Da domenica primo luglio la spesa per l'energia per la famiglia tipo in tutela registrerà un incremento del 6,5% per l'energia elettrica e dell'8,2% per il gas naturale, in controtendenza rispetto ai forti ribassi (-8% per l'elettricità e -5,7% per il gas) del secondo trimestre di quest'anno. Lo fa sapere l'Autorità per l'energia, precisando che "per il gas l'impatto sulla spesa per i clienti domestici risulta meno significativo in considerazione dei bassissimi consumi del periodo estivo".A pesare, specifica la stessa Autorità, sono le tensioni internazionali e la conseguente forte accelerazione delle quotazioni del petrolio, cresciute del 57% in un anno e del 9% solo nell'ultimo mese di maggio, che "hanno pesantemente influenzato anche i prezzi nei mercati all'ingrosso dell'energia, con ripercussioni sui prezzi per i clienti finali sia del mercato libero che del mercato tutelato".Gli andamenti, prosegue il comunicato, si riflettono sull'aggiornamento delle condizioni economiche di riferimento per le famiglie e i piccoli consumatori in tutela per il terzo trimestre 2018. Per il settore elettrico, allo scopo di mitigare l'impatto dell'attuale congiuntura, l'Autorità è intervenuta con una modulazione degli oneri generali di sistema, in modo da ridurre l'aumento di spesa per i clienti domestici e non domestici, con pari effetti sia sul mercato tutelato che su quello libero.L'aumento per l'elettricità, precisa la nota, "sarebbe stato più consistente in assenza dell'importante intervento di 'scudo' congiunturale attivato dall'Autorità tramite gli oneri di sistema, il cui valore complessivo per il 2018 è stimato in 14 miliardi di euro". Per contenere nell'immediato parte degli aggravi sui consumatori, infatti, la stessa Autorità per l'energia ha deciso di allegerire in parte il prelievo tariffario degli oneri generali, compensandolo con giacenze-scudo di cassa.L'Istat ha certificato proprio in giornata un balzo dell'inflaizone dell'1,4% annuo a giugno, contro l'1% di maggio. Anche sulla spesa delle famiglie a pesare è stato il caro-petrolio, che ha infiammato la benzina ma anche i beni alimentari, trasportati soprattutto su gomma.
Leggi Tutto »Assicurazioni, il premio medio è sceso di oltre 100 euro nell’ultimo quinquennio
Nel quinquennio 2013-2017 le polizze con scatola nera sono passate dal 10% a oltre il 20% del totale, con punte nelle aree meridionali del 60%, "portando così il mercato italiano in testa alle classifiche mondiali di diffusione della motor connected insurance". Lo spiega l'Ivass nella Relazione Annuale. La scatola nera "è stata la chiave di volta nella lotta alle frodi", ha sottolineato il presidente dell'Ivass, Salvatore Rossi, a margine della Relazione. "Nel comparto Rc auto un importante traguardo è stato raggiunto sui costi: nel quinquennio 2013-2017 il premio medio è sceso di quasi un quarto, oltre 100 euro". Lo scrive l'Ivass nella relazione annuale, sottolineando che sono "molto diminuite anche le disparità di prezzo sul territorio". Ad esempio, "il differenziale Napoli-Aosta si è più che dimezzato, passando dagli oltre 400 euro del 2012 a meno di 200 lo scorso anno". A incidere sul calo dei prezzi è stata la diffusione della "scatola nera", spiega l'Ivass.
Nel 2017 sono stati raccolti premi per 132 miliardi di euro, in calo del 2,5% rispetto al 2016. Lo rileva l'Ivass nella Relazione Annuale. Nel primo trimestre del 2018 si registra invece una crescita del 2,1% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, aggiunge l'Ivass, spiegando che la flessione del 2017 è dovuta al settore "vita" e si tratta di "quasi 3 miliardi e mezzo di minori ricavi". I bassi rendimenti che le compagnie possono offrire sulle polizze vita tradizionali "ne hanno ridotto l'appetibilità" per la clientela, ha detto il presidente dell'Ivass, Salvatore Rossi. I premi raccolti su queste polizze sono stati di 63 miliardi, 10 miliardi in meno rispetto al 2016, si legge ancora nella Relazione Annuale, in cui si spiega che "la perdita è stata limitata dalla contestuale crescita delle polizze unit-linked, che pongono in tutto o in parte il rischio finanziario in capo al sottoscrittore". In crescita, invece, dell'1,1% il settore danni, che "ha interrotto il ciclo regressivo del settore iniziato nel 2012".
