali, afferma Cdp, meno di 1 su 5 ha obiettivi che coprono almeno il 70% delle emissioni derivanti da attivita' dirette e dall'impiego di energia. Solo due aziende italiane, Enel e Danieli Officine Meccaniche, hanno ufficialmente visto approvati i propri obiettivi di riduzione delle emissioni come "basati sulla scienza". Oltre 280 aziende nel mondo hanno gia' fissato obiettivi di questo tipo, che definiscono un percorso per la decarbonizzazione in linea con gli obiettivi dell'accordo di Parigi. Tra le autorita' locali e regionali, oltre il 60% delle citta' e regioni italiane che hanno fornito i propri dati a Cdp ha stabilito obiettivi di riduzione delle emissioni. Tra le regioni incluse nel rapporto, 5 delle 9 (Abruzzo, Emilia-Romagna, Piemonte, Sardegna e Veneto) collaborano con le citta' nei loro territori per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni e di efficienza energetica fissati. Nel 2019, l'Abruzzo e' stata la prima regione italiana a lavorare attivamente per supportare tutte le principali citta' sul territorio (Chieti, L'Aquila, Pescara, Teramo) nel monitoraggio dei dati ambientali. Tuttavia, la maggior parte delle citta' e' ancora in una fase di sviluppo delle valutazioni di vulnerabilita' e dei piani di adattamento. Meno di 1 su 4 ha gia' portato a termine una valutazione delle vulnerabilita' e solo il 12% ha gia' redatto un piano di adattamento, sebbene il 36% ne stia sviluppando uno e l'8% stia pianificando di farlo a breve. Steven Tebbe, Managing Director di Cdp Europa, afferma che questo rapporto "chiarisce che gli obiettivi di taglio di emissioni delle imprese non sono abbastanza ambiziosi e c'e' ancora molta strada da fare per essere in linea con gli obiettivi dell'accordo di Parigi".

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