Sono state "risvegliate" quasi 190.000 polizze dormienti con pagamenti, già effettuati o in corso, per oltre 3,5 miliardi di euro. Su altre 900.000 polizze sono in corso accertamenti delle imprese. "Confidiamo molto che il fenomeno possa essere prevenuto" e "una delle idee é consentire alle compagnie di accedere alla banca dati dell'anagrafe tributaria", ha spiegato Rossi. La stima del volume complessivo di queste polizze dormienti resta sui 4-4,5 miliardi di euro.
Leggi Tutto »Lombardia leader della vendita a domicilio
Lombardia leader della vendita a domicilio: nel 2017 le aziende del settore hanno realizzato nella regione un fatturato di 237 milioni 385mila euro. Lo conferma la rilevazione del Centro Studi Univendita sulle proprie aziende associate: il risultato lombardo rappresenta il 14,3% delle vendite nazionali, che hanno raggiunto nel 2017 la cifra di 1 miliardo 660 milioni di euro (+1,8% rispetto all'anno precedente). Nel Nord Ovest, che vale il 24,2% del fatturato nazionale, la Lombardia fa la parte del leone, mentre Piemonte/Valle d'Aosta e Liguria valgono rispettivamente il 7,6% e il 2,3% del fatturato totale delle aziende Univendita. Nella classifica delle vendite la Lombardia è seguita da Campania (185 milioni di euro) e Veneto (154 milioni di euro). Nel complesso, Sud e Isole realizzano il 36,8% del fatturato (610 milioni di euro); seguono Nord Ovest (401 milioni di euro), Nord Est (353 milioni di euro) e Centro (293 milioni). Quanto agli addetti alla vendita, nel 2017 in Lombardia hanno operato oltre 20.000 venditori a domicilio, pari al 12,7% del totale italiano (158.000 addetti). Nella classifica della presenza dei venditori la Lombardia è terza, dopo Campania (23.000 addetti) e Sicilia (con 21.500 addetti). Guardando alle aree geografiche è al Sud e Isole che nel 2017 si è concentrato il maggior numero di venditori (77.700 addetti pari al 49% del totale); seguono il Nord Ovest con 32.000 addetti, il Nord Est con 24.000 addetti e il Centro con 24.500 addetti.
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Le imprese italiane versano al fisco 101,1 miliardi di euro l’anno
Le imprese italiane versano al fisco 101,1 miliardi di euro l’anno: un carico di imposte, tasse, tributi e contributi previdenziali da far tremare i polsi. Tra i principali paesi europei, solo l’Olanda (14,2 per cento) registra una incidenza del prelievo fiscale riconducibile alle imprese sul gettito fiscale totale superiore alla nostra (14,1 per cento).
Con i nostri principali competitor, invece, scontiamo dei differenziali molto preoccupanti; tutti presentano un “sacrificio fiscale” nettamente inferiore al nostro. Sulle aziende tedesche, ad esempio, grava un prelievo sul gettito totale del 12,3 per cento, sulle spagnole dell’11,6 per cento, su quelle britanniche dell’11,4 per cento e sulle francesi del 10,2 per cento.
“Sebbene alle nostre imprese sia praticamente richiesto lo sforzo fiscale più oneroso d’Europa – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – lo Stato italiano continua a non agevolarne la crescita. Anzi. Ricordo, ad esempio, che il debito commerciale della nostra Pubblica amministrazione nei confronti dei propri fornitori è di 57 miliardi di euro, di cui una trentina ascrivibili ai ritardi nei pagamenti. Il peso economico dell’inefficienza burocratica della macchina pubblica sulle Pmi, invece, è di 31 miliardi e il deficit infrastrutturale, sia materiale che immateriale, grava sul sistema produttivo per almeno 40 miliardi di euro".
L’Ufficio studi della CGIA tiene inoltre a sottolineare che la priorità del nostro Paese è la questione economica. I segnali di ripresa registrati in questi ultimi 2 anni si stanno affievolendo e anche quest’anno la nostra crescita sarà la più contenuta in tutta l’Ue. Per questo è necessario intervenire quanto prima per abbassare le tasse, alleggerire l’oppressione burocratica, accelerare i pagamenti della Pubblica amministrazione e tornare ad investire. In merito agli investimenti il Segretario della CGIA, Renato Mason, afferma: “Pur essendo uno strumento intelligente, il piano 4.0, fortemente voluto dall’ex ministro Calenda, è stato tarato sulle esigenze delle medie e delle grandi aziende. Non è un caso, infatti, che fino ad ora la stragrande maggioranza degli incentivi sia stata utilizzata da queste ultime. Le piccole, che sono la quasi totalità delle imprese presenti nel paese, ne hanno usufruito in misura minore. Pertanto, è necessario coinvolgerle maggiormente e nella rivoluzione digitale che dovremo affrontare nei prossimi anni dovranno essere interessate anche la Pubblica amministrazione, la scuola e le maestranze. Questa sfida si vince se, tutti assieme, saremo in grado di fare squadra, giocando questa partita con la consapevolezza che chi rimarrà indietro avrà poche possibilità di stare al passo con le principali potenze economiche del mondo”. Oltre ad avere un peso fiscale in Italia che rimane tra i più elevati tra i paesi più avanzati, la CGIA ricorda che è altrettanto inaccettabile che il grado di complessità raggiunto dal fisco scoraggi la libera iniziativa e la voglia di fare impresa. Inoltre, gli artigiani mestrini tengono a precisare che non è nemmeno più rinviabile una riflessione sull’ “assetto” della Magistratura giudiziaria. “Il nostro sistema fiscale – conclude Zabeo - è costituito da 3 attori: il legislatore, l’Amministrazione finanziaria e la giustizia tributaria. Ad ognuno di questi soggetti la Costituzione conferisce una funzione e non è ammessa alcuna sovrapposizione di ruoli. Le Commissioni tributarie, però, si avvalgono della struttura organizzativa ed economica del Ministero dell’Economia e delle Finanze a cui appartiene anche l’Agenzia delle Entrate che è la controparte del contribuente. Ora, nessuno mette in discussione l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici tributari, ci mancherebbe, sta di fatto che il problema esiste e nel contenzioso giuridico tra fisco e contribuente lo squilibrio c’è e, purtroppo, è a svantaggio di quest’ultimo”.
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Vino, cresce il valore dell’export nel primo trimestre, ma volumi in calo
"Grazie alla tenacia e al coraggio dei nostri imprenditori chiudiamo il primo trimeste 2018 con un valore dell'export che segna ancora un rialzo del +4,5%. Una crescita, però, in calo sul 2017 perchè frenata dai forti rialzi dei prezzi legati alla scarsa vendemmia e dal ritardo accumulato dal Ministero nell'erogazione dei fondi OCM promozione. Registriamo, infatti, un crollo nei volumi che 'indebolisce' in maniera preoccupante il nostro posizionamento sui mercati internazionali, rallentando anche il traino delle bollicine che segnano una crescita modesta rispetto alle performance degli anni scorsi e non riescono più a sostenere la prolungata stasi dei vini fermi". Ernesto Abbona, Presidente di Unione Italiana Vini, commenta così i dati Istat elaborati da Ismea, partner dell'Osservatorio, relativamente all'export del vino italiano nel periodo gennaio-marzo 2018 che riporta una crescita del +4,5% in valore (superando gli 1,38 miliardi di euro) e una flessione pari al -9% in volume, passando dai circa 4,9 milioni di ettolitri di vini e mosti esportati nel primo trimestre del 2017 ai 4,5 circa milioni di ettolitri nello stesso intervallo di tempo di quest'anno. "Un quadro complessivo molto difficile - commenta Abbona - che si trova a dover affrontare una instabilità costante legata ai riflessi di dinamiche geopolitiche, che non aiutano la crescita del commercio. È urgente che il neoministro Centinaio acceleri sul bando Ocm per sbloccare quei fondi, indispensabili per supportare i finanziamenti degli imprenditori italiani sul mercato internazionale, e faccia pressione su Bruxelles per imprimere nuovo sprint ai negoziati di libero scambio non ancora conclusi". In particolare, a soffrire e a causare il crollo dei volumi esportati è quel -32,6% evidenziato nelle vendite dei vini comuni, i quali nel corso del 2017 sono stati soggetti ad un calo della produzione e ad un conseguente aumento dei prezzi. Risultati preoccupanti, moderati però dai numeri degli spumanti, vero traino del settore, che nel complesso salgono del +2,8% a volume e del +14,6% in valore. In particolare, questo segmento si conferma particolarmente apprezzato negli Stati Uniti (+14,3% e +18,6%) e registra un netto aumento tanto in Belgio (64,4% e 69,9%) quanto in Germania (+34,3% e +10,8%). Si fa sentire invece l'effetto Brexit, con una diminuzione del -6,1% in volume e un +2% in valore nel Regno Unito.
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Confesercenti, solo il 47% delle 14me destinate ai consumi
Tra la seconda metà di giugno e la prima di luglio saranno quasi 7,5 milioni gli italiani che riceveranno la quattordicesima, per un importo medio di 1.250 euro per i dipendenti e di 480 euro per i pensionati, per un totale di circa 6,8 miliardi. "Un'iniezione di liquidità consistente, di cui però meno della metà (il 47%, pari a 3,2 miliardi) andrà in consumi. Buona parte dello stipendio aggiuntivo - il 29%, o 2 miliardi di euro - verrà infatti usata per le spese fisse e per saldare conti in sospeso e debiti con il fisco, tra cui le ultime rate della rottamazione delle cartelle esattoriali. Ma cresce decisamente anche la quota di risparmiatori, che quest'anno accantoneranno quasi 1,6 miliardi (il 23%) quasi 600 milioni in più dello scorso anno". E' quanto emerge dalle elaborazioni dell'Ufficio Economico Confesercenti sulla base dei dati Istat e un survey SWG.
Leggi Tutto »Nel Nord retribuzioni medie annue più alte
Le province del Nord, in particolare del Nord-ovest, detengono il primato delle più alte retribuzioni medie annue dei lavoratori dipendenti. Al Nord, nel 2016 il reddito medio di un lavoratore dipendente è stato di circa 24.400 euro contro i 16.100 euro di un lavoratore del Mezzogiorno, con una differenza di 8mila euro annui. E' quanto emerge dal nuovo indicatore per il benessere equo e sostenibile, bes, delle province pubblicato dall'Istat. In tutti i casi le retribuzioni medie annue sono cresciute quasi costantemente negli anni, ma con velocità notevolmente diverse: +11,4% al Nord, +3,4% nel Mezzogiorno. Il reddito da lavoro dipendente nella provincia in maggiore vantaggio, Milano, è circa due volte e mezzo quello della provincia più svantaggiata in assoluto, Vibo Valentia. Le prime 22 province in termini di reddito da lavoro dipendente sono tutte del Nord, ad eccezione di Roma, che è terza in Italia con 23.300 euro circa, dopo Milano (29.600 euro circa) e Bologna (25.600 euro circa); nessuna provincia del Centro o del Nord occupa la coda della distribuzione, in cui invece si concentrano tutte le province della Calabria e della Campania tranne Napoli; Foggia, e Lecce per la Puglia; Matera in Basilicata; Trapani, Messina, Agrigento, Enna e Ragusa in Sicilia; le province sarde di Sassari e Nuoro. Differenze si osservano anche all'interno delle aree, in particolare nel Nord-ovest e al Sud della Penisola, con intervalli che vanno dai 29.600 euro di Milano ai 16.700 circa di Imperia, dai 19.600 di Chieti ai 12.100 di Vibo Valentia
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